Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
“Hanno vinto i No Tav, sono più forti dello Stato. Lunedì metto la società in liquidazione”. Lo annuncia Beppe Benente, titolare della Geomont di Bussoleno (Torino), dopo che stamattina la Commissione bilancio della Camera ha respinto l’emendamento a tutela delle imprese che lavorano al cantiere della Torino-Lione. “Alzo bandiera bianca – ribadisce Benente, la cui ditta ha subito due attentati in un mese – perché mi sento abbandonato dallo Stato”.
Benente afferma di “non avere mai chiesto niente” allo Stato, anche se confidava “in un gesto simbolico, che facesse capire ai No Tav e alla gente che lo Stato ci è vicino. Ringrazio coloro che ci hanno provato, ma non si è arrivati neanche a questo. Mi sento preso in giro”. La Geomont è passata da 34 a nove dipendenti nell’arco di due anni. “A queste condizioni – riflette Benente – non si può più andare avanti. Lo Stato ti chiede i soldi in anticipo, ti bastona con il Fisco e non ti tutela contro quelli che ti bruciano i macchinari. Come possiamo fare? Francamente, mi costa meno andare a sciare tutto l’inverno e stare più vicino ai miei figli”.
Non si tratta, secondo l’imprenditore, di una questione economica: “Non ho mai chiesto soldi a nessuno, semmai sono stati altri a prometterli – afferma – e, anzi, ad altre condizioni sarei stato anche pronto a indebitarmi con un finanziamento agevolato e restituire il denaro nell’arco di qualche anno. Ma in Italia non si può più pensare di fare imprenditoria. Quanto accaduto oggi è la dimostrazione che come qualcuno tenta di fare qualcosa subito gli tagliano le gambe”.
Benente aveva manifestato il proposito di chiudere l’azienda già un mese fa, dopo che gli furono incendiati alcuni mezzi. Mercoledì mattina un altro attentato. “Non è cambiato nulla – conclude – e oltre al danno c’è anche la beffa, perché i No Tav sui siti si permettono addirittura di scrivere che mi sono incendiato i mezzi da solo. Sono stanco anche di questo fango. L’ho già detto: hanno vinto loro”.
Marzo 17th, 2017 — General, Loro
da Il Piccolo del 5 ottobre 2013 pag. 34 – Gorizia-Monfalcone
Centrosinistra: la Tav stravolge i territori
SAN CANZIAN Il gruppo di minoranza “Centrosinistra per San Canzian futura” difende il proprio voto di astensione sulla delibera relativa al parere sulle integrazioni al progetto dell’Alta velocità ferroviaria effettuate da Italferr al progetto preliminare della Tav. «La maggioranza presenta una proposta di delibera in merito alle osservazioni sulla Tav – spiega il gruppo -. La minoranza si dichiara d’accordo sulle proposte di integrazione, perchè volte a difendere e tutelare la popolazione locale, però dichiara di non poter accettare l’affermazione contenuta in uno degli allegati alla delibera che considera “necessaria per lo sviluppo futuro del Paese la costruzione della linea Av-Ac”». Il gruppo ritiene che, proprio in virtù del presumibile rapporto costi-benefici dell’opera, in un momento di grave crisi economica, «non si può accettare il progetto di Alta velocità». «Noi riteniamo importante intervenire per potenziare l’attuale linea ferroviaria – ribadisce il gruppo – e non certo per interventi faraonici atti a stravolgere la struttura dei nostri territori. Ecco perché in sede di votazione i consiglieri di “Centro sinistra per San Canzian” si sono astenuti. Secondo la logica della maggioranza – prosegue – l’astensione significa “non volere che i cittadini siano indennizzati”. Non si capisce bene da dove derivi una tale conclusione. A meno che non si pensi che l’intento sia quello, ampiamente esercitato, di gettare discredito sulla minoranza, adottando qualsiasi pretesto, spesso inconsistente. Questo però è il modo di fare politica nel nostro Comune. Non resta che rassegnarsi – conclude – e continuare con serietà a fare il nostro lavoro di consiglieri di opposizione».
da Il Piccolo del 2 ottobre 2013
«No alla Tav senza una tutela per le case»
Il Comune di San Canzian chiede una fascia boscata per mascherare le barriere antirumore
SAN CANZIAN D’ISONZO. Pur ritenendo il progetto dell’Alta velocità-Alta capacità ferroviaria necessario per lo sviluppo futuro del Paese, amministrazione comunale e maggioranza al governo di San Canzian d’Isonzo preannuncia parere negativo nel caso in cui non siano accolte le osservazioni già presentate nel 2011. «E di cui non c’è alcuna traccia nelle integrazioni apportate da Italferr su richiesta della commissione di Via», ha sottolineato nell’ultima seduta del Consiglio comunale il vicesindaco e assessore ai Lavori pubblici, Luciano Dreos. Tant’è che questa volta l’amministrazione comunale è stata impegnata dal Consiglio a inviare il giudizio non solo alla Regione, ma anche, direttamente, ai ministeri coinvolti e agli esponenti politici del territorio. Il documento ribadisce quindi come imprescindibile l’allargamento della fascia di rispetto a 30 metri dalla linea. In questo modo le abitazioni da abbattere sarebbero 30, ma si eliminerebbero i pesantissimi disagi per chi si troverebbe a ridosso dei 10 metri di distanza dal tracciato. In ambito residenziale si chiede di nuovo la formazione di una fascia boscata di mascheramento delle barriere antirumore e che nelle zone extraurbane, dove non ci saranno pannelli fonoassorbenti, sia eseguito un terrapieno di mitigazione visiva. Vengono riproposte tutte le perplessità espresse a inizio 2011 sulle fasi di cantiere. A iniziare dalla richiesta di mantenere il cavalcaferrovia esistente di Pieris fino a quando non venisse costruito quello nuovo, prospettato dal progetto di Italferr. «In caso contrario una mole enorme di traffico attraversebbe Begliano», ha ricordato Dreos. Nel documento si richiede anche un’analisi costi-benefici dell’opera e la precisazione degli scenari dal punto di vista dei volumi di traffico, rilevando, inoltre, che il progetto preliminare non contiene alcuna previsione di raccordo tra la nuova linea e il porto di Monfalcone. Pur condividendo l’esigenza di tutelare la comunità, i quattro consiglieri presenti del Centrosinistra per San Canzian futura si sono astenuti, confermando la scelta di non ritenere “necessaria” la Tav, a differenza dell’amministrazione comunale. «Il gruppo di minoranza astenendosi ha scelto di non scegliere – attacca il gruppo di maggioranza Centrosinistra democratico -, accettando però così supinamente tutto quello che ci vene proposto da Italferr. Astenersi dal presentare osservazioni significa non richiedere compensazione per i cittadini, non avere nessuna opera di compensazione viaria a seguito dell’insediamento dei cantieri e accettare la chiusura della regionale 14 a Begliano». Significa, ancora secondo la maggioranza, «considerare indispensabile la costruzione del nuovo raccordo tra il Bivio D’Aurisina e Trieste, benché non sia supportato da analisi tecniche e trasportistiche» e «accettare che il porto di Monfalcone non sia collegato alla linea di alta capacità, limitandone l’operatività futura».
Marzo 17th, 2017 — General, Manifestazioni locali
UN CIMITERO CHIAMATO MEDITERRANEO
In questi ultimi giorni sono balzate ai dubbi onori della cronaca nostrana la notizia della morte in mare di centinaia di persone alle porte della Sicilia. “Tragedia”, “cordoglio”, “lutto nazionale”, “ecatombe”…forse è il numero, forse la vicinanza alle coste a rendere visibile questa strage. Certo è che purtroppo non c’è nulla di nuovo in quanto accaduto: dal 1988 sono quasi 25mila i decessi di cui si ha notizia – non è possibile ricostruire il dato reale – lungo le frontiere della Fortezza Europa.
Ora sono “poverini”, “disgraziati”, “disperati”, se fossero giunti a terra fuori da un sacco nero sarebbero stati probabilmente chiamati “clandestini”, “delinquenti”, “criminali”, “puttane”.
Ma chi sono?
Non lo sappiamo: delle storie e dei percorsi individuali è inutile parlare se non li si conosce. Due cose sole di certo possiamo sapere. La prima è che erano esseri umani: né disgraziati né criminali né donne incinte né puttane. Esseri umani.
