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NO TAV/ Roma assaltata la sede del PD!

20 novembre repubblica
No Tav: scontri nel centro di  Roma  petardi, assaltata sede Pd -   Foto   8 feriti, 6 sono poliziotti   foto     video

 

NOTAV: 22 febbraio giornata di mobilitazione nazionale contro la repressione

Questo è l’appello dalla valsusa.
In regione per ora previsti appuntamenti a Trieste e Udine.

 


TERRORISTA È CHI DEVASTA E MILITARIZZA I TERRITORI
APPELLO PER UNA GIORNATA DI MOBILITAZIONE NAZIONALE

Circa 600 imputati, più di un migliaio di indagati, decine di persone sottoposte a varie restrizioni (obbligo o divieto di dimora, foglio di via), multe da centinaia di migliaia di euro, un processo contro 53 no tav condotto in un’aula bunker, diversi compagni da mesi agli arresti domiciliari. In questi numeri si può leggere l’accanimento repressivo contro il movimento no tav. Nella crociata condotta dalla Procura di Torino si è aggiunto ad agosto un nuovo capitolo: no tav indagati per “attentato con finalità di terrorismo” – e sottoposti per questo a misure restrittive – per una delle tante passeggiate di lotta contro il cantiere di Chiomonte.

Dopo mesi di criminalizzazione mediatica, arriviamo al 9 dicembre, quando quattro notav (Chiara, Mattia, Claudio e Niccolò) vengono arrestati su mandato della Procura di Torino perché accusati di aver partecipato ad un’azione contro il cantiere avvenuta nella notte fra il 13 e il 14 maggio.

Un’azione che, come già accaduto nelle pratiche del nostro movimento, aveva danneggiato alcune attrezzature del cantiere.
Per la Procura di Torino si tratta di “attentato con finalità di terrorismo”. Per noi si tratta di una giusta resistenza.

L’accusa di “terrorismo” comporta delle pene molto pesanti. Ma nell’inchiesta della Procura torinese si va ben oltre: vengono utilizzati per la prima volta in Italia articoli che definiscono “terrorista” qualsiasi forma di resistenza a quanto deciso dai poteri economici e politici. Ogni imposizione dello Stato, secondo i Pm Rinaudo e Padalino, ammette tutt’al più la lamentela, ma non l’opposizione attiva.
Insomma, in questo tentativo di attaccare frontalmente il movimento no tav si sperimentano dei modelli che potranno essere applicati in futuro ad ogni forma di dissenso reale.

Ne va della libertà di tutti.

Per questo lanciamo un appello per una mobilitazione nazionale sui vari territori per il 22 febbraio:

– Contro l’accusa di terrorismo e la criminalizzazione di chi lotta
– In solidarietà con tutti i no tav imputati e indagati
– per la liberazione di Chiara, Claudio, Mattia, Niccolò e degli altri no tav ancora ai domiciliari
– Per rilanciare le lotte
– Perché chi attacca alcuni/e di noi, attacca tutte e tutti
– Per ribadire con forza che fermarci è impossibile

Per questi motivi il Movimento NO TAV
INDICE E PROPONE PER IL 22 FEBBRAIO
UNA GIORNATA NAZIONALE DI MOBILITAZIONE E DI LOTTA
OGNUNO NEL PROPRIO TERRITORIO

a tutte quelle realtà che resistono e si battono contro lo spreco delle risorse pubbliche, contro la devastazione del territorio, per il diritto alla casa, per un lavoro dignitoso, sicuro e adeguatamente retribuito.
Una mobilitazione comune in solidarietà ai compagni di lotta incarcerati, ai compagni di lotta già condannati, a quella innumerevole schiera di resistenti che ancora deve affrontare il giudizio per aver difeso i beni comuni, una giornata di lotta alla quale seguirà nella metà di marzo un appuntamento a Roma per la difesa e la legittimità delle lotte sociali.
In preparazione della giornata di lotta si invita ad effettuare assemblee sui territori per sensibilizzare la popolazione sia su questi temi sia sui progetti che si contrastano.

Appello del Coordinamento dei comitati del Movimento NO TAV.

