TERRITORIO/ PN Conferenza stampa contro Italian Baja

MV 10 marzo 2013

Appello ambientalista «Manifestate
contro i motori sui magredi»

Pordenone, il coordinamento invita ad attuare iniziative pacifiche. «Non basta coprire i danni al territorio con l’assicurazione»

di Milena Bidinost

PORDENONE. Il coordinamento difesa ambientale si prepara a una “protesta pacifica” contro i rombi dei motori e gli scarichi dei tubi di scappamento delle decine di moto, auto e camion che il prossimo fine settimana lambiranno i Sic (Siti riconosciuti di interesse comunitario) Magredi del Cellina e Greto del Tagliamento, nonché la Zps (Zona di protezione speciale) Magredi di Pordenone sotto l’egida dell’Italian Baja.

Per il coordinamento, che dal 2012 raggruppa 12 tra comitati e movimenti cittadini della provincia, sarà la prima uscita sul campo. Lo hanno annunciato ieri in un incontro Daniele De Piero del Mutuo Soccorso Cordenons, Silvio Vincenti del Wwf, Gian Andrea Franchi di Cittadini per l’ambiente di Pordenone, Giovanna Casalini del Comitato per la Salvaguardia di San Foca e Dario Tosoni del Movimento Tutela Val D’Arzino.

«I nostri no – hanno precisato – non sono mai fini a se stessi, ma esprimono contrarietà a opere, come nel caso delle centrali idroelettriche o di quelle biogas, che oltre che danneggiare il nostro habitat, non hanno nemmeno una giustificazione economica, se non in funzione degli incentivi statali che incassano i privati. In cambio dei no, proponiamo alternative il linea con la tutela dell’ambiente». Detto questo, il “no” all’Italian Baja è assoluto e fa eccezione.

Per questo il Coordinamento invita chi ha a cuore l’ambiente a manifestare, anche in forma autonoma e spontanea con presidi in loco, durante le gare, al ponte di Dignano, a Cordenons e a Zoppola. «Si tratta di una manifestazione che di sportivo non ha nulla – secondo De Piero -, che lambisce aree importanti per la loro biodiversità e che è diseducativa poiché induce a far pensare che i greti dei fiumi non siano territori a valenza ambientale, bensì aree dismesse per lo svago dei fuoristrada della domenica. Non basta, come ha dichiarato l’organizzatore, rimediare coprendo i danni con l’assicurazione del Baja. Così si mercifica l’ambiente».

«Inviamo un monito alla Regione – ha concluso De Piero – affinché disciplini al più presto i vuoti normativi». Mancano infatti ancora l’obbligo di una procedura di valutazione di incidenza delle manifestazioni automobilistiche in zone limitrofe ad aree protette e i piani di gestione per la disciplina dell’accesso ai Sic.

TERRITORIO/ Valvasone 17 marzo – Manifestazione contro l’Italian Baja

Monfalcone: Maxi-processo per l’amianto, chieste condanne per 70 anni

da Il Piccolo del 13 marzo 2013

Pagina 57 – Gorizia-Monfalcone

Atto d’accusa dei pm: un’intera famiglia uccisa dall’amianto

Anche due donne tra le 85 vittime, per essere state a contatto con le tute dei mariti. Tra le carte pure raccomandazioni

MAXI-PROCESSO»DA OGGI GLI INTERVENTI DELLE PARTI CIVILI

 

Tra gli 85 morti per esposizione all’amianto, i cui nomi sono stati snocciolati l’altra sera con quella fredda burocrazia tipica delle aule giudiziarie, c’è anche la storia di una donna che, forse, non aveva mai messo piede all’interno dello stabilimento navale eppure nei suoi polmoni sono state trovate le fibre di amianto provenienti proprio dal cantiere monfalconese. Si chiamava Silvana Giuriato – e Silvana era pure il nome della donna di cui abbiamo scritto ieri ammalatasi mentre lavorava nella mensa di Panzano – ed è morta di mesetelioma a pochi mesi di distanza dal marito, pure lui, operaio dell’Italcantieri, deceduto per lo stesso male. Ed è lavando le tute del marito che la Giuriato ha aspirato la polvere killer fino a provocarle il tumore. Sorte che è capitata a molte mogli di cantierini, morte nel silenzio o negli anni in cui non era scoppiato lo scandalo amianto. D’altra parte già nel processo celebratosi alcuni anni fa a Marghera, sempre nei confronti di dirigenti della Fincantieri, era stato accertato che tre mogli di operai erano morte di asbestosi lavando i capi di vestiario che i mariti usavano in cantiere. Morti che si potevano evitare se i vertici dell’Italcantieri non avessero sottovalutato il rischio amianto: lo hanno ripetuto più volte i due pm Luigi Leghissa e Valentina Bossi, che hanno condotto le indagini su questo primo maxi-processo. La loro requisitoria è stato un vero e proprio j’accuse contro chi aveva il potere in Italcantieri e ha manifestato un assoluto disinteresse al problema e si è rifiutato di predisporre quegli accertamenti per verificare l’inquinamento ambientale e la presenza di malattie professionali pur sapendo dei rischi che comportava l’utilizzo dell’amianto. E nel ricordare i vari incarichi al vertice detenuti da Enrico Bocchini, il pm Leghissa ha ricordato il suo nepotismo. Ha citato uno scambio epistolare con l’allora ministro Calogero Mannino che sollecitava la promozione a vicedirettore dell’ingegnere navale Roberto Picci, pure imputato in questo processo sebbene per lui sia stata richiesta l’assoluzione perchè ha ricoperto l’incarico dirigenziale per breve tempo. Leghissa ha messo le mani nelle due lettere di Mannino, che nessuno ha pensato bene di farle sparire e rimaste così fra le migliaia di carte sequestrate dalla Procura nelle sedi di Fincantieri. Oggi il processo prosegue con i primi interventi degli avvocati delle parti civili, che occuperanno anche l’udienza del 19 marzo. Sono meno di dieci le parti offese rimaste ancora nel processo perchè per moltre altre è stato trovato un accordo extragiudiziale con Fincantieri. Restano le parti civili istituzionali: Comune di Monfalcone, Provincia, Regione, Inail, Fiom Cgil e Associazione esposti.