La seconda quali erano i luoghi da cui questi esseri umani provenivano: nella stragrande maggioranza dei casi, si tratta di profughi da luoghi di conflitto (delle circa 30mila persone che si calcola siano arrivate in Italia via mare nel corso del 2013, quasi 2/3 provengono dalla Siria, dalla Somalia o dall’Eritrea). E non è un caso che una grossa fetta di quelli che arrivano, se non muoiono nel frattempo, faccia richiesta di asilo politico. Perchè davvero, chi ha una qualunque alternativa, difficilmente affronta un viaggio simile.
L’Italia e l’Europa formalmente garantiscono la possibilità di fare richiesta d’asilo, ma di fatto viene impedito con ogni mezzo alle persone di accedere a questo diritto. Salvo poi scaricare tutta la responsabilità sullo scafista di turno, che se di certo rappresenta degnamente la banalità del male, di fatto non è che la logica conseguenza delle leggi e delle regole vigenti. Perchè, di nuovo, chi ha un’alternativa difficilmente si rivolge agli scafisti. E’ banale dirlo, ma non viene detto mai.
La stampa e il ceto politico tutto, al di là delle facili lacrime del momento, proseguono imperterriti da anni a battere sulle retoriche dell’invasione. Eppure a guardarla bene, la situazione è completamente diversa dagli anni passati: lo dicono i numeri. Da un paio d’anni gli sbarchi sono in forte diminuzione in Spagna e anche in Grecia, le altre due frontiere calde dell’Europa sul Mediterraneo. E mentre calano gli arrivi, aumentano a dismisura le partenze. Mezzo milione di latinoamericani hanno lasciato nel 2011 la Spagna. Il 15% degli albanesi che lavoravano in Grecia è tornato a Tirana. E dall’Italia, secondo l’Istat, lo scorso anno almeno 800mila emigrati hanno lasciato il nostro paese in fuga dalla crisi e in cerca di lavoro altrove (con buona pace delle esternazioni leghiste sul paese di Bengodi). Sono cifre da capogiro, altro che rotta libica o siriana. Eccola la nuova rotta. È la via del ritorno, della fuga dall’Europa in crisi.
Ma l’Europa, ancora una volta, non è capace di cogliere in tempo i segnali della storia.
Affinchè non avvegano più queste stragi basterebbe quindi permettere a quelle poche decine di migliaia di persone, che ogni anno rischiano la vita nelle traversate, di viaggiare comodamente in aereo, con un regolare passaporto.
Ma sarebbe logico, pratico, umano e non servirebbe ad alimentare le retoriche della paura.
Per quanto semplice non viene fatto perchè significherebbe mettere in discussione le leggi in vigore in Italia (Turco-Napolitano e Bossi-Fini) e gli accordi europei a partire da quello di Schengen che sono l’architrave di tutta la politica migratoria vigente.
Sono queste leggi e trattati, chi li ha sostenuti e votati, i diretti responsabili di questi massacri.
Antirazzisti e antirazziste per una società senza confini
Marzo 17th, 2017 — General, No OGM
Dal Piccolo del 10/10/13
Roma scarica sulla Regione la mina Ogm
di Gianpaolo Sarti TRIESTE Richiamo del governo sugli Ogm. Con una lettera firmata dal ministro dell’Ambiente Andrea Orlando e indirizzata alla presidente Debora Serracchiani, l’esecutivo Letta esorta il Fvg ad assicurare «una completa attuazione» del divieto di coltivazione del mais Mon 810. Un appello a cui segue a poche ore di distanza l’annuncio della prima trebbiatura Ogm in Italia, organizzata da Futuragra sabato a Vivaro. La tensione si alza: per scongiurare disordini le forze dell’ordine stanno già intensificando i controlli. A surriscaldare il clima ci pensa la lettera di Orlando, che innesca il botta e risposta con la governatrice. «Cara Debora – scrive – il 10 agosto scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il decreto interministeriale che vieta la coltivazione sul territorio nazionale del Mon 810 fino all’adozione dei provvedimenti comunitari per un periodo di 18 mesi. Il termine massimo di efficacia del decreto – ricorda il ministro – è stato fissato con l’obiettivo di costruire le condizioni per l’adozione di misure regionali di gestione finalizzate alla massima tutela dell’agrobiodiversità e dell’ambiente. Allo scopo di garantire una completa attuazione del divieto imposto dal decreto del 12 luglio 2013 nella Regione Fvg, ove il mais in questione è coltivato» (a Vivaro, ndr), il governo chiede di conoscere con quali modalità la Regione intende procedere. Anche perché, fa notare il ministro, per il Fvg esiste l’eventualità di applicare le sanzioni previste dal decreto del 2003, la bonifica, il ripristino ambientale e al risarcimento, «qualora sia accertato un effettivo danno». Ma nello stesso momento in cui il Fvg riceveva la strigliata da Roma, il ministro all’Agricoltura rispondendo a un question time in Commissione alla Camera, rilevava l’inapplicabilità del decreto a causa della mancanza di sanzioni. «L’incompletezza del quadro giuridico dovuto all’assoluta novità della situazione di fatto non ancora disciplinata in modo sistematico – viene riportato nella risposta – è una lacuna con riflessi operativi che rende necessario un intervento normativo in materia di sanzioni per violazione ambientale». In serata la replica di Serracchiani. «Oltre all’impossibilità di irrogare una sanzione – premette la presidente – non vi è alcuna base normativa che renda legittimo un provvedimento regionale finalizzato a distruggere le colture, anche in considerazione che il decreto del 10 agosto è di competenza dello Stato». Precisando che «appena emesso il decreto, la Regione si è attivata per darvi applicazione», anche Serracchiani evidenzia che le lacune della normativa nazionale sono state ricordate in Commissione alla Camera. «La Regione – afferma la governatrice – ha monitorato la situazione dei campi coltivati con mais Ogm, ma non ha allo stato elementi per procedere penalmente contro i conduttori dei fondi dal momento che dovrebbe dimostrare l’esistenza di un pericolo per la salute pubblica». L’accertamento del danno ambientale «compete al ministero» e le Regioni «possono semplicemente prestare la propria collaborazione». «Si rimandano la palla», sentenzia da parte sua l’imprenditore pordenonese Giorgio Fidenato che nel 2010, a Vivaro, aveva seminato mais Ogm e che per questo aveva subito un provvedimento di sequestro e di procedimento penale, per poi ottenere l’assoluzione in Tribunale nel luglio scorso. Dal Parlamento Sel, intanto, lancia l’allarme. La senatrice Loredana De Petris punta l’indice su Pordenone dove i campi di mais convenzionale limitrofi alle coltivazioni di mais Ogm Mon 810 risulterebbero già contaminati “fino al 10%”. Ma a Vivaro si fa sul serio. Sabato mattina si terrà la “Festa della prima trebbiatura di mais Ogm italiano” di Futuragra, l’associazione favorevole alle biotecnologie. «Un evento storico», lo definisce il vice presidente Silvano Dalla Libera. Domani mattina Futuragra presenterà i risultati di uno studio: secondo Dalla Libera, «le ricerche sul campo hanno permesso di raccogliere dati scientifici per sopperire all’assenza della ricerca pubblica alla quale da anni viene impedito di lavorare»
Dal Messaggero Veneto del 10/10/13
Il ministro a Serracchiani: stop alle coltivazioni Ogm
UDINE «Procedere nel divieto alla coltivazione del mais geneticamente modificato Mon 810». Lo chiede al presidente della Regione Friuli Venezia, Debora Serracchiani, il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, in una lettera, di cui è stato reso noto oggi il testo. «Cara Debora – scrive il ministro –, come è noto il 10 agosto scorso è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana il decreto interministeriale che vieta la coltivazione sul territorio nazionale del mais geneticamente modificato Mon810 – fino all’adozione di misure comunitarie – per un periodo di diciotto mesi dalla data di pubblicazione. Il termine massimo di efficacia del decreto è stato fissato in diciotto mesi principalmente allo scopo di costruire le condizioni per l’adozione di misure regionali di gestione finalizzate alla massima tutela dell’agrobiodiversità e dell’ambiente». «Allo scopo – continua il ministro – di assicurare una completa attuazione del divieto di coltivazione del mais Mon810 imposto dal decreto di luglio dalla Regione Friuli Venezia Giulia, ove il mais geneticamente modificato in questione è coltivato, chiedo di conoscere con quali modalità la Regione intenda procedere, stante l’eventualità di dover anche dar seguito all’applicazione alle sanzioni previste e alla bonifica, al ripristino ambientale e al risarcimento, qualora sia accertato un effettivo danno ambientale». Secca la risposta della presidente Serracchiani: «Oltre all’impossibilità di irrogare una sanzione, non vi è alcuna base normativa che renda legittimo un qualunque provvedimento amministrativo regionale finalizzato a distruggere le colture Ogm in atto, anche in considerazione del fatto che il decreto interministeriale del 10 agosto, in quanto rivolto alla tutela dell’ambiente, è di esclusiva competenza dello Stato». Di danni accertati, invece, parla la senatrice di Sel, e capogruppo del Misto, Loredana De Petris, già evidenzia: «I campi di mais convenzionale in provincia di Pordenone limitrofi alle coltivazioni di mais Ogm Mon810 risultano già contaminati fino al 10% dal dna transgenico. È indispensabile un intervento di sequestro e messa in sicurezza dei raccolti prima che il danno divenga irreversibile». De Petris ha reso noti i dati, del Corpo Forestale dello Stato e dall’Istituto Zooprofilattico, sul livello di contaminazione riscontrato nelle coltivazioni di mais nell’area del Comune di Vivaro. «È un ulteriore conferma – dichiara la senatrice – della pericolosità dei semi modificati e del rischio che ne deriva per l’agricoltura».
Messaggero Veneto del 09/10/13
Nuove analisi sul mais ogm presentate da Fidenato
Una lotta a colpi di ricerca per dimostrare che il Mon 810 non genera danni alla salute. Oltre a Futuragra, che domani presenterà gli esiti delle analisi e delle ricerche sui campi seminati da Silvano Dalla Libera, anche Giorgio Fidenato continua a raccogliere dati scientifici sul campo seminato a Mereto di Tomba, proprio con finalità scientifiche. Il biologo che sta monitorando le pannocchie di mais ha fatto ulteriori scoperte. Non ultima la presenza di farfalle all’ombra del Mon 810. «Da tempo sto alimentando larve di zanzara con residui di Mon 810 ma per ora non sono morte – ha scritto a Fidenato per aggiornarlo -. Nonostante il Bacillus thuringensis, che esprime la stessa tossina del Mon 810, trovi largo impiego nella lotta biologica alle zanzare. Forse nell’infuso di Mon 810 che sto utilizzando la concentrazione della tossina è troppo bassa. Cinque bruchi raccolti sulla macchia di ortiche presente a pochi metri dal Mon 810 di Tomba hanno generato cinque bellissime farfalle (Vanessa atalanta). Secondo gli ambientalisti se il polline del Mon 810 cade sulle ortiche uccide i bruchi di questa farfalla. Sta di fatto però che una generazione di Vanessa atalanta si è sviluppata all’ombra di una piantagione di Mon 810». (m.mi.)
Dal Messaggero Veneto del 09/10/13
La task force anti Ogm «Intervenga il ministro»
La Task force nazionale “Per un’Italia libera da Ogm” non molla la presa. E dopo aver minacciato azioni a Pordenone, davanti alla Regione stessa, è passata ai fatti chiedendo l’intervento del Ministro dell’Ambiente. Parte delle associazioni che fanno parte della Task force, inoltre, hanno chiesto alla Regione di rendere trasparente il rispetto delle raccomandazioni emanate dall’ente da parte di Silvano Dalla Libera, vicepresidente di Futuragra, che si prepara a rendere note le scoperti fatte dagli scienziati sui suoi campi seminati a Mon 810. Pressing su Orlando. La Task Force (di cui fanno parte Cia, Coldiretti, Confartigianato, Cna, Legambiente, Federconsumatori, Adiconsum, Movimento Consumatori, Codacons, GreenPeace, LegaCoop, Slow Food, Vas, Wwf) nazionale, dopo la riunione della scorsa settimana fatta in città alla presenza del vicepresidente della Regione, Sergio Bolzonello, ha bussato direttamente alla porta del ministro dell’Ambiente Andrea Orlando ritenendo illegittima la messa a coltura del mais transgenico a Vivaro e ancor più la sua raccolta perché non rispettosa, secondo la task force, del decreto interministeriale dello scorso luglio. «Un provvedimento regionale, infatti, autorizza non solo l’attività di coltivazione ma pure la commercializzazione del materiale vegetale frutto di una procedura non consentita» è quanto sostiene lo schieramento delle forze sociali, economiche e ambientali lanciando l’allarme sulla contaminazione quasi certa per le campagne limitrofe, non solo friulane. Pericolo evidenziato tra l’altro dal Corpo Forestale dello Stato incaricato del monitoraggio ambientale. Da Orlando la task force vorrebbe sapere «quali misure intende adottare per assicurare la salvaguardia della biodiversità anche tenuto conto che la Regione contesta l’applicazione del decreto in forza di una pretesa omissione di sanzioni che possono essere facilmente rintracciate nell’ordinamento penale». La mancanza del regime sanzionatorio (ndr può essere sanzione anche la previsione della distruzione delle colture) nel provvedimento nazionale, ha spiegato Bolzonello alla task force, lega le mani alla Regione che, in caso contrario, avrebbe dovuto rispondere penalmente della propria azione. La procedura. Alcune associazioni, però, non si sono accontentate di questo. Aiab, Aprobio, Isde, Legambiente e Wwf hanno inviato una richiesta alla Presidente Serracchiani e all’assessore Bolzonello «per appurare se e come sia stata verificata l’ottemperanza, da parte del signor Dalla Libera, delle raccomandazioni per la raccolta del mais Mon 810 contenute nell’ordinanza del 23 settembre a firma del Direttore del servizio del Corpo forestale regionale e per chiedere aggiornamenti sulla procedura sanzionatoria a carico di Dalla Libera per tardata segnalazione semina». La festa pro Ogm. Intanto venerdì alle 11 da Gelindo a Vivaro, Futuragra celebrerà la propria festa. «Le ricerche sul campo – annunciano Dalla Libera e il presidente di Futuragra Duilio Campagnalo, che terranno una conferenza stampa assieme all’agronomo Tommaso Maggiore e al ricercatore del Cnr Roberto Defez – hanno permesso di raccogliere dati scientifici per sopperire all’assenza della ricerca pubblica alla quale da 10 anni viene impedito di lavorare». Martina Milia
Messaggero veneto del 08/10/13
Futuragra: sabato daremo i dati sugli Ogm
Questo sabato a Vivaro ci sarà la trebbiatura con la scienza, un evento al quale Silvano Della Libera, vicepresidente di Futuragra, intende invitare la presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, e il suo vice Sergio Bolzonello. «Siamo gli unici a essere in possesso di dati sulle colture Ogm e siamo molto felici perché abbiamo fatto delle scoperte davvero importanti per l’agricoltura, scoperte che saranno rese note dagli scienziati stessi». Dalla Libera, intestatario dell’ordinanza della Regione che ha fatto scatenare la reazione della Task force nazionale “Per un’Italia libera da Ogm”, ha inviato una lettera alla Regione nella quale ha ribadito la propria disponibilità a collaborare «in un clima di trasparenza – rimarca l’agricoltore – perché questa contrapposizione non nasce dagli agricoltori. Da sempre le colture diverse convivono e da sempre l’uomo interviene sulle colture per migliorarne la resa: anche il biologico è frutto dell’intervento dell’uomo. Non sono per tanto gli agricoltori a non volere gli Ogm perché gli agricoltori sono abituati alla coesistenza». Dopo le polemiche di questi anni, dopo gli scontri pesanti anche nelle ultime settimane «speriamo che ci sia la voglia di confrontarsi senza pregiudizi, senza dire “Al lupo al lupo” perché gli Ogm non sono il lupo». E se l’auspicio rischia di rimanere tale, perché la contrapposizione tra favorevoli e contrari è radicale, Dalla Libera puntualizza: «Sono le lobby a creare divisioni non certo gli agricoltori. Non c’è stato nessun agricoltore, nemmeno coltivatore bio, che si sia lamentato con me per la scelta di aver seminato Mon 810. L’agricoltura da che mondo e mondo si confronta con la tecnologia e cerca di migliorare sé stessa attraverso l’innovazione». Martina Milia
Messaggero Veneto del 06/10/13
Sel presenta una mozione per eliminare le piante Ogm
UDINE Una mozione per chiedere l’eliminazione delle coltivazioni Ogm già piantate in Fvg. Il documento è stato presentato da Sel in consiglio regionale, dal capogruppo Giulio Lauri e dal vice Alessio Gratton. «Il Fvg – spiega Lauri – non vuole coltivazioni Ogm sul suo territorio ed è importante che il vicepresidente della Regione Sergio Bolzonello lo abbia ribadito alla riunione della task force nazionale. Anche per questo abbiamo presentato una mozione in cui si chiede che l’amministrazione emani un’ordinanza a tutela della salute – cpnclude Lauri –, facendo valere il principio di precauzione e rimediando al danno ambientale espiantando le coltivazioni di mais Ogm dal territorio regionale». Lo scontro sugli Ogm, però, non si placa. La mozione dovrà essere discussa e votata in Aula, mentre Futuragra, per voce del vicepresidente Silvano Dalla Libera, chiede collaborazione. «Rispettiamo le posizioni politiche della Regione, tuttavia esse vanno distinte dalla realtà della normativa che consente le semine biotech, non solo in Friuli ma in tutta Italia. Diamo atto alla Regione di avere agito nel rispetto della legge – afferma Dalla Libera – senza nascondersi, come in questi anni è stato fatto da tante parti, dietro a provvedimenti privi di qualsiasi fondamento giuridico. Ma chiediamo di essere parte attiva nel tavolo che dovrà definire le linee di coesistenza regionali». Dal Corpo forestale dello Stato arriva invece una precisazione. Perché su alcuni siti on line sono comparsi articoli nei quali vengono fornite informazioni su un provvedimento in materia di Ogm, che indica le modalità di raccolta del mais transgenico in Friuli, in cui veniva riportato quale direzione responsabile del provvedimento anche il Corpo forestale dello Stato. «Il Corpo forestale dello Stato sta svolgendo, attraverso il Comando regionale del Veneto e il Nucleo agroalimentare forestale di Roma – è scritto in una nota –, delegati dalla Procura della Repubblica di Udine, l’attività di monitoraggio delle piantagioni Ogm in provincia di Udine, finalizzata a prevenire i danni all’ambiente e la diffusione a distanza del polline Ogm, oltre che perseguire eventuali reati connessi.
