TRIESTE: striscione contro la repressione a Bioest

Durante il pomeriggio di oggi, alcuni*compagn* hanno affisso uno striscione sul ponte del canale di Ponterosso con la scritta “Le lotte non si arrestano. Liberi tutte. (A)”. Tutta la zona del borgo teresiano era piena di gente per l”annuale festa ecologista-pacifista di Bioest (al qiale come tutti gli anni erano presenti anche banchetti libertari e NOTAV).

Un piccolo gesto di solidarietà nei confronti degli ultimi arrestati a torino per le lotte per la casa e dei compagn* in carcere per la lotta notav.

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Libro su Tavan/ Rassegna stampa

Rassegna stampa sulla presentazione del libro su Federico Tavan a Pordenone

http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2014/06/07/news/noi-con-tavan-contro-i-salotti-culturali-1.9379864

 

mv-8-giugno-2014

 foto mv online

 

«Noi con Tavan contro i salotti culturali»


Il collettivo Chialtres e il libro sul poeta: «Era un intellettuale nemico del potere». Colonnello (Menocchio): «Collaboriamo»
di Cristina Savi

PORDENONE. «Con gli eventi di Udine e Pordenone si è reiterato il tentativo di glorificarlo e santificarlo e ne è uscita soltanto molta necrofilia. Noi non siamo “amici” di Federico Tavan, noi siamo suoi compagni, complici, sodali. E questo libro è un atto di rivolta contro tutte le sue celebrazioni!».

Va subito dritta al punto, senza giri di parole, Carla, del Collettivo Chialtres, introducendo la presentazione di Nome ché lenga a chì a ne permet da favelà, edito dal collettivo stesso e presentato ieri a Pordenone nella sede del Circolo libertario Zapata, centro anarchico al quale il poeta di Andreis, scomparso nel novembre del 2013, fu sempre piuttosto vicino.

Il clima si surriscalda nel prefabbricato del quartiere di Villanova che ospita il circolo, un contesto popolare che sarebbe piaciuto molto al poeta, “reduce” dagli omaggi che gli hanno reso il festival vicino/lontano a Udine e dalla due giorni pordenonese del fine settimana scorso. E da ieri, con l’uscita del libro, al centro di una polemica iniziata proprio durante vicino/lontano con un volantinaggio del Collettivo Chialtres.

«Un libro necessario – incalza Carla – per rispondere al divoramento di Tavan da parte dell’industria culturale e che ci ribadisce come soltanto in un contesto fuori da qualsiasi istituzione sia possibile far emergere la vera dimensione poetica e esistenziale di Federico».

Prende la parola Massimo Masolini, al quale si deve in particolare la realizzazione del libro e che apparteneva al coordinamento del gruppo editoriale che dal 1989 al 1995 «stette con Tavan, e lui con noi», nella non tanto breve estate dell’anarchia di Usmis, la rivista che veniva messa insieme al centro sociale autogestito di via Volturno, a Udine.

«Io devo capire, cercare un’altra verità, diversa dalla vostra imbalsamata» dice, dopo aver letto un passo da “L’assoluzione” di Tavan. E si scaglia contro chi ha fino a oggi pubblicato Tavan, tutti colpevoli di aver rimosso periodi ed esperienze che per Federico furono fondamentali (come il rapporto con Marc Tibaldi, sempre di Usmis). «Noi eravamo e siamo nazionalitari, anarchici, friulanisti e Federico cercava questo ambiente, aveva questo mondo come riferimento».

Masolini ne ha per tutti, «perché noi abbiamo riletto Federico e preso sul serio ciò che scriveva», parola per parola di un «intellettuale combattente che si difende». Si difende – dice Masolini – anche dai “salotti” della cultura pordenonese («assurdo che Villalta e Garlini lo accusassero di essere utile alla borghesia, proprio loro contro i quali Tavan si scagliò pesantemente già nel 1999»); e di quella udinese («se Paolo Medeossi ha cento lettere di Federico allora le pubblichi tutte!»).

Non sopporta, Masolini, «che su Tavan si dicano sempre le stesse cose, si mostrino e si pubblichino sempre le solite foto, come una verità già indovinata e ripetuta all’infinito. Con questo libro abbiamo voluto togliere Tavan dall’immagine imbalsamata e ridare una forma reale alla sua figura di poeta che usava la lingua andreana in modo rivoluzionario e che criticava radicalmente ogni forma di potere. Ora chiediamo agli altri di fare lo stesso».

Nel dibattito che seguirà interverranno anche il poeta Antonio De Biasio e Aldo Colonnello, la colonna del Circolo Menocchio di Montereale. «Vi ringrazio perché questo libro copre un buco», dirà, rendendosi disponibile, ora che il Menocchio si appresta a pubblicare l’autobiografia di Tavan, a collaborare con Chialtres.