Villar Focchiardo 29 gennaio 2014

 

 

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qui un documento della FAI di Torino:

http://anarresinfo.noblogs.org/2014/01/23/terrorismo-di-stato/

 

NOTAV: marcia popolare a Torino contro la repressione

10 maggio marcia popolare a Torino

Colpevoli di resistere
Il 14 maggio. a Torino si aprirà il processo a carico di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò accusati di terrorismo per il sabotaggio di un compressore.
Attraverso l’accusa di terrorismo contro alcuni NO TAV si vogliono colpire tutte le lotte.
Sabato 10 maggio ore 14 (ritrovo in Piazza Adriano)
Manifestazione popolare a Torino perché
Chi attacca alcuni di noi, attacca tutte e tutti
perché Le loro bugie, i loro manganelli, le loro inchieste non ci fermano
Resistiamo allo spreco delle risorse, alla devastazione del territorio, alla rapina su i salari, le pensioni e la sanità.
Chiara, Claudio ,Niccolò , Mattia liberi subito.
Movimento No Tav

Da trieste stiamo organizzando delle auto, per info:
gruppoanarchicogerminal@hotmail.com

 

QUI IL MANIFESTO

NO TAV/ Foto Torino 10 maggio 2014

Circa una trentina di compagn* della Regione, posizionati in varie parti del corteo, hanno partecipato alla grande e bella manifestazione di Torino del 10 maggio 2014 “Colpevoli di Resistere” per la libertà di Chiara, Claudio, Mattia e Niccolò.

Il Movimento Anarchico nel suo insieme ha dato un grosso contributo alla manifestazione.

Report  TGvallesusa1 | Tgvallesusa2

torino-10-05-2014-02

 

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NOTAV: Cronache e analisi dalla Valsusa

Riguardo agli avvenimenti in valsusa di questi giorni pubblichiamo questi articoli tratti dal blog anarresinfo.noblogs.org

 

Da Black Bloc a terroristi

TERROR~1Lunedì 29 luglio. Alle prime ore dell’alba scattano una dozzina di perquisizioni, tra Torino e la Val Susa, nelle abitazioni di attivisti dell’area autonoma che fanno riferimento al Comitato di lotta popolare di Bussoleno.
L’accusa è gravissima: associazione con finalità di terrorismo.
Nel mirino la passeggiata notturna al cantiere di Chiomonte del 10 luglio. Una serata come altre negli ultimi due anni di resistenza all’occupazione militare.
Già i commenti di politici e media dopo quella notte preludevano ad un possibile cambio di rotta nelle strategie repressive della Procura di Torino.
Sabato 27 luglio alcune migliaia di No Tav hanno aggirato i blocchi al ponte sul Clarea, guadando più in alto per raggiungere l’area della Centrale a Chiomonte.
C’erano tutti: giovani ed anziani, attivisti di tutti i giorni e sostenitori delle grandi occasioni. Il popolo No Tav unito sulle stesse strade dove il 19 luglio c’era stato l’accerchiamento della polizia, le botte, le torture, gli arresti. L’ambiguità nelle dichiarazioni del gruppo di amministratori che hanno partecipato alla marcia, ha consentito a Repubblica di titolare “I sindaci No Tav la spuntano. Marcia senza incidenti”. In questo modo i fautori del Tav hanno potuto buttare sul tavolo la carta comunicativa della divisione tra buoni e cattivi, facendo aleggiare il sospetto che l’anima moderata avesse sconfitto quella radicale. Nei fatti la passeggiata notturna del 19 luglio e la marcia diurna del 27 erano state indette dal movimento nel suo complesso e pubblicizzate nella medesima locandina
Due giorni dopo la manifestazione popolare di sabato 27, la Procura replica con le perquisizioni: in quasi tutte le case vengono sequestrati computer, telefonini, vestiti scuri, lampade frontali. L’accusa di terrorismo consentirebbe, in caso di arresti – per ora siamo ancora alle indagini – di ottenere lunghe carcerazioni preventive.
Nella conferenza stampa svoltasi nel pomeriggio nella sede della Comunità montana, il presidente, il democratico Sandro Plano, ha preso le distanze da ogni atto violento ed illegale dei No Tav, ma giudicato eccessiva l’accusa di terrorismo.
Il fronte istituzionale sta giocando da qualche giorno la carta della moratoria dei lavori per far ripartire un tavolo di trattativa sull’opera, alla luce delle titubanze francesi e del diverso quadro di priorità che la crisi imporrebbe.
Il movimento, riunito in serata al campeggio di Venaus, ha deciso di partecipare al presidio indetto dai No Tav di Bussoleno per martedì 28 alle 21 nella piazza del municipio della cittadina.

