Avaria alla centrale nucleare di Krsko

da Il Piccolo del 13 ottobre 2013

Scoperta avaria alla centrale nucleare di Krsko

Non ci sarebbero state contaminazioni. L’impianto sloveno, a 100 km da Trieste, è fermo dal primo ottobre per lavori di manutenzione

Avaria alla centrale nucleare slovena di Krsko. È emersa durante le operazioni di manutenzione dell’impianto connesse all’esame delle condizioni di tre elementi del combustibile nucleare della centrale. Gli esperti – secondo quanto è stato diffuso questa sera dall’emittente televisiva Telecapodistria – hanno rinvenuto guasti meccanici alle barre radioattive della cui esistenza sospettavano già da tre mesi durante le regolari misurazioni che avevano effettuato per controllarne la stabilità atomica. L’inconveniente non ha causato la fuoriuscita di materiale radioattivo dal ciclo secondario della centrale e, da questo, nell’ambiente. La centrale di Krsko è ferma dal primo ottobre per lavori di manutenzione straordinaria che dureranno tutto il mese, cioè il tempo necessario per revisionare l’intero impianto e il suo sistema di sicurezza. Il costo degli interventi – hanno precisato i responsabili – si aggira sui 30 milioni di euro. Ai lavori vi partecipano i 620 dipendenti della centrale nucleare e i 1.500 tecnici esterni specializzati.

 

Pagina 10 – Attualità

LA SLOVENIA SMORZA L’allarme

Danni superiori al previsto nella centrale di Krsko

Problemi inaspettati o maggiori del previsto, ma nessun pericolo né per l’impianto, né per l’ambiente e la popolazione che vive attorno alla centrale. Malgrado le rassicurazioni, ha comunque fatto preoccupare molti, tra Lubiana e Zagabria, l’annuncio dato ieri dalla direzione della centrale nucleare slovena di Krsko – inattiva da inizio ottobre per lavori di manutenzione programmata – dell’individuazione di «danni» di natura meccanica a tre elementi di combustibile del reattore. In una nota, la Nuklearna Elektrarna Krsko ha specificato che la scoperta è avvenuta «nell’ambito delle operazioni pianificate di manutenzione» all’impianto. Dopo «l’ispezione degli elementi combustibili» rimossi dal reattore, 121 in totale, sono stati accertati «danni di natura meccanica» alle «barre di combustibile di tre» di essi, ha specificato il comunicato. Comunicato che ha inoltre aggiunto che «le cause» del danno «possono essere differenti» e che «al momento sono in corso verifiche con ultrasuoni» sugli elementi in questione per individuare la ragione del danneggiamento e per evitare simili problemi in futuro. Problemi che, ha specificato Rtv, la tv pubblica slovena in un articolo online significativamente intitolato «riparazioni minori necessarie a Krsko», erano stati evidenziati già «nei mesi scorsi» da alcuni tecnici dell’impianto, che avevano «notato una specifica attività delle particelle radioattive nel liquido di raffreddamento», ma dato che «le particelle erano molto al di sotto dei livelli permessi», le verifiche erano state rinviate fino al «checkup programmato». In ogni caso, ha informato l’agenzia di stampa croata Hina, il numero uno della centrale, Stane Rozman, ha assicurato che da una parte i danni rilevati sono stati superiori al previsto, ma al tempo stesso che non ci sono motivi di allarme, non essendo state registrate fughe radioattive né all’interno della centrale, né all’esterno. Rozman ha aggiunto che i test e le verifiche strutturali all’impianto continueranno fino alla scoperta delle cause specifiche del danno e che il periodo di manutenzione pianificata, che doveva durare 35 giorni, potrebbe essere leggermente prolungato. Centrale che, ricordiamo, dal primo ottobre è stata spenta per permettere di revisionare l’impianto e i suoi sistemi di sicurezza, di sostituire gli elementi di combustibile esauriti, 56 su 121 per la precisione, il ricambio del combustibile e l’ispezione completa di tutti gli impianti meccanici ed elettrici, questi ultimi da potenziare. Ai lavori, che costeranno circa 30 milioni di euro, stanno partecipando i 620 dipendenti di Krsko, centrale in funzione da trent’anni che produce quasi il 40% dell’energia elettrica in Slovenia, insieme a 1.500 tecnici esterni specializzati.

 

da Il Piccolo del 1 ottobre 2013

Manutenzione straordinaria: stop di un mese alla centrale di Krsko

L’impianto nucleare sloveno verrà riacceso il 5 novembre. In questi 35 giorni in programma importanti lavori di revisione e di messa a punto del sistema di sicurezza

Nuovo stop per la centrale nucleare slovena di Krsko. È stata spenta per lavori di manutenzione già programmati e rimarrà inattiva per poco più di un mese il tempo necessario cioè per revisionare l’intero impianto e il suo sistema di sicurezza.

Il fermo è in atto dalla notte scorsa e il reattore verrà riacceso il 5 di novembre. In questi 35 giorni – assicura la direzione dell’impianto – verranno effettuate tutte le operazioni di revisione e manutenzione in particolare sul sistema di sicurezza. Verranno anche sostituite le barre di uranio esaurite, 56 delle complessive 121 e si procederà al ricambio del combustibile, alla revisione degli impianti meccanici, dei sistemi elettrici e di tutte le componenti che costituiscono la struttura della centrale.

«Apporteremo migliorie al sistema di misurazione della temperatura, ammoderneremo l’impianto di aerazione e cambieremo uno dei convertitori di energia potenziando la funzionalità dell’impianto elettrico» ha confermato il direttore della centrale Stane Rozman. Con questo intervento ordinario si chiude un ciclo decennale di revisione della centrale nucleare. Il costo degli interventi si aggira sui 30 milioni di euro. Ai lavori vi partecipano i 620 dipendenti della centrale nucleare e i 1.500 tecnici esterni specializzati. Nell’ultimo ciclo di combustibile, Krsko ha prodotto otto milioni di megawattore di corrente elettrica, quasi il 40 per cento del fabbisogno nazionale. La centrale slovena, che dista da Trieste 140 chilometri, è in funzione da 30 anni.

 

da AGI

Nucleare: ferma per un mese centrale slovena Krsko

22:12 01 OTT 2013

(AGI) – Trieste, 1 ott. – Nuovo stop per la centrale nucleare slovena di Krsko. E’ stata spenta per lavori di manutenzione gia’ programmati e rimarra’ inattiva per poco piu’ di un mese il tempo necessario cioe’ per revisionare l’intero impianto e il suo sistema di sicurezza. Il fermo e’ in atto dalla notte scorsa e il reattore verra’ riacceso il 5 di novembre. In questi 35 giorni – assicura la direzione dell’impianto – verranno effettuate tutte le operazioni di revisione e manutenzione in particolare sul sistema di sicurezza. Verranno anche sostituite le barre di uranio esaurite, 56 delle complessive 121 e si procedera’ al ricambio del combustibile, alla revisione degli impianti meccanici, dei sistemi elettrici e di tutte le componenti che costituiscono la struttura della centrale. .

DUMBLES /OGM; gli Organismi Geneticamente Miracolati di Futuragra

Intanto le parole.
Da un po’ di tempo in qua la crew Futuragra sostituisce la M di OGM con l’aggettivo Migliorati.
Questo perchè la campagna di sfondamento ogm sì, a partire dal Friuli prevede il pensopositivo per il Mon 810 ed il peste fame et cancro per tutti gli altri mais, soprattutto quelli da coltivazioni biologiche.
Perciò prima della mietitura miracolosa il giornale locale pubblica un articolo con questo titolo: “Tumori all’esofago: ‘imputata’ la polenta”, lo direbbe una ricerca la quale ci spiega in sintesi che chi di mais si nutre, di tumore muore, a meno che quel mais non sia quello di cui sopra.
Ma prima ancora  si sono pubblicati altri spot  in cui più o meno si dichiarava che “C’è vita sul mais gm”, piante rigogliose brulicanti di biodiversità, pannocchie  belle, brave, buone rispetto alle altre brutte sporche e cattive…. Pannocchie che nessun altro parassita, …diabrotica, afidi, nottua…  che la troppa pioggia, il troppo secco, le erbacce,… nujeUn miracùl!!  Un vero miracolo se si pensa che il costrutto è “migliorato” solo per far morire la piralide-
Piralide: “farfalla che infesta le coltivazioni di mais tradizionale e genera micotossine estremamente tossiche per l’uomo” (MV 12.10.13).
Si sa che i giornali sono dei divulgatori scientifici molto pasticcioni, ma “la piralide che genera micotossine” è proprio una citazione, ed è del professore incaricato di svolgere le analisi sulle colture in questione. Chissà se le “genera”, per via orale o anale o via ovidutto o attraverso un apposito canale micotossinogeno….  No, perchè detto e scritto così, sembra che le micotossine le fa la piralide; perciò:  no piralide, no micotossine.
Non è così purtroppo, le micotossine sono collegate sì alla piralide ma non solo e non solo sul mais… e la scienza lo sa; ma questa scienza non lo dice, anzi.
I nostri nonni e nonne grandi mangiator* di polenta -che non avevano altro-, avrebbero dovuto morire tutti di quel brutto male; non ci pare, ci pare che ne capiti più alla generazione successiva che di polenta ne mangia assai poca… vai a sapere… che della famosa ricerca non è dato conoscere autore, pubblicazione, revisione, protocolli sperimentali, procedure ecc.
Con le ricerche è così, difficile capire chi la spunta; i topi di Seralini nutriti ad ogm e deformati da tumori di ogni tipo o i poveri pordenonesi ed in subordine tutti gli altri mangiatori di polenta.
La scienza ci dà ragione” canta di gallo Dalla Libera; non ne avevamo dubbi; fintantochè le rilevazioni vengono fatte da persone sostenitrici del biotech in agricoltura.
Magnifici anche i servizi del tg3 regionale brillanti per mancanza di contradditorio, in particolare quello di ieri.
Quello di oggi invece ci ha mostrato il mais colorato dai no global, nel campo sbagliato, che il mais a vederlo è tutto uguale, anzi, quando noi abbiamo visto quello  di Fidenato, ci è sembrato pure più brutto di quello normale perchè già in prima fila c’erano tre piante con il carbone; non dimentichiamo che anche quella dopotutto è vita!
Fidenato ha trebbiato, pare, qualche tempo fa; Dalla Libera oggi, come illustrato dal suddetto tg.
Dalla Libera aveva ricevuto un‘ordinanza della Direzione regionale risorse agricole e forestali che gli poneva il limite per la trebbiatura entro il 10 ottobre. Oggi siamo il 12.
Poi si raccomandavano altre cose tipo le operazioni di trebbiatura che devono limitare al minimo la caduta di cariossidi e di granella al suolo, e poi le macchine utilizzate che devono essere “assoggettate a diligente svuotamento e pulizia in modo da assicurare l’eliminazione di ogni residuo di prodotto ogm…” , poi il trasporto che deve avvenire “con l’utilizzo di mezzi stagni” ed il divieto di spigolatura e viavanti per evitare il granello clandestino che altrimenti in primavera bisogna diserbare tutto.
Insomma una serie di ordini che la regione ha emesso per non voler dire di no, in forma di sì condizionato di cui la prima condizione è già stata bellamente disattesa.
Parole quindi,  anche quelle dell’ordinanza, ma con una premessa che è l’acquasanta  generatrice di questo e di tutti i miracoli a venire: “…la messa in coltura di varietà di mais Mon810…. non può essere assoggettata ad una procedura nazionale di autorizzazione…”
Piace vincere facile?

UDINE/ 15 ottobre assemblea studenti

Udine martedì 15 ottobre ore 15.00 assemblea studenti in Piazza Libertà

assemblea studenti

 

ANTIFA/ Bilancio iniziativa e rassegna stampa su Gelindo Citossi (Romano il Manzin)

Superate le 350 visite a questa pagina | L’iniziativa | Report e foto

Un bel colpo messo a segno!

