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Monfalcone: sentenza amianto, attesa infinita e rischio prescrizione

da Il Piccolo del 26 novembre 2014

 

A Monfalcone da oltre un anno aspettano il deposito delle motivazioni del primo grado
Il giudice Trotta: «Ci vuole ancora qualche mese». Incombe la prescrizione A PAGINA 24

Sentenza amianto, attesa infinita

Sono attese dal 15 ottobre 2013. Il magistrato però tranquillizza le parti:
«Tutti possono confidare nella giustizia». «Questa sentenza ha priorità assoluta»
 

Trotta: «Le motivazioni pronte fra qualche mese»

IMPEGNO DOVEROSO Ho il massimo rispetto per tutte le parti processuali Questo rispetto mi sta imponendo dei ritmi serrati

Intanto è in corso in tribunale di Gorizia anche il processo bis per la morte di 72 cantierini, causata dall’amianto, che vede sul banco degli imputati i vertici dell’ex Italcantieri. Con la deposizione dei due consulenti di lunedì si sono conclusi i testi indicati dalla pubblica accusa sostenuta in questo processo dai pm Vaentina Bossi e Laura Collini. Toccherà ora ai testi della parte civile e della difesa che saranno sentiti a partire dalla prossima udienza fissata per il 29 gennaio dal giudice monocratico Nicola Russo (nella foto). Il prossimo 19 maggio inizierà invece, sempre al Tribunale del capoluogo isontino la prima udienza del terzo processo per la morte da amianto riguardante 40 cantierini con imputati sempre i vertici dell’ex Italcantieri e rappresentanti delle ditte esterne.di Corrado Barbacini «La sentenza sulle vittime dell’amianto è una priorità assoluta, è un impegno che non intendo assolutamente disattendere. Sono consapevole dell’importanza della sentenza. Sarà depositata entro qualche mese ma, anche prima, se mi sarà possibile. Tutte le parti processuali possono confidare nella giustizia». Matteo Trotta, presidente del Tribunale di Trieste, parla come giudice monocratico del processo monstre di Gorizia. Un anno e un mese fa ha pronunciato la sentenza di primo grado per la morte causata dall’esposizione all’amianto di 85 operai del cantiere di Monfalcone. Da allora nessuno, nè degli avvocati difensori, nè delle parti civili, ha avuto riscontro concreto attraverso la motivazione delle decisioni del giudice Trotta. E ora più tempo passa più si avvicina il rischio della prescrizione. Anche se, dopo la sentenza di primo grado, resta sempre – a fronte dell’eventualità della prescrizione – la strada del giudice civile ma solo nell’ipotesi in cui appunto la dichiarazione di prescrizione sia intervenuta prima della pronuncia della sentenza. Il 15 ottobre 2013 il giudice Trotta aveva inflitto tredici condanne per omicidio colposo per una pena complessiva di 55 anni e 8 mesi. A Vittorio Fanfani, 93 anni, e Manlio Lippi, 90 anni, al vertice dell’Italcantieri, quelle più pesanti, 7 anni e mezzo di carcere. Seguono poi Giorgio Tupini, 90 anni, ex presidente dell’Italcantieri, 6 anni e 6 mesi. Enrico Bocchini, 90, già presidente del Cda, 6 anni e mesi. Mario Abbona, 90 anni, responsabile aziendale della sicurezza, 4 anni e mezzo. Corrado Antonini, 79 anni, ex direttore generale, 4 anni e 4 mesi. Antonio Zappi, 77 anni, vice direttore, 4 anni e 6 mesi. Aldo La Gioia, 85 anni, responsabile della produzione, 3 anni e 4 mesi. Roberto Schivi, 74 anni, direttore generale del personale, 2 anni e 8 mesi. Cesare Casini, 85 anni, vice direttore generale 2 anni e 6 mesi. Infine, due anni a Glauco Noulian, 89 anni, dirigente della sede centrale, a Italo Massenti, 84 anni, responsabile del settore acquisti e a Livio Minozzi, 67 anni, dirigente dell’ufficio personale. La posizione di La Goia sarà stralciata perchè nel frattempo è deceduto. «Priorità», ripete Trotta. Aggiunge: «Nessun diritto alla giustizia mancato». Poi sottolinea: «Per rispetto di tutte le parti processuali. Questo rispetto mi sta imponendo ritmi di lavoro serrati: devo contemperare l’impegno con l’incarico di presidente del Tribunale di Trieste. Sto facendo un lavoro immenso e molto complesso se si pensa che solo per l’elenco dei capi di imputazione sono state scritte ben 176 pagine». Rileva: «Il compito è davvero notevole. È reso ancora più difficile dalle complesse tematiche da affrontare che non sono esclusivamente giuridiche». Ma anche dalla mole degli atti processuali: oltre 20mila pagine, centinaia di faldoni. Racconta poi la storia di quella sentenza nata da undici processi paralleli. «Furono avviati – dice il giudice Trotta – dopo separati decreti emessi dal gup per plurimi omicidi colposi e lesioni colpose, reati tutti conseguiti a patologie correlate all’asbesto, aggravati dalle violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in materia di tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori esposti alle polveri d’amianto nel cantiere di Monfalcone». Continua: «In quella circostanza era stato ritenuto che la riunione dei processi non avrebbe causato un ritardo nella loro definizione, ma che era funzionale a un’accelerazione dell’iter processuale. Questo in quanto l’istruttoria dibattimentale non aveva avuto ancora inizio in alcuni e in altri doveva essere necessariamente rinnovata. In molti processi era infatti cambiato il giudice e i difensori degli imputati non avevano acconsentito all’utilizzo delle prove assunte dal giudice precedente. Erano inoltre state considerate ragioni non certamente secondarie di economia processuale». E poi spiega: «Le aspettative dei familiari e la legittima attenzione dei mass media, e cioè in definitiva l’aspettativa di giustizia, mi hanno imposto in assenza di soluzioni alternative l’assunzione dell’onere della trattazione degli undici processi». Ripete: «Sono consapevole del rilievo del processo per le vittime e gli imputati».

 

Tempi ritenuti troppo ristretti dai legali per gli eventuali ricorsi. La prima udienza 4 anni e mezzo fa

È la prescrizione il timore delle parti offese

Non solo le parti offese, ma anche i difensori degli imputati condannati sono in attesa delle motivazioni delle sentenza del maxi-processo. Un atto necessario per presentare ricorso alla Corte di appello. Dal giorno della deposizione, i legali hanno tempo 45 giorni per presentare il ricorso. Un termine perentorio, al contrario del giudice che, se è vero che aveva annunciato il giorno della sentenza la motivazione in 90 giorni (poi prorogata di altri 90), non ha tempi limite per consegnare la sua relazione. E per i legali, siccome è scontato che dovranno esaminare migliaia di pagine, i tempi sono davvero ristretti. Le parti civili temono poi che il protrarsi dei tempi intervenga nel secondo grado di giudizio e poi all’eventuale Cassazione la prescrizioni del reato penale (omicidio colposo) per quelle morti più lontane nel tempo. Il tempo tra l’altro è sempre stato tiranno per questa indagine sulle morti da amianto confluita poi nel primo maxi-processo. Ci sono volute 94 udienze e tre anni e mezzo per giungere alla sentenza, importante perché ha aperto la strada agli altri due procedimenti già incardinati al tribunale di Gorizia. Ma ce ne saranno altri perché gli esposti-denuncia continuano a giungere sul tavolo della Procura e si prevede che i decessi a causa dell’assunzione d’amianto continuino fino oltre il 2020: la malattia ha infatti un’incubazione lunga, che può arrivare fino a 35-40 anni e ai cantieri navali di Panzano l’amianto è stato utilizzato fino a metà degli anni Ottanta. Il maxi-processo, iniziato nell’aprile 2010, è nato dopo un’indagine lunga e laboriosa che si era incagliata nelle stanze della Procura goriziana tanto che l’allora procuratore generale Deidda, dopo le proteste dell’Associazione esposti amianto che aveva interessato pure il presidente della Repubblica Napolitano, aveva avocato a sè l’inchiesta. Un’accelerata all’indagine era stata poi data nel 2009 dal procurato capo Ajello che aveva creato un pool composta da magistrati, polizia giudiziaria e tecnici dell’Inail e dell’Ass per informatizzare la gran mole di documenti pari a migliaia di documenti raccolti in 50 faldoni.


da Il Piccolo del 27 novembre 2014

«Quella del giudice Trotta sembra una dichiarazione d’impotenza». Casson: «Più di un anno? Mi sembra un po’ troppo…»

Maran: «Questa è giustizia negata»

