Serracchiani: no al rigassificatore

da Il Piccolo del 9 luglio 2013

 

Trieste, Serracchiani scrive a Roma: no al rigassificatore

Lettera inviata ai ministri Orlando, Lupi e Zanonato e per conoscenza al premier Letta: progetto non compatibile con le prospettive del porto

 

La presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, ha comunicato con una lettera al Governo la contrarietà dell’amministrazione regionale al progetto di terminal rigassificatore a terra, presentato da Gas Natural, nella zona industriale di Zaule, a Trieste. Lo ha reso noto oggi l’assessore regionale all’Ambiente, Sara Vito, rispondendo a un’interrogazione nel corso del Question Time al Consiglio regionale. La lettera, inviata ai ministri Orlando, Lupi e Zanonato, e per conoscenza al premier Letta, sottolinea che il progetto è da considerarsi «non compatibile con i progetti e le prospettive dei traffici marittimi nel Porto di Trieste». La stessa missiva sarà inviata alla Commissione europea.

Sistiana: protesta degli operai a Portopiccolo

da Il Piccolo del 9 luglio 2013

 

Operai senza paga, ricevono assicurazione e scendono dalla gru a Portopiccolo

La Rizzani De Eccher disponibile ad anticipare loro il salario che avrebbero dovuto ricevere dalla GR Costruzioni

Sono scesi nel pomeriggio dalla gru del cantiere di Portopiccolo, a Sistiana, i tre operai che da stamani avevano messo in atto il gesto di protesta contro il mancato pagamento dello stipendio da parte della ditta «GR Costruzioni». Dopo una serie di sollecitazioni, anche da parte dei sindacati di categoria, l’azienda appaltatrice del complesso in via di costruzione, la Rizzani De Eccher, si è detta disponibile ad anticipare loro il salario, senza il quale gli operai (un cittadino senegalese e 11 egiziani) non riuscivano nemmeno a sostenere le spese di permanenza nel cantiere.

«Proprio a seguito delle irregolarità riscontrate a carico del subappaltatore, già nelle scorse settimane la Rizzani de Eccher aveva interrotto ogni rapporto con la società G.R. Costruzioni S.r.l.». Lo specifica la Rizzani, sottolineando di essersi assunta tra l’altro «l’onere di accertare ed eventualmente sanare le pendenze di quest’ultima nei confronti del personale che aveva svolto la propria attività presso il cantiere. Non si comprende pertanto quali siano le reali ragioni che hanno portato uno sparuto gruppo di lavoratori ad azioni di un tal tenore, volte a recare nocumento all’andamento dei lavori e all’immagine della Rizzani de Eccher», conclude la nota.

 

Nucleare a Monfalcone

da Il Piccolo del 13 luglio 2013 Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

Maxi-imbarco in porto per una centrale nucleare

Si tratta di due pre-riscaldatori del peso di 140 tonnellate ciascuno costruiti dalla Mangiarotti e destinati al colosso francese Edf

 

Ancora una volta, nonostante i problemi di fondali e di attracchi (al centro dello sciopero dei giorni scorsi) il porto di Monfalcone è al centro dell’attenzione per l’imbarco di carichi eccezionali. Dopo quello di un enorme elemento da 1.200 tonnellate per un impianto negli Emirati arabi, lo scorso anno, ieri è stata la volta di due elementi progettati e realizzati nello stabilimento che il gruppo friulano Mangiarotti ha acquisito due anni fa a poca distanza dal porto. In questo caso si tratta di pre-riscaldatori per l’acqua di raffreddamento, destinati a una centrale nucleare francese del colosso Edf, che sorge lungo il Rodano e attualmente è sottoposta a manutenzione straordinaria. La commessa ottenuta dalla Mangiarotti comprende quattro pre-riscaldatori, per un valore complessivo di alcuni milioni di euro. La costruzione degli altri due è quasi ultimata, e fra circa un mese partiranno anch’essi via mare alla volta della Francia. Ieri mattina, intanto, il primo dei due elementi, lunghi 15 metri e pesanti 140 tonnellate, che nei giorni scorsi era già stato trasferito in banchina, è stato caricato sulla nave speciale “Storm”, utilizzando il potente bigo di bordo e robuste imbragature in cavi d’acciaio, agganciate a una trave longitudinale, a sua volta collegata al bigo. Un’operazione molto delicata, curata dall’agenzia di trasporti Friultrans e seguita dai tecnici della Mangiarotti, che si è ripetuta nel pomeriggio con il secondo pre-riscaldatore. Il carico è stato poi completato con una serie di casse e altri pezzi a corredo dei due grandi elementi. Sono iniziate quindi le operazioni di rizzaggio, necessarie a far sì che durante la navigazione il carico della “Storm” non subisca pericolosi spostamenti. Ieri pomeriggio non era ancora possibile stabilire l’ora di partenza della “Storm” a causa della complessità di queste operazioni. Partenza che comunque potrebbe essere avvenuta nella notte o, al più tardi, nelle prime ore di oggi. Sarà poi necessaria una decina di giorni perchè il delicato carico arrivi a destinazione. Con una settimana di navigazione la “Storm” approderà al porto di Fos sur Mer (Marsiglia), dove i due pre-riscaldatori saranno scaricati e posti su speciali carrelli, abilitati all’utilizzo stradale. A loro volta questi carrelli (con il loro pesante carico) verranno trasferiti, per mezzo di una rampa, su un’apposita chiatta che risalirà il Rodano e in due, tre giorni di navigazione raggiungerà il porto fluviale di Saint Maurice, a pochissima distanza dalla centrale nucleare. L’ultimo, breve tratto del lungo viaggio verrà coperto con un trasporto eccezionale su strada, senza alcun ulteriore trasbordo dei due grandi elementi.