Messaggero Veneto del 05/10/13
Friuli Venezia Giulia senza Ogm Associazioni contro la Regione
PORDENONE Alla fine è stata confermata la volontà comune di arrivare a un Friuli Venezia Giulia senza Ogm e la Regione, con Sergio Bolzonello e il direttore Francesco Miniussi in veste di tecnico, ha aperto al contributo della Task force nazionale – quella che riunisce 30 associazioni contrarie alle colture transgeniche – nella stesura dell’ordinanza destinata a Giorgio Fidenato (ndr l’agricoltore che ha seminato Mon 810 a Vivaro e Mereto di Tomba). Un’ordinanza che però non servirà più perché ieri – mentre a Pordenone volavano parole e accuse –, i campi di Fidenato sono stati trebbiati sotto il controllo delle forze dell’ordine. Già raccolto anche il granturco di Silvano Dalla Libera, che con Futuragra ha presentato ieri un video della trebbiatura a Firenze, suscitando le critiche dell’ex Ministro dei Verdi Pecoraro Scanio. E il fuoco amico che ieri è piovuto sulla giunta Serracchiani è stato tale che a fine serata la presidente ha inviato una nota respingendo la “disinformazione” bacchettando Pecoraro Scanio e la Task force: «Sarebbe stato più utile se avesse preso posizione sull’inadeguatezza del decreto interministeraiale che non prevede nessuna norma sanzionatoria». Nella sala della Regione – che ironia della sorte ha dato ospitalità alla Task force – le posizioni delle associazioni, capitanate dal direttore nazionale di Coldiretti Stefano Masini, e quelle dei parlamentari di Sel (presente con la senatrice Loredana De Petris e i parlamentari Serena Pellegrino e Franco Brodo, oltre che con i consiglieri Giulio Lauri e Alessio Gratton) sono state invece contro la presidente e il suo vice, non senza imbarazzi del Pd (presente con Giorgio Zanin e Susanna Cenni, ma c’erano anche Eleonora Frattolin del 5 Stelle ed esponenti della Lega Nord pordenonese). Critiche sono arrivate anche dalle associazioni (da Coldiretti regionale a Legambiente, dal Wwf, all’Aiab, da Slow food a Greenpeace) ma erano centrate sulla paura per lo svilimento di un settore e per la salute dell’ambiente e dei consumatori. Perché le associazioni in questi anni hanno seguito il problema in prima linea. Masini è partito in quarta contro l’ordinanza diretta dalla Regione (per firma del direttore di servizio del Corpo forestale Massimo Stroppa) all’agricoltore Dalla Libera e parlando addirittura di «atto illegittimo e sul piano politico eversivo» perché non cita il decreto interministeriale (dello scorso luglio) con il quale i Ministri di Agricoltura, Ambiente e Salute hanno vietato le coltivazioni Ogm. Masini non ha fatto riferimento alle sentenze – della Corte di giustizia europea e del tribunale ordinario – che hanno dato ragione a Giorgio Fidenato per l’assenza di una norma nazionale e regionale che regolamenti il fenomeno e ha però attaccato la magistratura locale: «Altre procure dicono che si può intervenire». De Petris ha aggiunto il carico da novanta chiedendo la testa di Stroppa e ventilando una denuncia del funzionario regionale “per abuso d’atti d’ufficio” mentre il collega Bordo ha annunciato un’interrogazione parlamentare per capire perché la Regione Fvg non sia intervenuta chiedendo l’applicazione del decreto Di Girolamo. A spiegare perché le colture non potevano essere fermate né bruciate, ci ha provato il funzionario della Forestale dello Stato Elisabetta Tropea che ha fatto intendere come il decreto dello Stato sia una scatola vuota: manca completamente del regime sanzionatorio. Nonostante questo la Forestale, su autorizzazione di Fidenato, è riuscita a fare dei campionamenti. «Le analisi sono in corso, ma abbiamo ragione di credere che ci sia stata contaminazione». Sergio Bolzonello, arrivato durante l’incontro con il direttore d’area Miniussi, ha rilanciato: «Il decreto è una bufala, perché non sono state previste le sanzioni?». Attaccato da più parti l’assessore ha spiegato di aver cercato invano un intervento del Ministro dell’Agricoltura e ha ribadito che «siamo tutti dalla stessa parte, anche se ci comportiamo in modo diverso. Se avessimo impedito la trebbiatura – ancora Bolzonello – ci sarebbe arrivata una denuncia penale». Denuncia che secondo le associazioni avrebbe dovuto accogliere come atto di responsabilità. A chiarire perché la clausola di Salvaguardia non sia ancora diventata realtà è stata la senatrice 5 stelle Elena Fattori in collegamento skype: «Abbiamo chiesto un incontro ai Ministri ma non ci hanno mai ricevuto». Più facile, forse, fare la voce grossa contro la Regione. Martina Milia
Marzo 17th, 2017 — General, Storia ed attualità
Rassegna stampa | L’iniziativa | superate le 500 visite a questa pagina
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Oltre cento persone hanno partecipato all’iniziativa organizzata dal Coordinamento Antifascista Friulano
di commemorazione di Gelindo Citossi (Romano il Manzìn)
a San Giorgio di Nogaro il 7 ottobre 2013 nel centenario della nascita.
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Marzo 17th, 2017 — General, Mare
dal Piccolo del 16/10/13
«Rigassificatore, il governo revochi l’autorizzazione a Gas Natural»
di Silvio Maranzana Il sindaco Roberto Cosolini vede il bicchiere mezzo pieno: «È indubbio che la Commissione europea ha fatto sparire la localizzazione di Zaule per il rigassificatore in Alto Adriatico comunque inserito nella lista dei progetti energetici prioritari. E questa è una notizia ampiamente positiva soprattutto per i triestini». E l’assessore regionale a Ambiente e Energia Sara Vito fin dalle ore immediatamente successive all’approvazione dell’elenco da Bruxelles è stata ancora più esplicita: «Infrastrutture che hanno un impatto ambientale e conseguenze dirette sul futuro delle attività produttive, come nel caso dell’ipotizzato rigassificatore del porto di Trieste, devono essere ponderate fin dall’inizio con attenzione e in una logica di dialogo transfrontaliero. Siamo favorevoli a una strategia europea che punti a fornire energia a costo più basso per il sistema produttivo e per i cittadini e quindi siamo disponibili a dialogare per raggiungere questi obiettivi. Ma certo non possiamo accettare che la nostra regione subisca senza discutere l’imposizione dall’alto di qualsiasi infrastruttura energetica». Ma la dichiarazione più sorprendente arriva dal deputato del Pd, Ettore Rosato: «Il progetto di Zaule è un progetto definitivamente morto anche perché secondo me, e non ho timore a dirlo apertamente, gli sloveni hanno interesse a realizzare un rigassificatore sul proprio territorio. In questo modo si spiega anche la loro strenua opposizione a Zaule e la localizzazione in Nord Adriatico approvata dall’Ue non ostacolerebbe questa possibilità». Riguardo alla nuova localizzazione il deputato del Movimento 5 stelle, Aris Prodani rileva che alcune voci prive comunque di qualsiasi ufficialità hanno affacciato l’ipotesi di Porto Nogaro del resto ben difficilmente realizzabile dal momento che si tratterebbe di dover preventivamente di dragare i fondali. Ma soprattutto ricorda la risposta a una sua specifica interrogazione data dal sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti che ribadì che «non compete alle amministrazioni specificare i siti dove ubicare i terminali di rigassificazione». La parola dunque, almeno per quanto riguarda la proposta di nuova localizzazione, dovrebbe tornare ai privati. Ma l’unico progetto già ben sviluppato sulla carta è quello di Zaule e Gas Natural intende continuare a farlo valere dal momento che non ha rinunciato alla causa dinanzi al Tar del Lazio prevista per il 19 marzo allorché i giudici amministrativi dovranno pronunciarsi nel merito contro la sospensione dell’Aia già concessa nel 2009. La sospensione scade venerdì per cui in tempi brevi il governo potrebbe prorogarla, magari in attesa del giudizio del Tar, oppure revocarla definitivamente come hanno chiesto Comune e Provincia di Trieste con lettere inviate ai tre ministeri interessati.
