ANTIFA/ Bilancio iniziativa e rassegna stampa su Gelindo Citossi (Romano il Manzin)

Superate le 350 visite a questa pagina | L’iniziativa | Report e foto

Un bel colpo messo a segno!

15-ottobre-2013-udine 45

Troppo facile fare solo commemorazioni “fuori casa” senza aggancio con la realtà e le sue contraddizioni e senza disturbare gli equilibri politici, generali e, soprattutto, locali. Il Manzìn ha trovato ora, in loco, un riferimento irriducibile dove depositare la sua eredità ideale e politica. Staremo a vedere se prevarrà ancora il miserabile opportunismo di Pietro Del Frate, sindaco ex comunista (sostenuto da lega e udc), al terzo mandato,  che ha dedicato la “casa del mutilato” ad un ex segretario dell’ MSI e trema solo all’idea di dover trattare la questione del Manzin a San Giorgio di Nogaro.

Paolo De Toni

San Giorgio di Nogaro 15 ottobre 2013

 

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CIE DI GRADISCA: sempre in cattive acque

Dal Piccolo del 15/10/13

Cie, sbloccate le paghe ai dipendenti

GRADISCA Inizia a sbloccarsi la vertenza per l’erogazione dei salari ai dipendenti di Cie e Cara. Come denunciato dal Piccolo nei giorni scorsi, una settantina di lavoratori delle due strutture per migranti non riceveva lo stipendio da ormai 4 mesi. Nel caso di alcuni liberi professionisti (a esempio il personale sanitario) le mensilità arretrate erano addirittura sei. Alla fine della scorsa settimana, a quanto risulta al nostro giornale, da parte dell’ente gestore – il consorzio siciliano Connecting People – sono stati sbloccati alcuni pagamenti. Seppure a scaglioni, i dipendenti hanno ricevuto la paga di giugno, mentre alcuni infermieri si sono visti erogare le spettanze dello scorso aprile. Questo dovrebbe consentire a breve alla Prefettura di scongelare ulteriori somme provenienti dal Viminale per il servizio di gestione interno all’ex caserma Polonio, garantendo dunque a Connecting la liquidità necessaria per procedere con gli altri arretrati. La situazione rimane comunque molto delicata e i lavoratori non intendono abbassare la guardia, seppure la loro agitazione non sia stata tecnicamente formalizzata nè ufficialmente sostenuta dai sindacati. Intanto ci sono dei cambiamenti in vista nell’assetto di Connecting People. L’assemblea dei soci del consorzio cooperativistico trapanese, svoltasi a Roma, ha portato alla formazione di un nuovo consiglio di amministrazione e a un nuovo presidente. Nuovo legale rappresentante è Orazio Micalizzi, già alla guida del consorzio e attualmente al vertice di Luoghi Comuni, una coop legata a Connecting People. Succede a Giuseppe Scozzari. Scozzari e Micalizzi figurano fra le 13 persone rinviate a giudizio con l’accusa di truffa ai danni dello Stato e inadempienza in pubbliche forniture al termine dell’inchiesta sugli appalti al Cie e al Cara. L’udienza è in programma il prossimo 22 ottobre. Secondo l’accusa i vertici di Connecting avrebbero truffato allo Stato 1 milione e 800 mila euro riferiti alla gestione del Cie nel periodo 2008-2011; 500mila euro invece riguardano il Cara. Una truffa che, secondo la Procura, sarebbe avvenuta gonfiando i numeri delle presenze degli ospiti all’interno dei centri immigrati. Indagati di falso anche il viceprefetto vicario Gloria Sandra Allegretto e il ragioniere capo Telesio Colafati. Luigi Murciano

 

 

 Dal Piccolo del 11/10/13

I dipendenti di Cie e Cara: «Senza stipendio da 4 mesi»