 

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da Il Piccolo del 9 luglio 2013

 

Monfalcone, mega imbarco per una centrale nucleare francese

Due enormi pre-riscaldatori dell’acqua di alimentazione per una centrale nucleare sul Rodano, costruiti a Monfalcone dalla Mangiarotti, verranno imbarcati giovedì su una nave spciale che li porterà a Marsiglia

 

di Giuseppe Palladini

Quindici metri di lunghezza, tre di diametro e un peso di 140 tonnellate. È uno dei quattro pre-riscaldatori dell’acqua di alimentazione, progettati e realizzati dalla Mangiarotti per una centrale nucleare francese del colosso energetico Edf, una commessa del valore di alcuni milioni di euro.

Due di questi enormi elementi (progettati in parte a Milano e in parte a Monfalcone) saranno imbarcati giovedì sulla nave “Storm”, che lunedì pomeriggio ha gettato le ancore in rada. Si tratta di unità lunga un centinaio di metri, progettata per il trasporto di carichi pesanti, che trasferirà appunto i due grandi elementi a Fos sur Mer (Marsiglia) da dove, caricati su una chiatta, risaliranno per qualche giorno il Rodano fino a Saint Maurice, località nei pressi della centrale nucleare di cui è in atto la manutenzione straordinaria. Gli altri due pre-riscaldatori sono quasi pronti e partiranno da Monfalcone fra circa un mese.

Dopo la spedizione dell’enorme elemento (1200 tonnellate) per la purificazione del gas in un impianto petrolifero degli Emirati arabi, realizzato a Monfalcone e partito poco più di un anno fa, l’imbarco di queste nuove realizzazioni conferma la validità della scelta logistica dell’azienda friulana che due anni or sono si è insediata nei pressi del porto di Monfalcone.

Il primo dei due pre-riscaldatori è stato trasferito in banchina nei giorni scorsi. L’altro, sempre per mezzo di un carrello speciale, è uscito dallo stabilimento nel primo pomeriggio di lunedì, e dopo un percorso di alcune centinaia di metri ha raggiunto anch’esso la banchina, dove è stato trasferito su appositi blocchi di sostegno, in attesa della operazioni di carico programmate per giovedì.

Fra qualche mese, sempre dal porto di Monfalcone, partiranno altri componenti, costruiti anche questi dalla Mangiarotti, destinati agli Stati Uniti. Si tratta di otto elementi, del peso variante fra le 70 e le 200 tonnellate, per i circuiti di due nuove centrali nucleari in fase di realizzazione negli Stati Uniti. Sono componenti di nuova generazione, sottolinea la stessa Mangiarotti, che saranno inseriti in impianti progettati dalla Westinghouse per garantire la massima sicurezza di esercizio.

RIGASSIFICATORE: gas natural fa ricorso

Dal Piccolo del 12/07/13

Gas Natural gioca la carta del Tar: «Rigassificatore, no allo stop»

di Matteo Unterweger Gas Natural Rigassificazione Italia contro tutti. Contro tre ministeri: dell’Ambiente, per i Beni culturali, dello Sviluppo economico. Contro l’Autorità portuale di Trieste, la Regione Friuli Venezia Giulia, la Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale Via e Vas, il Comune di Trieste e pure contro Ezit e Siot. La società che, per conto della gruppo Gas Natural Fenosa, vuole realizzare il rigassificatore di Zaule, ha infatti aperto una battaglia giudiziaria al Tar del Lazio, presentando un ricorso per l’annullamento del decreto ministeriale del 18 aprile scorso con cui è stata sospesa l’efficacia del decreto di compatibilità ambientale del luglio 2009 relativo al progetto del rigassificatore di Zaule e alle opere connesse. Gas Natural, in pratica, ritiene illegittimo l’atto del ministero dell’Ambiente, firmato dall’allora ministro Corrado Clini e controfirmato dal collega dell’epoca ai Beni culturali Lorenzo Ornaghi (si era nella fase finale del mandato del governo Monti), con il quale sono stati dati sei mesi di tempo a Gas Natural per individuare per l’impianto una localizzazione alternativa compatibile con il Piano regolatore portuale o all’Autorità portuale per modificare il proprio Piano regolatore in modo da renderlo compatibile con il progetto del terminale. Il tutto posto che, sulla base dello studio con dati e scenari futuri presentato dalla stessa Authority, lo sviluppo del traffico marittimo del porto triestino e la presenza del terminale di rigassificazione non sono compatibili. Il decreto del 18 aprile scorso aveva di conseguenza indotto poi il ministero dello Sviluppo economico, retto in quel momento ancora da Corrado Passera, sostenitore del progetto, a sospendere il processo autorizzativo per la costruzione dell’impianto. Il 17 luglio, mercoledì prossimo, è in calendario l’udienza cautelare al Tar del Lazio: i giudici si pronunceranno sulla richiesta di sospensione del provvedimento avanzata da Gas Natural. Nel merito, si esprimeranno successivamente. Il ricorrente – attraverso gli avvocati Antonio Lirosi, Giuseppe Velluto e Stefano Cunico – ha chiamato in causa non solo i due ministeri che hanno siglato il decreto (Ambiente e Beni culturali). Ma anche tutte le realtà che, nell’arco degli anni, sono state in qualche misura coinvolte con atti e pronunce proprie nel procedimento autorizzativo collegato. L’udienza è fissata proprio a una settimana dal 24 luglio, giornata in cui la Commissione europea si pronuncerà in via definitiva sull’inserimento o meno anche del rigassificatore di Zaule fra le opere energetiche prioritarie comunitarie. In pochi giorni, dunque, due appuntamenti chiave. Con Gas Natural che non molla nonostante a più riprese il territorio abbia espresso, tramite enti locali, associazioni e gruppi di cittadini, la propria ferrea contrarietà al progetto. E proprio all’inizio di questa settimana anche la governatrice del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ha ufficializzato il «parere contrario» della Regione alla realizzazione dell’impianto attraverso una lettera inviata ai ministri Orlando (Ambiente), Lupi (Infrastrutture) e Zanonato (Sviluppo economico), e per conoscenza al premier Letta, oltre che alla Commissione europea (al presidente Barroso e ai commissari Tajani, Poto›nik e Oettinger).