Non si può dire che l’indagine, coordinata dai PM Andrea Padalino e Antonio Rinaudo, arrivi inaspettata. Le dichiarazioni fatte ai media sin da maggio, facevano presagire che la Procura giocasse la carta di un’accusa pesante come l’associazione con finalità di terrorismo. Un’accusa che potenzialmente potrebbe investire qualsiasi No Tav, al di là delle condotte specifiche che la Procura fosse in grado di provare. Come tutti i reati associativi, la consistenza del dolo non è data dall’aver partecipato direttamente a questa o quell’azione considerate “terroriste” ma dal mero appartenere ad un gruppo considerato tale.
Visto l’appoggio formale del movimento alle azioni notturne in Clarea, ai sabotaggi, ai blocchi, all’autodifesa, chiunque si dica No Tav e partecipi a Comitati, assemblee, campeggi, potrebbe essere accusato di associazione con finalità di terrorismo.
In Val Susa chi prova a seminare “terrore” tra la popolazione per spezzarne la resistenza è l’esercito occupante.
Sarà interessante verificare se questa svolta della Procura otterrà l’effetto voluto o finirà con il rivelarsi un boomerang.

 

No Tav. Sangue, gas e torture. Cronaca e riflessioni dopo il 19 luglio

19 luglio. L’estate No Tav, partita in sordina, sta entrando nel vivo. Alcune decine di tende sono piantate nella piana di Venaus.
Circa 400 No Tav partono da Giaglione lungo la strada delle Gorge per una notte di lotta al cantiere. Da alcuni giorni la Prefettura ha fissato i confini di una nuova zona rossa intorno alle recinzioni. I divieti non hanno mai fermato i No Tav, non lo fanno nemmeno questa volta. Protagonisti della serata sono soprattutto i solidali che, come ogni estate, sono accorsi in Val Susa. Alcuni percorrono di notte i sentieri per la prima volta: la serata è molto scura, le nubi coprono la luna quasi piena.
La polizia è fuori dalle recinzioni, schierata oltre il ponte sul torrente Clarea: all’arrivo dei primi No Tav partono le cariche. La A32 anche questa volta è stata chiusa. Dieci blindati la percorrono con i lampeggianti spenti e si fermano sul viadotto nei pressi del cancello che immette sulla strada delle gorge. Altre volte i militari avevano scelto questa posizione per sparare dall’alto lacrimogeni sui manifestanti imbucati nel sottopasso della A32. Questa volta, dopo i gas avanzano le truppe, che spezzano in due in manifestanti, intrappolandone circa 150 nella zona dei Mulini. Un punto molto pericoloso per una manovra che non lascia vie di fuga: da un lato la gorgia scende brusca, dall’altro c’é una zona di vigne abbandonate, franosissima.
Nel buio piovono le manganellate, il gas soffoca ed acceca, molti gridano in preda al panico, cercando di inerpicarsi sul costone, scivolando in mezzo alle pietre che rotolano.
La polizia fa il suo bottino: 9 no tav vengono presi e portati nel cantiere. Lungo il tragitto botte, insulti, colpi di manganello. Un’attivista pisana, Marta, viene colpita in faccia da una manganellata che le spacca il labbro superiore, mentre gli eroi dell’antisommossa la palpeggiano tra le gambe, le toccano i seni, la insultano. Un ragazzo di 17 anni sviene per le botte e si ritrova nel fortino con fratture e la faccia piena di sangue. Gli uomini in divisa mirano sempre al volto, per nascondere sotto un velo rosso lo sguardo e l’umanità di chi lotta perchè immagina un mondo diverso da quello in cui siamo tutti forzati a vivere.
Gli arrestati vengono tutti percossi con violenza anche dopo l’arresto: trascorreranno ore prima di essere portati in ospedale e, di lì, alle Vallette. Le loro storie, raccolte nelle ore e nei giorni successivi, sono normali storie di tortura.
Per chi riesce ad allontanarsi comincia una lunga marcia notturna, nel silenzio dei boschi che nascondono i No Tav dalla caccia dei poliziotti che li braccano. Chi era riuscito a sfuggire alla trappola torna a Giaglione. Qualcuno si massaggia un braccio, altri hanno la testa che sanguina, altri ancora una commozione cerebrale e una caviglia rotta. Comincia la spola per portare i feriti più gravi all’ospedale. Il lento e duro ritorno dei No Tav termina all’alba. Chi arriva, sfinito, trova i propri compagni che attendono da ore. I primi racconti descrivono la violenza della polizia e la solidarietà che prevale dopo il panico, nel mutuo appoggio tra i boschi: un goccio d’acqua, qualcosa da mangiare che viene condiviso tra tutti.
Il giorno dopo il campeggio di Venaus sembra un ospedale da campo: chi zoppica e chi esibisce vistose fasciature, bende in testa, cerottoni, ingessature. Il bilancio finale è di 63 attivisti feriti. Anche la polizia sostiene che sarebbero una quindicina gli uomini e le donne in divisa feriti e contusi.
La questura nella sua conferenza stampa recita un copione ormai consolidato. Vengono esibite maschere antigas, qualche petardo, qualche bastone, il solito “mortaio”. In bella mostra c’é il bottino di una guerra in cui non vengono mai mostrati i manganelli insanguinati, i fucili che sparano i gas, le maschere dei poliziotti e dei carabinieri, i bossoli dei lacrimogeni. Nei confronti degli arrestati vengono formulate accuse durissime: resistenza, violenza, porto di armi da guerra.