 

ROMANA BLASOTTI

Solidarietà e un aiuto da Casale Monferrato

Per Romana Blasotti Pavesi, la “pasionaria” di Casale Monferrato che ha sconfitto in primo grado i giganti dell’Eternit, anche a Monfalcone «la giustizia deve mettere un punto fermo» sulla questione amianto. «Noi siamo stati prima di tutto seguiti dalla Cgil, che ha fatto venire allo scoperto le morti di tutte queste persone, in numero sicuramente inferiore a quelle avute invece nella vostra città – racconta – e poi ci hanno aiutato medici, giornalisti, scrittori, i quali hanno fatto sì che si riuscisse ad arrivare al primo maxi-processo, l’unico per fattispecie in Europa. La solidarietà di tutti – rimarca Romana Blasotti – è un fattore molto importante, come seguire le udienze, partecipare ai dibattimenti. Noi attualmente siamo alle prese con l’appello e il secondo processo dovrebbe concludersi a maggio. I nostri difensori sono bravissimi e bravissimo è stato il dottor Guariniello che ha ottenuto la prima condanna, ma anche gli avvocati dall’altra parte sono degli ossi duri: si attaccano a tutto pur di rimettere in discussione il primo giudizio o disfare il nostro gruppo, sempre molto unito e rumoroso». Ci sono pullman di studenti che da Casale partono alla volta del tribunale, per seguire le fasi processuali. Insomma, è importante non mollare mai e credere fino in fondo nella giustizia. Romana Blasotti Pavesi conosce bene l’Isontino. Partita nel ’47, a 18 anni, da Salona d’Isonzo (oggi Anhovo) per trasferirsi con la famiglia a Casale, diventò negli anni seguenti il simbolo della lotta contro la multinazionale Eternit. Domani è prevista un’altra udienza in appello e Romana Blasotti ci sarà, in prima fila. «Lo faccio per il dottor Guariniello», dice prima di mettere giù la cornetta del telefono.(ti.ca.)

 

Le vedove: «Primo passo verso la giustizia»

Parlano Rita Nardi, la prima a iniziare la “battaglia”, e Nevia Pacco il cui marito è deceduto a 58 anni

«Io ero una donna felice, mi hanno tolto tutto. Quando iniziai questa battaglia, tanti anni fa, lo feci esclusivamente per difendere mio marito, per evitare che morisse nel silenzio in cui sono morti gli altri. Perciò la notizia della richiesta di condanna per i vertici dell’allora Italcantieri non mi rende né triste, né contenta: mio marito non me lo restituirà mai nessuno. Ma di una cosa sono felice, di aver fatto venire tutto questo a galla». Al telefono le si spezza la voce. Ogni volta che la vedova Rita Nardi, la prima a denunciare che a Monfalcone si moriva così, “per un toco de pan”, lavorando in cantiere, pensa a suo marito Gualtiero viene sopraffatta dall’emozione, anche se sono passati 14 anni dalla sua scomparsa. Il dolore è sempre lì, immutato. Come il ricordo di un calvario, quello della malattia – il mesotelioma – durato 4 estenuanti anni. «La mia sola speranza – spiega Rita Nardi, una vita spesa in prima linea con gli esposti all’amianto – è che queste persone ora sotto processo vivano almeno un po’ di anni nel rimorso». Gualtiero si ammalò nel 1994, cinque giorni dopo essere entrato in pensione. Morì una vigilia di Natale, all’età di 52 anni. «Per quel che riguarda me – conclude la vedova -, potrebbero pure prendere le chiavi e buttarle via, ma sono ben consapevole del fatto che anche nel caso in cui vi fosse effettivamente una condanna le pene richieste potrebbero essere ulteriormente ridotte». A differenza di Gualtiero Nardi, il sancanzianese Lino Buzzi non fece in tempo ad andare in pensione: morì quattro giorni prima, a 58 anni, 36 dei quali spesi allo stabilimento di Panzano. «Non ci può essere perdono senza giustizia», ripete oggi come un mantra sua moglie Nevia Pacco, rimasta troppo presto vedova. «Dal mio punto di vista – dice – sono già contenta che siamo arrivati fin qui, perché anni fa non l’avremmo mai detto. E da credente, credo che il Signore ci abbia assistito. È venuto il momento che queste persone si prendano le proprie responsabilità, poiché avrebbero potuto fare qualcosa per queste 85 persone e non l’hanno fatto». «La questione morale – sottolinea – supera quella materiale: tutte queste morti devono avere una loro dignità. Se le pene richieste siano adeguate non lo so, poiché non ho strumenti per giudicare, però mi fido della magistratura e spero agisca nel miglior modo». I vertici dell’azienda, secondo la vedova, «avevano la responsabilità di decidere il destino di questi papà e fratelli, che sono invece morti nel silenzio delle loro famiglie». «Una cosa – conclude Nevia Pacco – mi ha lasciato però degli interrogativi: ho scorto tra gli assolti, dei nomi che mi sono risultati familiari, perché ne parlava mio marito, e ciò ha suscitato in me, lo voglio dire, delle perplessità».

