Entries from Marzo 2017 ↓

Giardino liberato a Trieste (con rass.stampa)

guerrillagardeningtrieste2 2
Liberato giardino a Trieste
 
Giardinaggio Selvaggio Trieste ha aperto per la seconda volta e reso accessibile a tutti il giardino di Pendice dello Scoglietto, prima chiuso e in balia dei topi e delle erbacce, falciato da una ditta una volta all’anno. Sono state tagliate le catene che erano tornate a bloccare l’ingresso, svelte alcune delle sbarre del cancello in modo che si potesse entrare anche a cancello chiuso, e tagliata una parte della recinzione.  
 
Su una delle colonnine è stata dipinta la seguente scritta: 
 
“Abbiamo riaperto questo giardino perchè fosse di tutti.
Usatelo, curatelo, non lasciate rifiuti o le cacche dei vostri cani. 
Protestate se lo chiudono ancora.
Giardinaggio selvaggio è, 
chi giardinaggio selvaggio fa.
 
G.S.TS/Guerrilla Gardening “
 
In passato Giardinaggio Selvaggio ha pulito il giardino liberato dalle immondizie portate dalla bora o lasciate da persone incivili. Lo spazio è stato anche usato per un mercatino di raccolta fondi per gli ospedali di Gaza all’epoca degli ultimi bombardamenti israeliani.Il giardino deve essere di tutti, e Giadinaggio Selvaggio continuerà a liberarlo e a curarlo ogni volta che verrà richiuso.
guerrillagardeningtrieste2 1
 
 
rassegna stampa:
http://m.triesteprima.it/cronaca/rivoluzione-degrado-parchi-pubblici-pendice-scoglietto-antonia-merizzi-verde-pubblico-guerrilla-gardening.html
 
 

ROJAVA: intervista con alcune combattenti del YPJ

Preghiamo tutti di dare massima diffusione a questa conversazione
trascritta dagli attivisti e le attiviste messinesi preseti in Kurdistan.

Dopo varı gıornı dı attesa a Kobane, fınalmente, sı creano le condızıonı
per poter ıncontrare le donne combattentı, ın lotta contro Isıs.
Entrıamo nella loro "casa", nella loro base operatıva - luogo ın cuı
condıvıdono emozıonı, organızzano le battaglıe. Presentı con noı due
traduttorı.
Venıamo accoltı ın una pıccola sala rıscaldata, allestıta con foto dı
martırı donne e uomını. Chıedıamo: "chı e'?" - ındıcando una
gıgantografıa dı un volto femmınıle combattente. Una YPJ rısponde "E'
una nostra martıre, dı qualche anno fa. Dı leı mostrıamo solo
l'ımmagıne". Cı sedıamo a terra,
ın cerchıo, e ınızıamo a parlare. Inızıalmente sono presentı cınque donne.
Tre dı loro pıu' eloquentı; ın due rımarranno fıno alla fıne dell'ıncontro.

Dı seguıto le domande che abbıamo posto, con relatıve rısposte. Non abbıamo
allegatı vıdeo ne' audıo: per una questıone dı sıcurezza le ragazze hanno
preferıto evıtare dı essere sıa rıprese che regıstrate. Dunque, oltre al
nostro rıcordo, la testımonıanza scrıtta e' cıo' che resta dı questo
ıncontro - sperando che possa rendere, almeno ın pıccola parte, la potenza
dı questa breve ma ıntensa esperıenza.

Conversazione con le combattenti YPJ di Kobane a cure di Attiviste contro la guerra
18/02/2015