GRADISCA Senza stipendi da quattro mesi. Le bollette da pagare, i figli da vestire e mandare a scuola. I mutui, il bollo auto, le spese di ogni giorno. Tutto diventa estremamente complicato. Ma una certezza c’è e ben fotografa la situazione: «Facciamo pena anche agli immigrati. Molti di noi stanno come e peggio di loro». Loro sono i dipendenti del Cie e Cda-Cara, una settantina in tutto fra la struttura di trattenimento per clandestini e quella riservata ai richiedenti asilo e ai profughi che sbarcano in Sicilia. Un anno dopo i pesanti ritardi nell’erogazione dei salari, l’incubo si sta ripetendo. Ancora una volta. Gli operatori – inquadrati nelle cooperative collegate all’ente gestore Connecting People – non vedono gli stipendi da luglio. Ma nel caso dei liberi professionisti che prestano la propria opera nei centri i ritardi arriverebbero anche a sei mesi. «Siamo allo stremo – fanno sapere alcuni lavoratori -. Solo i sindacati di polizia, che ringraziamo, hanno denunciato pubblicamente le nostre condizioni di lavoro. Siamo stanchi di questo continuo palleggio di responsabilità, come tutti abbiamo diritto a una vita dignitosa». Connecting People, consorzio cooperativistico siciliano che gestisce il Cie dal 2008 (il Cara dal 2009) ha sempre motivato la mancata erogazione degli stipendi con la carenza di liquidità dovuta ai ritardi nei trasferimenti dallo Stato centrale alla Prefettura per i servizi erogati. Per contro, l’ente governativo ha asserito di avere sbloccato le somme destinate ai salari, scaricando la responsabilità sull’azienda. Da che parte stia la verità agli operatori sembra interessare poco. Le persone che abbiamo incontrato hanno lo sguardo stanco, perso nel vuoto. Non si fanno illusioni. Neppure sull’operato dei sindacati: «Non hanno mai saputo o voluto compiere azioni incisive, ci sentiamo lasciati soli». Uno sciopero pare eventualità praticamente impossibile. «Primo, perchè in molti hanno paura di ritorsioni e di perdere il posto. Secondo, perchè si configurerebbe un’interruzione di servizio. Non lavoriamo su macchinari, ma con le persone». Un lavoro logorante, sempre in prima linea per mille euro al mese. E delicato, pure: al Cie si lavora in un clima spesso ostile, fra minacce e a volte aggressioni; al Cara si tocca con mano il dramma di chi scappa dalla guerra e dalla fame. Come mantenere la lucidità sapendo di non potere sbarcare il lunario? A due operatori è stato riscontrato l’esaurimento nervoso. «Continuiamo a lavorare per senso di responsabilità, ma è dura. Indennità di rischio non ve ne sono. I turni sono sempre più ravvicinati e massacranti». Ed emergono le storie più disparate. Chi non ha più i soldi per la benzina, chi rischia il sequestro del mezzo perché non può permettersi la rata dell’assicuazione. Nelle ultime ore un’altra operatrice si è vista staccare la corrente domestica perchè inadempiente con le bollette. «Una richiedente asilo sa delle nostre difficoltà e paga le merendine per mio figlio e voleva darmi i soldi per un paio di pantaloni. Mi ha detto: tu stai peggio di me in questo momento» è il paradossale racconto di una donna. «Io vivo da sola e per mangiare sono costretta a chiedere i soldi a mio padre che è molto anziano. È umiliante». (l.m.)

 

 

STUDENTI TRIESTE: corteo sotto la piogga

Dal Piccolo del 12/10/13

Traffico impazzito per il corteo studentesco

Più sicurezza nelle scuole e due netti no alle prove d’ingresso Invalsi e al finanziamento alle scuole private a discapito di quelle pubbliche. Quasi 300 studenti sotto una pioggia scrosciante hanno scelto ieri mattina di scendere in strada pacificamente e di urlare ad alta voce i motivi del loro dissenso. Scortato da polizia e carabinieri in assetto antisommossa il colorato corteo promosso dall’Uds, una volta lasciatosi alle spalle piazza Goldoni, si è incamminato verso via Carducci, effettuando una prima significativa sosta in piazza Oberdan davanti al Palazzo del Consiglio regionale. «Cosa aspettate politici, aspettate il morto?», è stato urlato da un partecipante, riferendosi alla pessima situazione in cui giacciono tanti edifici scolastici e alla contemporanea accusa di scarso interesse da parte delle istituzioni per quanto riguarda gli interventi da apportare per quantomeno appianare la situazione attuale. Esibendo gli striscioni “Alzati, indignati, manifesta per una scuola una migliore” e “La scuola è un diritto, finanziarla un dovere”, il corteo si è spostato in direzione di via Ghega sino a fare tappa in piazza della Libertà. Davanti alla stazione dei treni, ad attendere i manifestanti, una trentina di poliziotti piazzati davanti all’ingresso dell’edificio. «Col caschetto e il manganello siete come i playmobil», la risposta da parte degli studenti di fronte agli uomini in divisa. Tra fumogeni, slogan quali “No tav!” e “Via via la polizia”, con in sottofondo le note di Modena City Ramblers, Manu Chao e altri artisti, sventolando bandiere rosse e vessilli di Uds e Fiom, il corteo ha proseguito lentamente la sua strada verso le rive. Dopo un’altra sosta mirata, ma sempre pacifica, davanti alla Banca d’Italia, i ragazzi, passate oltre due ore dall’inizio della loro rumorosa marcia sotto la pioggia, sono finalmente giunti a destinazione in piazza Unità con assemblea finale davanti alla Prefettura, anch’essa controllata da Digos e forze dell’ordine in assetto antisommossa. Tanti i vigili urbani impegnati a dirigere il traffico congestionato con automobilisti inferociti di fronte ad una città semiparalizzata. «E’ assurdo bloccarci per una manifestazione studentesca”, ha urlato una donna al volante del suo Suv. Qualcuno però ha avuto parole di elogio. «Avanti così ragazzi, voi siete il futuro, fate bene a protestare e lottare», il commento di un anziano. E intanto oggi l’Uds ha indetto un’assemblea al multicultural center di via Valdirivo. Riccardo Tosques

 

Honsell, questura e vigili: avete rotto i coglioni!

http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2013/10/15/news/blitz-della-polizia-all-ex-caserma-piave-sorpresi-una-ventina-di-senza-tetto-1.7928150

 

 

Blitz della polizia all’ex caserma Piave:

sorpresi una ventina di senza-tetto

Foto – La caserma – Come vivevano

Udine, sono quasi tutti romeni che si erano organizzati anche per scaldarsi e fare il bucato. Al lavoro Squadra volante e Municipale

 

 

 

 

    di Anna Rosso

    UDINE. Blitz della polizia e dei vigili urbani all’ex caserma Piave. Gli agenti si sono presentati nell’edificio abbandonato intorno alle 7 di questa mattina e hanno sorpreso una ventina di senza-tetto, quasi tutti romeni (solo due gli italiani), che si erano organizzati anche per scaldarsi – con alcune bombole – e fare il bucato.