 

13/07/13

Caso rigassificatore al Tar: la Regione sfida Gas Natural

di Pier Paolo Garofalo «La Regione si costituirà in giudizio davanti al Tar contro il ricorso di Gas Natural Rigassificazione Italia, anche per dare un segnale d’immutata contrarietà al progetto di rigassificatore così come è presentato allo stato attuale». All’indomani della mossa giudiziaria del colosso dell’energia, che chiede l’annullamento del decreto ministeriale del 18 aprile scorso con cui è stata sospesa l’efficacia del decreto di compatibilità ambientale del luglio 2009 per il progetto del rigassificatore di Zaule e opere connesse, arrivano le reazioni. Quella della Regione è stata espressa, appunto, dall’assessore all’Ambiente Sara Vito. «Ne abbiamo discusso in giunta – precisa – e ci siamo trovati concordi: in quanto soggetto chiamato in giudizio, la Regione si costituirà. È un modo anche per offrire all’esterno un segnale di opposizione al progetto per Zaule. Per ora è solo una questione di iter procedurale, poi si vedrà». Sulla stessa linea anche il Comune di Trieste, come spiega il sindaco Roberto Cosolini. «Gas Natural – attacca il primo cittadino – aveva e ha il diritto di procedere a tale mossa e ha deciso di avvalersene. Vedremo come andrà a finire. Da parte mia posso solo ribadire il “no” al progetto, peraltro già espresso più volte in passato». Nello specifico, la società che per conto della gruppo Gas Natural Fenosa vuole realizzare il rigassificatore di Zaule ha aperto una battaglia giudiziaria al Tar del Lazio poiché ritiene illegittimo l’atto del Ministero dell’ambiente, firmato dall’allora ministro Corrado Clini e controfirmato dal collega dell’epoca ai Beni culturali Lorenzo Ornaghi (fase finale del governo Monti), con il quale sono stati dati sei mesi di tempo a Gas Natural per individuare una localizzazione alternativa per l’impianto, compatibile con il Piano regolatore portuale, o all’Autorità portuale per modificare il proprio Piano regolatore in modo da renderlo compatibile con il progetto del terminale. Gas Natural, dunque, si è messa contro ben tre ministeri (Ambiente, Beni culturali e Sviluppo economico) l’Autorità portuale, la Regione Friuli Venezia Giulia, la Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale Via e Vas, il Comune e pure l’Ezit e la Siot. In base a studi dell’Authority, lo sviluppo del traffico marittimo a Trieste e la presenza del rigassificatore non sono compatibili. Il decreto del 18 aprile scorso aveva quindi indotto poi lo Sviluppo economico a sospendere l’iter autorizzativo per la costruzione del terminal. Mercoledì prossimo l’udienza cautelare al Tar laziale. «Non è strano che Gas Natural tenti la strada del ricorso al Tar, anche se non ci sono i presupposti per ribaltare i provvedimenti ministeriali e regionali impugnati – così la governatrice del Fvg Debora Serracchiani -. Coerentemente, abbiamo deliberato di costituirci in giudizio per sostenere la loro legittimità anche in sede di sospensiva».

 

 

 

OGM: continuano i botta e risposta sui media

Dal Piccolo del 13/07/13

Mais ogm vietato in Italia

ROMA Il ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo ha firmato, con i ministri della Salute Beatrice Lorenzin, e dell’Ambiente Andrea Orlando, il decreto interministeriale che vieta in modo esclusivo la coltivazione di mais geneticamente modificato Mon810 sul territorio italiano. «Con il decreto vietiamo la sola coltivazione del mais Mon810 in Italia, colmando un vuoto normativo dovuto alle recenti sentenze della Corte di Giustizia europea. È un provvedimento che tutela la nostra specificità, che salvaguardia l’Italia dall’omologazione». Questo il commento del ministro delle Politiche Agricole alimentari e forestali Nunzia De Girolamo. Il divieto è in vigore per un periodo di massimo 18 mesi. Il provvedimento sarà immediatamente notificato alla Commissione europea e agli altri 27 Stati membri dell’Unione europea. Il divieto di coltivazione del mais Mon810 è motivato «dalla preoccupazione sollevata da uno studio del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, consolidata da un recentissimo approfondimento tecnico scientifico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che ne evidenzia l’impatto negativo sulla biodiversità, non escludendo rischi su organismi acquatici». «La nostra agricoltura – prosegue De Girolamo – si basa sulla biodiversità, sulla qualità e su queste dobbiamo continuare a puntare». Il provvedimento giunge a conclusione della procedura di emergenza attivata dal governo nell’aprile 2013, ed è giuridicamente sostenuto anche dal precedente provvedimento di divieto di coltivazione di ogm, adottato dal governo francese. Reazioni positive dalle associazioni ambientaliste ma soprattutto dagli agricoltori (Coldiretti e Cia) che vedono i primi risultati concreti dopo le loro battaglie con gli ogm.