Martedì 23 luglio il GIP convaliderà gli arresti e disporrà i domiciliari per sei No Tav e l’obbligo di firma quotidiano per il settimo. Gli altri due fermati nella notte del 19 erano stati denunciati e rilasciati a piede libero all’alba del 20 luglio.
Il giorno dopo il senatore democratico Stefano Esposito scriverà sul suo blog indicando un esponente del comitato No Tav di Bussoleno come mandante del tentato assalto al cantiere. Già nei giorni precedenti aveva accusato il settimanale anarchico Umanità Nova di incitare alla violenza, per un articolo scritto da Maria Matteo, titolato «soldi e sabotaggi». Non pago Esposito arriverà a sostenere che l’attivista pisana molestata pesantemente durante l’arresto aveva mentito e si era meritata gli otto punti necessari a rattopparle il labbro spaccato.
La mattina del 20 luglio tra chi tornava alla propria vita dopo la notte in Clarea, qualcuno avrà ricordato che 12 anni prima, in luglio sin troppo assolato, un carabiniere aveva sparato in faccia ad un ragazzo di 23 anni.

Il 23 luglio una fiaccolata percorre le vie di Susa. Il corteo – 2000 persone – era aperto dalle donne solidali con Marta, la No Tav pisana ferita e molestata sessualmente da alcuni poliziotti dei reparti antisommossa il 19 luglio. I No Tav hanno sostato lungamente di fronte all’hotel Napoleon, che ospita carabinieri di stanza alla Maddalena, di fronte alla pizzeria Mirò che ha stipulato una convenzione con gli occupanti, e al comune, schierato con la lobby del Tav. La manifestazione si è conclusa di fronte alla villetta del sindaco Gemma Amprino.
Sin qui la cronaca.