 

 

mv 7 giugno 2014

di Luciano Santin

Esiste un’eredità di Federico Tavan.
Ed è lecito a qualcuno appropriarsene?
Il punto, di forte
dialettica polemica, è emerso
con il volantinaggio effettuato
collaterlamente alla serata di vicino/
lontano dedicata al poeta
di Andreis scomparso lo scorso
anno.
La contestazione, promossa
da quanti hanno condiviso il
percorso compiuto da Tavan,
anni 90, nella rivista Usmis, ha
un seguito nel libro Nome chê
lenga chì a ne permet da favelâ.
Federico Tavan dai timps di
USMIS e dal C.S.A. al infinît,
pubblicato dal Collettivo Chialtres.
Il volume, che verrà presentato
oggi alle 18 al Circolo Zapata
di Pordenone, raccoglie una
serie di materiali poco noti o di
difficile reperibilità, risalenti appunto
alla prima metà dei 90, e
ha, sottesa, l’idea del “suicidio”
di Tavan operato dalla società
dello spettacolo. Di una normalizzazione
perseguita in vita
(con la conseguente ricerca della
follia quale unica via di fuga),
e oggi celebrata in morte.
In premessa si sottolinea, nelle
diversità, il forte legameemotivo,
etico e prospettico di Tavan
con Pasolini, ponendo l’accento
sugli elementi chiave della
sua poetica e del suo pensiero:
l’uso rivoluzionario della lingua
andreana e la radicale critica
a ogni forma di potere. Di qui
si passa a un j’accuse nei confronti
dei salotti e degli «ipermercati
culturali» messi in piedi
in Friuli, «per liquidare fin da subito
un possibile movimento di
veri poeti e/o intellettuali inmarilenghe
».
L’intellighenzia è indicata come
cupola e meccanismo egemonizzante:
«la combriccola
sempre uguale, il giornalista,
l’attore, il lettore, il musicista, il
fotografo, il professore, l’organizzatore,
l’assessore (quando
non il prete), tutti intercambiabili
», e poi finisce inevitabilmente
con l’assumere nomi e cognomi:
Gian Mario Villalta, Alberto
Garlini, Danilo de Marco, Paolo
Medeossi, Federico Rossi. Attraverso
il loro lavoro – sostiene il
libro – su Tavan, poeta da lasciare
allo stato brado e senza bisogno
di commenti, si opera «l’imbonimento,
l’imborghesimento,
la normalizzazione, la riduzione
a immagine o icona», e la
devitalizzazione della carica destabilizzante.
Al di là dell’interesse per i testi
contenuti, il libro si pone comemanifesto
e punto di partenza
per una riflessione sulla deriva
di spettacolo e consumo subita
dalla cultura. Rifacendosi,
senza citarla, alla massima di
Kraus: «Quando il sole è basso
sull’orizzonte della cultura, anche
i nani proiettano ombre lunghe
».
Da parte dei chiamati in causa
non c’è vivacità di reazione:
«Ho visto il volantino e comperato
il libro. Si parla di un complotto,
di una cupola che avrebbe
manipolato Federico Tavan
trasformandolo in uno zombie.
Francamente non mi sento imputabile,
e comunque l’onere
della prova spetta a chi accusa»,
nota Paolo Medeossi. «Gli sono
stato per più di vent’anni amico
sincero e disinteressato. E anche
ricambiato, perché ho un
amplissimo epistolario che lo attesta.
Il discorso sulmodoin cui
si fa cultura in Friuli, poi, è altro,
rispetto alla vicenda umana e
poetica di Federico».
Ancora più abbottonato e
anodino Alberto Garlini: «Preferirei
non entrare in questa polemica,
per rispettare la memoria
di Federico Tavan, cosa che tutti,
ciascuno a suo modo, credo
intendano fare. Non millanto
un’amicizia, l’ho incontrato un
paio di volte, e conseguentemente
non posso mettergli in
bocca delle parole. In quanto alla
cultura in Friuli, credo che
mai come in questo momento
sia stata ricca e riconoscibile anche
fuori dalla regione».
Da Onde Furlane, Paolo Cantarutti,
che è stato tra i fondatori
di Usmis, e ha fornito parte del
materiale pubblicato nel libro,
esorta a ragionare sui contenuti.
«Guarderei alla sostanza, anche
se espressa in modo un po’
aggressivo e respingente. La tesi
del poeta stritolato dalla macchina
culturale è credibile, perché
Tavan non aveva difese. Ma
la vera questione è quella della
politica: si è scelta la via dei
grandi eventi di serie A, sui cui
investire. Dobbiamo domandarci
a che serve la cultura, che cosa
deve fare?».