    Al lavoro in tutta la zona compresa tra le vie Catania (una laterale di via Lumignacco) e Calatafimi (laterale di via Marsala) gli uomini della Squadra volante. Tutti i romeni sono poi stati condotti in questura per accertamenti che sono ancora in corso.

    Al termine del controllo dell’ex sito militare le pattuglie della Municipale hanno trovato diverse biciclette che sono state sequestrate per poter verificare se siano state rubate.

    L’ex caserma Piave, ormai da anni, viene utilizzata come rifugio da tutte quelle persone che si ritrovano senza un posto dove dormire. I controlli delle forze dell’ordine sono periodici e quasi sempre vengono sorpresi “irregolari”.

     

    Priebke/ Il Prefetto autorizza i funerali; bloccati dalla gente!

     

     

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    Repubblica link
     
    Priebke, scontri neonazisti-dimostranti /   vd   /   ft   Albano, calci e urla contro carro funebre /  video
     
     
     
     
     
     
     
     
     
     
    Priebke, caos e tensione ai funerali ad Albano
    Ingresso vietato ai neonazi, esequie sospese
    Centinaia di persone in piazza: assassino

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    Corriere della Sera

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    Processo amianto: padroni assassini! Tutti condannati.

    da Il Piccolo del 16 ottobre 2013

    Pagina 1 – Prima Pagina

    Amianto, 13 condanne per 85 morti

    Sentenza a Gorizia: la pena più alta (oltre 7 anni) agli ex direttori di Italcantieri

    I vertici dell’ex Italcantieri sono responsabili della morte di 85 lavoratori del cantiere di Monfalcone deceduti per le malattie professionali legate all’esposizione all’amianto. Lo afferma la sentenza che ieri pomeriggio è stata emessa dal Tribunale di Gorizia dal giudice monocratico Matteo Trotta dopo una camera di consiglio durata sei ore e mezza. Alla lettura della sentenza erano presenti numerosi familiari delle vittime. Tredici le condanne per omicidio colposo per una pena complessiva di 55 anni e 8 mesi. Di questi, 7 anni e mezzo (la pena maggiore) sono andati ai due ex direttori del cantiere, Vittorio Fanfani e Manlio Lippi. Riconosciuti anche dal giudice i risarcimenti a tutte le parti civili. Soddisfatta l’Associazione esposti amianto.

     

    REAZIONI

    Le vedove: «Ora tutti sanno chi ha ucciso i nostri cari»

     

    Pagina 18 – Regione

    Tredici condanne per l’amianto killer

    Emessa la sentenza del processo per la morte di 85 cantierini: 55 anni e 8 mesi ai vertici Italcantieri per omicidio colposo

    GORIZIA I vertici dell’ex Italcantieri sono responsabili della morte dei lavoratori del cantiere di Panzano deceduti per le malattie professionali legate all’esposizione all’amianto. Lo afferma la sentenza che ieri pomeriggio è stata emessa al tribunale di Gorizia dal giudice monocratico Matteo Trotta dopo una camera di consiglio durata sei ore e mezza, dalle 10 alle 16.30. Tredici le condanne per omicidio colposo per una pena complessiva di 55 anni e 8 mesi. A Vittorio Fanfani, 93 anni, e Manlio Lippi, 90 anni, al vertice dell’Italcantieri, le condanne più pesanti, 7 anni e mezzo di carcere; seguono poi Giorgio Tupini, 90 anni, ex presidente dell’Italcantieri, 6 anni e 6 mesi; Enrico Bocchini, 90, già presidente del Cda, 6 anni e 6 mesi; Mario Abbona, 90 anni, responsabile aziendale della sicurezza, 4 anni e mezzo; Corrado Antonini, 79 anni, ex direttore generale, 4 anni e 4 mesi; Antonio Zappi, 77 anni, vice direttore, 4 anni e 6 mesi; Aldo La Gioia, 85 anni, responsabile della produzione, 3 anni e 4 mesi; Roberto Schivi, 74 anni, direttore generale del personale, 2 anni e 8 mesi; Cesare Casini, 85 anni, vice direttore generale 2 anni e 6 mesi; due anni di reclusione sono stati infine comminati a Glauco Noulian, 89 anni, dirigente della sede centrale, a Italo Massenti, 84 anni, responsabile del settore acquisti e a Livio Minozzi, 67 anni, dirigente dell’ufficio personale. Questi ultimi tre sono i soli a beneficiare della sospensione condizionale della pena. Tutti gli imputati condannati sono stati interdetti temporaneamente dagli uffici direttivi delle imprese per la durata della pena. Ventidue le assoluzioni. Come richiesto dai pm il giudice ha assolto per non aver commesso il fatto gli addetti alla sicurezza Marino Visintin e Mario Bilucaglia. Assolti anche altri cinque dipendenti dell’Italcantieri – Giancarlo Testa, Roberto Picci, Peppino Maffioli, Saverio Di Macco e Vittorio Carratù – pure per non aver commesso il fatto perché privi di alcun potere decisionale o perché la loro permanenza ai vertici dell’Italcantieri è stata talmente breve da non poter imputare loro alcuna responsabilità nella morte dei cantierini. Assolti per non aver commesso il fatto (in un paio di casi per intervenuta prescrizione) i titolari delle ditte esterne: Amedeo Lia, Curzio Tossut, Carlo Viganò, Attilio Dall’Osso, Roy Rhode, Ronald Rhode, Mario Pagliani, Ervino Lenardon, Omero Blazei, Liana Colamaria, Lino Crevatin, Renzo Meneghin, Gino Caron, Gianni Poggi e Giorgio Vanni. La sentenza conferma l’impianto accusatorio della pubblica accusa – il pm Valentina Bossi al termine dell’udienza si è detta molto soddisfatta della sentenza – anche se le pene sono lievemente inferiori alle richieste. Siamo certamente al processo di 1° grado, sono attesi altri due giudici (Appello e Cassazione), ma la sentenza del tribunale di Gorizia si può definire storica, perché è la prima in regione in materia di esposizione all’amianto e perché fa chiarezza sulle responsabilità di chi ha permesso che nel cantiere di Panzano venisse usato fino ai primi anni Ottanta l’amianto nella costruzione delle navi quando già si conosceva la sua pericolosità per la salute dei lavoratori. Una sentenza che era attesa da 15 anni, da quando a Monfalcone era sorta l’associazione degli esposti che aveva chiesto a gran voce che si facesse giustizia e si desse una risposta alle centinaia di vedove che avevano visto morire i loro cari per asbestosi o tumori provocati dall’amianto. Bisognerà ora attendere la motivazione della sentenza – sarà depositata entro 90 giorni – per capire meglio come e quali sono le responsabilità che vengono addossate ai dirigenti dell’Italcantieri. Ma si può già affermare, anche leggendo le 12 pagine del dispositivo, che non è una sentenza generica che colpisce nel mucchio e fa di tutta l’erba un fascio. Anzi il giudice Trotta, come d’altra parte avevano fatto i pubblici ministeri, ha esaminato minuziosamente le posizioni degli imputati relativi agli 85 morti di cui al lungo capo di imputazione. E per alcuni decessi ed anche per le lesioni di alcune parti offese, il giudice ha dichiarato l’assoluzione di tutti gli imputati per non aver commesso il fatto oppure il non doversi procedere perché il reato è prescritto.

     

    «Ora tutti sanno chi ha ucciso i nostri cari»

    Lo sfogo delle vedove. Rita Nardi: «Spero che d’ora in avanti i colpevoli trascorrano notti di dolore»

    un composto silenzio Non c’è stato un applauso liberatorio alla lettura del verdetto l’amaro sfogo Ma i sindacati dov’erano quando gli operai si ammalavano?

    GORIZIA È durata 31 minuti la lettura della sentenza da parte del giudice monocratico Matteo Trotta: una sequenza zeppa di riferimenti tecnico-giuridici da cui si coglievano ogni tanto i nomi delle vittime e degli imputati. Quasi un tragico rosario in cui ogni grana corrispondeva un morto da amianto. Trentuno minuti di alta tensione emotiva, in un’aula zeppa come mai nelle precedenti 93 udienze, tensione che non si è sciolta nemmeno nell’ultima parte della lettura, la più chiara a tutti, quando Trotta ha sciorinato i nomi dei condannati e l’entità della pena per ciascuno. Ci si aspettava un applauso liberatorio alla fine di tutto, che però non c’è stato. Non un cenno di approvazione e tantomeno di dissenso. Solo un composto silenzio. È stata la risposta a chi riteneva che il clima creatosi attorno a questo processo potesse impedire al giudice una decisione serena e per questo era ricorso al principio della legittima suspicione. «Vede? Questi sarebbero i terroristi che volevano vendetta», dice un esposto. In fondo, a sinistra, nell’aula di giustizia avevano trovato posto le vedove dell’amianto, le prime ad arrivare, un quarto d’ora prima dell’ora fissata per la sentenza, alcune con le magliette di “Amianto mai più”. C’era Rita Nardi, l’ex presidente dell’Aea, con lei Rita Sgorbissa, Anna Maria Pizzignacco, Nevia Pacco, Vanda Michelin, Laura Meneghetti, Anna Maria Declich, e altre. Aspettando, si erano quasi strette l’una all’altra per darsi coraggio. «Ho il cuore in gola», ha confessato Rita Nardi prima dell’ingresso del giudice. All’inizio della lettura le vedove si sono alzate in piedi per vedere e sentire meglio: sono rimaste quasi incredule quanto il dottor Trotta ha sciorinato una lunga serie di assoluzioni per prescrizione, atti peraltro dovuti, previsti anche nelle richieste del pubblico ministero («Queste assoluzioni sono il frutto dei ritardi accumulatisi prima che il presidente Napolitano si facesse sentire», ha rilevato Chiara Paternoster dell’Aea), ma in quel momento assai preoccupanti per chi stava aspettando giustizia dopo anni di dolore, sofferenza e carte bollate. La tensione si è in parte sciolta quando Trotta ha elencato le condanne. Rita Nardi, in piedi sulla panca, ha alzato le braccia al cielo ma dalla sua bocca non è uscito neanche un sussurro. «A me non interessano le entità delle condanne – ha mormorato -, mi basta sapere che la legge li ha riconosciuti colpevoli, che sono loro ad aver causato la morte dei nostri cari. Spero che d’ora in avanti trascorrano notti di sofferenza e dolore come siamo state costrette a trascorrere noi». Qualche moto di dissenso, ma a denti stretti e sottovoce da parte di alcune vedove nel momento in cui il giudice ha elencato le provvisionali a favore delle parti civili mal sopportando la presenza dei sindacati («Ma dove erano quando i nostri si ammalavano?»). Alla fine della lettura, non è volata una mosca, solo qualche lacrima e abbracci liberatori. Non un applauso, non un grido o una contestazione. «Finalmente questa tortura è finita – afferma Rita Nardi. Ma non sono contenta». «Non riesco a provare alcuna sensazione, se non la soddisfazione di avere avuto giustizia. Ora possiamo finalmente sapere quale è la verità, chi ha permesso che i nostri cari morissero come topi in quel cantiere».