La polizia ha deciso di alzare il livello dello scontro. Una scelta pianificata e sin troppo prevedibile. La presenza nel cantiere di due magistrati come Padalino e Rinaudo, già titolari di numerose inchieste contro l’opposizione sociale in provincia di Torino, la dice lunga sulla pianificazione della mattanza del 19 luglio.
I media da settimane avevano ripreso a pubblicare articoli incendiari contro il movimento No Tav, accusato di essere ostaggio di professionisti della violenza, di aver ceduto il campo agli specialisti venuti da tutta Europa per fare la guerra allo Stato.
Tra gli articolisti che hanno commentato gli eventi in Clarea si è distinto Paolo Griseri, che definisce il rapporto tra il movimento valsusino e i solidali venuti da fuori come una sorta di outsourcing degli scontri più duri. Un’esternalizzazione consensuale, una sorta di patto tra gentiluomini. Va dato atto a Griseri di avere l’onestà intellettuale di non sostenere la tesi della divisione tra buoni e cattivi, che viene sempre smentita dai fatti. Ogni volta un’assemblea popolare, una manifestazione con grandi numeri, una marcia di tutti al cantiere, hanno dimostrato l’inconsistenza di un’argomentazione che ha più il sapore della speranza che serietà nei fondamenti argomentativi.
Più pragmatico di Griseri, Numa punta su una tesi intermedia: la perdita di controllo del movimento valsusino e un accordo – cui regala anche il nome suggestivo di «Patto del Cels» – tra anarchici ed autonomi, separati su tutto ma uniti nel perseguire attacchi violenti.
Significativo che la maggior parte dei commentatori abbiano minimizzato, talora censurato e persino negato le violenze subite dai No Tav.
Un mondo in bianco e nero, sostanzialmente asservito alla lobby del Tav. Nulla di strano. L’informazione è oggi uno dei pilastri nella costruzione del consenso intorno a scelte non condivise. La criminalizzazione e l’isolamento dell’opposizione riescono meglio se le scelte disciplinari più dure vengono sorrette da un buon lavoro di propaganda.

Proviamo a mutare prospettiva. Al di là dei fatti che abbiamo provato a ricostruire e della valutazione che ne hanno dato politici e media.
C’è una domanda che il movimento No Tav non può eludere. Perché il governo, il prefetto, la polizia hanno ritenuto fosse possibile un’accelerazione repressiva? Anche i giornali hanno scritto di una sorta di cambio di strategia.
Nelle tante riunioni tenutesi in questi giorni molti ipotizzavano che da un lato la compagine governativa che sostiene il Tav sia oggi più forte che in passato, altri hanno puntato l’indice sul sempre più scarso entusiasmo del governo francese verso la Torino Lyon.
Nessuna di queste ipotesi ci pare convincente, perché in Italia le maggioranze a favore del Tav sono sempre state forti e le esitazioni della Francia non sono certo una novità.
La posta in gioco – non certo da oggi – va ben al di là della torta Tav. Non è più solo una questione di treni: in ballo c’é il disciplinamento di un movimento popolare che non si è mai rassegnato all’occupazione militare. I No Tav non si sono mai arresi. Mese dopo mese, sin dallo sgombero della libera repubblica della Maddalena, ci sono state azioni di contrasto, serate informative, presidi, blocchi, occupazioni dell’autostrada e sabotaggi. Il movimento No Tav non ha mai voluto trasformarsi in impotente testimone dello scempio, limitandosi alla denuncia delle sciagure senza far nulla per impedirle.