 

LO STORICO PALADINO DELLA LOTTA ALL’ASBESTO

Bianchi: «Non si può dire che non si conosceva il rischio»

«Non è possibile sostenere che non si sapeva della pericolosità dell’amianto, è dall’inizio del secolo che ci sono leggi che invitano alla cautela, poi si è scoperto che l’esposizione provocava il mesotelioma. I dirigenti dell’Italcantieri dovevano saperlo, è indiscutibile, gli operai invece erano all’oscuro. ma questo è colpa anche del fatto che in Italia non esiste la cultura della prevenzione e sul lavoro si sottovalutano i rischi». È un giudizio severo quello di Claudio Bianchi, medico, figura storica, come esperto e ricercatore, della battaglia contro l’amianto, già anatomo patologo ed ora presidente della Lega tumori di Monfalcone. Le sue parole, il giorno dopo le richieste di condanna avanzate dai pm per i dirigenti di Italcantieri pesano come macigni. «Ancora oggi c’è qualcuno che si domanda come mai sia potuto succedere – aggiunge Bianchi – ma in molti dimenticano che l’allarme sul rischio di cancro da esposizione di amianto era stato lanciato già negli anni ’70 in altri Paesi, ma in Italia ce ne siamo accorti solo nell’86 quando c’è stata la pronuncia dell’allora ministro della Sanità. Troppo forti gli interessi economici. Noi ci stupiamo dell’amianto ma oggi ci sono tutta una serie di agenti cancerogeni in giro e nessuno dice nulla. I telefoni cellulari ad esempio». Rischi sull’amianto che per primo Bianchi aveva paventato «Ma c’erano analisi balorde e gli ispettori e gli organismi di controllo avevano gli occhi chiusi. La responsabilità è molto diffusa. Avevo chiesto agli ispettori come mai non facessero un controllo in cantiere, mi avevano risposto che non potevano metterci piede per divieto dell’azienda». (g.g.)

 

 

da Il Piccolo del 12 marzo 2013

 

Pagina 1 – Gorizia-Monfalcone

«Amianto, condannate i vertici»

Gli 85 morti dell’Italcantieri: a Gorizia i pm chiedono pene severe

Sono solo i vertici dell’ex Italcantieri i responsabili dei decessi degli 85 lavoratori avvenuti tra gli anni ’60 e ’80 e causati dall’esposizione all’amianto. È questa la conclusione a cui sono giunti i pm.

 

Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

I pm: «Colpevoli solo i vertici Italcantieri»

Tredici richieste di condanna per complessivi 70 anni: 9 anni e 6 mesi per Vittorio Fanfani e Manlio Lippi, 5 anni e 4 mesi per Corrado Antonini

AMIANTO»IL MAXI-PROCESSO IN TRIBUNALE A GORIZIA

Sono stati dei padri padroni Conoscevano il pericolo e hanno tenuto all’oscuro i lavoratori

 

Sono solo i vertici dell’ex Italcantieri i responsabili dei decessi degli 85 lavoratori avvenuti tra gli anni Sessanta e Ottanta e causati dall’esposizione all’amianto mentre costruivano le navi nello stabilimento di Panzano. Conoscevano fin dagli anni Sessanta la pericolosità dell’amianto e nulla hanno fatto per impedire che venisse utilizzato e neppure hanno informato i lavoratori sulla pericolosità per la loro salute. È questa la conclusione a cui sono giunti i pubblici ministeri Luigi Leghissa e Valentina Bossi al termine di una lunga e puntuale requisitoria che ha impegnato sei udienze del maxi processo che si celebra al tribunale di Gorizia. Tredici le condanne richieste per complessivi 70 anni. Le pene maggiori, 9 anni e 6 mesi di reclusione e senza la concessione delle attenuanti, sono state avanzate per Vittorio Fanfani, 93 anni e Manlio Lippi, 90 anni, definiti dai pm padri per padroni per un decenio dell’Italcantieri. Ma non sono andati leggeri neppure per altri amministratori e dirigenti dell’ex Italcantieri: 7 anni e 3 mesi sono stati chiesti per Giorgio Tupini, 90 anni, ex presidente di Italcantieri; 7 anni per Enrico Bocchini, 90 anni, già presidente del Consiglio di amministrazione; 6 anni e mezzo per Mario Abbona, responsabile aziendale della sicurezza al quale la pubblica accusa contesta il fatto che non essersi attivato per eliminare o ridurre il pericolo dell’amianto e di non aver informato a dovere i lavoratori dei rischi che correvano; 6 anni per Antonio Zappi, 77 anni; 5 anni e 4 mesi per Corrado Antonini, ex direttore generale; 4 anni e 4 mesi per Aldo La Gioia, 85 anni, responsabile della produzione; 3 anni e 6 mesi per Roberto Schivi, 74 anni, direttore generale del personale; 3 anni e 3 mesi per Cesare Casini,85 anni, vice direttore generale; 3 anni per Livio Minozzi, 67 anni, dirigente dell’ufficio personale; 2 anni e 4 mesi per Glauco Noulian, 89 anni, e Italo Massenti, 84 anni, il primo dirigente della sede centrale e il secondo responsabile del settore acquisti. Per altri sei dipendenti dell’Italcantieri i pubblici ministeri hanno chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto perchè privi di alcun potere decisionale oppure perchè la loro permanenza ai vertici dell’Italcantieri è stata talmente breve da non poter imputare loro alcuna responsabilità della morte dei cantierini. Si tratta di Giancarlo Testa, Roberto Picci, Saverio Di Macco, Peppino Maffioli, Bernardo Vittorio Carratù, Marino Visintin e Mario Bilucaglia. Da assolvere perchè non aver commesso il fatto (in un paio di casi per intervenuta prescrizione) anche i rappresentanti delle ditte appaltanti: Amedeo Lia, Curzio Tossut, Carlo Viganò, Attilio Dall’Osso, Roy Rhode, Ronald Rhode, Mario Pagliani, Ervino Lenardon, Omero Blazei, Liana Colamaria, Lino Crevatin, Renzo Meneghin, Gino Caron, Gianni Poggi e Giorgio Vanni. Nella loro approfondita disanima dei fatti i pm hanno esanimato le cause di ogni decesso disponendo per alcuni pochi casi la prescrizione del reato perchè la morte è avvenuta prima del 1996. Infatti nei casi di omicidio colposo aggravato, come quello che si discute al tribunale goriziano, il reato si prescrive dopo 15 anni dal decesso. Ora la parola tocca ai rappesentanti di parte civile (oltre ai congiunti dei lavoratori morti, ci sono il Comune di Monfalcone, la Provincia,l’Associazione esposti all’amianto e la Fiom Cgil) e ai difensori degli imputati. Il giudice monocratico Matteo Trotta ha già fissato in calendario sette udienze: tre a marzo (13, 19 e 23) e quattro in aprile (13, 20, 23 e 24). La sentenza slitterà probabilmente a maggio perche bisogna mettere in conto anche eventuali repliche delle parti.

 

Maxi-processo per l’amianto, chieste condanne per 70 anni

Verso la sentenza in Tribunale a Gorizia il caso degli 85 lavoratori dei cantieri di Monfalcone morti a causa dell’asbestosi: per l’accusa le responsabilità vanno ascritte solo ai vertici dell’azienda

 

Secondo i pm Luigi Leghissa e Valentina Bossi le responsabilità per le morti dei lavoratori dei cantieri di Monfalcone morti per asbestosi vanno addebitate ai soli vertici dell’ex Italcantieri Al termine di una requisitoria durata sei lunghe udienze al tribunale di Gorizia, i pm hanno sostenuto che responsabili degli 85 decessi avvenuti tra gli anni ’60 e ’80 tra i lavoratori del cantiere di Monfalcone sono i vertici dell’ex Italcantieri. Tredici le condanne richieste per complessivi 70 anni.

Le pene maggiori, 9 anni e 6 mesi di reclusione, sono state avanzate per Vittorio Fanfani e Manlio Lippi, per oltre un decennio ai vertici dell’Italcantieri. Assoluzione per non aver commesso il fatto è la richiesta avanzata per i responsabili della sicurezza all’interno del cantiere. Da assolvere per non aver commesso il fatto (o in alcuni casi per intervenuta prescrizione) anche i titolari delle ditte in subappalto.

La parola passa ora ai rappresentanti delle parti civili e ai difensori degli imputati. Il giudice moncoratico Trotta ha già fissato 7 udienze tra marzo e aprile. La sentenza potrebbe essere emessa tra la fine di aprile e i primi giorni di maggio.

 

dal Messaggero Veneto del 12 marzo 2013

Processo amianto, i pm chiedono condanne per 70 anni

I pubblici ministeri di Gorizia hanno avanzato 13 richieste nella requisitoria per le morti ai Cantieri navali di Monfalcone

 

GORIZIA. I pubblici ministeri di Gorizia, Luigi Leghissa e Valentina Bossi, hanno avanzato 13 richieste di condanna, per complessivi 70 anni di carcere, nella requisitoria del maxiprocesso per le morti da amianto ai Cantieri navali di Monfalcone (Gorizia).

L’accusa ha chiesto la condanna tra gli altri degli ex presidenti di Italcantieri Giorgio Tupini (sette anni e tre mesi) e Vittorio Fanfani (nove anni e sei mesi), dell’ex presidente del cda della società, Enrico Bocchini (sette anni) e dell’ex direttore generale Corrado Antonini (cinque anni e quattro mesi).

Per 25 dei 40 imputati, in prevalenza titolari e responsabili delle ditte che operavano in subappalto nei cantieri monfalconesi, i pm hanno richiesto l’assoluzione.

Il 13 marzo il processo riprenderà con le richieste delle parti civili e le arringhe delle difese. Si sono costituiti parte civile nel processo 55 gruppi di familiari dei deceduti, il Comune di Monfalcone, la Provincia, la Regione, la Fiom Cgil, l’Inail, l’Associazione esposti amianto e il Codacons.

 

da Quotidiano.sicurezza

Amianto, maxiprocesso Cantieri navali Monfalcone, 13 richieste di condanna

 

GORIZIA – Maxiprocesso morti amianto Cantieri navali di Monfalcone. Ieri al termine della requisitoria i pm Luigi Leghissa e Valentina Bossi hanno avanzato 13 richieste di condanna per un totale di 70 anni di carcere.

L’accusa ha richiesto la condanna tra gli altri per gli ex presidenti di Italcantieri, per lex presidente del Cds e l’ex direttore generale della società.  Per 25 dei 40 imputati chiesta l’assoluzione.

Domani 13 marzo le richieste delle parti civili (55 gruppi di familiari dei deceduti, Comune di Monfalcone, Provincia di Gorizia, Regione Friuli Venezia Giulia, INAIL, FIOM CGIL, Codacons e Associazione esposti amianto) e l’arringa delle difese.

 

da Il Piccolo del 11 marzo 2013

Processo amianto, la parola ai pm

Oggi in tribunale le richieste dell’accusa che potrebbero configurarsi in più di cent’anni complessivi

 

Dopo una requisitoria durata sei udienze, oggi i pubblici ministeri del maxiprocesso per l’amianto, che si celebra al Tribunale di Gorizia, avanzeranno le loro richieste di pena, nei confronti di 40 imputati, tra i quali gli ex vertici e dirigenti dell’allora Italcantieri. Si sono costituiti parte civile 55 gruppi di familiari dei deceduti, il Comune di Monfalcone, la Provincia, la Regione, la Fiom Cgil, l’Inail, l’Associazione esposti amianto e il Codacons.

Siamo dunque alle battute decisive del processo, apertosi nell’aprile del 2010. La richiesta di pena dei pm Luigi Leghissa e Valentina Bossi potrebbe essere pesante e superare complessivamente i 100 anni di carcere. Per due imputati – Marino Visintin e Mario Bilucaglia, ex responsabili della sicurezza – si profila invece una richiesta di assoluzione perchè secondo la pubblica accusa non avrebbero avuto alcuna responsabilità nella vicenda.

Da mercoledì sarà la volta delle parti civili e poi delle difese, che occuperanno ancora diverse udienze. La sentenza affidata al presidente Matteo Trotta, potrebbe giungere entro la prima quindicina di aprile.

Sono questi gli ultimi “atti” di un processo durato tre anni e che ha visto sfilare oltre 400 tra testi e consulenti sia da parte dell’accusa che delle difese.

Un processo-pilota, il primo di queste dimensioni nella nostra regione e proprio per questo importante, poichè determinerà la portata di questo dramma, legato ai lavoratori che con l’amianto hanno lavorato e persino giocato, inconsapevoli allora delle conseguenze mortali alle quali poi sono andati incontro.

Un dramma, quello dell’eternit, che ha segnato pesantemente il territorio e le famiglie e per il quale si continua e si continuerà a morire.

L’accusa, con i Pm Luigi Leghissa e Valentina Bossi, ha sostenuto che i vertici dell’ex Italcantieri conoscevano la pericolosità della fibra e soprattutto non hanno informato i lavoratori che avrebbero saputo la verità «solo negli anni ’90». Un quadro definito «devastante», a fronte del quale, ha già avuto modo di sottolineare la Bossi, s’è riscontrato un’«imbarazzante assenza di memoria da parte dell’azienda».

Sul tappeto anche la «superficialità scientifica delle prime consulenze richieste dall’allora Italcantieri ad alcuni esperti», la situazione «insopportabile» denunciata anche dagli operai per la carenza degli impianti di aerazione, delle opere di pulizia «fatte senza alcuna forma di controllo», e la dispersione negli ambienti e in tutto il cantiere, anche a bordo delle navi, delle polveri di eternit. Tanto da far osservare al Pm che «nessuno era esente dalla respirazione dell’amianto». E, ancora, le misure di protezione, come le mascherine, che nessuno usava, nè era obbligato a farlo, mentre avrebbero quantomeno limitato i danni.

Il dato di fondo resta, dunque, la consapevolezza attorno al rischio-amianto tra gli anni ’60 e ’70. Un aspetto sul quale porrà attenzione anche la difesa, nel ritenere poco credibile che l’azienda avesse consapevolmente messo a rischio la salute dei propri lavoratori.(la.bo.)

 

da Il Gazzettino del 11 marzo 2013

Un processo a 41 imputati iniziato nell’aprile di tre anni fa

GORIZIA (27 aprile) – Ha preso il via ieri in tribunale a Gorizia, davanti al giudice monocratico Matteo Trotta, il maxi-processo che vede imputate 41 persone, tra ex dirigenti ed amministratori dell’ex Italcantieri (oggi Fincantieri) di Monfalcone (Gorizia) e responsabili delle ditte d’appalto.

L’ipotesi di reato è quella di omicidio colposo per la morte di 85 ex dipendenti dello stabilimento e delle aziende dell’indotto che sarebbero stati esposti alle fibre di amianto. L’udienza si è aperta con le eccezioni preliminari presentate dalla difesa, tutte respinte, cui ha fatto seguito il deposito da parte della pubblica accusa di una mole di 1.600 documenti derivati dal lungo lavoro di indagine. Nel procedimento si sono costituiti parte civile, oltre ai familiari della maggior parte delle vittime, l’Associazione esposti all’amianto di Monfalcone, il Comune di Monfalcone, la Provincia di Gorizia, la Regione Friuli Venezia Giulia, l’Inail e la Fiom-Cgil.