L’ESPONENTE DI SCELTA CIVICA Chi altri doveva organizzare il lavoro? Contro la disorganizzazione non c’è legge che tenga
di Laura Borsani A oltre un anno dalla sentenza del primo maxi-processo amianto, pronunciata il 15 ottobre 2013, si dovrà dunque ancora attendere «qualche mese» prima di veder depositate le motivazioni. Si andrà al prossimo anno. Le parole del presidente del Tribunale di Trieste, Matteo Trotta, se volevano rassicurare hanno invece suscitato l’effetto opposto. Parole lette come «un’ammissione di impotenza». Ritardi ritenuti “angoscianti” e “stupefacenti”. L’ex magistrato e attuale senatore del Pd, Felice Casson, ha osservato, pur evidenziando la necessità di “vedere le carte processuali” per essere in grado di esprimere un parere compiuto sul “caso monfalconese”: «Più di un anno, mi sembra un po’ troppo». Ma il senatore di “Scelta civica”, Alessandro Maran, va ben oltre: «Trovo stupefacente – ha esordito – che dopo più di un anno dalla pronuncia della sentenza non sia stata ancora depositata la motivazione. Non c’è dubbio che, come sottolinea il giudice, il compito sia “notevole”, ma quella del presidente del Tribunale di Trieste sembra un’ammissione di impotenza. Chi altri deve redigere e depositare le motivazioni? Chi altri deve organizzare il lavoro? Contro la disorganizzazione non c’è legge che tenga». Maran ha aggiunto: «Prendo atto che per il giudice la sentenza sulle vittime dell’amianto è una priorità assoluta. Sulla questione, tuttavia, interpellerò il Ministro della Giustizia. Una giustizia troppo ritardata è una giustizia negata». Parlare ancora di attesa, sotto l’incedere dei tempi di prescrizione, non può rassicurare. Un processo emblematico e significativo, per il quale sono stati sanciti il reato di omicidio colposo e le relative responsabilità, consegna un quadro che già di per sè s’allontana dall’esigenza di poter avere una giustizia compiuta. L’avvocato Riccardo Cattarini, difensore di due degli imputati al maxi-processo usciti assolti, responsabile regionale giustizia per il Pd, ha definito «angosciante» la prospettiva di altri mesi di attesa circa le motivazioni alla sentenza. Il legale chiama in causa anche il sistema gestionale della giustizia: «È mancato un sostegno complessivo, di tutti ma in particolare dell’amministrazione della giustizia perchè i grandi e indubbiamente riconosciuti sforzi prodotti dalla magistratura fossero portati definitivamente a compimento». Cattarini quindi ha argomentato: «Se da un lato bisogna riconoscere al giudice Trotta, e ancor prima a due bravi sostituti procuratori, Leghissa e Bossi, e a tutti i loro collaboratori, di avere avuto una forza e un’energia incredibili e che senza di loro il maxi-processo non si sarebbe mai celebrato, è davvero angosciante apprendere che si dovrà ancora aspettare. Avevo già definito questo processo storico per il nostro territorio, e ne sono ancora oggi pienamente convinto. Tuttavia, c’è stato un problema che attiene alla gestione della giustizia e questo giustifica i ritardi: Trotta, assieme alla celebrazione del processo, ha dovuto occuparsi di tutte le attività che gli spettavano come presidente del Tribunale di Gorizia, le difficoltà del quale sono a tutti note. Così il processo s’è trascinato qualche volta stancamente, con 3, massimo 4 udienze al mese, mentre ne sarebbero state necessarie almeno una quindicina, quasi tutti i giorni, al massimo a giorni alterni. Ora lo stesso magistrato, proprio nel momento in cui aveva iniziato a stendere la motivazione, è stato nominato a presidente del Tribunale di Trieste: carica evidentemente importante, ma che gli porta via un sacco di tempo in questioni organizzative e che non hanno nulla a che fare con la stesura delle motivazioni alla sentenza per il processo di Gorizia, e il rischio-prescrizione inevitabilmente cresce».

da Il Piccolo del 28 novembre 2014
 
SCANDALO AMIANTO

«A Monfalcone prescrizione rischio vero»

Duro documento di Bruno Pesce, coordinatore dei famigliari delle vittime di Casale: «Reale rischio di decadenza del reato». BORSANI A PAGINA 22
 
Duro commento di Bruno Pesce, coordinatore dei familiari delle vittime di Casale: «Reale rischio di estinzione del reato»

«Per Monfalcone la giustizia si è bloccata»

di Laura Borsani Oltre un anno di attesa delle motivazioni alla sentenza del maxi-processo amianto, pronunciata il 15 ottobre 2013, è il segno tangibile che la giustizia si è bloccata. Lo sostiene, non senza sorpresa e manifestando «piena solidarietà a tutti i congiunti delle vittime di Monfalcone e del suo territorio», il coordinatore dell’Associazione famigliari e vittime amianto di Casale Monferrato e Cavagnolo, Bruno Pesce. Dalla comunità ancora scossa dalla sentenza di Cassazione che ha azzerato il processo Eternit in virtù della prescrizione del reato di disastro ambientale doloso, non sono giunte solo manifestazioni di vicinanza al Monfalconese. Le parole sono forti e chiare: «Di fronte al caso di Monfalcone – osserva Pesce -, si prende atto che la giustizia si è bloccata. Questa situazione può creare, se non lo ha già fatto, il rischio che a danno di una parte sempre maggiore delle vittime e delle parti civili sopraggiungano le prescrizioni del reato». Romana Blasotti Pavesi, nata a Gorizia, dalla sua “trincea giudiziaria” piemontese ha osservato: «Sono molto arrabbiata. Nonostante i miei 85 anni, non voglio perdere la speranza che si giunga non solo a condannare i responsabili delle vittime dell’amianto, ma anche tutti coloro che si sono arricchiti sulla pelle dei lavoratori deceduti». Pesce esprime un concetto di fondo: «Prolungare in tempi incredibilmente lunghi la conclusione di un processo che riconosca il diritto di giustizia e il danno subito dalle vittime, significa premiare chi commette il reato. Questi ritardi della giustizia rappresentano un regalo di impunità per i responsabili riconosciuti colpevoli, mentre non c’è una minima garanzia di salvaguardia per le vittime di questo reato. La sentenza di Cassazione per il processo Eternit – aggiunge Pesce – ha privilegiato il garantismo assoluto a chi ha commesso il danno. Così viene presa a calci la giustizia per le vittime. È indegno per un Paese che voglia anche solo assomigliare ad essere civile». Pesce conclude: «Dal giorno della sentenza di Cassazione, abbiamo avuto altre quattro vittime per mesotelioma. Se dunque il disastro ambientale è ancora in corso, e lo sarà anche nei prossimi anni, come si può dichiararlo prescritto?».

Monfalcone: Amianto, sono 285 i morti in vent’anni

da Il Piccolo del 5 dicembre 2013 Pagina 25 – Gorizia-Monfalcone

Amianto, sono 285 i morti in vent’anni

A questi si aggiungono 201 nuovi casi fra il 1995 e il 2007. Esposto il 92% di chi si è rivolto finora al centro di San Polo

In vent’anni, dal 1993 al 2012, sono stati 285 i morti per mesotelioma nella provincia di Gorizia. Altrettanto elevato, e per di più in un arco di tempo più breve, quello dei nuovi casi di questo tumore, attribuito con certezza all’esposizione all’amianto, che nel periodo 1995-2007 sono stati 201, di cui la maggior parte (158) relativi a uomini (e i restanti 43 a donne). Il drammatico quadro è stato illustrato, ieri a Staranzano, da Maria Teresa Padovan, direttore programmazione e controllo di gestione dell’Azienda sanitaria Isontina, al convegno sull’esposizione all’amianto e le problematiche sanitarie correlate, organizzato alla sala Delbianco dalla stessa Ass 2. «I dati del registro regionale dei tumori e di quello dei decessi – ha rilevato Padovan – dimostrano come negli ultimi anni vi siano stati eccessi di nuovi casi e di mortalità per malattie asbesto-correlate nella provincia di Gorizia. E la mortalità per mesotelioma è più elevata tra la popolazione isontina rispetto al valore medio regionale». L’amianto è potenzialmente cancerogeno anche in altri organi, ad esempio il polmone, ma «la percentuale attribuibile all’amianto nel tumore al polmone – ha sottolineato Padovan – è piccola ed è sicuramente più molto più bassa di quella assegnabile al fumo. E’ comunque ampiamente dimostrata la sinergia tra fumo e amianto nello sviluppo del tumore al polmone». Padovan ha anche evidenziato come i nuovi casi di mesotelioma, ma anche quelli di mortalità, nella nostra provincia siano al momento pressochè stabili, se non in leggero calo. «Le stime – ha precisato – convergono verso un picco che è già stato raggiunto, o sta per esserlo, e un declino marcato a partire dal 2015-2020». Che l’esposizione all’amianto abbia colpito e stia ancora colpendo pesantemente la popolazione del monfalconese e di tutto l’Isontino è dimostrato poi dall’attività del Centro di riferimento unico per l’amianto (Crua), istituito all’ospedale di San Polo in base al decreto regionale 1195 del 2012 e costituito il 20 maggio scorso con una specifica delibera dell’Ass 2. «Il centro è funzionante al 95%», ha affermato il direttore, dottor Paolo Barbina, il quale ha poi reso noti alcuni dati sui primi mesi (dal primo giugno al 30 novembre) di funzionamento del centro. Risulta così che il 91% delle persone che hanno fatto richiesta si è poi rivolto all’ambulatorio, e che di queste il 92% è risultato essere stato esposto all’amianto. Sono poi il 35% i casi segnalati per una sospetta patologia professionale correlata all’amianto. Di questa quota, il 73% è risultato presentare ispessimenti e/o placche pleuriche, l’11% asbestosi, il 5% neoplasie polmonari e l’11% mesoteliomi. Significativi anche i dati, presentati sempre da Barbina, riguardanti le diverse attività economiche legate alle patologie amianto-correlate nel periodo 1994-2011, sempre nel territorio dell’Ass 2. Emerge così che per il 56,3% l’attività non è determinabile (quei lavoratori hanno operato in più aziende in cui si faceva uso di amianto), mentre il 40% è riferibile alla metalmeccanica. Quote molto più basse interessano i servizi (1,2%), le costruzioni (0,6%), l’industria chimica e il petrolio (0,5%) e altre attività (1,4%). Per quanto riguarda invece i tumori originati dall’amianto, nel 64% dei casi il tipo di azienda non è determinabile, il 32,1% è riferibile alla metalmeccanica e l’1,6% ai servizi. Valori più bassi interessano infine le costruzioni (0,4%), l’industria chimica e il petrolio (0,4%) e altri comparti (1,6%).