Nonostante gli arresti, i feriti, i processi, i fogli di via, le violenze della polizia, nonostante il continuo tentativo di dividere i buoni dai cattivi, i No Tav hanno resistito.
Va rilevato che il cambio di passo avvenuto nella notte del 19 luglio riguarda solo l’ultimo anno. Prima, dall’assedio del 3 luglio 2011 al primo campeggio di Chiomonte, dalla mattanza dell’8 dicembre 2011 in Clarea, alle feroci cariche in autostrada del 29 marzo 2012 i governi di turno non si erano certo sottratti al dovere pedagogico di imporre ai resistenti numerosi corsi accelerati di dottrina dello Stato. Corsi molto utili e formativi per i No Tav. Certo non tutti partecipano alla lotta per «fare la guerra allo Stato», tuttavia grazie alla violenza dispiegata in questi anni molti hanno migliorato le proprie conoscenze sulla democrazia reale. In futuro i peggiori incubi dei nostri avversari potrebbero persino avverarsi.
Nell’ultimo anno i governi hanno puntato sulla rassegnazione, sull’accettazione del fatto che i lavori per il tunnel geognostico sono cominciati davvero, che le azioni al cantiere sono inutili, perché l’azione preventiva delle forze dell’ordine rende pressoché impossibile raggiungere il cantiere. Dopo la prima passeggiata notturna dell’estate 2012 l’azione della polizia è stata rivolta a chiudere ogni accesso, obbligando i manifestanti a lunghissime camminate nei boschi per riuscire solo a tratti ad avvicinarsi alle reti.
Su di un altro piano, le azioni di contrasto dell’occupazione militare, di sabotaggio collettivo delle ditte collaborazioniste, di intralcio dei lavori del cantiere con blocchi e con il presidio a Chiomonte non hanno mai avuto lo slancio necessario a fare massa critica. 
La risposta di alcuni ad una situazione frustrante sono state le azioni notturne a sorpresa contro il cantiere e, successivamente, anche otto sabotaggi a mezzi delle ditte fuori dal cantiere.
Il movimento No Tav in un’assemblea popolare ha deciso di appoggiare la pratica del sabotaggio diretto alla distruzione di beni materiali senza colpire le persone.
Una scelta giusta che tuttavia rischia di produrre nei fatti una divisione tra chi agisce e chi plaude le azioni. Come scriveva la nostra compagna nell’articolo che ha suscitato le attenzioni del senatore Esposito «I sabotaggi sono il segno tangibile di una tensione forte a non arrendersi ai giochi della politica istituzionale, ma se restano patrimonio di pochi, cui i più delegano la lotta, possono rappresentare il canto del cigno del movimento.
Occorre creare le condizioni perché i tanti che plaudono ma non partecipano in prima persona si impegnino direttamente nelle azioni. Il cantiere di Chiomonte è il luogo scelto dallo Stato per giocare con violenza la propria partita: sinora i governi e la polizia hanno sbagliato poche mosse, facilitati da un terreno che li favorisce.» Chiomonte è stata scelta per il cantiere perché era il posto ideale per fare la guerra. Un luogo lontano dagli occhi, dall’indignazione, dal passo di un movimento popolare.