Dopo vari giorni di attesa a Kobane, finalmente, si creano le condizioni per poter incontrare le donne combattenti, in lotta contro Isis. Entriamo nella loro “casa”, nella loro base operativa – luogo in cui condividono emozioni, organizzano le battaglie. Presenti con noi due traduttori. Veniamo accolti in una piccola sala riscaldata, allestita con foto di martiri donne e uomini. Chiediamo: “chi é?” – indicando una gigantografia di un volto femminile combattente. Una YPJ risponde “É una nostra martire, di qualche anno fa. Di lei mostriamo solo l’immagine”. Ci sediamo a terra, in cerchio, e iniziamo a parlare. Inizialmente sono presenti cinque donne. Tre di loro più eloquenti; in due rimarranno fino alla fine dell’incontro.
Di seguito le domande che abbiamo posto, con relative risposte. Non abbiamo allegati video né audio: per una questione di sicurezza le ragazze hanno preferito evitare di essere sia riprese che registrate. Dunque, oltre al nostro ricordo, la testimonianza scritta é ciò che resta di questo incontro – sperando che possa rendere, almeno in piccola parte, la potenza di questa breve ma intensa esperienza.
Perché hai fatto questa scelta di entrare nelle YPJ?
“Perché le donne sono sofferenti. Vediamo la sofferenza delle donne non solo qui ma anche nei vostri Paesi. Noi lottiamo per tutte le donne del mondo”.
“Io in particolare sono nata in Germania, sono stata in giro per l’Europa e in uno di questi Paesi ho fatto giorni di reclusione in prigione per motivi politici. Poi ho deciso di venire qui in Kurdistan e anche le mie amiche sono tutte venute qui. Ho letto gli scritti di Öcalan e dopo ciò ho assunto uno sguardo più globale”.
Perché sei venuta in Kurdistan?
“Perché voglio la rivoluzione”.
Cosa intendi per rivoluzione e perché pensi che il Kurdistan sia particolarmente significativo da questo punto di vista?
“Conoscete forse qualche altro movimento nel mondo che chieda la libertà per il popolo curdo?”.
La tua famiglia?Come ha accolto questa scelta?
“Io ho 28 anni. Combatto da 7 anni. La mia famiglia é venuta con me quando ho deciso di partire e ora é qui”.
“Io in questo momento non ho nessun contatto con la mia famiglia. Ma quando ho preso questa decisione loro hanno approvato, perché era una scelta per tutte le donne e per una umanità sofferente”.
Ci sono donne non di Kobane nelle YPJ in questo momento?
“Tra le combattenti ci sono donne da tutta l’Europa: Germania, Inghilterra, Italia… Anche dalla
Colombia. Ma in questo momento non combattono a Kobane”.
Come hai conosciuto le YPJ?
“Quando é iniziata la rivoluzione in Rojava ho saputo di questa parte speciale del movimento. Questa parte presente in tutto il movimento curdo. Anche lì dove ci sono i peshmerga, nonostante la loro presenza, li é persino più forte il movimento combattente femminile”.
Cosa pensi delle relazioni lesbiche?Come vivi il fatto di non avere relazioni?
“Se scegli di entrare nelle YPJ scegli di abbandonare le tue personali relazioni d’amore. Le relazioni lesbiche sono anch’esse relazioni d’amore. Se ami la persona con cui stai puoi anche scegliere di abbandonarla per amore dell’umanità tutta, per amore delle persone oppresse. Questa é la parte militare del movimento. Se scegli di combattere é impossibile farlo mentre pensi “Cosa farà la persona che amo se io muoio?”. Per questo stesso motivo la maggior parte di noi sceglie anche di non avere figli”.
Secondo voi perché tra le persone che attualmente combattono in Kurdistan ci sono più YPJ che YPG?
“Tra le donne c’é il sentimento materno. Vedere i bambini di tutto il mondo soffrire ci rende più forti e coraggiose, a differenza degli uomini che non possiedono questo specifico istinto”.
Hai mai avuto dubbi rispetto alla voglia di essere madre?
“No. Noi non abbiamo mai perso la voglia di essere madri, ma questa maternità, questo amore, é per tutti i bambini, per l’umanità. Non é mai successo che una YPJ cambiasse idea, e avesse voglia di uscire dal movimento e avere dei figli. Oggi le donne in Kurdistan stanno scrivendo la storia, é importante fare domande su questo”.
Cosa pensate quando siete in frontline a combattere, insieme agli uomini?
“Noi in frontline non combattiamo solo contro il nemico, ma anche contro il dominio dell’uomo sulle donne e contro il capitalismo. Dunque siamo insieme agli YPG e se ci sono delle incomprensioni di risolvono dopo con dei meeting, non appena c’é l’opportunità’”.
Avete percezione del fatto che ciò che fate é una spinta per il movimento femminile in tutto il mondo?
“Certamente”.
Ci sono particolari momenti nella vostra vita da combattenti in frontline di cui volete parlare?
“É difficile spiegare il nostro spirito quando si é al fronte. Noi non vogliamo uccidere persone. Ma, mentre combattiamo, sappiamo cosa fanno i daesh; uccidono senza motivo. Noi lottiamo per l’umanità. Sappiamo che se non li uccidiamo noi ci uccidono loro. Ma il momento della battaglia non si può descrivere a parole: solo standoci si può capire veramente cosa si prova. Conoscete il racconto delle quattro farfalle? Quattro farfalle volavano attorno al fuoco, la prima più distante capì che il fuoco era vita, e tornò dalle altre a riferirlo. La seconda, incuriosita, si avvicinò attratta dalla luce e scoprì che il fuoco dava luce, e tornò a riferirlo alle altre. Anche la terza andò verso il
fuoco, sempre più vicino, e scoprì che dava calore; e lo riferì. La quarta voleva comprendere fino in fondo lo spirito del fuoco: si avvicinò, dunque, talmente tanto che morì arsa dalle fiamme”.
É mai capitato che parlaste col nemico nel momento del combattimento?
“No. É capitato che i daesh parlassero attraverso le ricetrasmittenti per tentare di deprimerci psicologicamente, ad esempio fingendo di avere tra le mani una nostra compagna e descrivendo gli abusi e le torture su di lei. La nostra risposta era: “Perderete”. Solitamente dopo questo morivano”.
Avete visto daesh visibilmente drogati?
“Si, sappiamo che assumono ecstasy ma sul frontline li abbiamo visti spesso iniettarsi in vena nelle braccia sostanze di cui non sappiamo l’origine. Il loro corpo, una volta morti, diventava come di plastica. Durante il combattimento é necessario colpirli più volte alla testa per ucciderli. Solitamente i loro corpi si decompongono molto più lentamente”.
Sospendiamo la conversazione: é ora di pranzo e alcune di loro hanno cucinato per tutti. Dunque mangiamo insieme e una volta finito continuiamo a conversare.
Cosa pensi della situazione politica e sociale in Europa? Pensi che sia possibile un movimento ugualmente forte anche lì?
“L’Europa sta attraversando un momento molto complesso. É urgente che anche lì sorga un movimento forte, ma non sarà mai uguale a quello curdo. Ogni movimento ha bisogno di rintracciare e scoprire una propria specifica identità”.
A questo punto é una di loro a porre una domanda: “Pensi che in questo momento le donne in Italia o in Europa siano libere?” No.
“Dunque é urgente e necessario che le donne si sveglino in tutto il mondo. Il patriarcato storicamente é stato ed é tutt’ora oppressione degli uomini sulle donne. Questo rafforza il sistema capitalistico. Dunque un movimento é forte se a risvegliarsi e a lottare inizia la parte oppressa. Il movimento contro il patriarcato é forte se a lottare sono le donne in prima linea. Ci siamo mai chiesti perché non ci siano state mai singole donne alla guida di un movimento o di una rivoluzione? Perché ogni qualvolta questo accadeva il potere le reprimeva. Per questo motivo é importante studiare e conoscere la storia dell’umanità, e delle donne come, ad esempio, Rosa Luxemburg …
Per rendere un movimento forte e sempre in grado di migliorarsi, é necessaria la pratica dell’autocritica: criticare e autocriticarsi é fondamentale per costruire relazioni alla pari e superare i problemi che si pongono. Ricevere una critica non deve suscitare rabbia. Nel criticare e autocriticarsi riconosco i miei amici e questo mi aiuta ad essere una persona sempre migliore”.
In tutto questo, gli uomini cosa fanno?
“Se il movimento é forte ed é in atto una rivoluzione antipatriarcale, gli uomini “supportano”.
Non bisogna mai credere nell’esistenza di una rivoluzione solo perché qualcuno lo dice. Così come non esiste vittoria senza dolore e sofferenza”.
Hai mai amato un uomo?
“Ho avuto varie relazioni quando ero più piccola ma nessuna rispondeva a quel che sentivo profondamente; fin quando ho deciso di abbandonare tutto questo e iniziare a combattere. In molti modi il capitalismo ci allontana dall’essere veramente noi stesse. Anche indossare accessori o piercing o cambiare il colore dei propri capelli é un modo per allontanarci da quello che siamo, perché se non ci fossero le fabbriche che producono i prodotti per il makeup, non sentiremmo questo tipo di esigenza”.
Ma talvolta uno stile strano può rappresentare, in certi contesti, una rottura degli schemi preimpostati, delle forme di immagine dominanti.
“Si, siamo consapevoli di questo. Esistono anche culture ancestrali come quella degli aborigeni, che usano molto agghindare il proprio corpo con oggetti di vario tipo, metalli o tatuaggi. Queste culture hanno un fortissimo legame con la terra e con la natura, vivono in armonia con essa: “con” e non “contro”. Ma il presidente australiano ha fatto un appello per la salvaguardia di questa popolazione aborigena che é in via di estinzione. Il capitalismo la sta piano piano distruggendo”.
Secondo voi é possibile uscire dal sistema capitalistico restando in un contesto urbano?
“No. É necessario ristabilire il contatto con la natura, dunque bisogna uscire dalla città, per poi anche tornarci. Ma é necessario recarsi nei luoghi della natura”.