Amianto: ripartono i processi ma intanto si muore ancora

Parte il maxi processo bis sull’amianto

GORIZIA Il 20 gennaio inizierà il maxiprocesso-bis per le morti da amianto. E sarà il giudice monocratico Nicola Russo a gestire questo nuovo procedimento che, se non sarà complesso come il precedente, comunque occuperà il tribunale per tutto il nuovo anno. Se non oltre. Lo stesso giudice infatti ha accennato che, a causa della carenza di personale nel Palazzo di giustizia, ci sarà la necessità di riprogrammare l’intera attività di giudizio dei procedimenti legati alle inchieste sulle morti per amianto nei cantieri monfalconesi. A gennaio, riuniti i due fascicoli, il giudice procederà anche a una prima calendarizzazione dell’udienze, le prime delle quali saranno dedicate agli adempimenti procedurali. Ieri, intanto, oltre alla costituzione di parte civile di una trentina di familiari di lavoratori deceduti, si sono costituiti come parti offese la Fiom-Cgil, il Comune di Monfalcone e l’Associazione esposti amianto. È stata richiesta dalle parti civili pure la citazione della Fincantieri quale responsabile civile, ma su questo il giudice deciderà nell’udienza del 20 gennaio. Parte dei familiari delle vittime invece hanno trovato un accordo extragiudiziale con la Fincantieri e hanno rinunciato alla costituzione di parte civile. Imputati di omicidio colposo sono 19 tra dirigenti dell’ex Italcantieri (due nelle more dell’inchiesta sono deceduti), responsabili della sicurezza nei cantieri e titolari delle ditte esterne, che lavoravano all’interno dello stabilimento di Panzano. Si imputa loro di non aver adottato le necessarie misure di sicurezza per eliminare o ridurre l’esposizione all’amianto dei lavoratori e senza assicurarsi dell’effettivo impiego di mezzi per la protezione indoviduale quali adeguate mascherine. I lavoratori deceduti sono 71 di cui 41 per carcinoma polmonare correlato all’asbestosi. Secondo la Procura – l’inchiesta è stata condotta dai sostituti procuratori Luigi Leghissa e Valentina Bossi, ma in udienza ci sarà solo la Bossi dopo il trasferimento di Leghissa alla Procura di Caltanissetta – il tumore polmonare sarebbe stato provocato proprio dalla presenza della fibra killer. Sarà comunque il dibattimento processuale, nel quale avranno un ruolo importante le consulenze medico-legali, ad accertare le vere cause dei decessi. Corposa anche questa volta la documentazione prodotta dalla Procura: 12 faldoni contenenti 1593 fogli, consulenze mediche, verbali di perquisizioni e sequestri. Centinaia i testimoni che saranno citati complessivamente dalle diverse parti. Il periodo preso in esame dalla Procura, attivatasi anche su denunce-querele dei familiari di lavoratori morti, va dagli anni Settanta agli Ottanta fino a quando nel cantiere di Panzano veniva usato l’amianto per la costruzione delle navi. Anche se poi i decessi sono avvenuti molti anni dopo. È noto infatti che la malattia ha un’incubazione molto lunga, che può toccare anche i quarant’anni.

 

da Il Piccolo del 19 dicembre 2013 Pagina 26 – Gorizia-Monfalcone

Ucciso dall’amianto a 62 anni ex saldatore dell’Italcantieri

Claudio Olimpo viveva in Venezuela . Gli era stata diagnosticata l’asbestosi nel giugno 2012. Aveva lavorato anche alle acciaierie SiMo, AAA e alla Ferriera

Si è spento in Venezuela a Puerto Cabejo per colpa dell’amianto che ha respirato nella sua Monfalcone, lavorando come saldocarpentiere allo stabilimento Italcantieri, alla SiMo, alle Acciaierie Alto Adriatico, in porto e alla Ferriera di Servola. Ucciso da un mesotelioma della pleura. L’ennesima vittima della fibra killer è Claudio Olimpo, aveva 62 anni. Suo fratello Flavio, personaggio assai noto nel Monfalconese premiato per aver salvato una bambina caduta accidentalmente in acqua quando aveva soli 14 anni, lo piange con disperazione e rabbia: «Claudio non se n’è fatta mancare una di fabbriche maledette». Claudio Olimpo aveva scoperto di aver contratto l’asbestosi nel giugno dello scorso anno, in Venezuela, dove si era trasferito dalla seconda metà degli anni ’70 e aveva messo su famiglia con la moglie Norha e i figli Daniel e Claudia. Era tornato in Italia per farsi operare quando già la malattia era degenerata in mesotelioma. Si era fermato a Monfalcone per sei mesi, per sottoporsi a tutte le cure accessorie. Poi era tornato in Venezuela dove ormai si svolgeva la sua vita. L’ultimo rientro a Monfalcone nel giugno scorso per un ciclo di chemioterapia. La notizia della sua morte, avvenuta a Puerto Cabejo, è arrivata martedì sera al fratello, pure alle prese con gravi problemi respiratori. Flavio ora non può nemmeno, viste le sue condizioni precarie di salute, partecipare ai funerali del fratello. La famiglia Olimpo è stata decinata dall’amianto. Il padre di Flavio e Claudio, Carmelo, è a sua volta stato ucciso dalla fibra killer. «Senza però poter contare – ricorda Flavio – sulla. Quando si ammalò non riuscì a trovare le “testimonianze” sufficienti del suo contatto con l’amianto». Claudio Olimpo aveva iniziato a lavorare da saldocarpentiere proprio nello stabilimento navalmeccanico di Panzano negli anni in cui l’impiego dell’amianto era diffuso. Poi aveva cambiato ripetutamente luogo di lavoro, passando alla SiMo e alle Acciaierie del gruppo Maraldi, fabbriche di cui non restano che gli “scheletri” in zona industriale, passando quindi alle dipendenze del porto e della Ferriera di Servola. «Mio fratello ha pagato – afferma ancora Flavio – ambienti di lavori inquinati, malsani. Ha sofferto tanto». La morte di Claudio Olimpo arriva alla vigilia dell’apertura del secondo maxi-processo amianto che partirà il 20 gennaio al Tribunale di Gorizia.

Monfalcone: processo amianto-bis

da Il Piccolo del 21 gennaio 2014

Pagina 1 – Gorizia-Monfalcone

IL PROCESSO

Amianto-bis: unificati i filoni dell’inchiesta

Avvio a rilento del processo amianto-bis, i cui filoni di inchiesta sono stati unificati. Ammessi come parti civili Comune, Aea e la Fiom-Cgil.