 

12/07/13

Si riaccende la “guerra” degli Ogm

TRIESTE Giorgio Fidenato, l’agricolture “ribelle” di Vivaro noto per le sue battaglie pro Ogm, torna a far parlare di sè. Lo fa sferrando un attacco ad alzo zero contro la neo governatrice: «La presidente della Regione Debora Serracchiani, ex deputato europeo, si riempie la bocca di europeismo, ma alla prima occasione dà dimostrazione del contrario». Uno sfogo registrato a margine di un evento organizzato ieri proprio a Vivaro da Futuragra per promuovere l’utilizzo del mais geneticanente modificato. «È una vergogna – ha proseguito Fidenato, presidente di Agricoltori Federati – che quando la Ue ha dato parere favorevole alla coltivazione di mais transgenico, la presidente abbia fatto di tutto per metterci i bastoni tra le ruote». «Siamo all’oscurantismo del Medioevo – ha rincarato la dose Duilio Campagnolo, presidente di Futuragra -, poichè Regione e governo italiano non rispettano la normativa e le sentenze dell’Unione Europea e non permettono alla ricerca italiana di restare al passo con quella internazionale». «Siamo in una situazione paradossale – ha aggiunto Campagnolo – nella quale siamo costretti a importare Ogm in quanto non siamo autonomi nel quantitativo necessario di mais da utilizzare in zootecnia, ma non abbiamo l’autorizzazione a utilizzare gli stessi semi disponibili all’estero e che generano un prodotto che, una volta giunto nel nostro Paese, è perfettamente legale». Alla giornata di informazione e sensibilizzazione sull’utilizzo degli Ogm promossa a Vivaro hanno partecipato anche alcuni docenti di Università italiane, che hanno denunciato la mancanza assoluta di ricerca, non solo per gli Ogm, ma per l’agricoltura in generale. L’avvocato Francesco Longo, esperto e docente di diritto ambientale, ha infine spiegato perchè le norme dell’Ue sulla possibilità di utilizzo degli Ogm debbano essere rispettate dagli Stati membri: diversamente, si creerebbe una concorrenza sleale tra le diverse nazioni, favorendone alcune rispetto ad altre. «Si tratta di semi – ha spiegato – che sono stati sottoposti a severi controlli da parte di soggetti istituzionali pubblici».

 

 Dal Messaggero Veneto del 13/07/13

Stop del governo agli Ogm Fidenato: «Daremo battaglia»

di Elena Del Giudice PORDENONE Mais Ogm, divieto assoluto di coltivazione in Italia. Lo stop è legge con il decreto firmato ieri dal ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo con i ministri della Salute, Beatrice Lorenzin, e dell’Ambiente, Andrea Orlando e motivato dalla preoccupazione sollevata da uno studio del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura e da un approfondimento tecnico scientifico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che ne evidenzia l’impatto negativo sulla biodiversità, non escludendo rischi su organismi acquatici. Il divieto resterà in vigore per 18 mesi e verrà immediatamente notificato alla Commissione europea e a tutti i Paesi della Ue. «Decreto strumentale che non avrà vita facile» dichiara Giorgio Fidenato, l’imprenditore di Vivaro che ha già seminato, pochi mesi fa, proprio il mais “incriminato” forte della sentenza della Corte di giustizia europea alla quale si era appellato dopo la distruzione di un primo raccolto avvenuta lo scorso anno. «Il decreto – spiega De Girolamo – colma un vuoto normativo dovuto alle recenti sentenze della Corte europea. È un provvedimento che tutela la nostra specificità e che salvaguardia l’Italia dall’omologazione». «Se vogliono renderci la vita difficile – è la posizione di Fidenato – sappiano che anche noi faremo altrettanto. Temo siano però anche poco informati circa le decisioni assunte dalla Ue e dalla Corte di giustizia. C’è già una sentenza riguardante la Francia la quale, invocando la clausola di salvaguardia aveva cercato di impedire la semina di mais Ogm, aveva adottato un provvedimento d’urgenza. Bene, la risposta della Corte è stata che i provvedimenti d’urgenza vanno assunti in presenza di un pericolo imminente, la qual cosa nel caso del Mon810 non c’è. La Corte – prosegue Fidenato – ha quindi affidato al proprio organo tecnico, l’Efsa, il compito di eseguire un’indagine sui rilievi francesi la cui risposta è prevista entro la fine di settembre. E di fronte a tutto ciò, cosa fa l’Italia? Vara un decreto per istituisce un divieto di semina per 18 mesi? Scusate se sorrido. Ce la vedremo nei tribunali italiani che ritengo saranno più attenti alle norme europee». E che accadrà al mais già in maturazione a Vivaro? «Non ne ho idea. Il provvedimento non può essere retroattivoma mi dicono – avanza l’imprenditore – che conterrebbe anche un ordine di distruzione del raccolto, nel qual caso ci opporremo». Alla luce del decreto, l’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio chiede ora il «sequestro dei campi coltivati a Ogm in Friuli Venezia Giulia» e che «siano vietate ulteriori semine illegali». La Coldiretti, da un lato plaude al provvedimento del Governo, ricordando che si tratta di una decisione che ha il sostegno di 8 italiani su 10, e dall’altro sollecita «l’intervento della Forestale – dichiara il presidente della Federazione del Fvg, Dario Ermacora – per la distruzione delle piante Ogm. La difesa della distintività italiana deve essere una priorità della politica perché da essa dipende l’esistenza stessa del made in Italy che è il nostro petrolio, il nostro futuro, la nostra leva per tornare a crescere nell’alimentare». «Finalmente ci si risveglia dal lungo letargo con la firma auspicata sul decreto – dichiarano le associazioni Aiab, Isde, Legambiente, Slowfood -, strumento, a lungo richiesto per fare chiarezza e porre fine al lungo e incompiuto iter chiamato a sbarrare la strada alla coltivazione di Ogm in Italia». «Meglio tardi che mai» è la chiosa di Greenpeace