Dal Piccolo del 15/10/13
«Rigassificatore in Alto Adriatico» La Ue fa sparire la parola Zaule
Tra i progetti energetici strategici che potranno essere cofinanziati dall’Unione europea ce n’è anche un secondo che interessa a Trieste e riguarda il potenziamento dell’oleodotto transalpino che quest’anno batterà tutti i record con 500 petroliere al terminal della Siot e 40 milioni di tonnellate di greggio pompate. In questo caso la proposta è venuta dalla Repubblica Ceca che nel dicembre scorso ha acquistato il 5% delle azioni della società che gestisce la pipeline. Per affrancarsi dalla dipendenza russa, i cechi vogliono aumentare i propri rifornimenti via Trieste. Per fare questo è necessario, tramite una serie di lavori dell’ammontare di svariati milioni di euro, aumentare la portata della pipeline con alcuni accorgimenti tecnici mirati a eliminare una serie di strozzature della condotta e a aumentare la potenza dei motori di pompaggio. (s.m.) di Silvio Maranzana Un rigassificatore on shore, quindi sulla costa, in Alto Adriatico, «la cui precisa collocazione sarà decisa dal governo italiano in accordo con quello sloveno». È la dizione precisa con cui ieri la Commissione europea ha inserito l’impianto, originariamente previsto a Zaule, nell’elenco dei 248 progetti prioritari per le connessioni energetiche. Vero è che la località di Zaule è definitivamente sparita, il che non era accaduto fino al primo passaggio a Bruxelles in sede tecnica, ma il fatto che ieri sia stata ribadita la collocazione on shore e che si citi la necessità di un accordo solo tra Roma e Lubiana ha immediatamente ricreato un clima di incertezza facendo oltretutto supporre che siano state fuorvianti tutte le illazioni emerse nelle ultime settimane e che parlavano dell’ipotesi di un rigassificatore più o meno al largo di Pola con il coinvolgimento anche della Croazia che invece non viene nemmeno previsto. La Commissione europea ha bocciato la soluzione offshore e teoricamente potrebbe anche aver rimesso ballo la soluzione Zaule non fosse che nello stesso elenco dei progetti prioritari è stato inserito, per essere potenziato (come riferiamo a parte), anche l’oleodotto della Siot, società che si è costituita in giudizio rispetto al ricorso al Tar di Gas Natural ritenendo incompatibile l’esistenza di un impianto a Zaule con la crescita, già cominciata, del traffico di petroliere. Ieri il ministero sloveno delle Infrastrutture ha ricordato che l’accordo raggiunto con Roma prevede che l’Italia possa determinare il sito del rigassificatore solo in accordo con la Slovenia che si è opposta a Zaule. La premier slovena Alenka Bratusek ha dichiarato che la decisione riguardo al sito per il rigassificatore dovrà essere presa sulla base dell’impatto ambientale e transfrontaliero. La questione potrebbe essere sufficientemente chiara se già fra tre giorni, il 18 ottobre, non scadesse la moratoria di sei mesi decisa dall’ex ministro Corrado Clini al provvedimento di compatibilità ambientale che già nel 2009 il governo italiano aveva emesso a favore di Gas Natural per il progetto di Zaule. Da giovedì la compatibilità ambientale riprenderà vigore. A questo proposito ieri gli assessori all’Ambiente Umberto Laureni e Vittorio Zollia hanno annunciato che sindaco e presidente della Provincia stanno per inviare una lettera ai ministri dell’Ambiente, dello Sviluppo economico e dei Beni culturali affinché l’autorizzazione di Via (Valutazione d’impatto ambientale) al rigassificatore di Zaule anziché rientrare in vigore venga definitivamente revocata. E per l’assessore regionale Sara Vito l’assenza del sito di Zaule premia la nuova amministrazione regionale da sempre contraria a quell’ubicazione. «È essenziale che siano rispettati i criteri di sicurezza e salvaguardia ambientale», ha sottolineato il parlamentare dei Popolari europei Antonio Cancian. Ma anche la causa al Tar di Gas Natural nel frattempo procede e appena il 19 marzo i giudici amministrativi del Lazio si pronunceranno nel merito. La battaglia dunque a Trieste dove ultimamente tutte le amministrazioni elettive e le associazioni ambientaliste, oltre all’Autorità portuale e alla maggior parte dei partiti e dei sindacati si sono detti contrari alla localizzazione di Zaule pare destinata a riprendere vigore. «Riteniamo che la stragrande maggioranza dei progetti energetici Ue d’interesse comune verrà realizzata nei prossimi anni», ha dichiarato ieri il commissario all’Energia Guenther Oettinger specificando che «nella lista adottata oggi ci sono solo quelli che riteniamo siano fattibili a breve in quanto sono stati concordati da tutti gli Stati membri e c’è quindi la certezza che i 28 sono interessati e coinvolti per la loro effettiva realizzazione». I finanziamenti europei saranno di 5,85 miliardi di euro fino alla fine del decennio. Fare parte della lista è condizione indispensabile per chiedere il cofinanziamento dei progetti. La lista sarà ora passata al vaglio formale del Parlamento e del Consiglio europei: fare emendamenti non è ammesso, l’approvazione viene data per scontata
Dal Piccolo del 10/10/13
«Dove il rigassificatore? Non decide Roma»
Dove, in quale località nel Nord Adriatico è prevista la realizzazione del terminale di rigassificazione incluso fra i progetti di interesse comune su cui lunedì prossimo la Commissione europea dovrà pronunciarsi definitivamente? A questa domanda, posta dal deputato triestino di M5S Aris Prodani anche alla luce della sospensione della Via decretata lo scorso aprile dal Ministero dell’Ambiente sull’ipotesi Zaule, il Ministero dello Sviluppo economico ha risposto. Ma solo riepilogando, in sintesi, lo stato delle cose. L’altro giorno, peraltro, è arrivata la notizia della cancellazione del sito di Zaule dall’elenco di possibili localizzazioni al vaglio di Bruxelles. Il Mise, per voce del sottosegretario Claudio De Vincenti, ha illustrato la risposta in commissione. Ricordando in primis come nella lista europea dei progetti energetici compaia quello «denominato come “rigassificatore in terraferma nel Nord Adriatico” proprio per tener conto di una sua possibile delocalizzazione nell’area del Nord Adriatico, come previsto dal decreto di sospensione della Via». «Tale circostanza – prosegue il ministero – sarà valutata dal Mattm (Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ndr) alla scadenza del termine 18 ottobre fissato dal decreto». L’allora ministro Clini aveva infatti dato tempo sei mesi a Gas Natural per individuare una localizzazione alternativa per l’impianto o all’Autorità portuale per modificare il proprio Piano regolatore in modo da renderlo compatibile con il progetto del terminale. Al 18 ottobre, scadenza dei sei mesi, «verosimilmente – prosegue il documento ministeriale -, nessuna delle due ipotesi presenti nel Dm di sospensiva sarà realizzata». A quel punto il Ministero dell’Ambiente si pronuncerà, confermando o revocando la Via a suo tempo adottata. In caso di revoca, il Ministero dello Sviluppo economico rigetterà la domanda di autorizzazione alla costruzione dell’impianto. Inoltre, rileva il Mise, «non compete alle amministrazioni specificare i siti dove ubicare i terminali di rigassificazione», quanto invece pronunciarsi, rispetto alle istanze di autorizzazione presentate dai privati, «sulla base del rapporto ambientale e dei piani territoriali interessati». Tutt’altro che soddisfatto Prodani: «Mi aspettavo una risposta più puntuale e precisa – afferma il parlamentare grillino -, cioè definitiva su un sito da parte del governo. Considerata la contrarietà degli enti locali e dell’Autorità portuale, e quanto affermato da Viviane Reding (vicepresidente della Commissione europea, ndr) a Trieste». Quest’ultima aveva spiegato come l’Ue stia attendendo la pronuncia dell’Italia sulla nuova valutazione d’impatto ambientale. Prodani svela infine un altro motivo di insoddisfazione, emerso a margine della seduta in commissione durante la quale ha preso la parola De Vincenti: «Verbalmente mi è stato detto che per la data del 18 ottobre sicuramente non arriverà una risposta del governo. Ci vorrà più tempo… Pensavo che alla luce del Piano regolatore del porto fosse stata messa una pietra tombale sul rigassificatore, ma – conclude il deputato del MoVimento 5 Stelle – non sembra sia così». (m.u.)