 

Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

Amianto-bis, unificati 2 filoni d’inchiesta

Avvio con il rallentatore del processo amianto-bis. Il giudice monocratico Nicola Russo, dinanzi a un’aula semivuota, ha ammesso le tre parti civili istituzionali (Associazione esposti amianto, Comune di Monfalcone e Fiom-Cgil), respingendo la richiesta delle difese che sostenevano la loro non ammissibilità. Costituitisi anche una ventina di familiari di lavoratori deceduti. Il giudice, dopo aver riunito in un unico fascicolo processuale due filoni dell’inchiesta, si è riservato nella prossima udienza del 28 aprile di decidere sulla citazione della Fincantieri come parte civile avanzata dalle parti civili. In quella data si procederà all’ammissione della prove e all’esame eventuali istanze istruttorie che saranno presentate dalle parti. La decisione di fissare di qui a tre mesi la nuova udienza è stata motivata anche dal fatto che si attende la deposizione della motivazione della sentenza del maxi-processo, che dovrebbe avvenire, dopo la richiesta di proroga, entro il 15 aprile. Indubbiamente le motivazioni del primo processo potrebbero fare da linea-guida anche in questo secondo procedimento sebbene si affrontino casi di decesso diversi da quelli che sono stati esaminati nel maxi processo: infatti tra i 72 decessi, 41 sono dovuti a carcinoma polmonare correlato all’asbestosi. Secondo la Procura – in aula sarà rappresentata dal pm Valentina Bossi,dopo il trasferimento di Leghissa alla Procura di Caltanissetta – il tumore polmonare sarebbe stato provocato proprio dalla presenza della fibra killer. Sarà comunque il dibattimento processuale, nel quale avranno un ruolo importante le consulenze medico-legali, ad accertare le vere cause dei decessi. Per alcuni di questi sarebbero già maturati i tempi della prescrizione, che potranno comunque essere accertati nel prosieguo del processo. In questo procedimenti imputati di omicidio colposo sono 16 dirigenti dell’Italcantieri: Giorgio Tupini, Vittorio Fanfani, Antonio Zappi, Enrico Bocchini, Manlio Lippi, Aldo La Gioia, Saverio Di Macco, Italo Massenti, Cesare Casini, Glauco Noulan, Roberto Picci, Peppino Maffioli, Roberto Schivi, Livio Minozzi, Mario Abbona e Gianni Poggi; con loro anche tre titolari di ditte esterne che lavoravano all’interno del cantiere di Panzano. Si imputa loro di non aver adottato le necessarie misure di sicurezza per eliminare o ridurre l’esposizione all’amianto dei lavoratori e senza assicurarsi dell’effettivo impiego di mezzi per la protezione individuale quali adeguate mascherine. Corposa anche questa volta la documentazione prodotta dalla Procura: 12 faldoni contenenti 1593 fogli, consulenze mediche, verbali di perquisizioni e sequestri. Centinaia i testimoni che saranno citati complessivamente dalle diverse parti. Il periodo preso in esame dalla Procura, attivatasi anche su denunce-querele dei familiari di lavoratori morti, va dagli anni Settanta agli Ottanta fino a quando nel cantiere di Panzano veniva usato l’amianto per la costruzione delle navi. Altri due filoni dell’inchiesta sulle morti di amianto a Monfalcone entro l’anno arriveranno la vaglio del giudice delle udienze preliminari mentre continuano a giungere alla procura della Repubblica esposti-denunce su presunti decessi causati dall’esposizione all’amianto.

Monfalcone:amianto emergenza infinita

da Il Piccolo del 9 febbraio 2014

Amianto, emergenza infinita: i decessi continueranno

Nel 2013 a Monfalcone ben 150 denunce, a gennaio 2014 già quattordici: dopo il maxi processo ce ne saranno almeno altri due

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Non è affatto finita l’emergenza amianto nel territorio di Monfalcone e di Trieste, i tragici effetti causati dalla respirazione della fibra-killer usata nei cantieri e in altre lavorazioni stanno provocando altre morti e ci saranno tanti altri processi e inchieste. Nel territorio isontino e giuliano la curva dei carcinomi al polmone ha raggiunto il suo picco massimo ormai e sembra in discesa, mentre i casi di mesotelioma, con effetti ritardati, presentano un grafico ancora in netta ascesa.

Il dramma amianto resta enorme in queste zone e non si intravede la parola fine: è stata piuttosto chiaro il Procuratore generale di Gorizia, Caterina Ajello che ieri all’incontro organizzato in Biblioteca comunale dall’associazione internazionale Apin (Persone vittime dell’amianto) con vari ospiti ed esperti, non ha dato molte speranze. «Solo nel 2013 ci sono state 150 denunce per malattie asbesto correlate e nel gennaio 2014, appena terminato, abbiamo avuto altre 14 denunce» ha annunciato facendo capire la vasta portata della tragedia che per ora ha visto la conclusione del primo maxi processo (dal 2009 ad oggi i casi sono oltre 700) ma ce ne saranno presto altri due e poi chissà quanti ancora.

Un momento di approfondimento di grande rilievo quello di ieri pomeriggio che oltre al procuratore Ajello e a vari esperti, legali e responsabili dell’Azienda sanitaria di Trieste Gorizia ha visto tra il pubblico (la sala era colma oltre il limite dei posti) moltissimi avvocati e lo stesso pm Valentina Bossi che ha appena concluso il primo processo dove sono state inflitte pesanti condanne. Tra gli ospiti al tavolo pure Roberto Covaz, responsabile della redazione di Gorizia e Monfalcone e autore di un libro sull’amianto.

Ed è stata l’occasione per esperti e pubblico (molti i componenti delle associazioni esposti amianto) per vedere la grande mole di lavoro fatta dagli esperti delle aziende sanitarie a fianco di giudici , procuratori e delle forze dell’ordine, che è sfociata poi nella apertura del primo grande maxi-processo. Indagini di una complessità mai affrontata forse da una Procura ai minimi termini come quella di Gorizia (un procuratore generale e due sostituti, assolutamente sotto-organico), lo ha ricordato Caterina Ajello al sindaco Silvia Altran che all’inizio dopo aver portato il saluto ha lamentato la lunghezza delle reazioni a questa tragedia e soprattutto della risposta da parte della giustizia.

Sono stati proprio i dati, le cifre e i numeri a fare impressione e a dare la dimensione di una catastrofe dei tempi modermi per Monfalcone e Trieste, che si è consumata tra gli anni ’60 fino all’85 (l’amianto è diventato illegale dal 92) ma che vedrà i suoi effetti ancora per lungo tempo, e la questione drammatica è che nessuno sa quando finirà. Una tragedia che ha ucciso e sta uccidendo non solo molti lavoratori, per la gran parte uomini, che sono venuti a contatto con l’amianto, ma anche le loro compagne, le donne che a casa lavavano le loro tute impregnate dalla fibra killer e probabilmente anche i figli piccoli.

Quarantamila documenti visionati, un processo concluso, altri 2 pendenti, almeno 290 fascicoli ancora di indagini preliminari. Una guerra che sembra non avere fine.

Amianto-killer a Trieste e Monfalcone

da Il Piccolo del 1 marzo 2014

Amianto-killer a Trieste e Monfalcone: i numeri sono da record mondiale

Il convegno sul tumore polmonare tenutosi al Savoia ha evidenziato i lavori a rischio in industrie, cantieri e nella pesca

Per esposizione all’amianto in ambiente di lavoro Monfalcone è uno dei casi più gravi al mondo. E Trieste la segue. Non solo l’amianto dei cantieri navali ma molti altri settori mettono la nostra regione in una triste lista nera: si ammalano di tumore polmonare più degli altri quelli che prendono lo stipendio nelle costruzioni, nel tessile, nel cartario, nei trasporti. E nella pesca: nessuno l’aveva mai detto. Anche Grado e il Basso Isontino sono dunque in questa situazione. A Trieste si aggiunge la siderurgia (Ferriera). A Monfalcone 2700 persone che hanno lavorato a contatto con l’amianto sono state monitorate dal 1979 al 2008. Si è riscontrata un’incidenza di 10 volte maggiore di mesotelioma rispetto al resto del Fvg, di 4 volte per il cancro al polmone, di 8 volte se con l’amianto si è lavorato per almeno 10 anni, e la sigaretta raddoppia ancora il numero.

Di questa drammatica sintesi e del fatto che per il mesotelioma non c’è ancora non solo una cura, ma nemmeno la possibilità di fare una diagnosi precoce (che invece è possibile per i forti fumatori), ha parlato ieri il triestino Fabio Barbone, direttore dell’Istituto di Igiene e epidemiologia clinica dell’ospedale Santa Maria della Misericordia di Udine, al convegno regionale intitolato “Tumore del polmone: linee guida, evidenze emergenti, nuovi scenari clinici e sociali” a cura di Alessandra Bearz del Cro di Aviano e di Gianpiero Fasola, direttore del Dipartimento di oncologia dell’ospedale di Udine e autore di importanti ricerche proprio sulle malattie amianto-correlate.

Uno dei grandi problemi affrontati è appunto se “monitorare”, anche con Tac spirale, Tac ad alta risoluzione, biopsie, persone esposte ad amianto consente o meno di fare una diagnosi precoce e salvavita. Su 1045 casi monitorati da Fasola e ricontrollati oggi con Barbone è risultato che la metà degli analizzati era risultato “positivo”, ma che poi solo 10 hanno sviluppato la malattia. È giusto e utile fare esami tanto invasivi? Lo studio darà una risposta finale il prossimo anno. Intanto arriva un’altra sorpresa: in questo gruppo a distanza di 10 anni non si è rivelata maggiore incidenza di tumore al polmone.