TRIESTE/Servizi educativi in piazza

Trieste

Lavoratrici e lavoratori sotto il Consiglio regionale

per ribadire la difesa di tutti i servizi educativi a rischio smantellamento

 

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Continua la mobilitazione delle educatrici e degli educatori di ricreatori, asili nido e scuole dell’infanzia di Trieste in difesa dei servizi educativi ora più che mai fortemente a rischio privatizzazione e smantellamento.

La mattina di mercoledì 11 giugno in Piazza Oberdan di fronte alla sede della Regione si è svolto un presidio organizzato dall’Unione Sindacale di Base – USB in collaborazione con un gruppo autorganizzato di educatori ed educatrici del Comune di Trieste, per sostenere la proposta di dichiarare essenziali e non fungibili tutti i servizi educativi della città anche in sede di Consiglio regionale e di fronte all’assessore alla Funzione Pubblica Paolo Panontin. La manifestazione ha visto presenti in piazza lavoratrici, lavoratori e famiglie per sostenere in modo chiaro e forte che i servizi educativi non vanno toccati e che la privatizzazione non è un’opzione trattabile.

Erano presenti anche diverse bandiere dell’Unione Sindacale Italiana – USI/AIT.

Alla manifestazione, all’ultimo minuto, si sono accodati anche i sindacati istituzionali, che in qualche modo devono riprendere il controllo di una situazione che sta loro sfuggendo, visto che finora da parte loro c’erano state unicamente dichiarazioni distensive e tranquillizzanti, mentre la realtà è che centinaia di lavoratori rischiano di restare per strada e i servizi educativi rischiano seriamente lo smembramento.

Durante il presidio una delegazione ha avuto un confronto con i capigruppo al Consiglio comunale e con l’assessore Panontin, da cui non è uscito nient’altro che un rimpallo della responsabilità al governo e una proposta di legge regionale tutta da costruire in tempi assai lunghi, mentre la scadenza dei contratti educativi a tempo determinato è dietro l’angolo (tra luglio e settembre). Non è stata data alcuna assicurazione sul mantenimento in servizio dei lavoratori a tempo determinato né alcuna garanzia reale dello sblocco dei contratti.

 

Qui bisogna ricordare che la situazione attuale non è originata né dalla sentenza della Corte Costituzionale che ha decretato illegittimi i contratti del comparto unico regionale dal 2011 ad oggi né dalla legge finanziaria regionale del 2011. L’attuale situazione è dovuta al fatto che nessuna amministrazione, né comunale né regionale né tanto meno statale, ha dato seriamente il via a un processo di stabilizzazione del personale precario, preferendo gestire centinaia (se non migliaia) di lavoratori “a tempo” perché nei fatti sono molto più ricattabili e manovrabili, e quindi utilizzabili solo finché risultano utili. Una realtà, quella della precarietà e del lavoro come ricatto, che sembra ormai una condizione consueta ma che di consueto non ha proprio nulla.

 

Dopo la manifestazione sotto il Comune di venerdì 16 maggio, è stata avviata una petizione fra le famiglie dei bambini e delle bambine che frequentano ricreatori, asili nido e scuole dell’infanzia che verrà depositata in Comune a breve.

 

La mobilitazione continua, fino a che non verranno date delle garanzie reali e sostanziali che i servizi educativi verranno mantenuti pubblici nella loro totalità e che i contratti di lavoro verranno rinnovati.

 

frà precario

 

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un momento dell’inizio della manifestazione, prima dell’arrivo dei sindacati istituzionali

 

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GORIZIA/ contro Fiamma Tricolore

Sabato 14 giugno

 Presidio Antifa

Gorizia  dalle ore 16.00 alle ore 18.00

all’angolo fra Via Trieste via Cipriani

antifa go 14 giugno 2014

 

go-15 giugno14

Minireport. Nonostante il contemporaneo svolgimento del convegno su “Ronchi dei Partigiani” si è voluto attuare un presidio antirazzista ed antifascista a Gorizia contro fiamma triorrore. Oltre una ventina di compagn* si sono contrappost* per due ore al presidio dei fasci che comunque non erano più di trenta nonostante la manifestazione fosse oltre che regionale e vi avesse aderito anche fogna nuova.

gorizia2-15giugno14

 

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CIE DI GRADISCA: parte il processo contro la Connecting People

Dal Piccolo

2014-06-13, 16 Regione

PARTE IL PROCESSO SULLE FATTURE GONFIATE AL CIE

di Franco Femia wGORIZIA Saranno oltre 100 i testimoni citati nel processo per le fatture gonfiate al Cie-Cara di Gradisca d’Isonzo. Le liste sono stata presentate ieri mattina dal pm Michele Martorelli e dai difensori dei 13 imputati nella prima udienza del processo che si è aperto al tribunale di Gorizia. La stragrande maggioranza dei testi è stata indicata dalla difesa e questo significa che il processo sarà piuttosto lungo e ci vorranno diverse udienze per arrivare alla sentenza. L’udienza di ieri è stata breve dedicata solo alle incombenze preliminari. Il collegio dei giudici (presidente Clocchiati, a latere Russo e Rozze)ha accolto la liste testimoniale mentre si è riservata su alcune prove documentali presentate dai difensori. E in particolare sulla richiesta di una perizia contabile sulle fatture di pagamento presentate dalla Connecting people, il consorzio siciliano che gestisce i due centri per immigrati di Gradisca. I difensori sostengono – lo hanno fatto con insistenza anche nell’udienza preliminare – che la perizia accerterebbe che i dati forniti dall’ente gestore sulle presenze degli ospiti al Cie e al Cara sono corretti. Ma i giudici si sono riservati di decidere su questa richiesta. Hanno invece fissato per il prossimo 19 giugno un’udienza per conferire a un perito l’incarico di trascrivere le intercettazioni telefoniche che fanno parte della prove documentali presentati al pm. I primi testi saranno sentiti nelle udienze che saranno fissate per il prossimo autunno dopo la pausa feriale. In questo processo il viceprefetto vicario di Gorizia Gloria Sandra Allegretto e il ragioniere capo della Prefettura Telesio Colafati sono imputati di falso materiale e ideologico in atti pubblici. Undici persone tra i vertici della Connecting people devono invece rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato a inadempienze di pubbliche forniture. Gli imputati sono Giuseppe Scozzari presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della Connecting people, Ettore Orazio Micalizzi vice presidente del Cda, Vittorio Isoldi direttore della Connecting people all’epoca dei fatti, Giovanni Scardina direttore del Cie, Gloria Savoia direttrice del Cara (centro che ospita i richiedenti asilo politico), Mauro Maurino componente del Cda e Giuseppe Vito Accardo sindaco supplente. A processo anche quattro dipendenti del Consorzio con le stesse imputazioni del vertici della Connecting people. La Procura contesta ai vertici della Connecting people di aver ottenuto nel periodo tra marzo del 2008 e dicembre del 2011 somme ben più alte di quelle dovute sulla gestione degli immigrati. Secondo l’indagine condotta dagli uomini della Digos e della Guardia di finanza, nelle fatture presentate alla Prefettura sarebbe stato indicato un numero maggiore di ospiti di quelli effettivamente presenti nelle due strutture gradiscane. Secondo l’accusa la truffa ammonterebbe a quasi un milione e mezzo di euro.

NO OGM: aggiornamenti dal 13 al 15 giugno

Dal Messaggero veneto online del 15/06/14

Esposto di Sel in tribunale sulle semine Ogm

E il comitato per la biodiversità chiede la distruzione dei campi

PORDENONE. Il caso Ogm torna in tribunale a Pordenone. Ma non per un processo. Domattina i deputati di Sinistra Ecologia Libertà, Serena Pellegrino (componente commissione Ambiente) e Franco Bordo (componente commissione Agricoltura), consegneranno alle 9.15, negli uffici giudiziari del tribunale cittadino, un esposto sulla vicenda della coltivazione di mais geneticamente modificato che ha riguardato, in modo importante, anche terreni della nostra provincia.

Giorgio Fidenato, l’agricoltore che da anni conduce una battaglia per veder riconosciuto il diritto alla semina di mais geneticamente modificato, ha infatti seminato circa 3 mila metri quadri di Mon 810 anche a Vivaro (così come fatto in passato). Una parte di quel mais – il corpo forestale dello Stato e della Regione ha provveduto ai campionamenti delle piante per verificare che si tratti effettivamente di mais biotech – è stato già devastato dai disobbedienti.

Intanto il comitato per la Biodiversità chiede alla Regione di provvedere urgentemente alla distruzione delle colture Ogm seminate da Fidenato.

«Non sono necessari grandi capacità osservative – rilancia il comitato – per accorgersi dello stato in cui versano le nostre campagne, dove troviamo mais, soia, colza, frumento, coltivati usando biocidi di ogni genere per garantire una produttività che oramai la terra non è più in grado di dare a seguito di atroci pratiche agronomiche produttivistiche e non rispettose dei cicli vitali. Non possiamo non far presente che questo sistema è la principale causa d’inquinamento diffuso e d’impoverimento microbiologico della terra e delle falde acquifere»

 

dal Piccolo del 13/06/14

SECONDO STOP ALLA SEMINA DI MAIS OGM IN REGIONE

TRIESTE Nuova “sconfitta” per gli agricoltori pro Ogm del Friuli Venezia Giulia. Il Consiglio di Stato ha confermato la decisione del Tar del Lazio di bloccare le semine biotech in corso nei campi di Vivaro, in provincia di Pordenone, rigettando la richiesta di sospensiva avanzata dagli esponenti dell’associazione Futuragra e rinviando la definitiva decisione nel merito al 4 dicembre, quando di fatto sarà già in vigore la normativa europea che lascia la libertà di non coltivare Ogm ai singoli Stati membri. Ad annunciarlo ieri è stata la Coldiretti, che ha commentato positivamente la scelta del Consiglio di Stato di sostenere la linea del Tar del Lazio. Linea, appunto, che aveva portato alla bocciatura del ricorso presentato contro il decreto interministeriale che proibisce la semina di mais biotech Mon810 modificato geneticamente. «A questo punto – conclude la Coldiretti – le amministrazioni coinvolte non hanno più nessun alibi per intervenire nella repressione delle coltivazioni illegali per evitare l’aggravarsi delle contaminazioni ambientali in atto». Positivo anche il commento di Ermete Realacci, presidente della commissione Agricoltura della Camera. «Dal Consiglio di Stato arrivano nuone notizie per l’agricoltura italiana e per la sua vocazione all’eccellenza – afferma -. Il Tar del Lazio si era già espresso in aprile aprile bocciando il pretestuoso ricorso di Fidenato contro il decreto interministeriale che proibisce la semina di mais Ogm MON810 in Italia. Oggi si scrive dunque una bella pagina a tutela della nostra agricoltura e del made in Italy di qualità. Al di là di motivazioni di ordine ambientale e sanitario, infatti, la scelta Ogm è completamente sbagliata per l’Italia».

RONCHI DEI PARTIGIANI: un grande successo! Foto e report

riportiamo il report di Marco Barone.

 

Ronchi dei Partigiani e l’Armata dei Sonnambuli,una vincente giornata di cultura resistente

 

Il 14 giugno 2014, presso la nota area feste di Selz, a pochi passi dal luogo ove nacque la brigata proletaria il primo gruppo, di resistenza armata, nato contro il nazifascismo, a cui ha fatto anche parte la prima staffetta partigiana d’Italia, Ondina Peteani, si è svolto il convegno storico, sociale e culturale DI COS’È IL NOME UN NOME? Che ha visto la partecipazione di oltre un centinaio di persone ed in serata, invece, vi è stata la partecipata prima presentazione in Friuli Venezia Giulia del nuovo libro del collettivo Wu Ming l’Armata dei sonnambuli, con la presenza di Wu Ming 1.
 
Questa giornata, vincente, segue la revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini nel comune di Ronchi, organizzata dal gruppo Ronchi dei Partigiani che ha più di cinquecento adesioni su facebook, ma anche da parte di diverse personalità come Boris Pahor, Pino Cacucci, Massimo Carlotto, Wu Ming 1, Piero Purini, Carlo Ghirardato, Alberto Prunetti, Marta Cuscunà, Alessio Lega, Beatrice Baruffini, Zoran (Matteo Oleotto) Alessandra Kersevan, Maurizio Puntin, Radio Onde Furlane Radio Zastava e tanti e tante ancora… Il 17 maggio del 1924 il Consiglio Comunale a maggioranza fascista di Ronchi si riunisce in seduta straordinaria e delibera di nominare Benito Mussolini «cittadino onorario di Ronchi di Legionari». Il 2 novembre del 1925, con il Regio Decreto firmato da Rocco e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n° 283 del 5 dicembre, il governo ufficializzò il nome «Ronchi dei Legionari». Il 20 settembre 1938 Mussolini, dopo aver presentato a Trieste le Leggi Razziali, si fermò a Ronchi dei Legionari per consacrare la fascistizzazione del toponimo in armonia con la fascistizzazione dell’Italia razzista. Va precisato che la decisione di consacrare il nome di Ronchi ai legionari di D’annunzio, all’impresa di Occupazione ed italianizzazione di Fiume, avviene nel periodo delle leggi fascistissime. Ottenuta, dunque, la revoca della cittadinanza onoraria a Mussolini, nel Comune di Ronchi, è arrivato il momento di mettere seriamente in discussione la denominazione dei Legionari e di tutto ciò che vi è connesso, dall’Impresa di occupazione di Fiume al personaggio D’annunzio. Ben tenendo conto che ora ricorre il centenario della prima guerra mondiale, ed è un controsenso assurdo continuare, tra le altre cose, quando tanto si invoca e si parla di pace, ad intitolare una città ad un personaggio che urlava Viva la guerra, amante della guerra e guerrafondaio.Senza dimenticare che nessun cittadino di Ronchi ha partecipato all’impresa di occupazione di Fiume. Comunque, per saperne di più su questa proposta, sulle critiche sollevate ai legionari, a D’Annunzio, ed a tutto ciò che vi è connesso, rinvio a questo link: http://www.wumingfoundation.com/giap/?p=15535  il mio intervento su GIAP di Wu Ming, che poi è stato anche quello della mia relazione al convegno citato, da cui è partito tutto, che spiega la sostanza dell’iniziativa. 
 

 
Il convegno, al quale hanno aderito, ANPI provincia di Gorizia, ANPI Giovani di Monfalcone,ANPI di Ronchi, ANED Associazione nazionale ex deportati nei campi nazisti, ARCI Eugenio Curiel di San Canzian, Circolo culturale e sportivo dell’Olmo di Selz, Libreria la Linea d’Ombra di Andrea Cianel, Casa editrice Kappavu, Associazione Culturale e Ricreativa Slovena Jadro , Istituto di studi storici e sociali Leopoldo Gasparini,  e collaborato il Centro Studi Libertari Germinal di Trieste,Cittadini Liberi e Pensanti di Trieste, Forum per Gorizia Gorica Gurissa, è stato introdotto da Luca Meneghesso, che ha curato l’organizzazione del convegno, il quale ha dedicato una particolare attenzione alla vicenda di Pietro Dominutti, nativo di Cervignano ma residente a Villaraspa (Staranzano), “era un’attivista oltre che dei Sindacati Giuliani del Partito d’Azione – che localmente e stato lontano dalle istanze libertarie di Giustizia e Liberta e per certi versi fu il catalizzatore di istanze nazionaliste dopo la caduta del regime fascista. Dominutti (come documentato da Silvano Benvenuti e Renzo Pincherle nel loro intervento contenuto nel libro “Nazionalismo e neofascismo nella lotta politica al confine orientale 1945- 1975)” si rese protagonista di trasporto e occultamento di armi assieme al ≪noto fascista≫ Minozzi e partecipo alle squadre d’azione protagoniste di atti di violenza e gesti di intimidazione anche con bombe e pugnali nei confronti di militanti di sinistra e sedi di partito od organizzazioni operaie nel corso del settembre 1947” ribadendo la contrarietà a dedicare od intitolare a Dominutti una piazza a Monfalcone. 
 
Piero Purini ha riportato una carrellata significativa di nomi di Comuni come modificati per omaggiare i regimi e gli autoritarismi delle diverse epoche. Interessante è stato il caso di Salvia di Lucania che diventò Savoia di Lucania per “farsi perdonare”, dai reali, l’oltraggio di aver conferito i natali a Passanante che attentò la vita ad Umberto I, città dove da alcuni anni è nato un comitato che si batte per cambiare la denominazione del Comune. In merito alla vicenda d’annunziana e di Ronchi, Purini, ha già avuto modo di ricordare che “Considerando che l’intervento dell’Italia nella prima guerra mondiale fu una specie di colpo di stato antiparlamentare organizzato da Vittorio Emanuele, Salandra e Sonnino con l’aiuto della piazza sobillata in primis da d’annunzio e mussolini, mi pare che la figura di D’annunzio possa essere tranquillamente associata a quella di Junio Valerio Borghese o a De Lorenzo”.
 
Maurizio Puntin si è soffermato sulla storia della Bisiacaria e sul plurilinguismo di Ronchi, ricordando in materia che “ un coronimo minore, formatosi forse nel secolo XVII, ma diffusosi fra Ottocento e Novecento, è il nome del territorio di Monfalcone (fra Timavo ed Isonzo, escludendo i paesi carsici sloveni, detto popolarmente Bisiacarìa La voce bezjak / bizjak e antica e nota fin dal basso medioevo come nome di casato o cognome in Slovenia e soprattutto in Croazia, dove un etnico simile di uso dialettale indicò gli abitanti di alcune zone interne: per esempio l’area fra Varaždin e la Drava nel nordest, la zona fra Samobor e Karlovac (escludendo lo Žumberak) e Gimino nel centro-sud dell’Istria. Già nel secolo XVI il viaggiatore veneziano Marin Sanudo scrisse di una regione interna croata chiamata Beziathia. Purtroppo due fatti restano molto incerti.Uno è il significato originario di una supposta base *bez– /*biz–; esclusa del tutto dagli slavisti l’etimologia basata su beg ‘fuga’, sono state proposte altre che sono attualmente allo studio. L’altro fatto che rimane oscuro è la datazione di una eventuale immigrazione di elementi croati nel Monfalconese, un territorio che veniva chiamato in epoca patriarcale “Oltre-Isonzo” (Ultra Isoncium, Ultra Lisoncium, Oltra Lusinc) ed in epoca veneziana (1420-1797) Territorio di Monfalcone. Durante il medioevo si possono attestare in questo territorio un’infinità di voci, di toponimi e di soprannomi solamente nelle lingue friulana e slovena (Puntin 2010). Dopo le scorrerie turche (seconda metà del secolo XV) si ha un periodo di crisi in cui è ben testimoniata una fortissima immigrazione di elementi veneti, lombardi, istriani e balcanici; in questo nuovo ambiente prese piede una “lingua franca” basata sul veneto coloniale, ma con resti del dialetto precedente che era vicino al friulano parlato a Trieste (il “tergestino”). Fino a tutto il Settecento, però, questa differenza linguistica, rispetto al resto del Friuli, non produsse alcun senso di identità particolare”. Sottolineano che “ l’idea, priva di basi storiche, di una separatezza dal Friuli si è affermata, ma ancora confusamente, appena dopo la prima guerra mondiale, con la diffusione del concetto di “Venezia Giulia”. Ed è continuata nel secondo dopoguerra (dai primi anni Ottanta), ad opera di un gruppo di cultori della varietà dialettale bisiaca”. 
 
Alessandra Kersevan , ricollegandosi al Libro pubblicato dalla sua casa editrice e curato da Roberta Michieli e Giuliano Zelco: “Venezia Giulia: la regione inventata” ha ben evidenziato tutta la mistificazione che vi è stata intorno al significato di Venezia Giulia imponendo in sostanza una denominazione che ha compromesso la reale e variegata identità multietnica e culturale di questa piccola ma importate fetta di territorio, con l’azione determinante dell’irredentismo prima, fascismo poi.
 
Boris Pahor, invece, non essendo potuto venire personalmente, è stato video-intervistato, e condividendo le ragioni della proposta volta ad eliminare la denominazione dei legionari di Ronchi, dopo aver ribadito con lo scrittore alcuni connotati di chiara matrice razzista da parte di D’Annunzio( come scritto si rinvia all’intervento su GIAP), ha avuto modo di sottolineare in sostanza che dei legionari non ha più, oggi ragione e diritto di esistere, tolta la cittadinanza onoraria a Mussolini è altrettanto naturale togliere la denominazione dei Legionari di Ronchi, ben tenendo conto anche del fatto che oggi popoli e paesi come l’Italia, Slovenia e Croazia vivono in amicizia, e che Ronchi è un territorio multietnico, multiculturale e vista anche la presenza dell’aeroporto, sarebbe il caso di accogliere, chi giunge in questi luoghi, in modo diverso e non con la denominazione dei Legionari.
 
Wu Ming 1 ha relazionato sull’atrocità della guerra mondiale, sul carattere disumano e sul ruolo che ha avuto il linguaggio del sistema santificando l’eroismo e la patria, quando in realtà sono stati mandati al macello milioni di persone. D’altronde basta osservare il Sacrario di Redipuglia, il Sacrario della Morte per notare come la retorica nazionalistica ha trasformato cento mila persone in numeri, senza data di nascita e morte, spersonificando l’esistenza e plasmando la servitù al regime. Retorica, eroismo, patriottismo, non concilianti con la vera essenza della guerra, la morte. Sul caso Ronchi dei Partigiani, era già intervenuto più volte, ricordando che “ Il problema di tutte le rivisitazioni / rivalutazioni “da sinistra” degli ultimi anni è che, pur interessanti, si basano su una grandissima RIMOZIONE. In queste ricostruzioni è come se non esistessero – o sono pochissimo importanti – le popolazioni di lingua slava del Quarnero, dell’Istria e della Dalmazia. Popolazioni che pure erano la maggioranza in quelle zone. E che dalla fine della Grande guerra in avanti subirono la violenza dello spostamento a est del confine italiano, della dittatura fascista e dell’occupazione nazifascista. Di Fiume si capisce il senso solo se si “rovescia lo sguardo”, re-introducendo nel quadro gli slavi che l’italocentrismo (e/o la coda di paglia) costantemente rimuovono. Grande merito dell’intervento pubblicato suGIAP è di sottolineare, a colpi di citazioni e dati di fatto innegabili, lo schifoso razzismo di D’Annunzio e di tutta la retorica su cui si basava l’impresa. Razzismo antislavo che, come giustamente dice Tuco, è il principale anello di congiunzione col fascismo e – come dice Barone – con la seconda guerra mondiale, cioè con l’occupazione dei Balcani”. 
 
 
Poi dopo alcuni canti sulla resistenza, apprezzatissimi, del nascente nuovo coro triestino, si arriverà alla presentazione dell’Armata dei Sonnambuli. Un libro che ha avuto un successo, credibile, visto che è accaduto. 
 
Un libro dove libertà, uguaglianza e fratellanza, ben potrebbero essere rappresentante, pur nella loro connessa complessità, da Scaramouche, Marie e D’Amblanc, tre personaggi chiave nel e del libro. Impressionerà, molto, la figura di Marie, una donna che nel corso della vita, la sua vita, ha scoperto e compreso la necessità della rivoluzione, l’ha conosciuta, l’ha amata e non evitata, una donna che ha sciolto, con tutte le sofferenze del caso ma con elevata ed oggi quasi sconosciuta dignità, la sua individualità nella collettività, per una causa comune che era la causa del popolo, farina,pane e diritti. Donne rivoluzionarie e donne controrivoluzionarie, la solitudine della libertà in quel piccolo e grande umile uomo che sarà Scaramouche il quale combatterà l’inconsapevolezza di essere un manipolo di burattini per colpire il burattinaio che vuole la reazione alla rivoluzione. Magnetizzazione dello stato di consapevolezza, trance e luoghi e misteri duri e crudi come quella ghigliottina che ha mozzato teste borghesi e rivoluzionarie di cui oggi a Parigi non vi è traccia alcuna.  Insomma una giornata per la cultura resistente vincente, seguiranno nel tempo altre iniziative, senza dimenticare lo scopo primario del progetto, eliminare la denominazione dei Legionari di Ronchi perché Ronchi non è dei Legionari, non appartiene ai Legionari e se proprio si deve identificare con qualcuno questo qualcuno sono certamente i Partigiani, visto anche il prezzo altissimo conferito per la resistenza e la nostra libertà. Prossimamente verranno pubblicate sulla pagina di Ronchi dei Partigiani le foto dell’evento, i file audio delle relazioni nonché la video intervista a Boris Pahor ed altro ancora.
 

nota: si ringrazia Bruno Carini per alcune foto

ANTIFA/ Ancora a Gorizia, contro Forza Nuova

Volantino

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Minireport. Almeno 50 compagn* hanno partecipato al presidio antifascista antirazzista a Gorizia di sabato 21 giugno.

Quindi, tre presidi in quindici giorni che hanno permesso di consolidare la presenza dell’Osservatorio Regionale Antifascista in quest’area. Entro breve verrà indetta una riunione regionale per fare il punto della situazione.

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San Giorgio di Nogaro/ Almeno 350 persone alla manifestazione sulle fontane

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http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2014/06/22/news/petizione-per-la-difesa-delle-fontane-gia-mille-firme-1.9469403

 

mv on line del 21 giugno 2014

http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2014/06/21/news/pozzi-artesiani-petizione-contro-la-regione-1.9468279

 

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mv 21 giugno 2014

 

foto (purtroppo poi poco dopo le 22.oo è arrivata la pioggia è arrivata anche la pioggia)

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TRIESTE/Servizi educativi… e tre!

Trieste

Un’altra giornata di mobilitazione delle lavoratrici e dei lavoratori dei servizi educativi

 

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Giovedì 19 giugno, in occasione dello sciopero nazionale del pubblico impiego indetto dall’USB – Unione Sindacale di Base, quasi un centinaio di lavoratori e lavoratrici dei servizi educativi (asili nido, scuole dell’infanzia e ricreatori) della città si sono dati appuntamento in Piazza Unità sotto il Municipio.

L’obiettivo era quello di confermare la propria preoccupazione sul futuro dei servizi stessi e consegnare al Sindaco Cosolini e al Presidente del Consiglio comunale Furlanic le 1411 firme di genitori raccolte in sole due settimane per far dichiarare tutti i servizi educativi di Trieste essenziali e non fungibili.

 

Presente anche una delegazione dell’USI/AIT – Unione Sindacale Italiana, con bandiere e un volantino diffuso ai lavoratori in piazza.

 

E’ la terza volta che gli educatori precari scendono in piazza nel giro di poche settimane, e lo fanno ancora una volta raccogliendo una buona partecipazione di fronte all’esplicito boicotaggio dei sindacati istituzionali.

Lo sciopero è riuscito bene soprattutto nei ricreatori, con quattro strutture chiuse, mentre quelle rimaste aperte hanno dovuto accogliere solo un numero limitato di utenti.

Vari disservizi si sono verificati anche negli asili nido e nelle scuole dell’infanzia.

Il passo successivo spetta ora alla Giunta e al Consiglio comunale: dichiarino senza indugi i servizi educativi di Trieste essenziali per la cittadinanza, in modo da mantenere la gestione diretta e la continuità educativa nelle strutture dedicate all’infanzia.

 

La mobilitazione non si ferma qui!

 

 

(il vostro affezionato) frà precario

 

 

Qui di seguito il volantino dell’Unione Sindacale Italiana e altre immagini della giornata.

 

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