 

12/07/13

Nasce il Comitato anti Ogm: vanno distrutti

Nasce il coordinamento a tutela della biodiversità in Friuli Venezia Giulia per fare «applicare la legge regionale e per la distruzione immediata di ogni coltura ogm presente illegalmente sul territorio friulano». Lo spunto era nato da due esponenti di Legambiente, Oscar Missero e Paolo Giacomello di Montereale Valcellina, e, dopo due incontri con movimenti, esponenti vicini al centro-sinistra che vi hanno aderito a titolo personale e mondo ambientalista, è stato fondato il coordinamento, una voce in più nel panorama no ogm. Accusa la giunta regionale di «agire in maniera pericolosamente contraddittoria», per volere modificare la legge regionale, inserendo clausole per la coesistenza tra ogm e free. Secondo il coordinamento, però, la sentenza della Corte di giustizia Ue riguarda solo i provvedimenti nazionali emanati dai precedenti governi, quindi la legge regionale «va mantenuta e va distrutta la coltura mais ogm seminata illegalmente a Vivaro». Anche il Movimento 5 Stelle scende in campo contro gli ogm in Friuli, dove si sono «appena seminati seimila metri di terreno con Mon810». Sul fronte opposto, Futuragra, contesta il tavolo verde convocato per oggi dal vicepresidente della Regione Sergio Bolzonello.

 

 

Foto dell’iniziativa a Trieste coi NOTAV TERZO VALICO

Una 50ina le persone presenti e molto interesse. Buona la raccolta fondi per le spese legali.

 

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Foto dell’iniziativa a Trieste coi NOTAV TERZO VALICO

Una 50ina di persone presenti e tanto interesse. Buona anche la raccolta fondi per le spese legali.

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Monfalcone: Caso amianto il processo rischia lo stop

da Il Manifesto del 17 luglio 2013
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20130717/manip2pg/07/manip2pz/343239/