Allo Stato serve la guerra, perché la guerra è l’ambito degli specialisti, allo Stato piace la guerra perché ha il monopolio formale e materiale della violenza. Lo Stato ha i mezzi per alzare il livello dello scontro. Quando il governo decide gli apparati repressivi eseguono con gran gusto gli ordini ricevuti.
Dopo un anno non facile per il movimento No Tav, troppo a lungo sedotto dall’illusione elettorale, lo Stato si sente più forte e lancia l’offensiva.
Oggi il governo non teme più un’insurrezione popolare in risposta alle violenze del 19 luglio. Sebbene sappia bene che il popolo No Tav appoggia le azioni, sa tuttavia che quest’appoggio è soprattutto morale. La materialità dello scontro divide chi pure resta unito sia sugli obiettivi sia sui mezzi per perseguirli.

La sfida difficile che il movimento No Tav deve affrontare è rimettere in pista tutti quanti. Qualcuno in prima fila, qualcun altro più indietro, altri ancora in fondo, ma insieme per far nuovamente lievitare la miscela di radicalità e radicamento che è la ricetta vincente dei No Tav.
Il prossimo anno dovrebbe partire la sfida per l’inizio del cantiere per il tunnel di base: in quell’occasione dovranno militarizzare il territorio, piazzando soldati, poliziotti e carabinieri, in mezzo alle case. Non avranno più il riparo di un angolo remoto come la Clarea, ma un luogo pieno di case, di gente. Ancora oggi, nonostante, non sia esplosa nei due anni precedenti, il governo non può sapere se di fronte ad espropri, camion, polizia in tutte le strade la risposta non sarà di resistenza e barricate. Non lo sanno ma ancora lo temono. Per questa ragione mirano a seminare la paura con le teste rotte, le gambe spezzate, le molestie, gli insulti, le calunnie. La notte del 19 luglio hanno chiuso i manifestanti in un budello senza uscita per dimostrare che sono in grado di controllare a piacimento il territorio, che possono gasare e pestare a pochi metri dal cantiere dove fervono i lavori. Non solo. In questo luglio la presenza dei militari è divenuta molto più visibile ed asfissiante: i carabinieri in hotel a Susa, invece che nelle stazioni sciistiche in alta valle, i continui posti di blocco sulle due statali, i controlli a tappeto sono il segno tangibile che lo Stato ritiene venuto il momento di mostrare nuovamente la propria forza.
Occorrerà molta intelligenza e una grande capacità di confronto per dare una risposta adeguata all’accelerazione decisa dal governo.
Il punto di partenza è il territorio. Sul piano politico e sociale sono tanti i nodi che stanno venendo al pettine: la crisi che sta costando lacrime e sangue ai più, mentre arricchisce i soliti pochi, consente di pensare a orizzonti di lotta più ampi, dove le alleanze tra i movimenti e il mutuo appoggio si estendano.
Le stesse articolazioni materiali del Tav si trovano ovunque sul territorio, offrendo larghi spazi di contestazione e lotta, capaci di coinvolgere tutti. Le lotte dure ma vincenti dei lavoratori della logistica hanno dimostrato che lo smistamento, la dislocazione e la circolazione delle merci è uno dei punti deboli in un’epoca in cui la gran parte del lavoro è asservito e ricattabile.
Queste lotte offrono anche al movimento No Tav numerosi spunti di riflessione su possibilità di azione sinora mai esperite sino in fondo.
Un accampamento/blocco di qualche centinaio di persone – uomini, donne, bambini, anziani, che piazzino tende, cucine da campo, campi da calcio, dandosi il cambio giorno e notte potrebbe impensierire seriamente i signori del manganello e del tribunale.
Tante piccole azioni, semplici e riproducibili, che inceppino la macchina dell’occupazione militare e del cantiere, che ha gangli e ramificazioni ovunque potrebbe – senza troppi rischi – creare grandi difficoltà a chi occupa, devasta, lucra sulle nostre vite.

Non c’è molto tempo. Come sempre occorrerà riflettere facendo e fare pensandoci su.
La forza dei No Tav è nel movimento popolare. Una pianta resistente ma delicata. È compito di tutti mantenerla viva.

(Questo testo è la sintesi del confronto e della discussione tra i compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese)

 

 

No Tav. Dopo il manganello, il tribunale

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Si è svolta ieri l’udienza di convalida degli arresti dei sette attivisti No Tav fermati nella notte del 19 luglio durante una manifestazione di lotta al cantiere di Chiomonte. L’unico fatto positivo è la decisione di applicare la misura cautelare ai domiciliari per sei No Tav e l’imposizione dell’obbligo di firma quotidiano per il più giovane.
La Procura, nelle persone dei PM Rinaudo e Padalino, gli stessi che, fuori da ogni norma e consuetudine, si trovavano all’interno del cantiere la notte degli arresti e delle violente cariche della polizia, aveva chiesto il carcere per tutti.
Per il resto il GIP ha accolto in pieno la tesi dell’accusa che il mero possesso di limoni, malox, maschere antigas dimostrerrebbe la volontà di tutti i partecipanti alla manifestazione di voler attaccare le forze dell’ordine. Il ritrovamento di bastoni, cesoie e due bottiglie molotov completerebbe il quadro. In questo modo non solo si formulano accuse gravi come la resistenza e la violenza a pubblico ufficiale, ma anche quella di possesso di armi da guerra. Grazie all’uso abnorme ma ormai abituale del concorso morale, diviene automatico che ciascuno sia responsabile di tutto quello che accade.
Nei fatti quella che si combatte in Val Susa è una vera guerra con impiego massiccio di gas velenosi, pestaggi, torture e molestie sessuali. Chi la conduce possiede legalmente armi da guerra: pistole, manganelli, fucili per sparare i gas, oltre ad essere dotato delle migliori difese come scudi, caschi, maschere antigas.
Gli avvocati del legal team No Tav decideranno nei prossimi giorni se presentare istanza di riesame, ma è probabile che i sette attivisti mantengano le restrizioni loro imposte sin dopo la pausa agostana.

L’info di radio Blackout ne ha parlato con Eugenio Losco, avvocato del Team No Tav, difensore di uno degli arrestati, che ha annunciato la decisione del ragazzo di 17 anni ferocemente pestato nella notte del 19 luglio di sporgere denuncia contro i propri aguzzini.
Le ultime parole sentite dal giovanissimo attivista prima di svenire sono state “smettiamola altrimenti lo ammazziamo”. