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Marzo 17th, 2017 — General, Repressione diffusa
L’ultima frontiera della democrazia
In un momento, come quello odierno, di profonda crisi occupazionale in
cui più forte dovrebbe essere la solidarietà, le istituzioni
pordenonesi hanno prontamente risposto con l’istituzione di un tavolo
per risolvere i problemi locali: fine della cassa integrazione per più
di 600 lavoratori, diminuzione degli ammortizzatori sociali, problemi
nella scuola, nella sanità etc. La soluzione è stata quella di
attribuire in modo perverso pari dignità a chi decide di muoversi per
Pordenone, soprattutto in macchina, per ragioni puramente personali
(lavoro? shopping? divertimento?), a chi cerca di portare alla luce le
ingiustizie che molti stanno subendo “tutti i giorni”. Se non fosse
tragico sarebbe comico rilevare che alla richiesta degli immigrati di
dignità, quella vera, diritti e libera circolazione sia stato risposto
contrapponendo la libertà di circolazione dell’automobilista e
dell’uomo/portafoglio pronto a rimpinzare le tasche dei poveri
bottegai pordenonesi. Noi anarchici e libertari non ci stiamo.
Denunciamo il tentativo di “paralizzare” chi vuole manifestare contro
ogni tipo di sopruso, di rendere lo sciopero sempre di più uno
spettacolo di burattini. Non saranno certo delle regole senza senso
(non è forse più penalizzante per “i cittadini” far partire una
manifestazione dal trafficato Largo San Giovanni piuttosto che da una
zona pedonale come p.tta Cavour) che ci spoglieranno della libertà,
quella vera, di occupare gli spazi e le vie cittadine per rendere
pubbliche le nostre rivendicazioni. A chi pensa che queste regole, a
cui non dimentichiamoci vanno aggiunte quelle nazionali sugli
obbiettivi sensibili, non siano dettate dal buon senso ma da un, non
troppo velato, sentimento liberticida; diciamo: “Sveglia! Fatti
sentire”.
Iniziativa Libertaria
Marzo 17th, 2017 — General, Repressione diffusa
Da Il Piccolo del 14/12/11
Rasman, la conferma dalla Cassazione: i tre agenti colpevoli
Resta la pena di sei mesi per omicidio colposo Lo avevano immobilizzato bloccandogli il respiro
di Claudio Ernè Colpevoli. La Corte di Cassazione ha confermato ieri le condanne per omicidio colposo inflitte dalla Corte d’appello di Trieste a tre agenti della Volante intervenuti il 26 ottobre 2006 nel monolocale di via Grego dove abitava Riccardo Rasman. Per il capopattuglia Mauro Miraz e per i colleghi Maurizio Mis e Giuseppe De Biase, è questa la condanna definitiva, giunta al termine dei tre gradi di giudizio. Sei mesi di carcere con la condizionale erano stati inflitti ai tre poliziotti nel processo di primo grado celebrato con rito abbreviato. Stesso esito aveva avuto il giudizio l’appello. Ieri si è pronunciata la Quarta Sezione penale dalla Corte di Cassazione dove l’avvocato Paolo Pacileo ha tentato l’ultimo assalto. Intanto il ministero degli Interni aveva già risarcito i congiunti della vittima con 70 mila euro. Nell’aula ieri era presente il capopattuglia Mauro Miraz che ha sempre partecipato alle udienze. Nell’aula del “palazzaccio” ieri erano arrivati anche i genitori e la sorella di Riccardo Rasman che – assieme al loro legale, l’avvocato Giovanni Di Lullo – per anni si sono battuti perché emergesse la verità su quanto era accaduto all’interno di quel monolocale di Borgo San Sergio dove avevano fatto irruzione due equipaggi della volante assieme a un paio di pompieri. Riccardo Rasman si era difeso, si era avventato contro gli agenti. Ne era scaturita una mischia, alla luce delle torce elettriche. Il giovane era stato ammanettato con i polsi dietro la schiena: i vigili del fuoco subito dopo gli avevano legato le caviglie con del filo di ferro. Poi era stato tenuto disteso sul pavimento e perché non potesse più reagire, i poliziotti avevano esercitato sul torace una pressione prolungata che si è rivelata fatale. Riccardo Rasman aveva iniziato a rantolare: la sua disperata richiesta di aria, col relativo rumore delle inspirazioni sempre più strozzate, era stato sentito da una vicina di casa. «Ho sentito i lamenti dell’arrestato che ansimava forte e respirava affannosamente. Erano gli agenti a stare sopra a Rasman». Ma nessuno dei poliziotti ieri condannati definitivamente, aveva pensato di sollevare da terra, liberandolo del loro peso. Quando avevano chiamato il 118 era troppo tardi. L’ambulanza era tornata mestamente vuota al parcheggio ed era entrato nell’appartamentino Ater il medico legale. «Asfissia da posizione» avevano scritto nella perizia i medici Fulvio Costantinides e Giovanni del Ben. Secondo il loro elaborato la tragica conclusione dell’irruzione, dove essere attribuita a una serie di concause: in primo luogo al notevole sforzo muscolare sostenuto da Riccardo Rasman per opporsi all’irruzione degli agenti, richiamati a Borgo San Sergio da alcune telefonate che attribuivano al giovane il lancio in strada di alcuni petardi. In secondo luogo alla sua stazza fisica, piuttosto corpulenta. In terzo luogo è stata determinante «la posizione prona, con le mani ammanettate dietro la schiena e le caviglie legate, nonché con alcune persone poste sulla schiena».
Marzo 17th, 2017 — General, Repressione diffusa
Il capitalismo maturo dell’Occidente (Stati Uniti ed Europa) con le sue crisi cicliche sempre più frequenti e profonde sta spingendo molti paesi considerati “ricchi”, Italia in primis, verso una precarizzazione selvaggia e, di conseguenza, verso un aumento della povertà. Non ci si può meravigliare, dunque, che un numero sempre maggiore di persone senta il bisogno di manifestare il proprio dissenso e di rivendicare un’alternativa a questo sistema energivoro e violento.
Anche limitandoci al “nostro piccolo”, la situazione non cambia, anzi. Il gioiellino “Nord Est” non è più così brillante, basti pensare a quante fabbriche o attività produttive nell’ultimo anno hanno chiuso i battenti o hanno subito una pesante ristrutturazione. Alla messa in mobilità ed al licenziamento di migliaia di persone la classe partitica locale, ma sarebbe uguale se parlassimo di quella nazionale, dimostra tutta la sua inadeguatezza, non riuscendo a dare altre risposte se non mettere in campo i “soliti” ammortizzatori sociali. Appare così evidente che, messa alle strette, la gerarchia politica in ogni ordine e grado, dal regionale al comunale passando per le province, oggetto recentemente di una parziale abolizione, sarà costretta a mostrarsi con il volto che gli è proprio, ovvero quello di “pompiere sociale”. A Pordenone ne abbiamo avuto un esempio proprio prima dell’estate, quando il sindaco Pedrotti, prima aizzato e poi spalleggiato dai presunti detrattori di centro-destra (in prima fila Ciriani e Narduzzi, rispettivamente PDL e Lega), se ne è uscito con la decisione di imbrigliare le manifestazioni in città con disincentivi tanto assurdi quanto inaccettabili.
Tale scelta è grave sotto molteplici aspetti. Per quando detto sopra e non solo è facile prevedere un autunno caldo, i lavoratori e le lavoratrici dovranno più volte scendere in piazza per difendere il loro posto di lavoro, la loro pensione e, visto le “cure” prospettate dal governo, i più elementari diritti. A queste richieste legittime, mentre a parole si dimostra comprensione, nei fatti si persegue la repressione. Ancor più aberrante è il fatto che questo rigurgito liberticida si sia palesato all’indomani della grande manifestazione dei migranti di Pordenone; del resto si tratta del classico “forti con i deboli”, ovvero la sempreverde attitudine a prendersela con l’anello più debole della cittadinanza, con chi non solo vive la crisi come o più degli autoctoni ma che, in virtù della sua “non italianità” subisce perennemente uno stato di ricatto giuridico e lavorativo.
Come antirazzisti e libertari non ci è possibile tacere e rimanere inattivi di fronte a questo attacco alla libertà di dissenso in città. La nostra legittima indignazione si concentra in particolar modo su tre punti imprescindibili:
– il diritto a manifestare nella pienezza delle strade, dei quartieri e delle piazze della città è inviolabile;
– contro le politiche di riduzione dell’agibilità politica sociale va contrapposta una pratica di difesa degli spazi esistenti per l’ampliamento dei diritti e dei luoghi di socialità;
– va respinto ogni tentativo di limitare il diritto a manifestare per garantire la circolazione automobilistica perché pretestuoso e fuorviante.
Siamo persuasi che questa lotta sia prima di tutto una lotta della città, di noi tutti; di chi, come noi, ha a cuore la difesa di ogni spazio di libertà, dove possano esprimersi le più diverse rivendicazioni: da quelle dei migranti a quelle dei beni comuni, passando per l’anello unificante che sono le rivendicazioni del lavoro. Per questo lanciamo un appello da far circolare ad ogni livello della società “incivile” per costruire assieme una manifestazione di piazza; anzi, se alla legittima necessità di manifestare dissenso e protesta per le condizioni d’ingiustizia sociale ed economica si sfoderano operazioni autoritarie, proponiamo che tale manifestazione sia autoconvocata e non autorizzata, propagandola come tale e mettendo quindi in luce la natura provocatoria di tale scelta: opporre la libertà alla censura, la creatività all’oscurantismo!
Ma questa è solo una proposta, ad oggi quello che più ci preme e chiedere a chi è interessato a questa difesa delle libertà civiche più elementari di trovarci e discutere insieme sul da farsi. Proponiamo quindi un’assemblea aperta verso la seconda metà di settembre in un luogo da definire.
Iniziativa libertaria
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Rassegna stampa
dal Messaggero Veneto del 02/09/11
«Riprendiamo la piazza». Non ci sono solo Cgil, Cisl e Uil, sul piede di guerra, ma anche gli anarchici, e per ragioni che vanno oltre gli effetti della manovra governativa. Un’assemblea a porte aperte, in tal senso, è in agenda a metà settembre con Iniziativa libertaria in prima linea, contro l’ipotesi delle piazze blindate in città. L’appello sul web è stato raccolto dai Cobas della scuola coordinati da Luigina Perosa, che hanno messo on line i disagi della precarietà. Il popolo dei senza lavoro è aumentato nelle aziende e anche nel settore istruzione, con circa 200 supplenti rimasti senza incarico nell’annata 2011-2012. Ci sono bidelli, maestri e laureati “fantasma”, cioè privi di contratto e di salario in una fascia tra 30 e 50 anni. «C’è bisogno di manifestare il dissenso – recita il comunicato condiviso -. Sarà un autunno caldo, in piazza». L’ipotesi di un giro di vite alle manifestazioni era nata dopo il corteo dell’Associazione immigrati, lungo le vie cittadine il 9 luglio scorso. Per i libertari e Cobas dell’istruzione, invece, ci sono tre punti fermi: «Il diritto inviolabile a manifestare nella pienezza delle strade, quartieri e piazze – ha sottoscritto Perosa -; la difesa degli spazi esistenti per l’ampliamento dei diritti e dei luoghi di socialità; la necessità di respingere ogni tentativo di limitare il diritto a manifestare dicendo di garantire, in questo modo, la circolazione delle auto». Gruppi spontanei di studenti delle superiori con precari, cassintegrati e immigrati hanno risposto all’appello degli anarchici. «Proponiamo una manifestazione autoconvocata – hanno provocato – e non autorizzata». In attesa di capire se si farà, il disagio sociale viaggia libero on line. (c.b.)
Marzo 17th, 2017 — General, Repressione diffusa
Comunicato
Il CSA di Via Volturno-Via Scalo Nuovo in esilio (dopo lo sgombero del 10 dicembre 2009), solidarizza con gli squatters della caserma Piave, sgomberati il 7 luglio dalla Digos, e denuncia che, ancora una volta, l’unica risposta alle esigenze oggettive, abitative e di socializzazione autogestita, sia costituita da sgomberi, repressione, denunce, fogli di via eccetera. Già un anno fa, per quanto ci riguarda, le trattative con il Comune per ottenere un posto per il CSA si sono arenate e Honsell ci ha liquidati dicendoci che non ci sono spazi a disposizione. Presto dimostreremo il contrario e ci chiediamo: chi arriverà per prima a sgomberarci? I Carabinieri o la Digos? Infatti il CSA in esilio, dopo una lunga incubazione, ha deciso di ritornare alla carica ed entro il secondo anniversario dello sgombero riaprirà un altro posto con le stesse caratteristiche dei Centri Sociali precedenti, anche se con maggiori accortezze tattiche, derivanti dal patrimonio dell’esperienza acquisita in un quarto di secolo di lotte in Friuli.
Messaggero Veneto VENERDÌ, 08 LUGLIO 2011 Pagina 23 – Cronache
Ex Piave, la polizia scopre un rifugio di punkabbestia
I vecchi locali della caserma erano stati occupati da “vagabondi metropolitani” Il blitz ieri mattina all’alba. Denunciate otto persone, tra cui un minorenne
di Federica Barella Un vero e proprio blitz organizzato all’alba di ieri mattina. Così gli agenti della Squadra mobile della questura di Udine, assieme ai colleghi delle Volanti e della Digos, sono riusciti a liberare l’ex caserma Piave dall’occupazione messa in atto negli ultimi tempi da un gruppo di ragazzi “vagabondi metropolitani” e “punkabbestia” che avevano scelto i vecchi edifici militari come loro provvisoria abitazione. O meglio come loro giaciglio. E’ terminata così l’operazione nata sulla scorta di alcune segnalazioni e che ha avuto solo una breve fase di indagini. Gli inquirenti non ci hanno messo tanto a scoprire che regolarmente un gruppo di giovani si intrufolava negli spazi della caserma dismessa situata tra via Catania e via Lumignacco, grazie a un passaggio creato in una parte del muro di cinta. Alla fine i denunciati per invasione e occupazione abusiva di edificio pubblico sono stati ben otto, di cui tre stranieri, che erano soliti girare anche nel quartiere accompagnati da altrettanti cani di grossa taglia. Si tratta di un ragazzo tedesco di 22 anni, di sua moglie di nazionalità ceca di 22 e di un altro tedesco, di 42 anni. Per loro oltre alla denuncia è scattato anche il provvedimento di foglio di via obbligatorio e di non ritorno in città. Gli altri denunciati sono due ragazzi udinesi di 20 e 26 anni, un 41enne originario dell’Argentina, ma ora residente in Italia (già noto alle forze di polizia), e una ragazza non ancora ventenne residente in altro comune, per la quale è stato avviato il procedimento di divieto di ritorno in città. Infine tra i denunciati c’è anche un minorenne. Si tratta di un ragazzo friulano, residente in un comune vicino a Udine, anche lui sorpreso ieri mattina a dormire nei giacigli di fortuna ricavati da questo gruppetto nelle stanze dismesse da anni dall’esercito. Arredamento scarno, se non inesistente: stando agli oggetti ritrovati, secondo gli inquirenti della questura, i vari locali dell’ex caserma da tempo era saltuariamente utilizzati come dormitorio e come rifugio di fortuna da questi ragazzi “vagabondi metropolitani” o “punkabbestia”. Giovani che hanno deciso di vivere rifiutando la società organizzata, vivendo di elemosina e a volte anche di piccoli espedienti, spesso con inseparabili grossi cani, capelli lunghi attorcigliati in “dreadlocks”, ma anche con molti tatuaggi a ricoprire il corpo. Nella perquisizione dei locali occupati dai giovani le forze dell’ordine non hanno comunque ritrovato né droga né armi. La questura ha già emesso una segnalazione al Comune, proprietario dell’immobile, affinchè vengano chiusi tutti i passaggi.
Marzo 17th, 2017 — Repressione diffusa
Dal Piccolo del 07/04/11
Attentati anarchici
c’è una pista triestina
Perquisite due case
Sequestrati computer e documenti definiti «interessanti»
La maxi operazione anti-terrorismo è partita da Bologna
Bologna e Trieste,ma anche
Modena, Roma, Padova, Trento,
Reggio Calabria, Ancona, Torino,
Lecce, Napoli, , Genova, Teramo,
Forlì, Ravenna e Milano. In queste
città è scattato ieri il blitz che ha
coinvolto circa 300 uomini della
Polizia. Investigatori chiamati a
ricostruire la rete di contatti tra gli
esponenti dell’ala insurrezionalista
del movimento. Contatti che il
nucleo bolognese teneva anche
attraverso la rivista clandestina
“Invece” trovata anche a Trieste.
Un blitz con trecento uomini della polizia
Ha toccato anche Trieste la maxi operazione anti-terrorismo avviata
dalla procura di Bologna che, all’alba di ieri, ha fatto scattare
in sedici città del Paese dodici misure cautelari e una sessantina
di perquisizioni a carico di esponenti dell’ala insurrezionalista
del movimento anarchico italiano, accusati di associazione
a delinquere con finalità eversive. Nel nostro territorio a
ricevere la “visita” di Digos e polizia sono stati due uomini di 30
e 35 anni, sorpresi all’interno di altrettante abitazioni in centro
storico. Abitazioni nelle quali sono stati sequestrati computer e
grandi quantità di documenti, manifesti e volantini di propaganda.
Materiali definiti dagli investigatori “estremamente interessanti”
tanto che, nelle prossime ore, potrebbero portare
all’iscrizione dei loro nomi nella già lunga lista degli indagati.
Per il momento infatti a carico dei due triestini – già noti alla
Digos come attivi protagonisti dell’anarchismo cittadino – non
è stata mossa alcuna accusa. A chiamarli in causa nell’operazione
è stata essenzialmente la conoscenza diretta e l’assidua frequentazione
con il nucleo bolognese del movimento. Quello a cui, secondo la procura del capoluogo
emiliano, sarebbero riconducibili diversi atti dimostrativi
e raid messi a segno negli ultimi anni. Tra questi anche l’attacco
incendiario nella sede dell’Eni eseguito a Bologna il 28 marzo
scorso.
Proprio con gli attivisti emiliani e con i frequentatori del circolo
bolognese “Fuoriluogo”, posto ora sotto sequestro penale, i
due triestini avrebbero avuto rapporti stretti e frequenti. Al
punto che gli investigatori non escludono nemmeno un loro
coinvolgimento attivo negli atti a sfondo terroristico. Chi invece,
secondo la procura di Bologna, a quegli episodi ha contribuito attivamente,
seppur a vario titolo, sono i cinque arrestati: Stefania
Carolei e Annamaria Pistolesi, bolognesi di 55 e 36 anni, Martino
Trevisan e Robert Ferro, 25enni e originari dell’Alto Adige
e il romeno Roman Nicusor di 31 anni. Un ruolo importante
l’ avrebbero avuto poi altri sette anarchici: Sirio Manfrini (26 anni,
di Rovereto), Roberto Nadalini (modenese 32enne), Maddalena
Calore (24 anni, Padova), Francesco Magnani (24 anni,
Ferrara, fermato proprio per l’attentato all’Eni) colpiti da obbligo
di dimora nel Comune di appartenenza, e Stella Paola Molina
(25 anni, trentina), Giuseppe Valerio Caprioli (27 anni, potentino),
Simone Ballerini (21 anni, di Bologna), raggiunti da divieto
d’accesso nel territorio di Bologna. Secondo gli inquirenti il gruppo
aveva dato vita a un sodalizio interessato ad aggredire
“antagonisti” politici e sociali, individuati nelle forze di polizia,
in centri di potere economico (banche e aziende), partiti e in
simboli di azioni governative avversate,come i Centri per l’identificazione ed
espulsione.
Marzo 17th, 2017 — General, Repressione diffusa
Buone notizie ogni tanto.
Da Il Piccolo
MARTEDÌ, 21 DICEMBRE 2010
ACCORDO TRASVERSALE MA LEGA E AN PROTESTANO. SBRIGLIA MINACCIA DIMISSIONI
Vigili con la pistola, la delibera va in archivio
Delle armi ai vigili urbani si occuperà la prossima maggioranza. Quella che uscirà dalle urne in primavera. È questo l’esito del confronto a tratti aspro di ieri nel corso della riunione della sesta Commissione consiliare, presieduta da Roberto Sasco. È stato lo stesso sindaco Roberto Dipiazza a proporre di “congelare” la delibera che prevede l’attribuzione delle armi ai vigili urbani. «Viste le attuali difficoltà di bilancio – ha detto Dipiazza – sarebbe meglio procrastinare. Armare e addestrare 70 vigili, pensare alla custodia delle pistole, sono tutte operazioni che alla fine comporterebbero per le casse del Comune – ha precisato – una spesa di svariate centinaia di migliaia di euro. Tutto questo – ha aggiunto – in una città dove la sicurezza non è una delle problematiche più urgenti, anzi. Meglio rinunciare alla delibera, ritirandola». A quel punto si sono dichiarati d’accordo con Dipiazza Bruno Sulli, capogruppo di Un’altra Trieste, Piero Camber, capogruppo di Forza Italia-Pdl, Alessandro Minisini, responsabile del Gruppo misto, Fabio Omero, capogruppo del Pd, Roberto Decarli, capogruppo dei Cittadini, Alfredo Cannataro e Giuseppe Colotti del gruppo Dipiazza per Trieste, lo stesso Sasco, come capogruppo dell’Udc.
Un “sì” trasversale a maggioranza e opposizione, che ha trovato la ferma opposizione dell’assessore alla Vigilanza, Enrico Sbriglia. «Le leggi nascono per essere rispettate – ha detto, riferendosi a quella regionale sull’armamento dei vigili – e a questo punto non escludo di pensare alle mie dimissioni». Un secco no alla proposta di Dipiazza è arrivato da Antonio Lippolis, capogruppo di Alleanza Nazionale: «Perché improvvisamente si decide di non far rispettare le leggi?» si è chiesto. Con lui si è schierato Vincenzo Rescigno, dello stesso gruppo.
Sulla linea del no anche Maurizio Ferrara, capogruppo della Lega Nord: «Sono contrario, perché c’è un’amministrazione locale che è della stessa parte di quella che governa la regione, perché cambiare? L’assessore Sbriglia – ha affermato – sta subendo il ritiro politico della delibera, invece la legge va applicata. Alle prossime elezioni – ha concluso – la Lega riproporrà come programma l’armamento dei vigili».
Nel corso della seduta si è deciso che sarà il consiglio comunale a prendere atto della presentazione della relazione geologica composta per integrare il Piano regolatore.
Ugo Salvini
Marzo 17th, 2017 — Repressione diffusa
L’anno scorso in questo periodo a Monfalcone ci fu una retata “pedagogico-terroristica” di ragazzini, l’anno prima la repressione contro i militanti antirazzisti di Officina sociale. Puntuale anche quest’anno arrivano (questa volta a Gorizia) i controlli con tanto di cani antidroga e un immotivata conduzione in questura di un ragazzo sospettato di avere in tasca droga…
Non bastava l’ordinanza antischiamazzi di Romoli, i controlli anche nei cantieri per eventuale consumo di sostanze (anche al di fuori dell’orario di lavoro): l’opera di controllo delle condotte considerate devianti – e contro i migranti – prosegue (e continuerà già lo minacciano) preoccupantemente da parte delle forze dell’ordine dell’isontino!
Controlli a raffica nei bar: a Gorizia tutto è tranquillo
Il Piccolo 06 febbraio 2011 — pagina 02 sezione: Gorizia
Cinque locali del centro controllati, una persona accompagnata in questura per degli accertamenti, e subito rilasciata. Un centinaio di persone identificate, ma nessun illecito contestato. Sono questi i numeri della maxi-operazione di polizia effettuata venerdì sera a Gorizia nell’ambito dei Servizi straordinari del controllo del territorio previsti dal progetto di prevenzione nell’uso delle sostanze alcoliche tra i giovani. Coordinati dalla Questura, nel corso della serata, gli agenti della Squadra mobile, della Digos, dell’Immigrazione, della Stradale e della Polizia di Frontiera, coadiuvati dal gruppo cinofili della Guardia di Finanza e dal reparto Prevenzione crimine di Padova hanno effettuato dei blitz a sorpresa in alcuni dei locali più frequentati del centro: il bar Aenigma di via Mazzini, la sala giochi Perseo e il bar Tokio di corso Italia, il bar Forum di corso Verdi e il Casinò slot di via Crispi. I dirigenti della Questura hanno precisato che l’attività non è stata pensata con finalità repressive, quanto con finalità preventive. L’obiettivo ultimo rimaneva, e rimane, quello di porre un limite al disturbo della quiete pubblica nelle ore serali. Nonostante la tanto contestata ordinanza anti-schiamazzi firmata dalla giunta guidata dal sindaco Ettore Romoli, in alcune zone della città, proseguono infatti le lamentele di alcuni residenti nei confronti di quanti frequentano le aree esterne dei bar.
In una città come Gorizia, l’ingente spiegamento di forze della scorsa notte non è passato inosservato e c’è stato chi, tra i passanti, vedendo in azione anche i cani anti-droga, ha pensato a vere e proprie retate. Il supporto della squadra cinofili della Guardia di finanza ha avuto come unica conseguenza il fermo temporaneo e l’immediato rilascio di un giovane. Gli agenti hanno accompagnato il ragazzo in Questura per dei controlli dopo che, all’esterno della sala giochi Perseo, il cane aveva fiutato qualcosa di anomalo. Si è trattato in realtà di un equilvoco. A un’attenta verifica, il giovane è risultato pulito. Non aveva con sé alcuna sostanza illegale ed è stato subito rimesso in libertà. Tra la curiosità di molti, l’operazione si è conclusa attorno all’una di notte dopo le verifiche effettuate al Casinò slot di via Crispi. Il dato incoraggiante è legato al fatto che i controlli non hanno evidenziato situazioni di particolare criticità quanto a diffusione di sostanze stupefacenti e che i gestori dei locali sono risultati tutti in regola. Anche se per le forze dell’ordine lo spiegamento di personale richiede sforzi straordinari (ne è l’esempio la presenza del reparto Prevenzione crimine di Padova) i controlli verranno in ogni caso riproposti.
Un paio di mesi fa le forze dell’ordine avevano lanciato un’analoga operazione su larga scala. Anche in quel caso tutto era risultato in regola, sia dal punto di vista della gestione dei locali che dei clienti.
Stefano Bizzi
Marzo 17th, 2017 — General, Repressione diffusa
E’stata una bellissima manifestazione: partecipata (ben oltre 500 persone), spontanea ed autoorganizzata.
Da Il piccolo del 24/10/10
Piazza Cavana gremita per dire ‘no’ all’ordinanza anti-suonatori di strada
Continua la protesta dei musicisti di strada triestini al regolamento con cui il Comune si appresta a istituire un”Anagrafe’ che impone il divieto, se non muniti di patentino, di esibirsi in piazze e strade cittadine
di ELISA COLONI Tamburi, chitarre, violini, fisarmoniche, trombe, flauti, maracas e nastri colorati: sono stati loro gli strumenti del dissenso, ieri sera, in una piazza Cavana stracolma di gente in festa. Centinaia di persone si sono date appuntamento in questo angolo del centro per dire no – in musica – al regolamento con cui il Comune si appresta a istituire l’”Anagrafe” degli artisti di strada, vietando loro di fatto di esibirsi (se non muniti di patentino) in piazze e strade cittadine. A partecipare alla manifestazione, nata come iniziativa spontanea di vari gruppi di musicisti di strada, centinaia di persone di ogni tipo ed età. Dai giovani ”alternativi” alle signore della Trieste bene, per tutti la parola d’ordine era manifestare pacificamente, ma rumorosamente, suonando i più svariati tipi di strumenti, cantando e ballando. Ogni angolo di piazza Cavana è stato occupato da suonatori di strada e da piccole band più o meno improvvisate. Tutto attorno capannelli di persone intente a ballare o semplicemente ad ascoltare divertite: impossibile non battere il ritmo con i piedi. Molti i volti noti presenti in piazza (così gremita che verso le 19 si sono rischiati veri e propri ingorghi). C’erano, tra gli altri, il Cittadino Roberto Decarli, il Verde Alfredo Racovelli, il segretario del Pd Roberto Cosolini. «È bello – ha commentato Cosolini – vedere manifestazioni come queste, pacifiche e allegre, a dimostrazione del fatto che la città ha voglia di gioia e positività. Credo che c’erano cose più urgenti e importanti di cui il sindaco Dipiazza avrebbe potuto occuparsi prima. L’ordinanza ha come obiettivo reprimere chi disturba e molesta il prossimo suonando? Ebbene, si punisca solo chi molesta davvero, non tutti indiscriminatamente». Tanti, ieri, i look originali, anche stravaganti, ma assolutamente in tema con la serata. Come quello di Anna, monfalconese, truccata e vestita da clown: «Per anni ho lavorato negli ospedali per portare la clown therapy e regalare un sorriso ai bambini che soffrono – ha commentato -. L’allegria è una grande medicina e aiuta a vivere meglio, in qualsiasi forma essa venga suscitata, anche con la musica e l’arte di strada: il sindaco Dipiazza non può tentare di vietarla». Poco distante da Anna, spuntava tra la folla un cappello da asino, munito di orecchie di peluche; sul cappello, scritta con un pennarello, si poteva leggere una frase: «Evviva il sindaco»
Sbriglia: «Ma nelle piazze non si fa ciò che si vuole»
«Non amo vedere per strada le persone che ridono e/o si divertono sulle altre, a motivo dei loro difetti fisici o delle loro abilità, sonore o meno; non amo “Le corti dei miracoli”, le atmosfere pseudo-balcaniche e la confusione in genere». È il pensiero dell’assessore alla Vigilanza, Enrico Sbriglia, che sull’ordinanza ritiene si stia montando «il solito caso». Altro che governanti locali di centrodestra «ottusi, autoritari ed ignoranti», quell’ordinanza secondo l’estensore altro non fa che «ribadire il “primato” del principio che la pubblica via è un bene “pubblico”, più importante dell’area della mia casa o della sua casa, è un luogo che va rispettato e disciplinato e dove non è consentito fare quel che si vuole». Sbriglia si dice «stanco di vedere le strade trasformate in improvvisi e scadenti mercati, in approssimativi teatri dove il cittadino è ostaggio del sedicente artista, dove chi intenda semplicemente stare tranquillo e passeggiare debba invece ingaggiare corse improvvise e scatti fulminei per non essere agganciato da chi esiga comunque del denaro per qualcosa che non hai chiesto e non ti interessa». Ai divieti già presenti nell’ordinanza del 2005, sostiene l’assessore, oggi viene aggiunto «in fase preventiva, un primo avviso e, ove questo non vada a buon fine, oltre che la sanzione anche il sequestro dello strumento». Sbriglia lascia aperta una strada: «È previsto che artisti particolarmente qualificati, facendone richiesta, potranno esibirsi nel rispetto delle indicazioni. Il mio pensiero, ad esempio, va in termini di sicurezza, alle distanze minime affinché gli spettatori non corrano pericoli davanti a spettacoli di mangiafuoco, lancio di oggetti e clavette, di esibizioni di abilità ginnica…».
Marzo 17th, 2017 — General, Repressione diffusa
MV 25 agosto
I disobbedienti erano stati identificati a Vivaro dalle forze dell’ordine
di Martina Milia
PORDENONE. Una pioggia di denunce annunciate. Sono 55 gli indagati dalla Procura di Pordenone per il blitz del 9 agosto scorso al campo di Vivaro. I rischi? Il carcere o ammende salate. Rischi che qualcuno corre più di altri visto che alcuni dei no global identificati avevano partecipato anche all’incursione nella sede di Agricoltori federati lo scorso 30 aprile.
E mentre la Procura non ha ancora trasmesso al Gip la richiesta di procedere nei confronti della semina illegale chiedendo la distruzione del campo di Fanna, l’intera vicenda degli Ogm è finita sul New York Times con i suoi protagonisti: da Giorgio Fidenato (indagato per la semina illegale) a Luca Tornatore, leader dei disobbedienti, da Giancarlo Galan, attuale ministro all’A gricoltura, a Luca Zaia, ex ministro. E gli americani giudicano la gestione della vicenda Ogm, da parte dell’Italia, “kafkaesque”, ovvero kafkiana.
I no global che hanno distrutto il campo di Vivaro in cui Giorgio Fidenato ha seminato mais transgenico sono stati tutti identificati. Di più, la Procura (pm Daniela Bartolucci) ora li indaga per mancato avviso di pubblica riunione (articolo 18 del testo unico della legge di pubblica sicurezza), invasione di terreni (633 codice penale), violazione pubblica della custodia di cose (351) e violazione di sigilli (349).