Frenata sulla Capodistria-Divaccia: «Inutile il raddoppio»

dal Piccolo del 11/03

Frenata sulla Capodistria-Divaccia: «Inutile il raddoppio»

TRIESTE «Contrordine compagni». Chi l’ha detto che il raddoppio della linea ferroviaria Capodistria-Divaccia sia così strategico per il futuro della Slovenia? A instillare il seme del dubbio è proprio il ministro delle Infrastrutture (del governo Janša in carica solo per l’ordinaria amministrazione) Zvonko ‹erna›. Nel corso di una sua visita a Pirano il ministro, infatti, ha dichiarato che bisogna seriamente ripensare se l’infrastruttura ferroviaria sia veramente utile a fronte degli 1,3 miliardi di euro che verrebbe a costare. Secondo il ministro per il porto di Capodistria sarebbe molto più importante velocizzare e aumentare la capacità della linea esistente fino a 130-150 treni al giorno. Con la modernizzazione entro il 2015 si raggiungerà la quota di 103 convogli ferroviari al giorno. C’è ancora tempo per pensarci su con attenzione, sostiene ancora ‹erna›, e il compito di svolgere le opportune valutazioni spetta agli esperti. Ma c’è di più. Secondo il responsabile delle infrastruttue, infatti, con la modernizzazione della linea attuale si riuscirebbe a garantire al porto di Capodistria il numero di convogli soddisfacente fino al 2020. Egli ha altresì ricordato che nell’attuale situazione economica per il raddoppio della Capodistria-Divaccia sarebbero garantiti non più di 52 milioni di euro i quali andrebbero perduti se non venissero convogliati su altri obiettivi infrastrutturali. In futuro, ha concluso ‹erna›, non bisognerà solo assicurare la realizzazione dei principali progetti infrastrutturali, ma sarà indispensabile costruirli «in modo razionale e in base alle necessità reali». Chiaro il messaggio lanciato al nuovo nascituro governo sloveno che comunque dovrà rimettere mano alle dissestate finanze dello Stato e decidere con oculatezza i futuri investimenti. (m. man.)

 

Report e foto dell’assemblea pubblica con i compas sloveni a Trieste

Ottima riuscità dell’iniziativa pubblica di giovedì 14 al Germinal in via del bosco. La sala era piena di persone (sia della città che d’oltreconfine) venute a sentire i compagni e compagne slovene provenienti da Lubiana, Maribor e Koper. I compagni hanno illustrato come sono nate le mobilitazioni popolari che continuano tutt’oggi e che si stanno sviluppando anche con assemblee popolari in alcune città come Maribor, quartiere per quartiere.

Quindi una protesta che sta passando dalla lotta di piazza (che continua) alle prime forme di autogestione territoriale.

In tutto questo gli anarchici sono ben presenti e attivi.

La situazione è in evoluzione e occorre seguirla con attenzione anche perchè la repressione si sta intensificando.

Qui le foto della serata.

 

QUI I VARI REPORT DALLA SLOVENIA IN LOTTA

Foto dell’incontro con “Anarchici contro il muro”

Una sala gremita con oltre 80 persone stipate! Bravissimo il compagno Ronnie che ha inchiodato i presenti con un discorso molto articolato ed efficace sulla situazione in Israele e sulle lotte congiunte di israeliani e palestinesi contro il muro della vergogna.

Qui le altre foto.

CIE: gestione sempre a Connecting people… ma non pagano i dipendenti…

da Il Piccolo del 09 marzo 2013 —   sezione: TRIESTE

GRADISCA

Gestione Cie, il Tar rigetta il ricorso della Minerva

GRADISCA. Gestione del Cie e Cara di Gradisca, il Tar mantiene in sella” Connecting People. Dopo avere ritenuto illegittima l’aggiudicazione dei servizi interni ai due centri immigrati alla cordata..

 

GRADISCA. Gestione del Cie e Cara di Gradisca, il Tar mantiene in sella” Connecting People. Dopo avere ritenuto illegittima l’aggiudicazione dei servizi interni ai due centri immigrati alla cordata capeggiata dal colosso francese Gepsa nell’appalto 2011-2014 (sentenza poi confermata dal Consiglio di Stato), il tribunale amministrativo ha respinto – ritenendolo inammissibile – anche il ricorso di Minerva Scpa contro l’affidamento all’impresa che in quella gara era giunta seconda: per l’appunto la Connecting People di Trapani.

La cooperativa goriziana, che già aveva gestito l’allora Cpt dalla sua apertura del marzo 2006 sino al 2008, prima di passare il testimone proprio al consorzio siciliano, si era classificata al terzo posto della gara d’appalto: dietro a Gepsa e all’uscente Connecting People. Minerva, rappresentata dai legali Fabrizio e Roberto Paviotti, ha presentato ricorso contro la Prefettura e il Viminale contestando – dopo l’esclusione di Gepsa – che l’aggiudicazione definitiva avvenisse in favore del soggetto secondo classificato. Per il collegio giudicante del Tar – presidente Zuballi, a latere Di Sciascio e Settesoldi – il ricorso di Minerva è però da ritenersi inammissibile in quanto l’aggiudicazione disposta in favore di Connecting People, effettuata in esecuzione di una pronuncia giurisdizionale, “non riapre i termini di impugnazione” e di un’aggiudicazione che cristallizzava la graduatoria. In sostanza i giudici contestano a Minerva di avere effettuato le proprie opposizioni a oltre due anni di distanza dall’esito della gara.