AMIANTO – PER GLI AVVOCATI DI FINCANTIERI IL PROCESSO VA SPOSTATO: I GIUDICI NON SONO SERENI

Nuovo rinvio per la fibra killer

Negli stabilimenti il colore della pelle e la nazionalità assegnano il posto di lavoro In alto gli italiani, a seguire gli altri. Gli ultimi sono bengalesi. Tutti a rischio di tumore
Monfalcone è sul mare ma il litorale se l’è mangiato il cantiere. Non ci arrivi a toccare le onde, ti tocca prendere l’auto e spostarti di qualche chilometro. Per vedere il mare devo salire sulla terrazza della sede dell’Anpi, che era un tempo il dopolavoro operaio dello stabilimento della Solvay. Ma anche da lì, gli occhi cadono prima su un supermercato e poi sulla ciminiera della centrale a carbone dell’Enel, infine sulle gru enormi della Fincantieri. Il mare è lontano, a Monfalcone, quanto la giustizia. Sembra a portata di mano, eppure c’è sempre qualche grande stabilimento a mettersi di mezzo.
Provo a avvicinarmi a piedi.
Cammino per il quartiere operaio di Panzano, a fianco del cantiere navale che ha visto morire per tumori correlati all’amianto così tanti operai. Tra i coibentatori, su 120 ne sono sopravvissuti solo quattro. Mi stupiscono i cocci di vetri rotti che sormontano il muro perimetrale. Mi chiedo se in passato quei cocci rotti siano bastati a impedire alle fibre killer di scavalcare il muro. Come il vetro tagliente, i mattoni dividono il cantiere dalle casette ordinate di chi ci lavora dentro: il rione Panzano è un esempio di villaggio operaio all’interno di una company town, la piccola città di un grande cantiere. Luca, la mia guida dell’Unione Sindacale Italiana, mi porta a visitare il monumento alle vittime dell’amianto, che sorge in una piazzetta nel cuore di Panzano. Riporta una frase emblematica di Massimo Carlotto: «Costruirono le stelle del mare/ li uccise la polvere/ li tradì il profitto». Carlotto e altri scrittori, artisti e intellettuali hanno sostenuto la lotta degli esposti e dei familiari delle vittime dell’amianto, ma rimane tanto da fare perché il nemico è ovunque: basta alzare gli occhi dal monumento e subito dietro vedo spuntare, irridente, una lastra di eternit. L’assassino è ancora sul luogo del delitto e va al funerale delle vittime. Sorrido amareggiato. Attraverso la strada, provo a visitare il museo della cantieristica monfalconese, ma a quell’ora è chiuso. Mi infilo allora in un bar di operai e condivido con alcuni compagni uno spritz, che da queste parti non è altro che un leggero vinello bianco allungato con l’acqua minerale fresca. Sfoglio i giornali locali mentre il gestore pela le patate col sigaro in bocca.
Un articolo riporta un commento, alla vigilia della sentenza Italcantieri, della signora Romana, la presidente dell’Afeva di Casale Monferrato. È anche lei parte di questa terra perché è nata a Salona d’Isonzo e si è trasferita a Casale solo perché con i nuovi confini, nel dopoguerra, lo stabilimento Eternit dove lavorava suo padre era rimasto in Jugoslavia. Non è un caso che in Slovenia, a Nova Gorica, ci sia un sindacato specifico che tutela gli esposti all’amianto. Sono tantissimi in quel paese.
Suona la sirena, è finito il turno. Esco immediatamente per vedere aprirsi i cancelli dello stabilimento. Per strada spuntano una miriade di operai in bicicletta e a piedi. Ci sono colori diversi, sia per la pelle che per le tute. I due elementi tra loro sono correlati: una miriade di subappalti con ditte private, ognuna con una sua tuta, e la presenza di una divisione del lavoro in termini di classe. Una scala che pone una classifica degli sfruttati dove la divisione non è solo di classe: sotto gli italiani, a fare i lavori più nocivi, ci sono gli istriani e in fondo a tutti i bengalesi.
La sera ci troviamo per parlare d’amianto e fare il punto della situazione con Chiara Paternoster dell’Associazione Esposti. Ci diamo appuntamento alle 8 del mattino di martedì 25 giugno. Arriviamo a Gorizia da Monfalcone in pulman. Purtroppo siamo in pochi e le poltroncine sono in gran parte vuote. Altre persone sono comunque già arrivate con i loro mezzi. Ci ritroviamo nella parte del tribunale che ospita il pubblico. Cinquanta persone, in gran parte anziani, molte vedove, qualche nipote che forse non ha mai conosciuto il nonno. Con qualche minuto di ritardo l’udienza si apre. Il giudice fa l’appello, gli imputati, perlopiù dirigenti della vecchia Italcantieri, che gestiva i cantieri navali prima della Fincantieri, sono tutti liberi e contumaci. L’avvocato di uno dei vertici dell’azienda prende subito parola mettendo le mani avanti. Comprende il dolore dei familiari ma… Attendo il colpo e non ci mette troppo ad arrivare. Le associazioni con i volantini, gli articoli, e i sit-in avrebbero creato un clima poco sereno che non metterebbe i giudici in grado di giudicare con tranquillità. Un clima che preoccupa e che può creare problemi di ordine pubblico, sostiene. Nel pubblico ci guardiamo allibiti. Io fisso quelle vedove, quei vecchi ammalati, quei nipotini tenuti in collo. Sono loro il problema d’ordine pubblico? L’avvocato va avanti. Chiede pertanto una remissione del processo. Una sorta di eccezione procedurale. Vale a dire spostare tutto armi e bagagli da un’altra parte, per ripartire da zero, per annullare la domanda di verità e giustizia di queste vedove e di questi bambini. A me sembra assurdo, mi vengono in mente quelle situazioni infantili, quando giocavamo a pallone: tu segnavi un gol ma te lo annullavano perché il pallone era sgonfio. Penso che i padroni sono come i bambini prepotenti: fanno le regole durante il gioco e le cambiano quando stanno per perdere.
I giudici si ritirano in aula di consiglio e non escono più. Passano due ore. Tanto, troppo tempo. Sono preoccupato. Telefono a mia madre, che vuole essere aggiornata: è stupita che nel telegiornale stavolta non abbiano detto nulla, al contrario del processo Eternit. Ma stavolta non si processano dei cattivi magnati stranieri, stavolta i padroni sono italiani, e sarà tutto più difficile, lei dico. Poi le racconto quel che è successo, le parole dell’avvocato sulla presunta lesione della serenità dei giudici. Lei mi stupisce con una riflessione perfetta nella sua semplicità: «i giudici non sarebbero sereni? Chissà quanto sono sereni i familiari degli operai!» Ha ragione la casalinga più del togato, anche stavolta. Che dovevamo fare? «Scusate se vi turbiamo col nostro malessere. Anche noi non siamo sereni». Andrebbe scritto in uno striscione e appeso in ogni balcone tra Monfalcone e Gorizia. Scusiate se siamo venuti al tribunale, ma non siamo riusciti ad andare al mare, perché a Monfalcone il mare è lontano.
Intanto andiamo a prenderci un caffè, parlo con un operaio dei cantieri navali in cassa integrazione. La legge Fornero l’ha fregato. Avrebbe dovuto già essere in pensione ma adesso servono più anni di contributi. Ha chiesto il prepensionamento anticipato per il lavoro a contatto con l’amianto ma per ora le cose non si sono messe bene. Scambio due parole con un altro attivista. Lui non è un operaio, ma il figlio di un operaio dei cantieri navali. E i cantieri gli hanno portato via il fratello, morto in un incidente. Altri operai mi raccontano che ai saldatori e ai coibentatori che lavoravano a contatto con la fibra assassina, l’impresa regalava mezzo litro di latte, «per digerire l’amianto». Il latte serviva solo per andare più spesso al cesso, all’amianto gli faceva un baffo.
Torniamo in tribunale appena in tempo. Rientra il giudice, annuncia l’aggiornamento dell’udienza al prossimo 23 luglio. Niente sentenza, per ora. Si attende anzi che la cassazione si pronunci per capire se il processo sarà spostato e quindi, di fatto, annullato. Ce ne andiamo con un senso di frustrazione: a Monfalcone il mare è lontano e la giustizia ha messo sul piatto della bilancia mezzo litro di latte. Non so se basterà a digerire questa giornata ingiusta.

 

da Il Piccolo del 15 luglio 2013

Pagina 1 – Gorizia-Monfalcone

Caso amianto Il processo rischia lo stop

La Cassazione non ha ancora deciso sull’annullamento per legittimo sospetto. Tutto potrebbe slittare all’autunno.

 

Pagina 15 – Gorizia-Monfalcone

Il processo amianto rischia un altro stop

La Cassazione non ha ancora deciso sull’annullamento per legittimo sospetto. Tutto potrebbe slittare all’autunno

Rischia di slittare ancora il processo per amianto che vede imputati di omicidio colposo 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti, per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. A 9 giorni dalla nuova udienza fissata dal giudice Matteo Trotta, non s’è ancora pronunciata la Cassazione in merito alla “legittima suspicione” sollevata il 24 giugno dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, che ha richiesto la rimessione del processo. È un passaggio decisivo, poichè la Suprema Corte dovrà stabilire se il procedimento potrà continuare, e quindi approdare a sentenza, oppure, invece, verrà annullato, dovendo ripartire da zero con il trasferimento in altra sede, fuori dalla regione, e con altro giudice. Secondo l’avvocato Cassiani, il Tribunale di Gorizia non sarebbe nelle condizioni di pronunciare la sentenza in modo sereno ed equilibrato. L’attesa si carica di interrogativi. Ad oggi non risulta sia ancora giunta la notifica da parte della Cassazione in merito all’udienza che dovrà sancire il trasferimento o meno del processo. Gli atti dovranno poi venire ritrasmessi al Tribunale goriziano. Entro il 24 luglio. Ci si chiede se bastino 9 giorni per sapere come andrà a finire. Il rischio è quello di veder slittare tutto dopo la pausa estiva, con un rinvio a settembre dell’udienza in Cassazione. L’eventuale sentenza finale del processo potrebbe quindi sortire solo in autunno. Semprechè il procedimento goriziano venga “salvato” da quel legittimo sospetto consentito dalla legge agli imputati per la ricusazione dei giudici. E semprechè Trotta, peraltro, non venga prima trasferito, come ha ricordato nell’ultima udienza. Ce n’è abbastanza per non dare nulla per scontato. Intanto incombe lo spettro del rifacimento del processo. Novantun udienze cancellate, più di 500 testimonianze inutilizzabili e il rischio-prescrizione. Un prezzo alto da pagare, a carico del cittadino. Ma soprattutto un prezzo morale e affettivo difficile da sostenere da parte dei famigliari delle vittime dell’amianto, per i quali la richiesta di giustizia sembra scontare le logiche di un sistema lontano dal diritto di avere risposte in tempi ragionevolmente congrui. L’avvocato Riccardo Cattarini, che difende uno degli imputati, ha osservato: «Ritardare la sentenza di un processo non serve mai a nessuno. Oltre alle persone offese che attendono giustizia, ci sono anche gli accusati, per i quali la stessa Procura ha chiesto l’assoluzione, che attendono con ansia». L’istanza di rimessione del processo era piombata all’improvviso. Annunciata a inizio udienza dall’avvocato Cassiani, che aveva spiegato come le pressioni esercitate nei giorni precedenti, gli articoli dei giornali e la richiesta, poi respinta, del Procuratore capo della Repubblica di autorizzare riprese in video-conferenza tra l’aula del Tribunale e la sala conferenze del San Polo, per evitare eventuali problemi di ordine pubblico, non garantivano ai giudici serenità di giudizio. Contro la richiesta del legale s’erano espressi il pm Valentina Bossi e gli avvocati delle parti civili. Il giudice Trotta, dopo 2 ore e mezza di camera di consiglio, s’era limitato a trasmettere tutto alla Cassazione, secondo la giurisprudenza corrente.

 

CARA di Gradisca: lancio di sassi contro i carabinieri

Il Piccolo è sempre più demenziale nei suoi articoli, la cui inattendibilità emerge anche dal linguaggio triviale (“sbronzi”, alzare il gomito). 

Il fatto evidentemente è stato ben più contenuto visto che di questo episodio non se ne ha menzione qui in zona.

Resta il fatto che un paio di ragazzi, con un passato recente segnato dall’attraversamento del canale di Sicilia e la dura accoglienza a Lampedusa (dove continuano le proteste dei migranti), hanno esploso la loro rabbia contro coloro che blindano il loro presente e futuro.

Uno della zona

 

da Il Piccolo del 16 luglio 2013

 

Gradisca, seminano il panico e lanciano sassi ai carabinieri

Fermati a fatica e rinchiusi in carcere due eritrei appena giunti al Cara da Lampedusa che si sono resi protagonisti di ripetute violenze

 

GRADISCA. Hanno seminato il panico fra gli automobilisti e preso a sassate i carabinieri, prima di finire in carcere e perdere con tutta probabilità ogni speranza di rimanere in Italia. Istanti di ordinaria follia l’altra sera a Gradisca lungo via Roma, all’altezza della vecchia uscita autostradale. Protagonisti due ragazzi di nazionalità eritrea (rispettivamente di 23 e 22 anni) ospiti del vicino Cara – il centro per richiedenti asilo – nel quale erano arrivati da pochissimo. A quanto si apprende si tratta di due giovani da poco sbarcati a Lampedusa con una delle tante “carrette del mare” che solcano il Mediterraneo. Una realtà recentemente toccata con mano anche da Papa Francesco. Trasferiti a Gradisca per la loro richiesta di asilo politico, i due ragazzi devono aver voluto festeggiare il nuovo approdo alzando un po’ troppo il gomito. Visibilmente alterati dall’alcol, i due eritrei non contenti hanno ben pensato di regalarsi qualche brivido in più. L’episodio si è verificato attorno alle 19: incuranti del pericolo e del traffico i due africani, particolarmente sbronzi, si sono messi al centro della carreggiata e hanno cominciato a fermare le vetture in transito. Poi si sono messi a minacciare di morte gli automobilisti e in alcuni casi a percuotere violentemente il cofano delle loro macchine. Alcuni di loro, inevitabilmente spaventati, hanno contattato via cellulare la stazione carabinieri di Gradisca. Una prima vettura del Nucleo Radiomobile è arrivata in pochi minuti ed i militari sono inizialmente riusciti a ridurre a più miti consigli i due giovani, convincendoli a spostarsi dalla strada. Quando però i carabinieri hanno tentato di procedere alla loro identificazione, gli extracomunitari hanno dato nuovamente in escandescenze, resistendo con violenza alle forze dell’ordine, insultandole e addirittura cercando di colpire i due militari con dei sassi. I carabinieri se la sono cavata soltanto con qualche escoriazione. L’arrivo di una seconda gazzella ha permesso agli uomini del Radiomobile di procedere pochi istanti dopo al definitivo arresto dei due indemoniati, che sono stati immediatamente tradotti nel carcere goriziano di via Barzellini con una serie piuttosto fitta di imputazioni: ubriachezza molesta, resistenza, violenza e minacce a pubblico ufficiale. Ma vista la gravità dell’episodio, soprattutto, i due giovani si sono giocati quasi certamente ogni residua speranza di vedersi concedere lo status di rifugiati. E così, una volta scontata la pena, per i due eritrei anzichè le porte del Cara rischiano di aprirsi quelle dell’adiacente Cie, il centro di espulsione dove vengono trattenuti gli immigrati irregolari in attesa di rimpatrio.

TAV? Forti ritardi dei treni a Trieste: fino a 4 ore

da Il Piccolo del 16 luglio 2013

Forti ritardi dei treni a Trieste: fino a 4 ore

Il problema sarebbe stato causato da un guasto elettrico verificatosi a Monfalcone. Disagi alla circolazione fino a tarda sera

Forti ritardi fino a 250 minuti (oltre 4 ore) si stanno verificando in entrata e in uscita dalla città di Trieste nei collegamenti ferroviari a causa di un guasto. Secondo quanto è stato reso noto dalle Ferrovie dello Stato, il problema sarebbe stato causato da un guasto elettrico verificatosi a Monfalcone. Alcuni convogli con destinazione Trieste portano ritardi fino a 250 minuti mentre treni in partenza dal capoluogo sono annunciato con oltre un’ora e mezza di ritardo.

Fra i disagi segnalati alla redazione quelli di decine di viaggiatori che sono rimasti bloccati per cinque ore tra Sistiana e Duino a bordo di un treno partito alle 16.11 da Venezia. Secondo il capotreno si sarebbe verificato un problema elettrico, probabilmente un black out, sulla linea. Sembrava un inconveniente da poco, facilmente risolvibile, ma il treno è invece rimasto bloccato lì con i passeggeri che, inevitabilmente, hanno iniziato a spazientirsi. Con il passare del tempo il malumore dei viaggiatori è sensibilmente aumentato, dato che è venuta a mancare anche l’illuminazione interna. Quasi tutti si sono attaccati al telefonino per avvisare i parenti e gli amici, che attendevano ignari in stazione, ma alcuni hanno anche allertato le forze dell’ordine. Dopo la prima ora di attesa, alcuni agenti della Polizia ferroviaria sono saliti a bordo del treno per portare almeno delle bottigliette d’acqua agli sfortunati, e accaldati, viaggiatori. Per oltre due ore i malcapitati hanno atteso l’arrivo del locomotore diesel incaricato di recuperare il convoglio fermo. Molti, però, sfiancati dall’attesa, hanno preferito scendere e tornare a Trieste con mezzi propri. I disagi si sono protratti fino a tarda sera e la circolazione è proseguita a senso unico alternato, utilizzando un solo binario.