     

    Il presidente dell’Associazione esposti: «È solo una goccia di giustizia»

    Corrado Antonini L’ex leader della Fincantieri al tempo dei fatti contestatigli era direttore generale di Italcantieri: è stato condannato a 4 anni e 4 mesi
    Matteo Trotta Il giudice monocratico del Tribunale di Gorizia mentre legge la sentenza che condanna tredici alti dirigenti dell’ex Italcantieri per omicidio colposo
    Sara Vito L’assessore regionale all’Ambiente, presente in aula, ha proposto alla presidente Serracchiani di utilizzare la provvisionale per la lotta all’amianto
    Carmelo Cuscunà Secondo il novantenne presidente dell’Associazione esposti all’amianto, la sentenza del Tribunale goriziano è «solo una goccia di giustizia».

     

     

    da Il Piccolo

    Processo amianto Monfalcone, 13 condanne per omicidio colposo

    Dopo tre anni di processo scanditi da 94 udienze si è concluso al Tribunale di Gorizia il primo maxi-processo per la morte di 85 operai del cantiere navale di Monfalcone a causa dell’esposizione all’amianto.

    Il giudice unico Matteo Trotta ha inflitto 13 condanne per omicidio colposo e altri reati correlati. Gli imputati erano 35.

    Le condanne più pesanti riguardano gli ex direttori dell’Italcantieri Vittorio Fanfani (7 anni e sette mesi) e Manlio Lippi (sette anni e sei mesi).

    Assolti i responsabili della sicurezza interna al cantiere e i titolari delle ditte che lavoravano in appalto.

    Il giudice ha anche condannato gli imputati al risarcimento dei danni nei confronti di quattro vedove. Le altre avevano già ottenuto in separata sede un indennizzo da parte di Fincantieri.

    Infine, condannati gli imputati al pagamento di quanto richiesto dalle parte civili (Regione, Provincia di Gorizia, Comune di Monfalcone, Associazione esposti amianto, Fiom, Inail, Codacons).

    Al momento della sentenza, la cui lettura si è protratta per oltre trenta minuti, erano presenti in aula molte vedove, gli aderenti all’Aea e diversi amministratori pubblici del Monfalconese.

     

    da Il Piccolo del 15 ottobre 2013 Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

    Amianto, è il giorno della sentenza

    Se non ci saranno altri rinvii, la 94.a udienza dovrebbe porre fine oggi alla richiesta di giustizia dei familiari di 85 operai

    Siamo arrivati al giorno delle sentenza. Forse. Sì, perché questo maxi-processo all’amianto ci ha riservato nel passato non poche sorprese come quella del 25 giugno quando l’avvocato Alessandro Cassiani difensore di Giorgio Tupini ha chiesto, tra lo stupore e l’incredulità di gran parte dell’aula del tribunale, il trasferimento del processo ad altra sede per legittimo sospetto. E c’è chi teme che anche oggi dalla folta schiera dei legali non emerga qualche altra richiesta procedurale per frenare la conclusione di un processo, iniziato il 10 aprile di tre anni fa. Ma a palazzo di giustizia i bookmaker invitano a scommettere su una sentenza emessa nella giornata odierna dopo una camera di consiglio del giudice monocratico Matteo Trotta che non si presenta di breve durata, anche per il fascicolo procedurale e molto consistente: lo slittamento potrebbe essere tuttalpiù di 24 ore nell’ipotesi che alla replica del pubblico ministero Valentina Bossi – l’altro pm Luigi Leghissa il 7 ottobre scorso ha preso servizio alla Procura di Caltanisetta – seguano quelle degli avvocati di parte civile e della difesa. Si tratta di brevi interventi ma che, visto il numero elevato di legali, potrebbero occupare l’intera giornata. L’udienza di oggi, la 94.ma da quando è iniziato il processo, inizierà con la comunicazione del giudice Trotta del respingimento da parte della Corte di Cassazione del ricorso presentato dall’avvocato Cassiani e discusso a Roma nell’udienza dello scorso 24 settembre. Quindi la parola spetterebbe al pm per l’eventuale replica, ma se questa non ci fosse il giudice si ritirerebbe in camera di consiglio per emettere la sentenza. In questo processo devono rispondere di omicidio colposo 35 imputati -all’inizio erano 41 ma nel frattempo sei sono deceduti – tra vertici dell’ex Italcantieri, responsabili della sicurezza e titolari delle ditte esterne che lavoravano nel cantiere di Panzano per la morte 85 lavoratori deceduti per malattie professionali legate all’esposizione all’amianto. I pubblici ministeri al termine della loro lunga requisitoria avevano chiesto la condanna per 13 amministratori e dirigenti della Fincantieri per complessivi 70 anni. Le pene maggiori, 9 anni e mezzo, sono state avanzate per Vittorio Fanfani, 93 anni, e Manlio Lippi, 90 anni; 7 anni e 3 mesi per Enrico Bocchini; 3 anni e mezzo per Mario Abbona, 6 anni per Antonio Zappi, 5 anni e 4 mesi per Corrado Antonini, 4 anni e 4 mesi per Aldo La Gioia, 3 anni e mezzo per Roberto Schivi, 3 anni e 3 mesi per Cesare Casini, 3 anni per Livio Minozzi, 2 anni e 4 mesi per Glauco Noulian e Italo Massenti. Assoluzioni invece per i rappresentanti delle ditte appaltanti e per sei dipendenti dell’allora Italcantieri perché ritenuti dai pm privi di alcun potere decisionale all’interno dell’azienda. Assoluzioni sono state chieste invece dai difensori di tutti gli imputati. La gran parte delle famiglie delle vittime costituitesi parte civile è uscita dal processo perché ha ottenuto il risarcimento danni. Sono rimaste nel processo le parti civili istituzionali come la Regione, la Provincia, il Comune di Monfalcone, l’Inail, la Fiom Cgil, l’Associazione esposti amianto e le associazioni dei consumatori.

     

    Sì all’appello di Aea: sindaci e sindacati saranno in aula

    Aveva provocato una profonda ferita per l’Aea e i famigliari delle vittime dell’amianto il ricorso per “legittimo sospetto” da parte di una delle difese che aveva messo a rischio, dopo 93 udienze, la sentanza di primo grado del maxi-processo. Un sospetto di inquinamento del clima processuale che era stato respinto dall’associazione «viste la compostezza e la dignità con cui abbiamo sempre sostenuto la nostra rivendicazione di giustizia». Viene da qui l’appello lanciato dall’Aea «ai singoli cittadini, agli operai, alle associazioni di categoria e ai rappresentanti degli enti pubblici» a partecipare oggi alla lettura della sentenza da parte del giudice Matteo Trotta (almeno così si spera) in tribunale a Gorizia, «non per fare del processo uno spettacolo, ma per una più incisiva presa di coscienza di un’esperienza e di un dramma collettivo». Una chiamata a raccolta, quella di Aea, che non dovrebbe restare inascoltata, visto che nel maxi-processo si sono costituiti parti civili anche Regione, Provincia di Gorizia, Comune di Monfalcone, Inail e Cgil, oltre alla stessa Aea. A rispondere all’appello ci sarà sicuramente il sindaco di Monfalcone Silvia Altran con tanto di fascia tricolore: «Ci sarò – ha detto ieri -. Ritengo doveroso che tutte le persone coinvolte in questo dramma abbiano diritto di sentire una parola di giustizia dopo essere state maltrattate per troppi anni dalle istituzioni. Lo Stato è il grande assente in questa vicenda: non ha saputo dotarsi di una legge sull’amianto quando già si conosceva la pericolosità della fibra. Certo ci sono ancora passi da fare sul fronte dello smaltimento e del Centro di ricerca e cura delel malattie da amianto. Ma ciò che brucia oggi è soprattutto ciò che non è stato fatto». A rappresentare il Comune di Ronchi sarà in tribunale l’assessore Enrico Masarà in rappresentanza del sindaco Roberto Fontanot. «È scoraggiante commentare questo appuntamento – afferma Fontanot – di fronte a un clamoroso caso di giustizia negata a cittadini che hanno pagato sulla loro pelle il concetto che il profitto viene prima della salute». Ci sarà invece il sindaco di Staranzano Lorenzo Presot. «Sì, sarò in tribunale. Anche se, nella sostanza, questa sentenza ha un valore più simbolico che concreto per i malati e le famiglie delle vittime che potranno almeno vedere un risultato della loro battaglia. Ma ce ne sono altre da portare a termine: smaltimento, Centro amianto. È venuto il momento di muoversi, la Regione deve assumersi le sue responsabilità». Mancherà all’appuntamento invece l’onorevole Giorgio Brandolin, a Roma in Parlamento. «Seguirò questa giornata da lontano – dice -. Ho una storia personale di coinvolgimento diretto in questa vicenda che mi impone il silenzio. Certo non sono un giustizialista: da presidente della Provincia ho dato il mio contributo alla prevenzione delle malattie di amianto con progetti concreti sul territorio che però poi non sono stati sostenuti. Spero che questa sentenza possa almeno creare una nuova coesione e dare dei risultati». «Quella che tutti ci aspettiamo – afferma il presidente della Provincia Enrico Gherghetta, che conferma la sua presenza – sarà comunque una sentenza storica, un principio di giustizia che, spero, faccia capire a tutti che la salute viene prima del profitto. Ma è solo il primo atto, restano numerose questioni aperte. C’è la questione dello smaltimento, c’è quella del Centro di riferimento. È su queste che ci giochiamo il futuro. È una sentenza che lasciamo con speranza ai nostri figli». Oggi a Gorizia ci sarà pure la Cgil-Fiom con un suo striscione e con i suoi esponenti provinciali. A rappresentarla ci sarà sicuramente Moreno Luxich della Rsu-Fiom Fincantieri. «Spero di non assistere a un nuovo rinvio – afferma -. Questo è stato un processo troppo lungo e per certi versi strano: confido che almeno questo primo atto possa chiudersi con un segnale di giustizia. Ma non ci si dovrà fermare: ci sono ancora tanti morti da amianto e ci saranno per parecchio tempo. Bisogna sbrigarsi con l’istituzione di un Centro amianto, magari transfrontaliero».