UDINE/ Venerdì 27 febbraio incontro

Kurdistan: la rivoluzione delle donne

autorganizzazione, ecologia e libertà di genere

incontro con

Haskar Kirmizigul

della Fondazione Internazionale delle Donne Libere Kurde

Venerdì 27 febbraio 2015 h. 20.30

presso Sala Conferenze Hotel Cristallo                      

UDINE

Oltre settanta persone hanno partecipato all’iniziativa.

haskar

>>>>  Resoconto e foto

 

 

donne kurde

 

Continue reading →

NO OGM: aggiornamenti dal Coordinamento per la biodiversità

 

https://biodiversitafvg.wordpress.com/2015/03/02/non-e-vero-che-se-coltivassimo-piante-ogm-saremmo-in-grado-di-fare-a-meno-delle-importazioni-di-mangimi/

 

https://biodiversitafvg.wordpress.com/2015/03/02/coesistenza-uno-studio-tedesco-individua-in-chilometri-la-distanza-per-evitare-linquinamento-ambientale-di-altri-campi-coltivati-non-ogm/

 

https://biodiversitafvg.wordpress.com/2015/03/02/arctic-golden-e-arctic-granny-ancora-una-volta-al-servizio-di-colui-che-ha-il-brevetto-al-momento-non-ne-abbiamo-bisogno-grazie/

 

https://biodiversitafvg.wordpress.com/2015/03/02/nel-2010-invasero-gli-uffici-pordenonesi-di-agricoltori-federati-con-spray-e-manganelli-tra-di-loro-anche-lex-consigliere-regionale-alessandro-metz-il-leader-del-biotech/

 

https://biodiversitafvg.wordpress.com/2015/03/02/fidenato-mostra-le-piante-non-mi-fermeranno-la-battaglia-degli-ogm/

 

PORDENONE: comunicato del Circolo Zapata dopo le dichiarazioni di Loperfido

A seguito dichiarazioni del consigliere Loperfido (FdI) riportate sul
edizione odierna del Gazzettino, inviamo il seguente comunicato.