15-ottobre-2013-udine 45

Troppo facile fare solo commemorazioni “fuori casa” senza aggancio con la realtà e le sue contraddizioni e senza disturbare gli equilibri politici, generali e, soprattutto, locali. Il Manzìn ha trovato ora, in loco, un riferimento irriducibile dove depositare la sua eredità ideale e politica. Staremo a vedere se prevarrà ancora il miserabile opportunismo di Pietro Del Frate, sindaco ex comunista (sostenuto da lega e udc), al terzo mandato,  che ha dedicato la “casa del mutilato” ad un ex segretario dell’ MSI e trema solo all’idea di dover trattare la questione del Manzin a San Giorgio di Nogaro.

Paolo De Toni

San Giorgio di Nogaro 15 ottobre 2013

 

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CIE DI GRADISCA: sempre in cattive acque

Dal Piccolo del 15/10/13

Cie, sbloccate le paghe ai dipendenti

GRADISCA Inizia a sbloccarsi la vertenza per l’erogazione dei salari ai dipendenti di Cie e Cara. Come denunciato dal Piccolo nei giorni scorsi, una settantina di lavoratori delle due strutture per migranti non riceveva lo stipendio da ormai 4 mesi. Nel caso di alcuni liberi professionisti (a esempio il personale sanitario) le mensilità arretrate erano addirittura sei. Alla fine della scorsa settimana, a quanto risulta al nostro giornale, da parte dell’ente gestore – il consorzio siciliano Connecting People – sono stati sbloccati alcuni pagamenti. Seppure a scaglioni, i dipendenti hanno ricevuto la paga di giugno, mentre alcuni infermieri si sono visti erogare le spettanze dello scorso aprile. Questo dovrebbe consentire a breve alla Prefettura di scongelare ulteriori somme provenienti dal Viminale per il servizio di gestione interno all’ex caserma Polonio, garantendo dunque a Connecting la liquidità necessaria per procedere con gli altri arretrati. La situazione rimane comunque molto delicata e i lavoratori non intendono abbassare la guardia, seppure la loro agitazione non sia stata tecnicamente formalizzata nè ufficialmente sostenuta dai sindacati. Intanto ci sono dei cambiamenti in vista nell’assetto di Connecting People. L’assemblea dei soci del consorzio cooperativistico trapanese, svoltasi a Roma, ha portato alla formazione di un nuovo consiglio di amministrazione e a un nuovo presidente. Nuovo legale rappresentante è Orazio Micalizzi, già alla guida del consorzio e attualmente al vertice di Luoghi Comuni, una coop legata a Connecting People. Succede a Giuseppe Scozzari. Scozzari e Micalizzi figurano fra le 13 persone rinviate a giudizio con l’accusa di truffa ai danni dello Stato e inadempienza in pubbliche forniture al termine dell’inchiesta sugli appalti al Cie e al Cara. L’udienza è in programma il prossimo 22 ottobre. Secondo l’accusa i vertici di Connecting avrebbero truffato allo Stato 1 milione e 800 mila euro riferiti alla gestione del Cie nel periodo 2008-2011; 500mila euro invece riguardano il Cara. Una truffa che, secondo la Procura, sarebbe avvenuta gonfiando i numeri delle presenze degli ospiti all’interno dei centri immigrati. Indagati di falso anche il viceprefetto vicario Gloria Sandra Allegretto e il ragioniere capo Telesio Colafati. Luigi Murciano

 

 

 Dal Piccolo del 11/10/13

I dipendenti di Cie e Cara: «Senza stipendio da 4 mesi»

GRADISCA Senza stipendi da quattro mesi. Le bollette da pagare, i figli da vestire e mandare a scuola. I mutui, il bollo auto, le spese di ogni giorno. Tutto diventa estremamente complicato. Ma una certezza c’è e ben fotografa la situazione: «Facciamo pena anche agli immigrati. Molti di noi stanno come e peggio di loro». Loro sono i dipendenti del Cie e Cda-Cara, una settantina in tutto fra la struttura di trattenimento per clandestini e quella riservata ai richiedenti asilo e ai profughi che sbarcano in Sicilia. Un anno dopo i pesanti ritardi nell’erogazione dei salari, l’incubo si sta ripetendo. Ancora una volta. Gli operatori – inquadrati nelle cooperative collegate all’ente gestore Connecting People – non vedono gli stipendi da luglio. Ma nel caso dei liberi professionisti che prestano la propria opera nei centri i ritardi arriverebbero anche a sei mesi. «Siamo allo stremo – fanno sapere alcuni lavoratori -. Solo i sindacati di polizia, che ringraziamo, hanno denunciato pubblicamente le nostre condizioni di lavoro. Siamo stanchi di questo continuo palleggio di responsabilità, come tutti abbiamo diritto a una vita dignitosa». Connecting People, consorzio cooperativistico siciliano che gestisce il Cie dal 2008 (il Cara dal 2009) ha sempre motivato la mancata erogazione degli stipendi con la carenza di liquidità dovuta ai ritardi nei trasferimenti dallo Stato centrale alla Prefettura per i servizi erogati. Per contro, l’ente governativo ha asserito di avere sbloccato le somme destinate ai salari, scaricando la responsabilità sull’azienda. Da che parte stia la verità agli operatori sembra interessare poco. Le persone che abbiamo incontrato hanno lo sguardo stanco, perso nel vuoto. Non si fanno illusioni. Neppure sull’operato dei sindacati: «Non hanno mai saputo o voluto compiere azioni incisive, ci sentiamo lasciati soli». Uno sciopero pare eventualità praticamente impossibile. «Primo, perchè in molti hanno paura di ritorsioni e di perdere il posto. Secondo, perchè si configurerebbe un’interruzione di servizio. Non lavoriamo su macchinari, ma con le persone». Un lavoro logorante, sempre in prima linea per mille euro al mese. E delicato, pure: al Cie si lavora in un clima spesso ostile, fra minacce e a volte aggressioni; al Cara si tocca con mano il dramma di chi scappa dalla guerra e dalla fame. Come mantenere la lucidità sapendo di non potere sbarcare il lunario? A due operatori è stato riscontrato l’esaurimento nervoso. «Continuiamo a lavorare per senso di responsabilità, ma è dura. Indennità di rischio non ve ne sono. I turni sono sempre più ravvicinati e massacranti». Ed emergono le storie più disparate. Chi non ha più i soldi per la benzina, chi rischia il sequestro del mezzo perché non può permettersi la rata dell’assicuazione. Nelle ultime ore un’altra operatrice si è vista staccare la corrente domestica perchè inadempiente con le bollette. «Una richiedente asilo sa delle nostre difficoltà e paga le merendine per mio figlio e voleva darmi i soldi per un paio di pantaloni. Mi ha detto: tu stai peggio di me in questo momento» è il paradossale racconto di una donna. «Io vivo da sola e per mangiare sono costretta a chiedere i soldi a mio padre che è molto anziano. È umiliante». (l.m.)