    UDINE/ Articolo mv sugli studenti + valutazioni

    pubblica piazze
    antifa Stiamo attraversando una fase molto difficile. Oramai tutti gli indicatori sociologici dicono che la gente si è chiusa in se stessa. A maggior ragione in questa situazione è importante mantenere la continuità delle iniziative e non interiorizzare la rassegnazione perché altrimenti si dissolve il tessuto politico-organizzativo e poi ci vorranno anni per ricostituirlo.  Un plauso agli studenti per essere andati in Piazza a fare la loro riunione. Il fatto di essere in grado di montare un’iniziativa organizzata, con impianto, gazebo, bandiere e striscioni, è comunque un bel segnale e in ogni caso ha avuto risonanza giornalistica.
    stud-02

     

     

    Poi siamo stati a dare un’occhiata all’assemblea dell’USB all’Hotel Cristallo anche lì, 20 / 25  persone.

    Se un’organizzazione sindacale fa un’iniziativa in una sala del genere significa che si aspettava qualcosa di più ovviamente.

    usb

     infoaction-reporter

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    Messaggero Veneto 16 ottobre 2013

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    Michela Zanutto

    UDINE. Assemblea in piazza Libertà, ieri pomeriggio, per una trentina di ragazzi del Movimento studentesco. Un’azione provocatoria per sottolineare «l’assenza di spazi sociali in città», spiegano i giovani che hanno abbandonato la risistemazione dell’ex caserma Osoppo perché «l’amministrazione è venuta meno ai patti» (esiste una convenzione fra la cooperativa fondata dai ragazzi e il Comune). E c’è anche un secondo motivo di scontro che vede i giovani contrapporsi alla giunta Honsell: il parcheggio di piazza Primo maggio. «Un’opera inutile e dannosa», dicono.

    Mentre una delegazione del movimento parteciperà sabato alla manifestazione di Roma, si prepara anche il prossimo corteo a Udine: probabilmente sabato 23 novembre gli studenti scenderanno in piazza per il rispetto del diritto allo studio. Intanto i ragazzi hanno deciso di chiedere un incontro alla dirigente del liceo artistico Sello, Rossella Rizzatto, per discutere delle recenti evacuazioni della scuola. Provvedimenti d’emergenza causati dai lavori dello scavo del parcheggio di piazza Primo maggio e dalle conseguenti vibrazioni. «Perché questa volta il fan club del parcheggio l’ha fatta grossa – hanno detto ieri i giovani –: non soltanto ha disturbato le lezioni del Sello, ma ha anche procurato vibrazioni in modo continuativo e per un lungo periodo di tempo. Una situazione tale che ha consigliato l’evacuazione della scuola. Insomma il diritto a poter studiare senza essere disturbati è stato scavalcato dalla necessità dell’opera pubblica. Una necessità tutta da provare». Infatti, il Movimento studentesco appoggia il Comitato Zardin grant – nato proprio per ostacolare l’opera – ed è convinto dell’inutilità di quell’investimento: «Perché un altro parcheggio sotterraneo quando ci sono già più di due mila posti nei parcheggi a pagamento esistenti – chiedono i giovani –. Un parcheggio da 11 milioni di euro, ma perché i soldi pubblici non vengono mai spesi per qualcosa di costruttivo come l’istruzione e le scuole. Ogni giorno siamo alle prese con la carenza di aule, banchi, manutenzione, ristrutturazione, insegnanti di sostegno, fondi per i corsi aggiuntivi, soldi per pagare gli insegnanti. Perché quegli 11 milioni non vengono reinvestiti nell’istruzione?».

    L’International student movement ha fissato per i giorni che vanno da domenica 17 a sabato 23 novembre, la settimana del diritto allo studio. E proprio in quel frangente anche gli studenti friulani scenderanno in piazza. «Chiederemo il rispetto dei nostri diritti che comprendono pure l’apertura di spazi sociali».