Dal Piccolo del 09/10/13
Rigassificatore, la Commissione Ue cancella la collocazione di Zaule
di Silvio Maranzana Lunedì prossimo, il 14 ottobre, la Commissione europea darà il via libera alla realizzazione di un rigassificatore nell’Alto Adriatico, ma non sul sito di Zaule che è stato definitivamente cancellato. L’approvazione alla realizzazione di un impianto, presumibilmente offshore, ma del quale non si conosce ancora la collocazione precisa, avverrà nell’ambito dell’approvazione della lista dei 130 progetti prioritari di interesse comune in ambito energetico che ha già passato il vaglio del Comitato tecnico dell’Ue nella seduta del 24 luglio. Successivamente, tra fine ottobre e inizio novembre, il Parlamento e il Consiglio europeo si pronunceranno su questo elenco delle priorità semplicemente con un sì (o meno probabilmente con un no), ma senza che sia previsto un dibattito e senza la possibilità di presentare emendamenti. Le notizie fresche arrivano dal parlamentare europeo veneto Antonio Cancian dei Popolari europei ieri al lavoro nel suo ufficio di Strasburgo. Nella lista passata l’estate scorsa al vaglio tecnico era inserito un impianto connotato in questo modo: «rigassificatore a Zaule o in altra località dell’Alto Adriatico». «Ora però – riferisce Cancian – la località Zaule è definitivamente scomparsa e si cita soltanto in modo generico l’Alto Adriatico». Era stata la Slovenia a presentare opposizione alla collocazione di Zaule (contro la quale hanno preso posizione contraria anche tutte le amministrazioni elettive regionali e triestine interessate oltre all’Autorità portuale e alle associazioni ambientaliste) minacciando il voto contrario che avrebbe fatto saltare l’intera lista dal momento che è necessario l’assenso di tutti i Paesi dell’Ue. La Commissione ha allora demandato agli Stati nazionali il compito di accordarsi e il 12 settembre nella Trilaterale a Venezia i capi di Governo di Italia, Slovenia e Croazia hanno convenuto di costituire un gruppo di lavoro per i progetti infrastrutturali. In un incontro successivo, Italia e Slovenia avrebbero nuovamente dibattuto la questione e sarebbero giunte a un accordo che prevederebbe la collocazione dell’impianto a una distanza minima di 16 km. dalle acque territoriali slovene. Già a luglio il ministro dell’Ambiente sloveno si sarebbe detto pronto a favorire il sì politico del suo Paese a patto che il rigassificatore “scivoli” verso Venezia. Erano circolate ufficiosamente anche due date: il 20 settembre come termine ultimo dato a Roma e Lubiana per accordarsi e il 2 ottobre per notificare l’accordo raggiunto agli altri Stati membri. Tutto ciò evidentemente sarebbe già avvenuto e qualche giorno fa la notizia dell’accordo raggiunto è stata pubblicata dal quotidiano on line sloveno Finance. Voci insistenti parlerebbero di una collocazione al largo di Pola evidentemente con il coinvolgimento anche della Croazia. La questione Zaule però potrebbe non essere definitivamente risolta. Il 18 ottobre cioé venerdì prossimo scadono infatti i sei mesi di moratoria decisi dall’ex ministro Clini sul provvedimento di compatibilità ambientale dato già nel 2009 dal Governo italiano al progetto della società catalana Gas Natural che contro questa sospensione ha fatto ricorso sul quale il Tar si pronuncerà nel merito appena il 19 marzo 2014. «In caso di mancata realizzazione dell’impianto il Governo italiano potrebbe dover pagare penali enormi a Gas Natural», commenta l’assessore comunale all’Ambiente Umberto Laureni che al pari del suo collega della Provincia, Vittorio Zollia, nelle ultime settimane sul rigassificatore non ha ricevuto alcuna comunicazione né da Roma né da Bruxelles. L’impianto di Zaule deve essere cassato ufficialmente dopodiché spetterà evidentemente al Governo italiano e a Gas Natural trattare per il divorzio o per il nuovo progetto.
Marzo 17th, 2017 — Eco-catastrofi, General
Marzo 17th, 2017 — General, Repressione diffusa
Il giornalista, oltre a dover come sempre fare il nome di qualche leader, sbaglia pure una data in quanto il processo per la manifestazione contro moretti parte il 20 giugno.
Dal Piccolo del 10/10/13
“Occupy” e No Tav, in 20 a giudizio
A giudizio Luca Tornatore e altri 19 aderenti al movimento “Occupy” per l’assalto alla sede dell’ex Banco di Napoli e per la manifestazione No Tav non autorizzata nel giorno dell’arrivo a Trieste dell’amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti. Lo ha decretato con la formula della citazione diretta il pm Federico Frezza in due distinti provvedimenti. Le udienze sono state fissate per il 21 luglio dal giudice Marco Casavecchia e per il 28 febbraio davanti al giudice Massimo Tomassini. L’assalto all’ex sede del Banco di Napoli porta la data del 9 novembre del 2011. Il corteo era partito regolarmente da piazza Oberdan attorno alle 16.30. Tutto previsto, sia annunciato sui social network che comunicato in Questura. Gli Occupy avevano seguito via Ghega e via Roma fino a corso Italia. Lì c’era stato un improvviso cambio di percorso. Apparentemente un fuori programma, in realtà previsto: già ben prima delle 16.30 un gruppo di una ventina di ragazzi aveva preso possesso dei locali dell’ex Banco di Napoli di corso Italia dopo aver segato catene e rotto lucchetti. Attorno all’edificio si erano schierati una trentina di agenti anti-sommossa. Poi si erano verificati gli scontri nei quali erano rimasti feriti quattro poliziotti. A Luca Tornatore viene contestato assieme ad altri 16 aderenti al movimento di avere organizzato il corteo che il 29 febbraio 2012 aveva seguito, o meglio “inseguito”, dal Municipio al museo Revoltella l’amministratore delegato di Ferrovie italiane Mauro Moretti. Una manifestazione tragicomica con qualche decina di attivisti No Tav che erano riusciti a mettere sotto scacco polizia, carabinieri e vigili urbani, costringendo beffardamente gli uomini in divisa a un lungo girotondo attorno al museo in cui stavano “assediati” Mauro Moretti, il sindaco Roberto Cosolini e l’allora assessore regionale ai trasporti Riccardo Riccardi. «Non vogliamo l’isolamento ferroviario di Trieste, sosteniamo che esiste un collegamento tra la truffa della Tav e il depotenziamento drastico della linee locali dedicate ai pendolari». Nel corso delle indagini Tornatore era stato perquisito all’interno dell’Osservatorio astronomico dove lavora come ricercatore universitario. Al suo posto di lavoro si erano presentati gli agenti della Digos e della Polizia postale. Gli agenti avevano clonato il disco rigido della memoria del computer che appartiene al ricercatore per poterlo leggere. (c.b.)
Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
dalla tenda per la pace e i diritti
Un giovane che era trattenuto al CIE di Gradisca d’Isonzo si trova ora recluso nel carcere di Gorizia; su di lui le imputazioni di danneggiamento, oltraggio a pubblico ufficiale e minacce.
I fatti che gli vengono contestati si riferiscono al 21 settembre giorno in cui i reclusi del CIE hanno, per la quinta volta dall’inizio delle proteste di agosto, rotto la rete che chiude le gabbie dall’alto, per raggiungere il tetto.