I disobbedienti, quasi tutti veneti (per lo più residenti nelle province di Venezia e Padova), sono entrati nel campo sotto sequestro senza preannunciare alcuna azione e lo hanno raso al suolo con la sola forza dei piedi. Le forze dell’ordine, sopraggiunte ad azione ormai ultimata, hanno però raccolto le generalità degli attivisti – che hanno sempre rivendicato il fatto di aver agito alla luce del sole – e provveduto a identificarli. Il resto sarà la magistratura a deciderlo.
Dalla semina illegale al blitz dei no global, la vicenda Ogm arriva oltre oceano. A firma Elisabeth Rosenthal, il
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New York Times ha ricostruito la vicenda di Vivaro e messo in evidenza le contraddizioni. L’Italia, secondo la giornalista, ha portato avanti «un processo di approvazione kafkiano in cui il ministero dell’Agricoltura non ha mai stabilito i requisiti» per arrivare a un risultato. Questo, secondo il New York Times, ha bloccato sul nascere le colture geneticamente modificate.
Nel rilevare come non ci siano vincitori certi, visto che sia Fidenato sia i no global rischiano «il carcere o buone notizie», il New York Times non manca di sottolineare anche lo scontro politico in atto citando il ministro Giancarlo Galan che ha definito i no global «vandali» e l’ex ministro Luca Zaia che si è schierato dalla loro parte.
(25 agosto 2010)
Marzo 17th, 2017 — General, Repressione diffusa
Da Il Piccolo del 04/10/10
«Gli agenti non si curarono di come stava Rasman»
Sarà la Corte di Cassazione a decidere in modo definitivo se gli agenti di polizia Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giuseppe De Biase hanno sbagliato e con la loro azione di contenimento hanno provocato la morte di Riccardo Rasman, il giovane di 34 anni stroncato nel suo monolocale di via Grego 38 il 27 ottobre 2006. Saranno i giudici della Corte di Cassazione perché il difensore dei tre agenti della ”volante”, l’avvocato Paolo Pacileo, ha già annunciato il proprio ricorso contro la sentenza di condanna a sei mesi con la condizionale per omicidio colposo pronunciata in primo grado e ribadita all’inizio dell’estate dalla Corte d’appello. Pochi giorni fa sono state depositate in cancelleria le motivazioni con cui la presidente Francesca Morelli e consiglieri Donatella Solinas ed Edoardo Ciriotto hanno ribadito che l’intervento effettuato dagli poliziotti nel monolocale di Borgo San Sergio era legittimo e comprensibile, ma le modalità con cui si è protratto nel tempo al contrario hanno infranto la legge. Ecco in dettaglio cosa si legge a pagina 8 della sentenza di secondo grado. «È pacifico, per ammissione degli stessi imputati e dei vigili del fuoco, oltre che degli agenti delle volanti uno e due, che Riccardo Rasman fu tenuto ammanettato e prono per terra, mani e piedi, con il corpo compresso per lunghi minuti, almeno cinque e mezzo, senza che qualcuno si fosse preoccupato delle sue condizioni di salute e men che meno si fosse pensato di rimettere il giovane in una posizione adeguata che gli consentisse di respirare in maniera agevole. Se anche vi fosse stato il rischio, come affermano gli imputati, che Riccardo Rasman potesse colpirli con una testata o avventarsi contro di loro e i vigili del fuoco con il peso del proprio corpo, si osserva che non potevano di certo essere i rischi di eventuali colpi a far cambiare idea agli agenti sulla necessità di salvaguardare, oltre che la propria incolumità anche quella del Rasman, facendogli assumere dopo l’ammanettamento una posizione consona che gli consentisse di respirare senza difficoltà. Il che non è stato fatto». La sentenza va al di là di questi agghiaccianti dettagli e affronta anche la tesi sostenuta dal difensore che aveva fatto sentire in aula, nel corso dell’istruttoria, un sovrintendente-istruttore della polizia di Stato. «Al di là della genericità delle domande poste, le risposte dell’istruttore non si sono certo incentrate sul tema più rilevante del giudizio, e cioè di quale deve essere la condotta di un agente nella fasi che seguono l’ammanettamento. Sembra alla Corte – si legge ancora nelle motivazioni – che un conto è disquisire di tecniche di difesa personale e di ammanettamento impartite nelle scuole, altro, della condotta degli imputati, i quali quando Rasman era stato messo nelle condizioni di non nuocere, immobilizzato a terra, prono, con le braccia e le gambe legate, fu mantenuto nella posizione di contenzione al suolo per almeno cinque minuti e mezzo, esercitando per questo periodo una pressione che si è dimostrata letale». Nel processo d’appello il difensore della famiglia Rasman, l’avvocato Giovanni Di Lullo, aveva chiesto che Francesca Gatti, l’agente di polizia che aveva partecipato all’ammanettamento, e che in primo grado era stata assolta, fosse condannata come i colleghi a risarcire il danno provocato dall’intervento. La richiesta è stata respinta in quanto la poliziotta «non ebbe alcun ruolo, in quanto è accaduto dopo l’ammanettamento». (c.e.)