    Honsell, Ioan, questura, vigili e magistrati: ben vi sta magari peggio!!

     Udine

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    1000,

     

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    Le vie della TAV sono infinite

     

    Basta 

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    con la TAV-novela

    Ma quale “terza via”, se il Ministero ha appena chiesto ad RFI le integrazioni anche sulla tratta veneta e su quella friulana, del progetto 2010?

     Ma quale “terza via” se da Latisana a Torviscosa non ci stanno altri binari in affiancamento alla ferrovia esistente?

    L’unica possibilità è SOLO quella dell’ammodernamento dell’esistente, senza aggiungere altri binari, ma questo significa semplicemente dire NO alla TAV, il che per la Regione e i Comuni è ovviamente impossibile in quanto sottomessi al ricatto della mafia politica.

    Di conseguenza si continuano a inventare sciocchezze (” …individuare con precisione il punto di contatto della linea tra il Veneto e il Friuli Venezia Giulia”  e ancora   ” … per quanto riguarda il Bivio San Polo, richiede di valutare la possibilità di una semplificazione progettuale…”) per tirare avanti la TAV novela, soprattutto per tenere in piedi l’ex-corridoio 5, altrimenti salta anche la Torino-Lione, il che ovviamente non può essere. Infine, si deve ripetere ancora che la vera partita della TAV-TAC-Corridoio 5 si giocava in questa Regione, ma pochi purtroppo lo hanno capito.

     

    Roma No Tav

    roma-notav

     

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    RIGASSIFICATORE: il ministero revoca il permesso!

    La battaglia fa un passo in avanti ma occorre non abbassare la guardia e non fidarsi.

     

     

    Dal Piccolo del 18/10/13

    Rigassificatore, il ministero revoca il permesso ambientale per Zaule

    di Silvio Maranzana Stavolta la pietra tombale sul rigassificatore di Zaule è vicinissima. Il ministero dell’Ambiente ha infatti comunicato ieri di essere sul punto di revocare a Gas Natural il decreto di compatibilità ambientale emesso il 17 luglio 2009 e sospeso per sei mesi con un ulteriore decreto che scade oggi. Alla società catalana vengono dati, in base alla legge, 10 giorni di tempo per presentare le proprie osservazioni eventualmente corredate da documentazione esplicativa. La lettera, firmata dal direttore generale del Ministero, Mariano Grillo, è stata inviata direttamente a Gas Natural e per conoscenza anche a Regione, Provincia, Comune e Autorità portuale di Trieste, oltre che al ministero per i Beni culturali e al ministero dello Sviluppo economico. Immediata la soddisfazione espressa dall’assessore provinciale Vittorio Zollia, il primo a darne notizia, «per una lunga battaglia conclusasi con esito positivo che abbiamo combattuto tutti assieme» e dall’assessore comunale Umberto Laureni per come «Trieste sia riuscita a far pesare il proprio parere e probabilmente a innescare un dibattito su come certe decisioni necessitano di istruttorie approfondite e concordate e non solo di passaggi formali». Il ministero dell’Ambiente nella lettera di ieri ricorda come il decreto sospensivo prevedesse sostanzialmente due vie d’uscita: la possibilità da parte della società proponente di individuare una localizzazione alternativa oppure l’eventualità che l’Autorità portuale ridetermini le previsioni di sviluppo rendendole compatibili con l’impianto. Gas Natural non ha risposto («Alcuna comunicazione risulta pervenuta da parte della società proponente», si fa notare) mentre l’Autority ha inviato le conclusioni cui è giunta la commissione appositamente costituita e che ha rilevato che «non si può provvedere alla rideterminazione delle previsioni di sviluppo espresse dal piano regolatore del porto di Trieste senzza arrecare grave nocumento allo sviluppo dei traffici e del porto medesimo. La Commissione ritiene incompatibile – si evidenzia anche – ogni altra localizzazione del terminal Gnl di rigassificazione all’interno dell’ambito portuale di Trieste per gli stessi motivi e le stesse criticità già evidenziate dal caso dell’impianto localizzato a Zaule». Il ministero dell’Ambiente a questo punto tira in ballo addirittura la pericolosità dell’impianto proposto. «Non risultando essersi verificata nessuna delle condizioni previste dal provvedimento di sospensione – scrive Mariano Grillo – di fatto permangono gli stessi elementi di allarme ambientale, correlati all’attività potenzialmente pericolosa che hanno condotto, in attuazione del principio di precauzione, all’adozione del provvedimento di sospensione dell’efficacia della Via. Ciò posto – è la conclusione – si comunica che, allo stato, la scrivente amministrazione ha intenzione di procedere alla revoca del decreto di pronuncia di compatibilità ambientale». «Certo resta da vedere quali strumenti ha a disposizione Gas Natural per tentare di reagire», ragiona ancora Laureni. Di certo il 19 marzo il Tar dovrà pronunciarsi nel merito sul ricorso presentato dalla società catalana contro il decreto di sospensione anche se quello di revoca che dovrebbe sopraggiungere nel frattempo potrebbe portare a un superamento della questione