Ma la relazione lavoro-ambiente non riguarda solo il terribile killer amianto. A Monfalcone, sede di cantieri navali, si teme anche per la centrale a carbone e a Trieste per i fumi e le emissioni della Ferriera. E qui ieri si è messa un’altra parola importante dopo il “report” emesso dall’Osservatorio ambiente e salute della Regione che ha proprio nei giorni scorsi dedotto, sulla base dell’analisi di dati clinici, che attorno alla Ferriera non ci si ammala di più che in altre aree urbane e perfino rispetto ad altre città senza siderurgia. «La differenza – ha assicurato Diego Serraino, direttore del Registro tumori del Fvg e del servizio di Epidemiologia del Cro di Aviano – emerge tra città nel suo complesso e Carso. In Carso ci aspettavamo, analizzando il periodo 1995-2007, 400 casi di tumore al polmone e ne abbiamo trovati 344. Per le donne vivere a 800 metri dalla cokeria, in città o in Carso non cambia nulla, troviamo solo 2 tumori all’anno. Per gli uomini l’incidenza è un po’ maggiore, 124 tumori attorno alla fabbrica a fronte di 103 in Carso. Ma quali sono le vere ragioni? – si chiede Serraino – Forse gli uomini erano anche esposti all’amianto? Forse fumavano di più? Quale quota di tumori è attribuibile alla Ferriera? Bisognerebbe (ma è una decisione politica) decidere se investire su un’analisi più approfondita. Però, anche se ogni malato vale per sè, statisticamente il dato è davvero irrilevante».

Serraino conferma un’altra cosa. Che sono in campo, per la comprensibile emotività che il tema suscita a livello collettivo, due “filiere” abbastanza divergenti che creano evidenze diverse e talora incompatibili: «Le notizie sui tumori da ambiente derivano spesso da una ricerca ordinata dal magistrato, che la passa al pm, che la passa ai giornali. Ma nessun istituto che studia il cancro prenderebbe l’analisi del magistrato come scientifica. Per arrivare a conclusioni certe si spendono milioni di dollari per molti anni in ricerca. L’acquisizione di conoscenza così certa da potersi tradurre in legge è un processo lento. La correlazione tra sigaretta e tumore al polmone ha richiesto 50-60 anni per essere certa. Oltre 30 anni per definire il rapporto tra Papilloma virus e tumore alla cervice uterina. Una cosa è sicura: l’inquinamento di “oggi” non ha nessuna relazione con le malattie di “oggi”. Oggi abbiamo tumori per cause attive negli anni ’60 e ’70. Sacrosanto però che per legge si protegga l’ambiente: quando il semaforo è rosso non si deve passare mai».

Monfalcone: Amianto, processo-ter

da Il Piccolo del 4 aprile 2014

Amianto, processo-ter per la morte di 42 operai

A giugno l’esame della richiesta di rinvio a giudizio per 17 imputati tra ex dirigenti Italcantieri e di ditte esterne. Attesa per le motivazioni delle prime sentenze

 

Il prossimo 17 giugno il giudice delle udienze preliminari del tribunale di Gorizia esaminerà la richiesta di rinvio a giudizio di quello che possiamo definire il processo-ter per le morti di amianto. La Procura della Repubblica ha chiesto infatti il rinvio a giudizio di 17 persone tra dirigenti dell’ex Italcantieri e responsabili delle ditte esterne che lavoravano all’interno del cantiere di Panzano. Sono imputati di omicidio colposo per la morte di 42 lavoratori dell’ex Italcantieri avvenuta tra il 2006 e il 2010 per cause legate all’esposizione all’amianto. Il decesso, secondo la Procura, è stata causato da mesetelioma o da carcinoma asbesto correlato.

Non tutti i familiari delle persone decedute si costituiranno parte civile. Sono in corso infatti trattative con la Fincantieri per giungere a un accordo extragiudiziale sul risarcimento dei danni e a quanto risulta una gran parte ha già transato. Bisognerà, comunque, attendere il 17 giugno per verificare quanti si costituiranno parte civile non solo tra le famiglie delle vittime ma anche tra associazioni o istituzioni come è avvenuto per il primo maxiprocesso. Di questo, conclusosi il 15 ottobre scorso, si attende ancora la deposizione delle motivazioni della sentenza di condanna di 13 tra amministratori e dirigenti dell’ex Italcantieri. Dopo una prima richiesta di rinvio i termini per il deposito scadono il prossimo 15 aprile. Da allora, se non ci saranno ulteriori rinvii, le parti – in particolare i difensori degli imputati condannati – avranno 20 giorni di tempo per presentare appello.

Intanto il 28 aprile si aprirà il processo-bis sull’amianto. Il giudice monocratico Nicola Russo, dopo aver congiunto due filoni dell’inchiesta, ha già ammesso, oltre a una ventina di familiari delle vittime, tre enti istituzionali (il Comune di Monfalcone, la Fiom-Cgil e l’Associazione esposti amianto). Nella prossima udienza il giudice dovrà sciogliere la riserva sulla richiesta avanzata dalle parti civili di citare a giudizio anche la Fincantieri e poi procedere all’ammissione della prove e all’esame di eventuali istanze istruttorie che saranno avanzate dalle parti.

Il processo-bis vede imputati 16 tra dirigenti dell’ex Italcantieri e tre titolari di ditte esterne. Anche in questo caso l’accusa è di omicidio colposo per la morte di 72 cantierini, 31 per mesetelioma e 41 per carcinoma polmonare correlato all’asbestosi.

Monfalcone: Ogni settimana 5 nuovi casi di amianto

da Il Piccolo del 9 maggio 2014

 

Ogni settimana 5 nuovi casi di amianto

MONFALCONE. Alla Procura di Gorizia approdano ogni settimana dai due ai cinque casi di malattia professionale asbesto-correlata. Una “trincea” per il sistema giudiziario, costretto a fronteggiare il pregresso e a istruire nuove pratiche. Il dato è emerso ieri al convegno promosso dall’Azienda sanitaria Isontina, moderato dal dottor Fulvio Calucci, alla presenza del direttore generale Gianni Cortiula. Casi, dunque, che giungono sui tavoli della magistratura anche sotto forma di segnalazioni d’ufficio, per lo più attraverso il personale medico, tenuto a segnalare i decessi.

Il pm Valentina Bossi ha chiamato in causa il carico di lavoro sulla questione-amianto in rapporto alla mole complessiva dei procedimenti e alle risorse umane sproporzionate. Il magistrato, che con il collega Luigi Leghissa nel 2009 prese in carico i procedimenti, con oltre 500 fascicoli giacenti, ha parlato di una «situazione drammatica».

Un’impresa titanica che non solo ha scontato i ritardi nella formazione di un “percorso omogeneo” finalizzato a ricostruire la portata di un fenomeno risalente a 40 anni fa e a garantire la certezza del diritto alla giustizia, ma soffre a tutt’oggi, a fronte di un maxi-processo bis avviato e di un quarto in partenza a giugno, di una sorta di “corto circuito”. Mentre si moltiplicano i processi, approdano, infatti, arrivano nuove segnalazioni.

Quella di ieri è stata una giornata dedicata al tema «Eredità dell’amianto», per fare il punto assieme a istituzioni, esperti e associazioni, su una tragedia che continua a segnare il territorio. «È il primo incontro – ha detto Cortiula – di una serie di confronti con il territorio che vogliamo mantenere nel tempo».

Il Centro unico per l’amianto è operativo all’ospedale di San Polo dal giugno 2013. La struttura, ha spiegato Cortiula, prevede uno sviluppo integrato con le più diverse specializzazioni in un contesto anche di “Area vasta”. In parallelo c’è la costituzione della “Lung Unit” (Gruppo polmone) che raccoglie sanitari specializzati. In atto è inoltre un progetto di ricerca genetica in collaborazione tra Ass2, Università di Trieste e Burlo Garofolo.

L’assessore alla Sanità, Maria Sandra Telesca, definendo il Centro unico per l’amianto «un caso esemplare delle strategie della Regione», ha ricordato gli oltre 150 pazienti che vi si sono già rivolti. Il centro è una struttura di riferimento e accoglienza per i pazienti, in un processo di accompagnamento clinico, terapeutico, psicologico, ma anche amministrativo, assistenziale e previdenziale.

La Regione ha istituito inoltre l’Osservatorio ambiente e salute, con finalità preventive, mentre, ha spiegato l’assessore all’Ambiente Sara Vito, in collaborazione con Arpa, è stato definito un programma per aggiornare il censimento dei siti inquinati da amianto, risalente al 2006, al fine di istituire un archivio unico.