 

 

STUDENTI TRIESTE: corteo sotto la piogga

Dal Piccolo del 12/10/13

Traffico impazzito per il corteo studentesco

Più sicurezza nelle scuole e due netti no alle prove d’ingresso Invalsi e al finanziamento alle scuole private a discapito di quelle pubbliche. Quasi 300 studenti sotto una pioggia scrosciante hanno scelto ieri mattina di scendere in strada pacificamente e di urlare ad alta voce i motivi del loro dissenso. Scortato da polizia e carabinieri in assetto antisommossa il colorato corteo promosso dall’Uds, una volta lasciatosi alle spalle piazza Goldoni, si è incamminato verso via Carducci, effettuando una prima significativa sosta in piazza Oberdan davanti al Palazzo del Consiglio regionale. «Cosa aspettate politici, aspettate il morto?», è stato urlato da un partecipante, riferendosi alla pessima situazione in cui giacciono tanti edifici scolastici e alla contemporanea accusa di scarso interesse da parte delle istituzioni per quanto riguarda gli interventi da apportare per quantomeno appianare la situazione attuale. Esibendo gli striscioni “Alzati, indignati, manifesta per una scuola una migliore” e “La scuola è un diritto, finanziarla un dovere”, il corteo si è spostato in direzione di via Ghega sino a fare tappa in piazza della Libertà. Davanti alla stazione dei treni, ad attendere i manifestanti, una trentina di poliziotti piazzati davanti all’ingresso dell’edificio. «Col caschetto e il manganello siete come i playmobil», la risposta da parte degli studenti di fronte agli uomini in divisa. Tra fumogeni, slogan quali “No tav!” e “Via via la polizia”, con in sottofondo le note di Modena City Ramblers, Manu Chao e altri artisti, sventolando bandiere rosse e vessilli di Uds e Fiom, il corteo ha proseguito lentamente la sua strada verso le rive. Dopo un’altra sosta mirata, ma sempre pacifica, davanti alla Banca d’Italia, i ragazzi, passate oltre due ore dall’inizio della loro rumorosa marcia sotto la pioggia, sono finalmente giunti a destinazione in piazza Unità con assemblea finale davanti alla Prefettura, anch’essa controllata da Digos e forze dell’ordine in assetto antisommossa. Tanti i vigili urbani impegnati a dirigere il traffico congestionato con automobilisti inferociti di fronte ad una città semiparalizzata. «E’ assurdo bloccarci per una manifestazione studentesca”, ha urlato una donna al volante del suo Suv. Qualcuno però ha avuto parole di elogio. «Avanti così ragazzi, voi siete il futuro, fate bene a protestare e lottare», il commento di un anziano. E intanto oggi l’Uds ha indetto un’assemblea al multicultural center di via Valdirivo. Riccardo Tosques

 

Honsell, questura e vigili: avete rotto i coglioni!

http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2013/10/15/news/blitz-della-polizia-all-ex-caserma-piave-sorpresi-una-ventina-di-senza-tetto-1.7928150

 

 

Blitz della polizia all’ex caserma Piave:

sorpresi una ventina di senza-tetto

Foto – La caserma – Come vivevano

Udine, sono quasi tutti romeni che si erano organizzati anche per scaldarsi e fare il bucato. Al lavoro Squadra volante e Municipale

 

 

 

 

    di Anna Rosso

    UDINE. Blitz della polizia e dei vigili urbani all’ex caserma Piave. Gli agenti si sono presentati nell’edificio abbandonato intorno alle 7 di questa mattina e hanno sorpreso una ventina di senza-tetto, quasi tutti romeni (solo due gli italiani), che si erano organizzati anche per scaldarsi – con alcune bombole – e fare il bucato.

    Al lavoro in tutta la zona compresa tra le vie Catania (una laterale di via Lumignacco) e Calatafimi (laterale di via Marsala) gli uomini della Squadra volante. Tutti i romeni sono poi stati condotti in questura per accertamenti che sono ancora in corso.

    Al termine del controllo dell’ex sito militare le pattuglie della Municipale hanno trovato diverse biciclette che sono state sequestrate per poter verificare se siano state rubate.

    L’ex caserma Piave, ormai da anni, viene utilizzata come rifugio da tutte quelle persone che si ritrovano senza un posto dove dormire. I controlli delle forze dell’ordine sono periodici e quasi sempre vengono sorpresi “irregolari”.

     

    Priebke/ Il Prefetto autorizza i funerali; bloccati dalla gente!