«Il nuovo provvedimento di aggiudicazione – scrivono i giudici – non opera in alcun modo una rivalutazione della posizione del Consorzio Connecting People, ma si limita a effettuare una nuova aggiudicazione con scorrimento della graduatoria in favore del secondo classificato».

Questa nuova tappa della telenovela-gestione non sembra dissipare l’alone di incertezza. Nonostante i tribunali abbiano a più livelli stabilito la legittimità della gestione Connecting, il consorzio trapanese continua a gestire le due strutture in prorogatio: prima addirittura di 10 giorni in 10 giorni, oggi “a tempo indeterminato”. La gestione 2011-2014 non è mai diventata operativa e fra meno di 10 mesi sarà scaduta senza essere mai iniziata. Grandi le incertezze per i lavoratori, che stanno vivendo nuovi ritardi nell’erogazione degli stipendi. (l.m.)

 

 

da Il Piccolo del 15 marzo 2013 —  pagina 38

Operatori del Cie di nuovo sul piede di guerra

GRADISCA Si ripresenta l’incubo dei ritardi nel pagamento degli stipendi per la settantina di dipendenti del Cie e del Cara. Già rimasti senza salario per 4 mesi nella seconda metà del 2012, operatori, amministrativi, magazzinieri e personale sanitario delle due strutture isontine per immigrati sono nuovamente a un passo dal toccare le due mensilità arretrate. Denunciano come il loro datore di lavoro, la coop siciliana Connecting People, non abbia loro corrisposto lo stipendio di gennaio mentre si sta avvicinando anche il termine per l’erogazione di quello di febbraio, previsto per martedi. Per questo motivo alcuni dipendenti hanno deciso di inviare una breve, laconica comunicazione alla Prefettura. «Altri tre anni di gestione Connecting People (il riferimento è ai tribunali che in varie sede hanno legittimato – seppure non sia ad oggi mai divenuta esecutiva – l’assegnazione dell’appalto 2011-2014 al consorzio di Trapani ndr) ma come facciamo a campare noi lavoratori da mille euro al mese se dobbiamo sempre umiliarci per pretendere uno stipendio che sistematicamente non ci viene dato con regolarità da questo consorzio che avete scelto?» . A oggi, e ormai da due anni, Connecting People gestisce la struttura in regime di prorgatio. Una proroga rinnovata dapprima di dieci giorni in dieci giorni, poi a tempo indeterminato, e adesso – ma siamo ai semplici rumors – sino al 30 marzo. «Nessuna comunicazione viene data ai lavoratori, siamo sempre gli ultimi a sapere le cose che alla fin fine ci riguardano eccome». Dopo quella data potrebbe subentrare la gestione di una “nuova” Connecting People, con una compagine societaria sostanzialmente diversa. Una delle coop che costituivano la cordata attuale, Sirio, non sarebbe infatti presente nel nuovo assetto e non figura nell’appalto dei veleni che aveva visto Tar e Consiglio di Stato dichiarare illegittimo il primo posto della francese Gepsa a discapito di Connecting, giunta seconda. I lavoratori attualmente in forza a Sirio temono di perderee il proprio posto di lavoro, di non essere riassunti o riassorbiti da un’altra coop. Ma temono anche che – in caso i ritardi negli stipendi – la “nuova” Connecting sarebbe esentata dal rispondere di eventuali pendenze della “vecchia” (o attuale che dir si voglia) gestione.(l.m.)

NO TAV/ La profezia si è avverata!

Messaggero veneto SABATO, 16 MARZO 2013 Pagina 57 – Provincia

Anche il Pd contro il progetto della Tav

Muzzana: per Ionico è un’idea «sgangherata». Animata conferenza con frecciate tra amministratori

MUZZANA Il Pd, a sorpresa, con Maurizio Ionico, dichiara che «quello della Tav è un progetto sgangherato, che sarebbe giusto bloccare al ministero». Sala piena a Muzzana, l’altra sera, per la conferenza contro la Tav. Un centinaio di persone ha seguito con interesse l’intervento dell’ingegner Claudio Cancelli che ha demistificato, punto per punto, il rapporto del Commissario straordinario Mario Virano per la realizzazione della Torino-Lione e quello dell’ingegner Ivan Cicconi, incentrato in particolare sulla strategia del “project financing” «che crea debito pubblico nascosto, non contabilizzato e proiettato nel futuro». Cicconi ha paragonato l’attuale sistema economico, «che genera grandi opere inutili per autoalimentarsi», ad una «nave dei folli destinata alla catastrofe, verso la quale effettivamente ci si sta indirizzando se non si ferma questo tipo di economia basata essenzialmente sulla speculazione finanziaria e sugli interessi delle banche». Il dibattito si è poi sviluppato sui possibili risultati elettorali delle elezioni in Friuli Vg e sulle strategie da adottare per bloccare il progetto Tav del 2010, in attesa del parere di Via ministeriale. Sono intervenuti Cristian Sergo per il M5S, per il quale è intenzione del movimento fermare la Tav. Da rilevare un diverbio fra il vicesindaco di Torviscosa, Mareno Settimo e il sindaco di Carlino, Diego Navarria, sugli esiti della riunione dei sindaci della Bassa friulana e sulla posizione da assumere dopo lo studio recentemente presentato da Debernardi. Navarria si è dichiarato contrario all’opera, ma soddisfatto del lavoro svolto dai sindaci con Debernardi. Settimo ha affermato che il Comune di Torviscosa darà invece parere nettamente negativo all’opera. Presente in sala anche il sindaco di Muzzana, Vittorino Gallo. Laboratorio Muzzana, con Cristian Sedran, conferma, «dopo aver ascoltato Cancelli e Cicconi, che non ha senso realizzare una linea di Alta velocità sulla tratta Venezia-Trieste. Serve invece un investimento importante sulle due linee principali già esistenti: il Corridoio Adriatico-Baltico e il Corridoio Mediterraneo sulla Ve-Ts, per puntare a trasferire il trasporto delle merci dalla strada alla ferrovia. Questo può essere fatto dalla Regione con una gestione pianificata e una visione unitaria delle politiche riguardanti i trasporti, la portualità e le infrastrutture ferroviarie». E’ stata inoltre stigmatizzata dagli organizzatori la posizione del sindaco di Cervignano, Gianluigi Savino, che alla riunione dei sindaci avrebbe dichiarato di non avere «alcuna intenzione di intraprendere iniziative pubbliche per presentare lo studio di Debernardi». La serata è stata condotta da Giorgio Guzzon e Paolo De Toni dei No Tav della Bassa friulana.