 

Il Circolo Zapata paga da più di 20 anni un affitto come tutte le altre
associazioni al Comune di Pordenone. Di agevolato in città ci sono
sono gli amici di Loperfido e Ciriani come l’associazione Eureka
che s’è fatta comprare una sede (200.000 €) dalla regione grazie
ai Ciriani brothers e dopo che nel più becero nepotismo hanno
sistemato in provincia gli amici degli amici e dato appalti e
consulenze ad ex Alleanza Nazionale. Che Loperfido, quello che ha portato a Pordenone Prosperini, il
condannato per traffico d’armi e corruzione e arrestato in diretta
TV, faccia paragoni vergognosi accostando un gruppo di neofascisti con
una storica associazione libertaria che ha compiuto da poco 30 anni
dimostra solo la sua simpatia fascista malcelata da quel finto
liberalismo da destra italica. Come si suol dire “un elefante in
una cristalleria”.

Circolo Libertario E. zapata 

8 marzo con le donne del Kurdistan

Quando ci siamo incontrate con Haskar Kirmizigul, abbiamo fatto uno striscione che abbiamo appeso nella sala della conferenza: le parole curde Jîn Jiyan Azadî, Donne Vita Libertà.
Quello stesso striscione lo abbiamo portato in montagna, appoggiato sulla terra, legato agli alberi ed appeso ai balconi delle nostre case perchè vorremmo che quelle parole regnassero dappertutto.
In montagna per un omaggio alle donne combattenti del Kurdistan che devono fare dei monti la loro casa, ma anche un omaggio al principio di convivenza delle diversità che l’esperimento del Rojava sta mettendo a punto.
Sono i monti della Val di Resia nei quali abbiamo fatto quelle foto.
La Val di Resia è un mondo a sé, una lingua, una musica, una storia a sé che però amministrativamente ed istituzionalmente si vuole legato ad una regione -il Friuli Venezia Giulia- che a sua volta è un coagulo di mondi a sé: il Friuli, l’area veneta o venetofona, l’area giuliana, l’area triestina e via discorrendo che poi ognuno di questi conta a sua volta mondi a sé, tutti cancellati e omologati sotto l’autorità dello stato che si chiama Italia.
Ciò che narrano le donne kurde del Rojava fa capire a noi, costrett* ancora ad ascoltare i deliri leghisti e fascisti, che si può -e si deve- esaltare la propria diversità senza negare quella dell’altr*.
Un’altra cosa poi ci fa capire, ed è rivolta alle donne, tutte: che senza l’autodifesa non c’è futuro.
Potevano forse aspettare che i combattenti le liberassero dallo spettro dell’Isis, poi, potevano aspettare che in una situazione normalizzata, qualcuno gentilmente tutelasse e riconoscesse istanze e diritti correttamente richiesti per le vie che la legge avesse messo loro a disposizione.
Noi, nell’avanzato occidente così facciamo, aspirando a ridicole quote rosa, assistendo alla regressione di quel poco conquistato come la possibilità di abortire in sicurezza, in ogni caso restando cronicamente mal retribuite, sempre mal giudicate e con il virtuale velo della sottomissione sulla testa.
C’è una differenza fondamentale, cruciale, fondante, nel dire che non c’è libertà per un popolo se non c’è libertà delle donne.
Loro lo hanno messo nelle premesse della loro battaglia, e ci hanno messo anche l’amore per il territorio, devastato, annichilito, anch’esso senza futuro a causa del turbocapitalismo che tutto consuma.
Ci suggeriscono perciò un ritorno di sintonia con la natura: che cosa siamo noi senza l’ambiente che ci supporta?
Possiamo essere la tecnologia che lo trascende ma che alla fine divora se stessa e con sé i suoi artefici semplicemente perchè ha predato tutte le risorse che l’hanno resa possibile. E ormai sono risorse vitali, sono l’acqua, l’aria e ancora la terra.
Kobane, grazie alla sua resistenza, ha vinto, ma adesso è disseminata di mine ed ha bisogno di tutto il nostro aiuto; sarà ricostruita in modo ecologico, ha detto Haskar; di sicuro sarà un centro di convivenza.
L’America cercò di ricostruire New Orleans distrutta dall’uragano Katrina, a misura di bianco benestante, cacciando le persone di colore che lì avevano vissuto; uno stato, capitalista o no, fa così, privilegia chi detiene soldi e dominio; che cosa fa l’Europa con la marea di migranti che bussano alle sue porte? Le chiude.
Kobane chiude le porte a chi vuole esercitare coercizione, prevaricazione e dominio; le scelte passano per le assemblee.
E le scelte che riguardano le donne passano per le assemblee delle donne.
Loro dicono che la loro lotta non è solo per sé stesse, è per l’umanità.
E’ vero. Occorre una buona teoria per sviluppare una buona pratica. Che si chiami ecologia sociale o confederalismo democratico, le donne ne sono comunque l’anima.
Cogliamo perciò l’appello per questo otto marzo: siamo con le donne di Kobane, con le donne del Kurdistan e con tutte le donne resistenti, battagliere e ribelli; insieme autodeterministicamente.

BASSA FRIULANA/ Giù le mani dalle fontane!

Qui tutti i report sulla lotta per la difesa delle fontane

https://www.facebook.com/aghedipompe

 

TRIESTE: Foto e volantino del presidio antimilitarista

NESSUNA GUERRA E’ QUELLA BUONA !

 

Lo sai che i governi che contrastano i “terroristi dell’IS o di Al Qaeda” sono gli stessi che li hanno armati e finanziati?

… Qatar, Arabia Saudita, Gran Bretagna, U.S.A., Turchia,…

Gli “alleati” di ieri sono i “nemici” di oggi. Domani? Chissà?

 

Ti ricordi le menzogne che governi e media ci hanno propinato per giustificare le aggressioni militari?

… le famose armi chimiche di Saddam inventate di sana pianta …

 

Sai che al mondo ci sono oltre 46 milioni di persone che scappano dalle guerre?

…la stima per difetto è dell’UNCHR – Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati – e si riferisce alla prima metà del 2014 …

 

Ti rendi conto che la stragrande maggioranza dei morti sono civili inermi?

… le sofisticate “armi chirurgiche” producono sempre più “effetti collaterali” …

 

Lo sai che nel 2014 il governo italiano ha speso 67 miliardi di euro per l’apparato militare e le “missioni umanitarie”?

… mentre si tagliano i bilanci per l’istruzione e la sanità …

 

Hai mai fatto caso che i militari con la loro propaganda sono sempre più presenti in ogni ambito della società?

… nelle strade, nelle scuole, nei media…

 

Sai che le guerre si fanno anche perché le armi prodotte devono essere usate per continuare a produrne?

… e più sono micidiali più si vendono…

 

 

La propaganda a suon di sofisticati e terrorizzanti video degli assassini dell’IS segue le stesse logiche dei comunicati emessi dai vari capi di stato, le stesse logiche delle dimostrazioni di forza delle parate militari con dispiegamento di missili ed esibizioni aeree. 

Serve a creare paura e consenso e ad arruolare coscienze ed intelligenze.

Rifiutare si può!

Ognuna/o di noi può fare qualcosa di concreto per contrastare il militarismo:

  • analizzando criticamente quanto viene diffuso dai media
  • facendo circolare le notizie diffuse dai mezzi di controinformazione *
  • boicottando la presenza dell’esercito nelle scuole e nelle piazze
  • disertando le parate militari e le cerimonie nazionaliste
  • sostenendo i movimenti antimilitaristi e quelli che, come il NO MUOS in Sicilia contro le mega antenne satellitari dell’esercito U.S.A., si oppongono alle installazioni militari  o all’acquisto degli F-35
  • solidarizzando con profughi e rifugiati e sostenendo la difesa autorganizzata come quella della Rojava nel Kurdistan siriano.

*www.umanitanova.org    –   www.nomuos.info    –    www.noeffe35.org   –   www.peacelink.it    –    www.disarmo.org  

 

 

ANTIMILITARISTE E ANTIMILITARISTI

ANARCHICHE/I

 

antimili130315

antimili130315-2

 

antimili130315-3

antimili130315-4

antimili130315-5

antimili130315-6

antimili130315-7

antimili130315-8

antimili130315-9

 

 

antimili130315-10

antimili130315-11

PORDENONE: azione contro Banca d’Italia

bancaitaliapordenone18 marzo azione transnazionale contro l’inaugurazione della BCE

Oggi abbiamo simbolicamente chiuso la sede della Banca
d’Italia, parte integrante dal 1998 del sistema europeo delle
banche centrali, per collegarci alla varietà di manifestazioni,
blocchi e altre forme di azione diretta transnazionale contro
l’inaugurazione della nuova sede della Banca Centrale Europea
(BCE), costata 1.300 milioni di euro e annunciata per mercoledì 18
marzo alla presenza di diversi capi di Stato europei e dell’oligarchia
della finanza.

 

 

Continue reading →

Monfalcone: sentenza amianto, attesa infinita e rischio prescrizione

da Il Piccolo del 26 novembre 2014

 

A Monfalcone da oltre un anno aspettano il deposito delle motivazioni del primo grado
Il giudice Trotta: «Ci vuole ancora qualche mese». Incombe la prescrizione A PAGINA 24

Sentenza amianto, attesa infinita

Sono attese dal 15 ottobre 2013. Il magistrato però tranquillizza le parti:
«Tutti possono confidare nella giustizia». «Questa sentenza ha priorità assoluta»
 

Trotta: «Le motivazioni pronte fra qualche mese»

IMPEGNO DOVEROSO Ho il massimo rispetto per tutte le parti processuali Questo rispetto mi sta imponendo dei ritmi serrati

Intanto è in corso in tribunale di Gorizia anche il processo bis per la morte di 72 cantierini, causata dall’amianto, che vede sul banco degli imputati i vertici dell’ex Italcantieri. Con la deposizione dei due consulenti di lunedì si sono conclusi i testi indicati dalla pubblica accusa sostenuta in questo processo dai pm Vaentina Bossi e Laura Collini. Toccherà ora ai testi della parte civile e della difesa che saranno sentiti a partire dalla prossima udienza fissata per il 29 gennaio dal giudice monocratico Nicola Russo (nella foto). Il prossimo 19 maggio inizierà invece, sempre al Tribunale del capoluogo isontino la prima udienza del terzo processo per la morte da amianto riguardante 40 cantierini con imputati sempre i vertici dell’ex Italcantieri e rappresentanti delle ditte esterne.di Corrado Barbacini «La sentenza sulle vittime dell’amianto è una priorità assoluta, è un impegno che non intendo assolutamente disattendere. Sono consapevole dell’importanza della sentenza. Sarà depositata entro qualche mese ma, anche prima, se mi sarà possibile. Tutte le parti processuali possono confidare nella giustizia». Matteo Trotta, presidente del Tribunale di Trieste, parla come giudice monocratico del processo monstre di Gorizia. Un anno e un mese fa ha pronunciato la sentenza di primo grado per la morte causata dall’esposizione all’amianto di 85 operai del cantiere di Monfalcone. Da allora nessuno, nè degli avvocati difensori, nè delle parti civili, ha avuto riscontro concreto attraverso la motivazione delle decisioni del giudice Trotta. E ora più tempo passa più si avvicina il rischio della prescrizione. Anche se, dopo la sentenza di primo grado, resta sempre – a fronte dell’eventualità della prescrizione – la strada del giudice civile ma solo nell’ipotesi in cui appunto la dichiarazione di prescrizione sia intervenuta prima della pronuncia della sentenza. Il 15 ottobre 2013 il giudice Trotta aveva inflitto tredici condanne per omicidio colposo per una pena complessiva di 55 anni e 8 mesi. A Vittorio Fanfani, 93 anni, e Manlio Lippi, 90 anni, al vertice dell’Italcantieri, quelle più pesanti, 7 anni e mezzo di carcere. Seguono poi Giorgio Tupini, 90 anni, ex presidente dell’Italcantieri, 6 anni e 6 mesi. Enrico Bocchini, 90, già presidente del Cda, 6 anni e mesi. Mario Abbona, 90 anni, responsabile aziendale della sicurezza, 4 anni e mezzo. Corrado Antonini, 79 anni, ex direttore generale, 4 anni e 4 mesi. Antonio Zappi, 77 anni, vice direttore, 4 anni e 6 mesi. Aldo La Gioia, 85 anni, responsabile della produzione, 3 anni e 4 mesi. Roberto Schivi, 74 anni, direttore generale del personale, 2 anni e 8 mesi. Cesare Casini, 85 anni, vice direttore generale 2 anni e 6 mesi. Infine, due anni a Glauco Noulian, 89 anni, dirigente della sede centrale, a Italo Massenti, 84 anni, responsabile del settore acquisti e a Livio Minozzi, 67 anni, dirigente dell’ufficio personale. La posizione di La Goia sarà stralciata perchè nel frattempo è deceduto. «Priorità», ripete Trotta. Aggiunge: «Nessun diritto alla giustizia mancato». Poi sottolinea: «Per rispetto di tutte le parti processuali. Questo rispetto mi sta imponendo ritmi di lavoro serrati: devo contemperare l’impegno con l’incarico di presidente del Tribunale di Trieste. Sto facendo un lavoro immenso e molto complesso se si pensa che solo per l’elenco dei capi di imputazione sono state scritte ben 176 pagine». Rileva: «Il compito è davvero notevole. È reso ancora più difficile dalle complesse tematiche da affrontare che non sono esclusivamente giuridiche». Ma anche dalla mole degli atti processuali: oltre 20mila pagine, centinaia di faldoni. Racconta poi la storia di quella sentenza nata da undici processi paralleli. «Furono avviati – dice il giudice Trotta – dopo separati decreti emessi dal gup per plurimi omicidi colposi e lesioni colpose, reati tutti conseguiti a patologie correlate all’asbesto, aggravati dalle violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in materia di tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori esposti alle polveri d’amianto nel cantiere di Monfalcone». Continua: «In quella circostanza era stato ritenuto che la riunione dei processi non avrebbe causato un ritardo nella loro definizione, ma che era funzionale a un’accelerazione dell’iter processuale. Questo in quanto l’istruttoria dibattimentale non aveva avuto ancora inizio in alcuni e in altri doveva essere necessariamente rinnovata. In molti processi era infatti cambiato il giudice e i difensori degli imputati non avevano acconsentito all’utilizzo delle prove assunte dal giudice precedente. Erano inoltre state considerate ragioni non certamente secondarie di economia processuale». E poi spiega: «Le aspettative dei familiari e la legittima attenzione dei mass media, e cioè in definitiva l’aspettativa di giustizia, mi hanno imposto in assenza di soluzioni alternative l’assunzione dell’onere della trattazione degli undici processi». Ripete: «Sono consapevole del rilievo del processo per le vittime e gli imputati».

 

Tempi ritenuti troppo ristretti dai legali per gli eventuali ricorsi. La prima udienza 4 anni e mezzo fa

È la prescrizione il timore delle parti offese

Non solo le parti offese, ma anche i difensori degli imputati condannati sono in attesa delle motivazioni delle sentenza del maxi-processo. Un atto necessario per presentare ricorso alla Corte di appello. Dal giorno della deposizione, i legali hanno tempo 45 giorni per presentare il ricorso. Un termine perentorio, al contrario del giudice che, se è vero che aveva annunciato il giorno della sentenza la motivazione in 90 giorni (poi prorogata di altri 90), non ha tempi limite per consegnare la sua relazione. E per i legali, siccome è scontato che dovranno esaminare migliaia di pagine, i tempi sono davvero ristretti. Le parti civili temono poi che il protrarsi dei tempi intervenga nel secondo grado di giudizio e poi all’eventuale Cassazione la prescrizioni del reato penale (omicidio colposo) per quelle morti più lontane nel tempo. Il tempo tra l’altro è sempre stato tiranno per questa indagine sulle morti da amianto confluita poi nel primo maxi-processo. Ci sono volute 94 udienze e tre anni e mezzo per giungere alla sentenza, importante perché ha aperto la strada agli altri due procedimenti già incardinati al tribunale di Gorizia. Ma ce ne saranno altri perché gli esposti-denuncia continuano a giungere sul tavolo della Procura e si prevede che i decessi a causa dell’assunzione d’amianto continuino fino oltre il 2020: la malattia ha infatti un’incubazione lunga, che può arrivare fino a 35-40 anni e ai cantieri navali di Panzano l’amianto è stato utilizzato fino a metà degli anni Ottanta. Il maxi-processo, iniziato nell’aprile 2010, è nato dopo un’indagine lunga e laboriosa che si era incagliata nelle stanze della Procura goriziana tanto che l’allora procuratore generale Deidda, dopo le proteste dell’Associazione esposti amianto che aveva interessato pure il presidente della Repubblica Napolitano, aveva avocato a sè l’inchiesta. Un’accelerata all’indagine era stata poi data nel 2009 dal procurato capo Ajello che aveva creato un pool composta da magistrati, polizia giudiziaria e tecnici dell’Inail e dell’Ass per informatizzare la gran mole di documenti pari a migliaia di documenti raccolti in 50 faldoni.


da Il Piccolo del 27 novembre 2014

«Quella del giudice Trotta sembra una dichiarazione d’impotenza». Casson: «Più di un anno? Mi sembra un po’ troppo…»

Maran: «Questa è giustizia negata»

L’ESPONENTE DI SCELTA CIVICA Chi altri doveva organizzare il lavoro? Contro la disorganizzazione non c’è legge che tenga
di Laura Borsani A oltre un anno dalla sentenza del primo maxi-processo amianto, pronunciata il 15 ottobre 2013, si dovrà dunque ancora attendere «qualche mese» prima di veder depositate le motivazioni. Si andrà al prossimo anno. Le parole del presidente del Tribunale di Trieste, Matteo Trotta, se volevano rassicurare hanno invece suscitato l’effetto opposto. Parole lette come «un’ammissione di impotenza». Ritardi ritenuti “angoscianti” e “stupefacenti”. L’ex magistrato e attuale senatore del Pd, Felice Casson, ha osservato, pur evidenziando la necessità di “vedere le carte processuali” per essere in grado di esprimere un parere compiuto sul “caso monfalconese”: «Più di un anno, mi sembra un po’ troppo». Ma il senatore di “Scelta civica”, Alessandro Maran, va ben oltre: «Trovo stupefacente – ha esordito – che dopo più di un anno dalla pronuncia della sentenza non sia stata ancora depositata la motivazione. Non c’è dubbio che, come sottolinea il giudice, il compito sia “notevole”, ma quella del presidente del Tribunale di Trieste sembra un’ammissione di impotenza. Chi altri deve redigere e depositare le motivazioni? Chi altri deve organizzare il lavoro? Contro la disorganizzazione non c’è legge che tenga». Maran ha aggiunto: «Prendo atto che per il giudice la sentenza sulle vittime dell’amianto è una priorità assoluta. Sulla questione, tuttavia, interpellerò il Ministro della Giustizia. Una giustizia troppo ritardata è una giustizia negata». Parlare ancora di attesa, sotto l’incedere dei tempi di prescrizione, non può rassicurare. Un processo emblematico e significativo, per il quale sono stati sanciti il reato di omicidio colposo e le relative responsabilità, consegna un quadro che già di per sè s’allontana dall’esigenza di poter avere una giustizia compiuta. L’avvocato Riccardo Cattarini, difensore di due degli imputati al maxi-processo usciti assolti, responsabile regionale giustizia per il Pd, ha definito «angosciante» la prospettiva di altri mesi di attesa circa le motivazioni alla sentenza. Il legale chiama in causa anche il sistema gestionale della giustizia: «È mancato un sostegno complessivo, di tutti ma in particolare dell’amministrazione della giustizia perchè i grandi e indubbiamente riconosciuti sforzi prodotti dalla magistratura fossero portati definitivamente a compimento». Cattarini quindi ha argomentato: «Se da un lato bisogna riconoscere al giudice Trotta, e ancor prima a due bravi sostituti procuratori, Leghissa e Bossi, e a tutti i loro collaboratori, di avere avuto una forza e un’energia incredibili e che senza di loro il maxi-processo non si sarebbe mai celebrato, è davvero angosciante apprendere che si dovrà ancora aspettare. Avevo già definito questo processo storico per il nostro territorio, e ne sono ancora oggi pienamente convinto. Tuttavia, c’è stato un problema che attiene alla gestione della giustizia e questo giustifica i ritardi: Trotta, assieme alla celebrazione del processo, ha dovuto occuparsi di tutte le attività che gli spettavano come presidente del Tribunale di Gorizia, le difficoltà del quale sono a tutti note. Così il processo s’è trascinato qualche volta stancamente, con 3, massimo 4 udienze al mese, mentre ne sarebbero state necessarie almeno una quindicina, quasi tutti i giorni, al massimo a giorni alterni. Ora lo stesso magistrato, proprio nel momento in cui aveva iniziato a stendere la motivazione, è stato nominato a presidente del Tribunale di Trieste: carica evidentemente importante, ma che gli porta via un sacco di tempo in questioni organizzative e che non hanno nulla a che fare con la stesura delle motivazioni alla sentenza per il processo di Gorizia, e il rischio-prescrizione inevitabilmente cresce».

da Il Piccolo del 28 novembre 2014
 
SCANDALO AMIANTO

«A Monfalcone prescrizione rischio vero»

Duro documento di Bruno Pesce, coordinatore dei famigliari delle vittime di Casale: «Reale rischio di decadenza del reato». BORSANI A PAGINA 22
 
Duro commento di Bruno Pesce, coordinatore dei familiari delle vittime di Casale: «Reale rischio di estinzione del reato»

«Per Monfalcone la giustizia si è bloccata»

di Laura Borsani Oltre un anno di attesa delle motivazioni alla sentenza del maxi-processo amianto, pronunciata il 15 ottobre 2013, è il segno tangibile che la giustizia si è bloccata. Lo sostiene, non senza sorpresa e manifestando «piena solidarietà a tutti i congiunti delle vittime di Monfalcone e del suo territorio», il coordinatore dell’Associazione famigliari e vittime amianto di Casale Monferrato e Cavagnolo, Bruno Pesce. Dalla comunità ancora scossa dalla sentenza di Cassazione che ha azzerato il processo Eternit in virtù della prescrizione del reato di disastro ambientale doloso, non sono giunte solo manifestazioni di vicinanza al Monfalconese. Le parole sono forti e chiare: «Di fronte al caso di Monfalcone – osserva Pesce -, si prende atto che la giustizia si è bloccata. Questa situazione può creare, se non lo ha già fatto, il rischio che a danno di una parte sempre maggiore delle vittime e delle parti civili sopraggiungano le prescrizioni del reato». Romana Blasotti Pavesi, nata a Gorizia, dalla sua “trincea giudiziaria” piemontese ha osservato: «Sono molto arrabbiata. Nonostante i miei 85 anni, non voglio perdere la speranza che si giunga non solo a condannare i responsabili delle vittime dell’amianto, ma anche tutti coloro che si sono arricchiti sulla pelle dei lavoratori deceduti». Pesce esprime un concetto di fondo: «Prolungare in tempi incredibilmente lunghi la conclusione di un processo che riconosca il diritto di giustizia e il danno subito dalle vittime, significa premiare chi commette il reato. Questi ritardi della giustizia rappresentano un regalo di impunità per i responsabili riconosciuti colpevoli, mentre non c’è una minima garanzia di salvaguardia per le vittime di questo reato. La sentenza di Cassazione per il processo Eternit – aggiunge Pesce – ha privilegiato il garantismo assoluto a chi ha commesso il danno. Così viene presa a calci la giustizia per le vittime. È indegno per un Paese che voglia anche solo assomigliare ad essere civile». Pesce conclude: «Dal giorno della sentenza di Cassazione, abbiamo avuto altre quattro vittime per mesotelioma. Se dunque il disastro ambientale è ancora in corso, e lo sarà anche nei prossimi anni, come si può dichiararlo prescritto?».