     

     

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    Repubblica link
     
    Priebke, scontri neonazisti-dimostranti /   vd   /   ft   Albano, calci e urla contro carro funebre /  video
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
    Priebke, caos e tensione ai funerali ad Albano
    Ingresso vietato ai neonazi, esequie sospese
    Centinaia di persone in piazza: assassino

    Priebke, caos e tensione ai funerali ad Albano   Ingresso vietato ai neonazi, esequie sospese  Centinaia di persone in piazza: assassino

     

    Corriere della Sera

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    Processo amianto: padroni assassini! Tutti condannati.

    da Il Piccolo del 16 ottobre 2013

    Pagina 1 – Prima Pagina

    Amianto, 13 condanne per 85 morti

    Sentenza a Gorizia: la pena più alta (oltre 7 anni) agli ex direttori di Italcantieri

    I vertici dell’ex Italcantieri sono responsabili della morte di 85 lavoratori del cantiere di Monfalcone deceduti per le malattie professionali legate all’esposizione all’amianto. Lo afferma la sentenza che ieri pomeriggio è stata emessa dal Tribunale di Gorizia dal giudice monocratico Matteo Trotta dopo una camera di consiglio durata sei ore e mezza. Alla lettura della sentenza erano presenti numerosi familiari delle vittime. Tredici le condanne per omicidio colposo per una pena complessiva di 55 anni e 8 mesi. Di questi, 7 anni e mezzo (la pena maggiore) sono andati ai due ex direttori del cantiere, Vittorio Fanfani e Manlio Lippi. Riconosciuti anche dal giudice i risarcimenti a tutte le parti civili. Soddisfatta l’Associazione esposti amianto.

     

    REAZIONI

    Le vedove: «Ora tutti sanno chi ha ucciso i nostri cari»

     

    Pagina 18 – Regione

    Tredici condanne per l’amianto killer

    Emessa la sentenza del processo per la morte di 85 cantierini: 55 anni e 8 mesi ai vertici Italcantieri per omicidio colposo

    GORIZIA I vertici dell’ex Italcantieri sono responsabili della morte dei lavoratori del cantiere di Panzano deceduti per le malattie professionali legate all’esposizione all’amianto. Lo afferma la sentenza che ieri pomeriggio è stata emessa al tribunale di Gorizia dal giudice monocratico Matteo Trotta dopo una camera di consiglio durata sei ore e mezza, dalle 10 alle 16.30. Tredici le condanne per omicidio colposo per una pena complessiva di 55 anni e 8 mesi. A Vittorio Fanfani, 93 anni, e Manlio Lippi, 90 anni, al vertice dell’Italcantieri, le condanne più pesanti, 7 anni e mezzo di carcere; seguono poi Giorgio Tupini, 90 anni, ex presidente dell’Italcantieri, 6 anni e 6 mesi; Enrico Bocchini, 90, già presidente del Cda, 6 anni e 6 mesi; Mario Abbona, 90 anni, responsabile aziendale della sicurezza, 4 anni e mezzo; Corrado Antonini, 79 anni, ex direttore generale, 4 anni e 4 mesi; Antonio Zappi, 77 anni, vice direttore, 4 anni e 6 mesi; Aldo La Gioia, 85 anni, responsabile della produzione, 3 anni e 4 mesi; Roberto Schivi, 74 anni, direttore generale del personale, 2 anni e 8 mesi; Cesare Casini, 85 anni, vice direttore generale 2 anni e 6 mesi; due anni di reclusione sono stati infine comminati a Glauco Noulian, 89 anni, dirigente della sede centrale, a Italo Massenti, 84 anni, responsabile del settore acquisti e a Livio Minozzi, 67 anni, dirigente dell’ufficio personale. Questi ultimi tre sono i soli a beneficiare della sospensione condizionale della pena. Tutti gli imputati condannati sono stati interdetti temporaneamente dagli uffici direttivi delle imprese per la durata della pena. Ventidue le assoluzioni. Come richiesto dai pm il giudice ha assolto per non aver commesso il fatto gli addetti alla sicurezza Marino Visintin e Mario Bilucaglia. Assolti anche altri cinque dipendenti dell’Italcantieri – Giancarlo Testa, Roberto Picci, Peppino Maffioli, Saverio Di Macco e Vittorio Carratù – pure per non aver commesso il fatto perché privi di alcun potere decisionale o perché la loro permanenza ai vertici dell’Italcantieri è stata talmente breve da non poter imputare loro alcuna responsabilità nella morte dei cantierini. Assolti per non aver commesso il fatto (in un paio di casi per intervenuta prescrizione) i titolari delle ditte esterne: Amedeo Lia, Curzio Tossut, Carlo Viganò, Attilio Dall’Osso, Roy Rhode, Ronald Rhode, Mario Pagliani, Ervino Lenardon, Omero Blazei, Liana Colamaria, Lino Crevatin, Renzo Meneghin, Gino Caron, Gianni Poggi e Giorgio Vanni. La sentenza conferma l’impianto accusatorio della pubblica accusa – il pm Valentina Bossi al termine dell’udienza si è detta molto soddisfatta della sentenza – anche se le pene sono lievemente inferiori alle richieste. Siamo certamente al processo di 1° grado, sono attesi altri due giudici (Appello e Cassazione), ma la sentenza del tribunale di Gorizia si può definire storica, perché è la prima in regione in materia di esposizione all’amianto e perché fa chiarezza sulle responsabilità di chi ha permesso che nel cantiere di Panzano venisse usato fino ai primi anni Ottanta l’amianto nella costruzione delle navi quando già si conosceva la sua pericolosità per la salute dei lavoratori. Una sentenza che era attesa da 15 anni, da quando a Monfalcone era sorta l’associazione degli esposti che aveva chiesto a gran voce che si facesse giustizia e si desse una risposta alle centinaia di vedove che avevano visto morire i loro cari per asbestosi o tumori provocati dall’amianto. Bisognerà ora attendere la motivazione della sentenza – sarà depositata entro 90 giorni – per capire meglio come e quali sono le responsabilità che vengono addossate ai dirigenti dell’Italcantieri. Ma si può già affermare, anche leggendo le 12 pagine del dispositivo, che non è una sentenza generica che colpisce nel mucchio e fa di tutta l’erba un fascio. Anzi il giudice Trotta, come d’altra parte avevano fatto i pubblici ministeri, ha esaminato minuziosamente le posizioni degli imputati relativi agli 85 morti di cui al lungo capo di imputazione. E per alcuni decessi ed anche per le lesioni di alcune parti offese, il giudice ha dichiarato l’assoluzione di tutti gli imputati per non aver commesso il fatto oppure il non doversi procedere perché il reato è prescritto.

     

    «Ora tutti sanno chi ha ucciso i nostri cari»

    Lo sfogo delle vedove. Rita Nardi: «Spero che d’ora in avanti i colpevoli trascorrano notti di dolore»

    un composto silenzio Non c’è stato un applauso liberatorio alla lettura del verdetto l’amaro sfogo Ma i sindacati dov’erano quando gli operai si ammalavano?

    GORIZIA È durata 31 minuti la lettura della sentenza da parte del giudice monocratico Matteo Trotta: una sequenza zeppa di riferimenti tecnico-giuridici da cui si coglievano ogni tanto i nomi delle vittime e degli imputati. Quasi un tragico rosario in cui ogni grana corrispondeva un morto da amianto. Trentuno minuti di alta tensione emotiva, in un’aula zeppa come mai nelle precedenti 93 udienze, tensione che non si è sciolta nemmeno nell’ultima parte della lettura, la più chiara a tutti, quando Trotta ha sciorinato i nomi dei condannati e l’entità della pena per ciascuno. Ci si aspettava un applauso liberatorio alla fine di tutto, che però non c’è stato. Non un cenno di approvazione e tantomeno di dissenso. Solo un composto silenzio. È stata la risposta a chi riteneva che il clima creatosi attorno a questo processo potesse impedire al giudice una decisione serena e per questo era ricorso al principio della legittima suspicione. «Vede? Questi sarebbero i terroristi che volevano vendetta», dice un esposto. In fondo, a sinistra, nell’aula di giustizia avevano trovato posto le vedove dell’amianto, le prime ad arrivare, un quarto d’ora prima dell’ora fissata per la sentenza, alcune con le magliette di “Amianto mai più”. C’era Rita Nardi, l’ex presidente dell’Aea, con lei Rita Sgorbissa, Anna Maria Pizzignacco, Nevia Pacco, Vanda Michelin, Laura Meneghetti, Anna Maria Declich, e altre. Aspettando, si erano quasi strette l’una all’altra per darsi coraggio. «Ho il cuore in gola», ha confessato Rita Nardi prima dell’ingresso del giudice. All’inizio della lettura le vedove si sono alzate in piedi per vedere e sentire meglio: sono rimaste quasi incredule quanto il dottor Trotta ha sciorinato una lunga serie di assoluzioni per prescrizione, atti peraltro dovuti, previsti anche nelle richieste del pubblico ministero («Queste assoluzioni sono il frutto dei ritardi accumulatisi prima che il presidente Napolitano si facesse sentire», ha rilevato Chiara Paternoster dell’Aea), ma in quel momento assai preoccupanti per chi stava aspettando giustizia dopo anni di dolore, sofferenza e carte bollate. La tensione si è in parte sciolta quando Trotta ha elencato le condanne. Rita Nardi, in piedi sulla panca, ha alzato le braccia al cielo ma dalla sua bocca non è uscito neanche un sussurro. «A me non interessano le entità delle condanne – ha mormorato -, mi basta sapere che la legge li ha riconosciuti colpevoli, che sono loro ad aver causato la morte dei nostri cari. Spero che d’ora in avanti trascorrano notti di sofferenza e dolore come siamo state costrette a trascorrere noi». Qualche moto di dissenso, ma a denti stretti e sottovoce da parte di alcune vedove nel momento in cui il giudice ha elencato le provvisionali a favore delle parti civili mal sopportando la presenza dei sindacati («Ma dove erano quando i nostri si ammalavano?»). Alla fine della lettura, non è volata una mosca, solo qualche lacrima e abbracci liberatori. Non un applauso, non un grido o una contestazione. «Finalmente questa tortura è finita – afferma Rita Nardi. Ma non sono contenta». «Non riesco a provare alcuna sensazione, se non la soddisfazione di avere avuto giustizia. Ora possiamo finalmente sapere quale è la verità, chi ha permesso che i nostri cari morissero come topi in quel cantiere».

     

    Il presidente dell’Associazione esposti: «È solo una goccia di giustizia»

    Corrado Antonini L’ex leader della Fincantieri al tempo dei fatti contestatigli era direttore generale di Italcantieri: è stato condannato a 4 anni e 4 mesi
    Matteo Trotta Il giudice monocratico del Tribunale di Gorizia mentre legge la sentenza che condanna tredici alti dirigenti dell’ex Italcantieri per omicidio colposo
    Sara Vito L’assessore regionale all’Ambiente, presente in aula, ha proposto alla presidente Serracchiani di utilizzare la provvisionale per la lotta all’amianto
    Carmelo Cuscunà Secondo il novantenne presidente dell’Associazione esposti all’amianto, la sentenza del Tribunale goriziano è «solo una goccia di giustizia».

     

     

    da Il Piccolo

    Processo amianto Monfalcone, 13 condanne per omicidio colposo

    Dopo tre anni di processo scanditi da 94 udienze si è concluso al Tribunale di Gorizia il primo maxi-processo per la morte di 85 operai del cantiere navale di Monfalcone a causa dell’esposizione all’amianto.

    Il giudice unico Matteo Trotta ha inflitto 13 condanne per omicidio colposo e altri reati correlati. Gli imputati erano 35.

    Le condanne più pesanti riguardano gli ex direttori dell’Italcantieri Vittorio Fanfani (7 anni e sette mesi) e Manlio Lippi (sette anni e sei mesi).

    Assolti i responsabili della sicurezza interna al cantiere e i titolari delle ditte che lavoravano in appalto.

    Il giudice ha anche condannato gli imputati al risarcimento dei danni nei confronti di quattro vedove. Le altre avevano già ottenuto in separata sede un indennizzo da parte di Fincantieri.

    Infine, condannati gli imputati al pagamento di quanto richiesto dalle parte civili (Regione, Provincia di Gorizia, Comune di Monfalcone, Associazione esposti amianto, Fiom, Inail, Codacons).