Ha preso la parola anche Chiara Paternoster, dell’Associazione esposti amianto, che ha ripercorso la storia dell’associazione, nata negli anni ’90, culminata con la “discesa in campo” delle vedove dell’amianto. Una battaglia sfociata nell’opera del procuratore generale presso la Corte d’appello, Beniamino Deidda, che nel 2007 avocò i casi di amianto per impostare in modo organico indagini e procedimenti.

Monfalcone: Maxi-processo per l’amianto, chieste condanne per 70 anni

da Il Piccolo del 13 marzo 2013

Pagina 57 – Gorizia-Monfalcone

Atto d’accusa dei pm: un’intera famiglia uccisa dall’amianto

Anche due donne tra le 85 vittime, per essere state a contatto con le tute dei mariti. Tra le carte pure raccomandazioni

MAXI-PROCESSO»DA OGGI GLI INTERVENTI DELLE PARTI CIVILI

 

Tra gli 85 morti per esposizione all’amianto, i cui nomi sono stati snocciolati l’altra sera con quella fredda burocrazia tipica delle aule giudiziarie, c’è anche la storia di una donna che, forse, non aveva mai messo piede all’interno dello stabilimento navale eppure nei suoi polmoni sono state trovate le fibre di amianto provenienti proprio dal cantiere monfalconese. Si chiamava Silvana Giuriato – e Silvana era pure il nome della donna di cui abbiamo scritto ieri ammalatasi mentre lavorava nella mensa di Panzano – ed è morta di mesetelioma a pochi mesi di distanza dal marito, pure lui, operaio dell’Italcantieri, deceduto per lo stesso male. Ed è lavando le tute del marito che la Giuriato ha aspirato la polvere killer fino a provocarle il tumore. Sorte che è capitata a molte mogli di cantierini, morte nel silenzio o negli anni in cui non era scoppiato lo scandalo amianto. D’altra parte già nel processo celebratosi alcuni anni fa a Marghera, sempre nei confronti di dirigenti della Fincantieri, era stato accertato che tre mogli di operai erano morte di asbestosi lavando i capi di vestiario che i mariti usavano in cantiere. Morti che si potevano evitare se i vertici dell’Italcantieri non avessero sottovalutato il rischio amianto: lo hanno ripetuto più volte i due pm Luigi Leghissa e Valentina Bossi, che hanno condotto le indagini su questo primo maxi-processo. La loro requisitoria è stato un vero e proprio j’accuse contro chi aveva il potere in Italcantieri e ha manifestato un assoluto disinteresse al problema e si è rifiutato di predisporre quegli accertamenti per verificare l’inquinamento ambientale e la presenza di malattie professionali pur sapendo dei rischi che comportava l’utilizzo dell’amianto. E nel ricordare i vari incarichi al vertice detenuti da Enrico Bocchini, il pm Leghissa ha ricordato il suo nepotismo. Ha citato uno scambio epistolare con l’allora ministro Calogero Mannino che sollecitava la promozione a vicedirettore dell’ingegnere navale Roberto Picci, pure imputato in questo processo sebbene per lui sia stata richiesta l’assoluzione perchè ha ricoperto l’incarico dirigenziale per breve tempo. Leghissa ha messo le mani nelle due lettere di Mannino, che nessuno ha pensato bene di farle sparire e rimaste così fra le migliaia di carte sequestrate dalla Procura nelle sedi di Fincantieri. Oggi il processo prosegue con i primi interventi degli avvocati delle parti civili, che occuperanno anche l’udienza del 19 marzo. Sono meno di dieci le parti offese rimaste ancora nel processo perchè per moltre altre è stato trovato un accordo extragiudiziale con Fincantieri. Restano le parti civili istituzionali: Comune di Monfalcone, Provincia, Regione, Inail, Fiom Cgil e Associazione esposti.

 

ROMANA BLASOTTI

Solidarietà e un aiuto da Casale Monferrato

Per Romana Blasotti Pavesi, la “pasionaria” di Casale Monferrato che ha sconfitto in primo grado i giganti dell’Eternit, anche a Monfalcone «la giustizia deve mettere un punto fermo» sulla questione amianto. «Noi siamo stati prima di tutto seguiti dalla Cgil, che ha fatto venire allo scoperto le morti di tutte queste persone, in numero sicuramente inferiore a quelle avute invece nella vostra città – racconta – e poi ci hanno aiutato medici, giornalisti, scrittori, i quali hanno fatto sì che si riuscisse ad arrivare al primo maxi-processo, l’unico per fattispecie in Europa. La solidarietà di tutti – rimarca Romana Blasotti – è un fattore molto importante, come seguire le udienze, partecipare ai dibattimenti. Noi attualmente siamo alle prese con l’appello e il secondo processo dovrebbe concludersi a maggio. I nostri difensori sono bravissimi e bravissimo è stato il dottor Guariniello che ha ottenuto la prima condanna, ma anche gli avvocati dall’altra parte sono degli ossi duri: si attaccano a tutto pur di rimettere in discussione il primo giudizio o disfare il nostro gruppo, sempre molto unito e rumoroso». Ci sono pullman di studenti che da Casale partono alla volta del tribunale, per seguire le fasi processuali. Insomma, è importante non mollare mai e credere fino in fondo nella giustizia. Romana Blasotti Pavesi conosce bene l’Isontino. Partita nel ’47, a 18 anni, da Salona d’Isonzo (oggi Anhovo) per trasferirsi con la famiglia a Casale, diventò negli anni seguenti il simbolo della lotta contro la multinazionale Eternit. Domani è prevista un’altra udienza in appello e Romana Blasotti ci sarà, in prima fila. «Lo faccio per il dottor Guariniello», dice prima di mettere giù la cornetta del telefono.(ti.ca.)

 

Le vedove: «Primo passo verso la giustizia»

Parlano Rita Nardi, la prima a iniziare la “battaglia”, e Nevia Pacco il cui marito è deceduto a 58 anni

«Io ero una donna felice, mi hanno tolto tutto. Quando iniziai questa battaglia, tanti anni fa, lo feci esclusivamente per difendere mio marito, per evitare che morisse nel silenzio in cui sono morti gli altri. Perciò la notizia della richiesta di condanna per i vertici dell’allora Italcantieri non mi rende né triste, né contenta: mio marito non me lo restituirà mai nessuno. Ma di una cosa sono felice, di aver fatto venire tutto questo a galla». Al telefono le si spezza la voce. Ogni volta che la vedova Rita Nardi, la prima a denunciare che a Monfalcone si moriva così, “per un toco de pan”, lavorando in cantiere, pensa a suo marito Gualtiero viene sopraffatta dall’emozione, anche se sono passati 14 anni dalla sua scomparsa. Il dolore è sempre lì, immutato. Come il ricordo di un calvario, quello della malattia – il mesotelioma – durato 4 estenuanti anni. «La mia sola speranza – spiega Rita Nardi, una vita spesa in prima linea con gli esposti all’amianto – è che queste persone ora sotto processo vivano almeno un po’ di anni nel rimorso». Gualtiero si ammalò nel 1994, cinque giorni dopo essere entrato in pensione. Morì una vigilia di Natale, all’età di 52 anni. «Per quel che riguarda me – conclude la vedova -, potrebbero pure prendere le chiavi e buttarle via, ma sono ben consapevole del fatto che anche nel caso in cui vi fosse effettivamente una condanna le pene richieste potrebbero essere ulteriormente ridotte». A differenza di Gualtiero Nardi, il sancanzianese Lino Buzzi non fece in tempo ad andare in pensione: morì quattro giorni prima, a 58 anni, 36 dei quali spesi allo stabilimento di Panzano. «Non ci può essere perdono senza giustizia», ripete oggi come un mantra sua moglie Nevia Pacco, rimasta troppo presto vedova. «Dal mio punto di vista – dice – sono già contenta che siamo arrivati fin qui, perché anni fa non l’avremmo mai detto. E da credente, credo che il Signore ci abbia assistito. È venuto il momento che queste persone si prendano le proprie responsabilità, poiché avrebbero potuto fare qualcosa per queste 85 persone e non l’hanno fatto». «La questione morale – sottolinea – supera quella materiale: tutte queste morti devono avere una loro dignità. Se le pene richieste siano adeguate non lo so, poiché non ho strumenti per giudicare, però mi fido della magistratura e spero agisca nel miglior modo». I vertici dell’azienda, secondo la vedova, «avevano la responsabilità di decidere il destino di questi papà e fratelli, che sono invece morti nel silenzio delle loro famiglie». «Una cosa – conclude Nevia Pacco – mi ha lasciato però degli interrogativi: ho scorto tra gli assolti, dei nomi che mi sono risultati familiari, perché ne parlava mio marito, e ciò ha suscitato in me, lo voglio dire, delle perplessità».

 

LO STORICO PALADINO DELLA LOTTA ALL’ASBESTO

Bianchi: «Non si può dire che non si conosceva il rischio»

«Non è possibile sostenere che non si sapeva della pericolosità dell’amianto, è dall’inizio del secolo che ci sono leggi che invitano alla cautela, poi si è scoperto che l’esposizione provocava il mesotelioma. I dirigenti dell’Italcantieri dovevano saperlo, è indiscutibile, gli operai invece erano all’oscuro. ma questo è colpa anche del fatto che in Italia non esiste la cultura della prevenzione e sul lavoro si sottovalutano i rischi». È un giudizio severo quello di Claudio Bianchi, medico, figura storica, come esperto e ricercatore, della battaglia contro l’amianto, già anatomo patologo ed ora presidente della Lega tumori di Monfalcone. Le sue parole, il giorno dopo le richieste di condanna avanzate dai pm per i dirigenti di Italcantieri pesano come macigni. «Ancora oggi c’è qualcuno che si domanda come mai sia potuto succedere – aggiunge Bianchi – ma in molti dimenticano che l’allarme sul rischio di cancro da esposizione di amianto era stato lanciato già negli anni ’70 in altri Paesi, ma in Italia ce ne siamo accorti solo nell’86 quando c’è stata la pronuncia dell’allora ministro della Sanità. Troppo forti gli interessi economici. Noi ci stupiamo dell’amianto ma oggi ci sono tutta una serie di agenti cancerogeni in giro e nessuno dice nulla. I telefoni cellulari ad esempio». Rischi sull’amianto che per primo Bianchi aveva paventato «Ma c’erano analisi balorde e gli ispettori e gli organismi di controllo avevano gli occhi chiusi. La responsabilità è molto diffusa. Avevo chiesto agli ispettori come mai non facessero un controllo in cantiere, mi avevano risposto che non potevano metterci piede per divieto dell’azienda». (g.g.)

 

 

da Il Piccolo del 12 marzo 2013

 

Pagina 1 – Gorizia-Monfalcone

«Amianto, condannate i vertici»

Gli 85 morti dell’Italcantieri: a Gorizia i pm chiedono pene severe

Sono solo i vertici dell’ex Italcantieri i responsabili dei decessi degli 85 lavoratori avvenuti tra gli anni ’60 e ’80 e causati dall’esposizione all’amianto. È questa la conclusione a cui sono giunti i pm.

 

Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

I pm: «Colpevoli solo i vertici Italcantieri»

Tredici richieste di condanna per complessivi 70 anni: 9 anni e 6 mesi per Vittorio Fanfani e Manlio Lippi, 5 anni e 4 mesi per Corrado Antonini

AMIANTO»IL MAXI-PROCESSO IN TRIBUNALE A GORIZIA

Sono stati dei padri padroni Conoscevano il pericolo e hanno tenuto all’oscuro i lavoratori

 

Sono solo i vertici dell’ex Italcantieri i responsabili dei decessi degli 85 lavoratori avvenuti tra gli anni Sessanta e Ottanta e causati dall’esposizione all’amianto mentre costruivano le navi nello stabilimento di Panzano. Conoscevano fin dagli anni Sessanta la pericolosità dell’amianto e nulla hanno fatto per impedire che venisse utilizzato e neppure hanno informato i lavoratori sulla pericolosità per la loro salute. È questa la conclusione a cui sono giunti i pubblici ministeri Luigi Leghissa e Valentina Bossi al termine di una lunga e puntuale requisitoria che ha impegnato sei udienze del maxi processo che si celebra al tribunale di Gorizia. Tredici le condanne richieste per complessivi 70 anni. Le pene maggiori, 9 anni e 6 mesi di reclusione e senza la concessione delle attenuanti, sono state avanzate per Vittorio Fanfani, 93 anni e Manlio Lippi, 90 anni, definiti dai pm padri per padroni per un decenio dell’Italcantieri. Ma non sono andati leggeri neppure per altri amministratori e dirigenti dell’ex Italcantieri: 7 anni e 3 mesi sono stati chiesti per Giorgio Tupini, 90 anni, ex presidente di Italcantieri; 7 anni per Enrico Bocchini, 90 anni, già presidente del Consiglio di amministrazione; 6 anni e mezzo per Mario Abbona, responsabile aziendale della sicurezza al quale la pubblica accusa contesta il fatto che non essersi attivato per eliminare o ridurre il pericolo dell’amianto e di non aver informato a dovere i lavoratori dei rischi che correvano; 6 anni per Antonio Zappi, 77 anni; 5 anni e 4 mesi per Corrado Antonini, ex direttore generale; 4 anni e 4 mesi per Aldo La Gioia, 85 anni, responsabile della produzione; 3 anni e 6 mesi per Roberto Schivi, 74 anni, direttore generale del personale; 3 anni e 3 mesi per Cesare Casini,85 anni, vice direttore generale; 3 anni per Livio Minozzi, 67 anni, dirigente dell’ufficio personale; 2 anni e 4 mesi per Glauco Noulian, 89 anni, e Italo Massenti, 84 anni, il primo dirigente della sede centrale e il secondo responsabile del settore acquisti. Per altri sei dipendenti dell’Italcantieri i pubblici ministeri hanno chiesto l’assoluzione per non aver commesso il fatto perchè privi di alcun potere decisionale oppure perchè la loro permanenza ai vertici dell’Italcantieri è stata talmente breve da non poter imputare loro alcuna responsabilità della morte dei cantierini. Si tratta di Giancarlo Testa, Roberto Picci, Saverio Di Macco, Peppino Maffioli, Bernardo Vittorio Carratù, Marino Visintin e Mario Bilucaglia. Da assolvere perchè non aver commesso il fatto (in un paio di casi per intervenuta prescrizione) anche i rappresentanti delle ditte appaltanti: Amedeo Lia, Curzio Tossut, Carlo Viganò, Attilio Dall’Osso, Roy Rhode, Ronald Rhode, Mario Pagliani, Ervino Lenardon, Omero Blazei, Liana Colamaria, Lino Crevatin, Renzo Meneghin, Gino Caron, Gianni Poggi e Giorgio Vanni. Nella loro approfondita disanima dei fatti i pm hanno esanimato le cause di ogni decesso disponendo per alcuni pochi casi la prescrizione del reato perchè la morte è avvenuta prima del 1996. Infatti nei casi di omicidio colposo aggravato, come quello che si discute al tribunale goriziano, il reato si prescrive dopo 15 anni dal decesso. Ora la parola tocca ai rappesentanti di parte civile (oltre ai congiunti dei lavoratori morti, ci sono il Comune di Monfalcone, la Provincia,l’Associazione esposti all’amianto e la Fiom Cgil) e ai difensori degli imputati. Il giudice monocratico Matteo Trotta ha già fissato in calendario sette udienze: tre a marzo (13, 19 e 23) e quattro in aprile (13, 20, 23 e 24). La sentenza slitterà probabilmente a maggio perche bisogna mettere in conto anche eventuali repliche delle parti.

 

Maxi-processo per l’amianto, chieste condanne per 70 anni

Verso la sentenza in Tribunale a Gorizia il caso degli 85 lavoratori dei cantieri di Monfalcone morti a causa dell’asbestosi: per l’accusa le responsabilità vanno ascritte solo ai vertici dell’azienda

 

Secondo i pm Luigi Leghissa e Valentina Bossi le responsabilità per le morti dei lavoratori dei cantieri di Monfalcone morti per asbestosi vanno addebitate ai soli vertici dell’ex Italcantieri Al termine di una requisitoria durata sei lunghe udienze al tribunale di Gorizia, i pm hanno sostenuto che responsabili degli 85 decessi avvenuti tra gli anni ’60 e ’80 tra i lavoratori del cantiere di Monfalcone sono i vertici dell’ex Italcantieri. Tredici le condanne richieste per complessivi 70 anni.

Le pene maggiori, 9 anni e 6 mesi di reclusione, sono state avanzate per Vittorio Fanfani e Manlio Lippi, per oltre un decennio ai vertici dell’Italcantieri. Assoluzione per non aver commesso il fatto è la richiesta avanzata per i responsabili della sicurezza all’interno del cantiere. Da assolvere per non aver commesso il fatto (o in alcuni casi per intervenuta prescrizione) anche i titolari delle ditte in subappalto.

La parola passa ora ai rappresentanti delle parti civili e ai difensori degli imputati. Il giudice moncoratico Trotta ha già fissato 7 udienze tra marzo e aprile. La sentenza potrebbe essere emessa tra la fine di aprile e i primi giorni di maggio.

 

dal Messaggero Veneto del 12 marzo 2013

Processo amianto, i pm chiedono condanne per 70 anni

I pubblici ministeri di Gorizia hanno avanzato 13 richieste nella requisitoria per le morti ai Cantieri navali di Monfalcone

 

GORIZIA. I pubblici ministeri di Gorizia, Luigi Leghissa e Valentina Bossi, hanno avanzato 13 richieste di condanna, per complessivi 70 anni di carcere, nella requisitoria del maxiprocesso per le morti da amianto ai Cantieri navali di Monfalcone (Gorizia).

L’accusa ha chiesto la condanna tra gli altri degli ex presidenti di Italcantieri Giorgio Tupini (sette anni e tre mesi) e Vittorio Fanfani (nove anni e sei mesi), dell’ex presidente del cda della società, Enrico Bocchini (sette anni) e dell’ex direttore generale Corrado Antonini (cinque anni e quattro mesi).

Per 25 dei 40 imputati, in prevalenza titolari e responsabili delle ditte che operavano in subappalto nei cantieri monfalconesi, i pm hanno richiesto l’assoluzione.

Il 13 marzo il processo riprenderà con le richieste delle parti civili e le arringhe delle difese. Si sono costituiti parte civile nel processo 55 gruppi di familiari dei deceduti, il Comune di Monfalcone, la Provincia, la Regione, la Fiom Cgil, l’Inail, l’Associazione esposti amianto e il Codacons.

 

da Quotidiano.sicurezza

Amianto, maxiprocesso Cantieri navali Monfalcone, 13 richieste di condanna

 

GORIZIA – Maxiprocesso morti amianto Cantieri navali di Monfalcone. Ieri al termine della requisitoria i pm Luigi Leghissa e Valentina Bossi hanno avanzato 13 richieste di condanna per un totale di 70 anni di carcere.

L’accusa ha richiesto la condanna tra gli altri per gli ex presidenti di Italcantieri, per lex presidente del Cds e l’ex direttore generale della società.  Per 25 dei 40 imputati chiesta l’assoluzione.

Domani 13 marzo le richieste delle parti civili (55 gruppi di familiari dei deceduti, Comune di Monfalcone, Provincia di Gorizia, Regione Friuli Venezia Giulia, INAIL, FIOM CGIL, Codacons e Associazione esposti amianto) e l’arringa delle difese.

 

da Il Piccolo del 11 marzo 2013

Processo amianto, la parola ai pm

Oggi in tribunale le richieste dell’accusa che potrebbero configurarsi in più di cent’anni complessivi

 

Dopo una requisitoria durata sei udienze, oggi i pubblici ministeri del maxiprocesso per l’amianto, che si celebra al Tribunale di Gorizia, avanzeranno le loro richieste di pena, nei confronti di 40 imputati, tra i quali gli ex vertici e dirigenti dell’allora Italcantieri. Si sono costituiti parte civile 55 gruppi di familiari dei deceduti, il Comune di Monfalcone, la Provincia, la Regione, la Fiom Cgil, l’Inail, l’Associazione esposti amianto e il Codacons.

Siamo dunque alle battute decisive del processo, apertosi nell’aprile del 2010. La richiesta di pena dei pm Luigi Leghissa e Valentina Bossi potrebbe essere pesante e superare complessivamente i 100 anni di carcere. Per due imputati – Marino Visintin e Mario Bilucaglia, ex responsabili della sicurezza – si profila invece una richiesta di assoluzione perchè secondo la pubblica accusa non avrebbero avuto alcuna responsabilità nella vicenda.

Da mercoledì sarà la volta delle parti civili e poi delle difese, che occuperanno ancora diverse udienze. La sentenza affidata al presidente Matteo Trotta, potrebbe giungere entro la prima quindicina di aprile.

Sono questi gli ultimi “atti” di un processo durato tre anni e che ha visto sfilare oltre 400 tra testi e consulenti sia da parte dell’accusa che delle difese.

Un processo-pilota, il primo di queste dimensioni nella nostra regione e proprio per questo importante, poichè determinerà la portata di questo dramma, legato ai lavoratori che con l’amianto hanno lavorato e persino giocato, inconsapevoli allora delle conseguenze mortali alle quali poi sono andati incontro.

Un dramma, quello dell’eternit, che ha segnato pesantemente il territorio e le famiglie e per il quale si continua e si continuerà a morire.

L’accusa, con i Pm Luigi Leghissa e Valentina Bossi, ha sostenuto che i vertici dell’ex Italcantieri conoscevano la pericolosità della fibra e soprattutto non hanno informato i lavoratori che avrebbero saputo la verità «solo negli anni ’90». Un quadro definito «devastante», a fronte del quale, ha già avuto modo di sottolineare la Bossi, s’è riscontrato un’«imbarazzante assenza di memoria da parte dell’azienda».

Sul tappeto anche la «superficialità scientifica delle prime consulenze richieste dall’allora Italcantieri ad alcuni esperti», la situazione «insopportabile» denunciata anche dagli operai per la carenza degli impianti di aerazione, delle opere di pulizia «fatte senza alcuna forma di controllo», e la dispersione negli ambienti e in tutto il cantiere, anche a bordo delle navi, delle polveri di eternit. Tanto da far osservare al Pm che «nessuno era esente dalla respirazione dell’amianto». E, ancora, le misure di protezione, come le mascherine, che nessuno usava, nè era obbligato a farlo, mentre avrebbero quantomeno limitato i danni.

Il dato di fondo resta, dunque, la consapevolezza attorno al rischio-amianto tra gli anni ’60 e ’70. Un aspetto sul quale porrà attenzione anche la difesa, nel ritenere poco credibile che l’azienda avesse consapevolmente messo a rischio la salute dei propri lavoratori.(la.bo.)

 

da Il Gazzettino del 11 marzo 2013

Un processo a 41 imputati iniziato nell’aprile di tre anni fa

GORIZIA (27 aprile) – Ha preso il via ieri in tribunale a Gorizia, davanti al giudice monocratico Matteo Trotta, il maxi-processo che vede imputate 41 persone, tra ex dirigenti ed amministratori dell’ex Italcantieri (oggi Fincantieri) di Monfalcone (Gorizia) e responsabili delle ditte d’appalto.

L’ipotesi di reato è quella di omicidio colposo per la morte di 85 ex dipendenti dello stabilimento e delle aziende dell’indotto che sarebbero stati esposti alle fibre di amianto. L’udienza si è aperta con le eccezioni preliminari presentate dalla difesa, tutte respinte, cui ha fatto seguito il deposito da parte della pubblica accusa di una mole di 1.600 documenti derivati dal lungo lavoro di indagine. Nel procedimento si sono costituiti parte civile, oltre ai familiari della maggior parte delle vittime, l’Associazione esposti all’amianto di Monfalcone, il Comune di Monfalcone, la Provincia di Gorizia, la Regione Friuli Venezia Giulia, l’Inail e la Fiom-Cgil.

Monfalcone: sentenza processo amianto slitta ancora

da Il Piccolo del 29 aprile 2013

vedove e orfani al maxi-processo

In pullman a Gorizia il giorno del verdetto

Davanti al tribunale di Gorizia le mogli, i figli delle vittime dell’amianto, gli esposti incosapevolmente al minerale killer sul posto di lavoro ci sono andati spesso negli ultimi anni.

 

Davanti al tribunale di Gorizia le mogli, i figli delle vittime dell’amianto, gli esposti incosapevolmente al minerale killer sul posto di lavoro ci sono andati spesso negli ultimi anni. Lo hanno fatto per sollecitare un’accelerazione delle indagini e quindi dell’accertamento della responsabilità di morti ritenute evitabili, per chiedere giustizia. Quella che sperano di poter vedere riconosciute a fine giugno, quando sarà emessa la sentenza al maxi-processo per le morti da amianto. Ecco perché gli esponenti dell’Associazione esposti amianto ieri, davanti al monumento che ricorda le vittime del minerale, hanno annunciato l’organizzazione di una serie di pullman per portare familiari, amici, altri esposti a Gorizia per ascoltare la sentenza. Un atto che pare dovuto per un’associazione da sempre impegnata nel sostenere i diritti di chi è stato esposto e delle famiglie di quanti non ci sono più a causa dell’amianto.

L’appuntamento a Gorizia è comunque tra un paio di mesi. Al termine delle arringhe dei difensori, il giudice monocratico Matteo Trotta ha fissato al 25 e 26 giugno prossimi le udienze per le repliche, già annunciate dei pubblici ministeri, delle parti civili e della difesa. Al termine il giudice entrerà in camera di consiglio per emettere la sentenza. Sarà questo probabilmente l’ultimo atto di Trotta, che da luglio, come già annunciato, lascerà la presidenza del tribunale di Gorizia per assumere quella del tribunale di Trieste. Nell’ultima udienza, intanto, il 24 aprile, si sono conclude le arringhe della difesa. A chiudere questo capitolo è stato l’avvocato Giovanni Borgna, difensore di Vittorio Fanfani, già presidente dell’ex Italcantieri, sul quale pende una richiesta di condanna a 9 anni e 6 mesi di reclusione, la più alta tra quelle avanzate dai pubblici ministeri Luigi Leghissa e Valentina Bossi.