Il danneggiamento che lo ha portato in carcere è proprio quello della rete, che ricordiamo è stata montata non più di 10 mesi fa, la stessa rete che ha colpito e impressionato chi ha visitato il CIE nell’ultimo periodo dai consiglieri regionali, ai parlamentari, fino al senatore Manconi.
Quella che non permette più nemmeno guardare il cielo, quella che rende lo spazio che gestori, Prefettura e Questura chiamano “vasche”, delle gabbie e basta.
Tra pochi giorni, il 15 ottobre, ricorre il primo anniversario dell’arresto di tre persone che al CIE di Crotone erano state accusate di devastazione e resistenza aggravata per aver divelto, durante una rivolta, strutture di costrizione per raggiungere il tetto e da lì aver dato via ad una “battaglia”, durata quasi una settimana, con lancio di vari materiali staccati dalla struttura stessa.
Da quella accusa i tre erano stati assolti dal giudice del Tribunale di Crotone che aveva riconosciuto come la loro fosse stata una forma di resistenza e di difesa personale per la condizione di ingiusta compressione della libertà e dei diritti fondamentali. Nella sentenza che li ha assolti è stato inoltre sottolineato come, secondo la direttiva europea 115 del 2008, il ricorso alla detenzione amministrativa debba essere attuata in “estrema ratio”.
Dice un passaggio della sentenza:
“Né può ritenersi che gli imputati avrebbero potuto porre in essere forme di protesta passiva, come, ad esempio, lo sciopero della fame, dato che uno Stato laico di diritto non si può sostituire ad una scelta di valori (quali quelli da porre in conflitto rispetto alla condotta aggressiva subita) che compete esclusivamente all’agente. Si deve inoltre tenere in debita considerazione l’idea – che costituisce cultura dominante e che è stata ribadita all’odierna udienza dal rappresentante della Pubblica Accusa nella sua requisitoria – secondo cui il trattenimento presso un centro di identificazione è previsto dalla legge, per cui gli apparati burocratici (prefetture, questure, giudici di pace, altre magistrature, etc.), non possono fare altro che applicare la legge vigente. Nel caso specifico, tale idea avrebbe reso pressoché inutile ogni altra istanza orale o scritta alle autorità competenti: tant’è che gli imputati hanno riferito di aver provato a rivolgere richieste, senza sortire alcun effetto (“come acqua nella sabbia”).”
Come appare chiaro che l’azione di togliere una rete durante una rivolta non è certo atto di un’unica persona, così pare che l’arresto avvenuto al CIE di Gradisca d’Isonzo sia stata un’azione punitiva che vuol essere monito per gli altri. Se poi la persona in questione era in contatto con Tenda per la Pace e i Diritti e si faceva portavoce delle istanze di altri e faceva “uscire” quanto accadeva all’interno, la luce su quanto accaduto si fa ancora più fosca.
Da mesi i reclusi del CIE di Gradisca stanno portando all’attenzione pubblica la disumanità del luogo e la situazione di negazione dei diritti, ma nonostante molte prese di posizione netta per la sua chiusura, non da ultima la Regione FVG che si è espressa con una mozione pochi giorni fa, le loro richieste non hanno sortito effetto, anzi la situazione all’interno del CIE è peggiorata da quando è stata aggiunta una nuova rete anche al corridoio centrale che conduce alle gabbie e da giorni, i trattenuti possono raggiungere l’atrio interno, l’infermeria e gli uffici uscendo solo uno alla volta scortati da due poliziotti.
Qui di seguito l’intera sentenza del Tribunale di Crotone, per ricordare che ribellarsi all’ingiusta detenzione è legittima difesa!
http://www.meltingpot.org/Sentenza-del-Tribunale-di-Crotone-n-1410-del-12-dicembre.html#.Uk7VO6dH6P8
Marzo 17th, 2017 — Carbone, General
da Il Piccolo dell’11 ottobre 2013
Pagina 1 – Gorizia-Monfalcone
Rapporto-choc sulla centrale nascosto dal 2001
Spunta uno studio-choc sulla centrale, del 2001, che evidenza i rischi per la salute dall’utilizzo del carbone. Ma nessuno finora lo aveva divulgato GARAU a pagina 24.
Pagina 24 – Gorizia-Monfalcone
Centrale dei veleni: studio “dimenticato”
“Ignorato” dal Comune un documento di Enel del 2001 che rilevava sul territorio metalli pesanti con possibili rischi per la salute
Arsenico e cadmio al limite delle concentrazioni naturali, berillio, anche se basso, che contribuisce ad aumentare l’incidenza del tumore ai polmoni, cromo con “alterazione media” in molte aree e “alterazione massima” nella zona urbana di Monfalcone, anche questo agente tumorale, piombo con “alterazione alta” concentrato maggiormente a Monfalcone Nord e Nord-Ovest, Jamiano e Doberdò. Ci sono anche vanadio, alterazione “media diffusa”, metallo tossico, mercurio con “alterazione medio-alta” e “molto alta” nel settore nord occidentale, Jamiano e Doberdò. Una lista di metalli pesanti che fa impressione quelli elencati nello studio di “bioaccumulo lichenico” commissionato dall’Enel che aveva incaricato un’azienda specializzata, la Strategie ambientali di Roma, di realizzare e gestire una rete di biomonitoraggio del territorio circostante la centrale elettrica di Monfalcone. Lo studio risale al 1999, l’Enel che gestiva l’impianto a carbone lo aveva realizzato come prevedevano le prescrizioni di allora, le attività di biomonitoraggio sono iniziate nel 1999 e ci sono state ben tre campagne (1999, 2000 e 2001). Nel febbraio 2001 l’Enel ha depositato gli elaborati al Comune di Monfalcone. Torniamo al 2013, era il luglio scorso, e i ricercatori dell’Università di Trieste incaricati (un mese prima) dall’imprenditore della Sbe Alessandro Vescovini di fare una ricerca identica per verificare la contaminazione dei metalli pesanti sul territorio, quando hanno “tirato fuori” questo studio, tra le 12mila pagine di materiale presente in Comune (analisi, dati tecnici, procedure autorizzative utili per una storiografia) sono sobbalzati. Era stato già fatto uno studio, i risultati erano stati depositati in Comune, ma a quanto sembra erano solo in pochi a saperlo. Ed ecco sorgere il problema. E a sollevarlo è lo stesso Vescovini: «Stranamente di questo studio non si fa alcuna menzione nell’Aia (autorizzazione integrata ambientale) del 2001 per la stessa centrale, ma nemmeno in quella del 2009 al contrario assai prolissa di informazioni inerenti gli innoqui NoX e SoX». Vescovini ha chiesto che comunque vada avanti lo studio dell’Università (i risultati sono annunciati fra un mese), ma ieri la scoperta ha scatenato un polverone sui social network, in particolare Facebook e ha sollevato domande pesanti. «Ma perchè questi documenti sono rimasti a dormire in Comune fino a oggi?». Ma soprattutto perchè nessuno ne ha mai parlato? Analisi, fatte nel 2001 (tra i protagonisti il professor Nimis del Dipartimento di Biologia vegetale della stessa Università di Trieste) che spiegano come tutte queste sostanze, ovvero questi metalli, lo ribadisce Vescovini: «Sono contenuti nel carbone» e sono stati sparsi nell’aria dopo essere usciti con il fumo dal camino della centrale e sono “ricaduti” sul territorio, concentrandosi in alcune zone piuttosto che altre, finendo nell’acqua, sulle piante, ma anche sulle verdure e la frutta degli orti, dal mare fino al Carso. Qualcuno probabilmente lo sapeva, per questo ricorda Vescovini «nel 2003, e forse non è stato un caso, furono prelevati campioni di sangue alla popolazione alla ricerca di una fantomatica contaminazione da selenio e nel 2004, grazie alla giunta Illy, venne firmato il famoso protocollo con Endesa. Ma poi le carte sono state dimenticate in un cassetto…». Una quadro, considerati gli anni di esercizio della centrale a carbone e che ora A2A si propone di ristrutturare, che getta ombre inquietanti sui possibili rischi per la salute della cittadinanza sui quali continua a non esserci chiarezza. Un fatto gravissimo soprattutto a Monfalcone città colpita dalla tragedia dell’amianto e dalle patologie legate all’asbestosi, che sembra circondata da una maledizione. Non bastava l’amianto, anche i possibili rischi della centrale a carbone. E ciò che preoccupa è che i rischi di malattia, secondo gli studiosi, si moltiplicano. Sono gli stessi ricercatori dell’Università di Trieste ad averlo evidenziato: nel caso di una persona ammalata di asbestosi il rischio che sorga il tumore, in un ambiente normale, è circa del 9%. Ma nel caso viva in una zona inquinata il rischio sale al 50%.