    Al momento della sentenza, la cui lettura si è protratta per oltre trenta minuti, erano presenti in aula molte vedove, gli aderenti all’Aea e diversi amministratori pubblici del Monfalconese.

     

    da Il Piccolo del 15 ottobre 2013 Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

    Amianto, è il giorno della sentenza

    Se non ci saranno altri rinvii, la 94.a udienza dovrebbe porre fine oggi alla richiesta di giustizia dei familiari di 85 operai

    Siamo arrivati al giorno delle sentenza. Forse. Sì, perché questo maxi-processo all’amianto ci ha riservato nel passato non poche sorprese come quella del 25 giugno quando l’avvocato Alessandro Cassiani difensore di Giorgio Tupini ha chiesto, tra lo stupore e l’incredulità di gran parte dell’aula del tribunale, il trasferimento del processo ad altra sede per legittimo sospetto. E c’è chi teme che anche oggi dalla folta schiera dei legali non emerga qualche altra richiesta procedurale per frenare la conclusione di un processo, iniziato il 10 aprile di tre anni fa. Ma a palazzo di giustizia i bookmaker invitano a scommettere su una sentenza emessa nella giornata odierna dopo una camera di consiglio del giudice monocratico Matteo Trotta che non si presenta di breve durata, anche per il fascicolo procedurale e molto consistente: lo slittamento potrebbe essere tuttalpiù di 24 ore nell’ipotesi che alla replica del pubblico ministero Valentina Bossi – l’altro pm Luigi Leghissa il 7 ottobre scorso ha preso servizio alla Procura di Caltanisetta – seguano quelle degli avvocati di parte civile e della difesa. Si tratta di brevi interventi ma che, visto il numero elevato di legali, potrebbero occupare l’intera giornata. L’udienza di oggi, la 94.ma da quando è iniziato il processo, inizierà con la comunicazione del giudice Trotta del respingimento da parte della Corte di Cassazione del ricorso presentato dall’avvocato Cassiani e discusso a Roma nell’udienza dello scorso 24 settembre. Quindi la parola spetterebbe al pm per l’eventuale replica, ma se questa non ci fosse il giudice si ritirerebbe in camera di consiglio per emettere la sentenza. In questo processo devono rispondere di omicidio colposo 35 imputati -all’inizio erano 41 ma nel frattempo sei sono deceduti – tra vertici dell’ex Italcantieri, responsabili della sicurezza e titolari delle ditte esterne che lavoravano nel cantiere di Panzano per la morte 85 lavoratori deceduti per malattie professionali legate all’esposizione all’amianto. I pubblici ministeri al termine della loro lunga requisitoria avevano chiesto la condanna per 13 amministratori e dirigenti della Fincantieri per complessivi 70 anni. Le pene maggiori, 9 anni e mezzo, sono state avanzate per Vittorio Fanfani, 93 anni, e Manlio Lippi, 90 anni; 7 anni e 3 mesi per Enrico Bocchini; 3 anni e mezzo per Mario Abbona, 6 anni per Antonio Zappi, 5 anni e 4 mesi per Corrado Antonini, 4 anni e 4 mesi per Aldo La Gioia, 3 anni e mezzo per Roberto Schivi, 3 anni e 3 mesi per Cesare Casini, 3 anni per Livio Minozzi, 2 anni e 4 mesi per Glauco Noulian e Italo Massenti. Assoluzioni invece per i rappresentanti delle ditte appaltanti e per sei dipendenti dell’allora Italcantieri perché ritenuti dai pm privi di alcun potere decisionale all’interno dell’azienda. Assoluzioni sono state chieste invece dai difensori di tutti gli imputati. La gran parte delle famiglie delle vittime costituitesi parte civile è uscita dal processo perché ha ottenuto il risarcimento danni. Sono rimaste nel processo le parti civili istituzionali come la Regione, la Provincia, il Comune di Monfalcone, l’Inail, la Fiom Cgil, l’Associazione esposti amianto e le associazioni dei consumatori.

     