 

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L’intervento di Jonico sul sito del PD di San Giorgio di Nogaro

TERRITORIO/ Cervignano: marcia indietro del CAFC

Messaggero Veneto MARTEDÌ, 19 MARZO 2013 Pagina 38 – Provincia

Marcia indietro del Cafc case riallacciate al pozzo

Cervignano: sarà tolto il collegamento con l’acquedotto del Friuli centrale La decisione maturata dopo un incontro tra sindaco e presidente del Consorzio

CERVIGNANO I cittadini hanno vinto la loro battaglia. Il Cafc, nei prossimi giorni, forse già oggi, tempo permettendo, allaccerà nuovamente le abitazioni di via Montale e via Calvino, che erano state scollegate dall’acquedotto di quartiere per essere allacciate all’acquedotto del Friuli centrale, al pozzo artesiano. Lo ha annunciato ieri il presidente del Cafc, Eddi Gomboso, al termine di un colloquio con il sindaco, Gianluigi Savino, il quale, nei giorni scorsi, si era schierato pubblicamente con i residenti e aveva chiesto all’ente gestore della rete idrica locale di ripristinare la situazione originaria. La questione era stata sollevata dal consigliere della civica “Le Fontane”, Roberto Zorzenon. «I cittadini saranno riallacciati al pozzo artesiano, come prima – dice il primo cittadino –. La lista Il Ponte ha sempre dichiarato di avere a cuore la tutela dei pozzi artesiani». Gomboso aggiunge: «Il Comune era al corrente dell’allacciamento alla rete idrica del Calf. Era un’attività da esercitarsi in tempi provvisori. Dai riscontri effettuati abbiamo appurato che la rete necessita di un miglioramento nei collegamenti. Ad ogni modo domani (oggi ndr), se il tempo lo consentirà, sarà ripristinato l’allacciamento al pozzo artesiano. Questi interventi sono finalizzati a garantire agli utenti l’acqua potabile. Non è nostra intenzione modificare le tradizioni del luogo». Anche Gianpaolo Chendi, membro del Comitato di difesa delle fontane e delle falde acquifere del Cervignanese e del Sanvitese, ha scritto al sindaco e al Cafc. «L’operazione che è stata fatta dal Cafc è grave – si lamenta -. Il Comune deve sapere ciò che accade sul suo territorio, soprattutto quando si tratta di acqua potabile erogata ai cittadini. Allacciare persone che dopo anni di approvvigionamento di acqua potabile di falda sono passate all’acqua clorata, può mettere a repentaglio la salute di alcuni, soprattutto bambini, che potrebbero essere allergici al cloro». Conclude Chendi: «Tutto ciò accade mentre in Regione si sta predisponendo una nuova legge sulla gestione delle acque. Ne abbiamo avuto un’anticipazione a Fiumicello, durante un incontro organizzato dal Comune sull’acqua dei pozzi. Abbiamo scoperto che la nostra acqua è in generale di buona qualità e che le falde hanno una buona ricarica. I tecnici regionali ci hanno assicurato che si terrà conto della tradizione e della cultura del “popolo delle fontane”. La gente desidera continuare ad approvvigionarsi tramite i pozzi artesiani e per potere continuare a fare questo è anche disposta a fare sacrifici, ma non a bere acqua clorata». Elisa Michellut

UDINE/ Presidio animalista-antifascista 23 marzo

Presidio Animalista – Antifascista – Ecologista – No Tav

Udine 23 marzo in Piazza Matteotti a partire dalla ore 15.30

Contro il presidio nazionale di “CasaPound – La foresta che avanza”, contro la vivisezione

Robe da non credere: i fascisti, che hanno nella loro storia i lager e la sperimentazione nazista, non solo su animali, ma anche sulle persone, tentano di sfruttare la sensibilità sempre più estesa verso il mondo animale ed in particolare contro la vivisezione per fare proselitismo e trovare simpatie nell’opinione pubblica.

In  particolare bisogna puntualizzare che l’anti-specismo è un approccio filosofico, culturale e politico che nulla può avere a che fare con qualsiasi forma di fascismo.

Il 23 marzo inoltre, si svolge anche la manifestazione nazionale No Tav in Valsusa con la quale è necessario solidarizzare in tutti i luoghi dov’è possibile.

 

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