Persi: non ricordo. Pizzolitto: mai visto
I due sindaci allora in carica a scavalco nel 2001 non sanno spiegare che fine aveva fatto il dossier
Adriano Persi ricorda appena che a quei tempi era in ballo uno studio realizzato sfruttando la capacità bioaccumulatrice di sostanze inquinanti dei licheni. Ma la memoria poi non lo soccorre, a distanza di oltre dieci anni. «Certamente – ha spiegato Persi – l’allora assessore Corrado Altran potrebbe saperne di più». E Gianfranco Pizzolitto, da parte sua, andando a scavare nella memoria, ha argomentato: «Di quello studio non ne ero a conoscenza. Se così fosse stato, avrei quantomeno avvisato chi di dovere, non sarei certo stato a guardare». Insomma, quell’indagine in merito ai metalli pesanti presenti nel territorio monfalconese, commissionata da Enel allora gestore dell’impianto a carbone, e depositata in Comune nel febbraio 2001, non sembra aver lasciato traccia tra i sindaci di allora. Eppure il “dossier” in questione proviene proprio dagli archivi dell’ente locale. Ieri negli uffici erano in corso le verifiche di ricerca di quello studio. Tra il 1999 e il 2001, durante il quale fu eseguito il monitoraggio, la città visse la fase di “passaggio delle consegne” del centrosinistra che nel maggio del 2001 vide l’insediamento di Pizzolitto, ad ereditare l’amministrazione guidata da Persi. E Persi, che nel febbraio di quell’anno era ancora in carica, è rimasto sul vago: «Al momento, purtroppo, non sono in grado di ricostruire quel periodo e quindi il percorso e l’esito dello studio. Ricordo solo che si trattava di un’indagine basata sull’utilizzo dei licheni, in grado di rilevare i metalli pesanti». Persi ha aggiunto: «Il problema della centrale, comunque, era ben presente, tanto che seguì la fase relativa all’installazione in città del gas metano, e sappiamo tutti come finì quel progetto, bocciato da un referendum popolare». Pizzolitto, da parte sua, subentrando nel maggio di quell’anno ribadisce di non saperne nulla: «Quello studio – ha spiegato – sul mio tavolo quand’ero sindaco non è mai arrivato. Diversamente, qualora vi fossero stati elementi gravi ed evidenti, avrei non solo resi pubblici i dati emersi, ma avrei anche provveduto a convocare una conferenza dei servizi. Del resto – ha aggiunto – come sarebbe stato possibile un errore del genere, un gesto di irresponsabilità e di insensibilità? No, non è proprio possibile. Purtroppo, quella questione non appartiene al periodo della mia amministrazione. È peraltro plausibile, visto che ero subentrato a ricerca eseguita. Ero, infatti, diventato sindaco nel maggio del 2001 e il documento non mi è mai stato presentato, nè l’ho mai visto». Pizzolitto ha poi osservato: «Per quanto mi riguarda, avevamo comunque fatto eseguire interventi di rilevamento da parte dell’Arpa. Con l’allora Endesa avevamo anche cercato di mettere in piedi un monitoraggio capillare, ma allora la Provincia non ritenne sensato avviare un progetto assieme alla proprietà della centrale».
Azione legale contro la Via di 12 anni fa
È stata una riunione decisamente lunga e articolata. Finchè, ad un certo punto, s’è anche fatto riferimento ad una sorta di «riserva di adire alle vie legali per invalidare la Via dell’epoca». C’erano un po’ tutti, ieri in Commissione provinciale ambiente, era presente anche l’Associazione del Rione Enel, con il suo presidente, il vice e altri due componenti del direttivo. E quando Alessandro Vescovini ha snocciolato tutti i dati contenuti nello studio sui metalli pesanti assegnato da Enel a un’azienda specializzata tra il 1999 e il 2001, studio scoperto dai ricercatori ai quali l’imprenditore monfalconese ha commissionato un’indagine sulla centrale termoelettrica, la sorpresa è stata generale. Chi era a conoscenza di quello studio presentato nel febbraio del 2001 in Comune? Era mai stato reso pubblico? E cosa poteva significare allora, anche ai fini delle normative vigenti all’epoca? Certo è che gli interrogativi si sono susseguiti, di fronte all’incalzare delle informazioni fornite da Vescovini. Sono risuonate parole come piombo, mercurio, vanadio, cromo, berillio, con tanto di “quantificazioni” tracciate sull’intero territorio, da Monfalcone fino a Doberdò e Iamiano. Metalli tossici, agenti tumorali. Il consigliere provinciale Fabio Del Bello ha presentato uno specifico ordine del giorno, per approfondire tutta la questione. Fino a prospettare l’ipotesi di questa sorta di azione legale “retroattiva”.
Cisint: «L’Aia va sospesa o revocata»
Ha sortito un effetto-bomba lo studio “dimenticato” del 2001 commissionato da Enel che indicava un gravissimo inquinamento ambientale provocato dalla centrale sul territorio. La capogruppo di “Cambiamo” Anna Cisint ha inviato un’immediata interrogazione al sindaco, cui confida di ottenere risposta nel Consiglio del 17 ottobre, cui chiede tra l’altro «di provvedere subito a far sospendere o revocare l’Aia nel caso in cui fosse stata ottenuta senza una valutazione dei risultati dell’indagine». Inoltre chiede di verificare i possibili riflessi penali che una tale “dimenticanza” può determinare. Cisint domanda inoltre «come mai tali argomenti non siano mai stati affrontati in Consiglio nei numerosi dibattiti sul tema della centrale» e se sia stato verificato «se il ministero competente nel concedere l’Aia abbia valutato gli impatti sulla salute di cui parla che lo studio dell’Enel».
La Giunta di San Canzian intanto non si oppone al tutto carbone.
Non passa il no al progetto tutto carbone di A2A
Da Il Piccolo del 3 ottobre 2013
SAN CANZIAN D’ISONZO Mentre anche a Monfalcone il Pd si è espresso in modo chiaro contro l’utilizzo del carbone nel futuro della centrale termoelettrica, a San Canzian una presa di posizione analoga è mancata. A sottolinearlo è il gruppo di minoranza Centrosinistra per San Canzian futura che sul tema aveva presentato un ordine del giorno, bocciato dalla maggioranza nell’ultima seduta del Consiglio comunale. «Ci è stato detto che il documento era pretestuoso – afferma la capogruppo Viviana Businelli -, anche se quello che chiedevamo era soprattutto di portare in Città mandamento la questione, che non riguarda solo Monfalcone, visto il raggio di dispersione degli inquinanti che è di almeno 12 chilometri». Vero è che il documento puntava anche a impegnare il sindaco Silvia Caruso a «esprimersi nelle sedi competenti contro ogni ipotesi di utilizzo del carbone, anche di quello cosiddetto pulito, che non esiste, all’interno della centrale». Un’affermazione in linea, rileva il gruppo di minoranza, con quanto contenuto nel programma della presidente della Regione Debora Serracchiani. A fronte di «un inquinamento che non ha confini», il gruppo di minoranza riteneva quindi che Città mandamento avrebbe potuto affrontare il tema in modo più incisivo e che «un maggior coinvolgimento e una visione unitaria di tutti gli enti locali della Bisiacaria potrebbe dare maggior forza alle posizioni comunemente individuate». Nell’ultima seduta del Consiglio la maggioranza ha bocciato anche la mozione di Centrosinistra per San Canzian futura che chiedeva la rinuncia dell’aspettativa da parte del sindaco, con conseguente, secondo il gruppo, recupero di fondi e la riduzione del 10% sui gettoni di presenza e sulle indennità degli assessori. «Indubbiamente non si risolvono così le difficoltà finanziarie dell’ente – afferma la capogruppo -, però volevamo dare un segnale a quei cittadini che si trovano senza lavoro e magari creare un fondo per le emergenze economiche delle persone in difficoltà. Da parte della maggioranza c’è stata una chiusura totale non solo sull’aspettativa, ma anche sulla riduzione». Con il resto della minoranza in questo caso ha votato anche Rossella Buttaro del Centrodestra.
Ansa | Pubblicato: 04/10/2013 16:59 CEST | Aggiornato: 04/10/2013 16:59 CEST