    Sì all’appello di Aea: sindaci e sindacati saranno in aula

    Aveva provocato una profonda ferita per l’Aea e i famigliari delle vittime dell’amianto il ricorso per “legittimo sospetto” da parte di una delle difese che aveva messo a rischio, dopo 93 udienze, la sentanza di primo grado del maxi-processo. Un sospetto di inquinamento del clima processuale che era stato respinto dall’associazione «viste la compostezza e la dignità con cui abbiamo sempre sostenuto la nostra rivendicazione di giustizia». Viene da qui l’appello lanciato dall’Aea «ai singoli cittadini, agli operai, alle associazioni di categoria e ai rappresentanti degli enti pubblici» a partecipare oggi alla lettura della sentenza da parte del giudice Matteo Trotta (almeno così si spera) in tribunale a Gorizia, «non per fare del processo uno spettacolo, ma per una più incisiva presa di coscienza di un’esperienza e di un dramma collettivo». Una chiamata a raccolta, quella di Aea, che non dovrebbe restare inascoltata, visto che nel maxi-processo si sono costituiti parti civili anche Regione, Provincia di Gorizia, Comune di Monfalcone, Inail e Cgil, oltre alla stessa Aea. A rispondere all’appello ci sarà sicuramente il sindaco di Monfalcone Silvia Altran con tanto di fascia tricolore: «Ci sarò – ha detto ieri -. Ritengo doveroso che tutte le persone coinvolte in questo dramma abbiano diritto di sentire una parola di giustizia dopo essere state maltrattate per troppi anni dalle istituzioni. Lo Stato è il grande assente in questa vicenda: non ha saputo dotarsi di una legge sull’amianto quando già si conosceva la pericolosità della fibra. Certo ci sono ancora passi da fare sul fronte dello smaltimento e del Centro di ricerca e cura delel malattie da amianto. Ma ciò che brucia oggi è soprattutto ciò che non è stato fatto». A rappresentare il Comune di Ronchi sarà in tribunale l’assessore Enrico Masarà in rappresentanza del sindaco Roberto Fontanot. «È scoraggiante commentare questo appuntamento – afferma Fontanot – di fronte a un clamoroso caso di giustizia negata a cittadini che hanno pagato sulla loro pelle il concetto che il profitto viene prima della salute». Ci sarà invece il sindaco di Staranzano Lorenzo Presot. «Sì, sarò in tribunale. Anche se, nella sostanza, questa sentenza ha un valore più simbolico che concreto per i malati e le famiglie delle vittime che potranno almeno vedere un risultato della loro battaglia. Ma ce ne sono altre da portare a termine: smaltimento, Centro amianto. È venuto il momento di muoversi, la Regione deve assumersi le sue responsabilità». Mancherà all’appuntamento invece l’onorevole Giorgio Brandolin, a Roma in Parlamento. «Seguirò questa giornata da lontano – dice -. Ho una storia personale di coinvolgimento diretto in questa vicenda che mi impone il silenzio. Certo non sono un giustizialista: da presidente della Provincia ho dato il mio contributo alla prevenzione delle malattie di amianto con progetti concreti sul territorio che però poi non sono stati sostenuti. Spero che questa sentenza possa almeno creare una nuova coesione e dare dei risultati». «Quella che tutti ci aspettiamo – afferma il presidente della Provincia Enrico Gherghetta, che conferma la sua presenza – sarà comunque una sentenza storica, un principio di giustizia che, spero, faccia capire a tutti che la salute viene prima del profitto. Ma è solo il primo atto, restano numerose questioni aperte. C’è la questione dello smaltimento, c’è quella del Centro di riferimento. È su queste che ci giochiamo il futuro. È una sentenza che lasciamo con speranza ai nostri figli». Oggi a Gorizia ci sarà pure la Cgil-Fiom con un suo striscione e con i suoi esponenti provinciali. A rappresentarla ci sarà sicuramente Moreno Luxich della Rsu-Fiom Fincantieri. «Spero di non assistere a un nuovo rinvio – afferma -. Questo è stato un processo troppo lungo e per certi versi strano: confido che almeno questo primo atto possa chiudersi con un segnale di giustizia. Ma non ci si dovrà fermare: ci sono ancora tanti morti da amianto e ci saranno per parecchio tempo. Bisogna sbrigarsi con l’istituzione di un Centro amianto, magari transfrontaliero».

    UDINE/ Articolo mv sugli studenti + valutazioni

    pubblica piazze
    antifa Stiamo attraversando una fase molto difficile. Oramai tutti gli indicatori sociologici dicono che la gente si è chiusa in se stessa. A maggior ragione in questa situazione è importante mantenere la continuità delle iniziative e non interiorizzare la rassegnazione perché altrimenti si dissolve il tessuto politico-organizzativo e poi ci vorranno anni per ricostituirlo.  Un plauso agli studenti per essere andati in Piazza a fare la loro riunione. Il fatto di essere in grado di montare un’iniziativa organizzata, con impianto, gazebo, bandiere e striscioni, è comunque un bel segnale e in ogni caso ha avuto risonanza giornalistica.
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    Poi siamo stati a dare un’occhiata all’assemblea dell’USB all’Hotel Cristallo anche lì, 20 / 25  persone.

    Se un’organizzazione sindacale fa un’iniziativa in una sala del genere significa che si aspettava qualcosa di più ovviamente.

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    Messaggero Veneto 16 ottobre 2013

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    Michela Zanutto

    UDINE. Assemblea in piazza Libertà, ieri pomeriggio, per una trentina di ragazzi del Movimento studentesco. Un’azione provocatoria per sottolineare «l’assenza di spazi sociali in città», spiegano i giovani che hanno abbandonato la risistemazione dell’ex caserma Osoppo perché «l’amministrazione è venuta meno ai patti» (esiste una convenzione fra la cooperativa fondata dai ragazzi e il Comune). E c’è anche un secondo motivo di scontro che vede i giovani contrapporsi alla giunta Honsell: il parcheggio di piazza Primo maggio. «Un’opera inutile e dannosa», dicono.

    Mentre una delegazione del movimento parteciperà sabato alla manifestazione di Roma, si prepara anche il prossimo corteo a Udine: probabilmente sabato 23 novembre gli studenti scenderanno in piazza per il rispetto del diritto allo studio. Intanto i ragazzi hanno deciso di chiedere un incontro alla dirigente del liceo artistico Sello, Rossella Rizzatto, per discutere delle recenti evacuazioni della scuola. Provvedimenti d’emergenza causati dai lavori dello scavo del parcheggio di piazza Primo maggio e dalle conseguenti vibrazioni. «Perché questa volta il fan club del parcheggio l’ha fatta grossa – hanno detto ieri i giovani –: non soltanto ha disturbato le lezioni del Sello, ma ha anche procurato vibrazioni in modo continuativo e per un lungo periodo di tempo. Una situazione tale che ha consigliato l’evacuazione della scuola. Insomma il diritto a poter studiare senza essere disturbati è stato scavalcato dalla necessità dell’opera pubblica. Una necessità tutta da provare». Infatti, il Movimento studentesco appoggia il Comitato Zardin grant – nato proprio per ostacolare l’opera – ed è convinto dell’inutilità di quell’investimento: «Perché un altro parcheggio sotterraneo quando ci sono già più di due mila posti nei parcheggi a pagamento esistenti – chiedono i giovani –. Un parcheggio da 11 milioni di euro, ma perché i soldi pubblici non vengono mai spesi per qualcosa di costruttivo come l’istruzione e le scuole. Ogni giorno siamo alle prese con la carenza di aule, banchi, manutenzione, ristrutturazione, insegnanti di sostegno, fondi per i corsi aggiuntivi, soldi per pagare gli insegnanti. Perché quegli 11 milioni non vengono reinvestiti nell’istruzione?».

    L’International student movement ha fissato per i giorni che vanno da domenica 17 a sabato 23 novembre, la settimana del diritto allo studio. E proprio in quel frangente anche gli studenti friulani scenderanno in piazza. «Chiederemo il rispetto dei nostri diritti che comprendono pure l’apertura di spazi sociali».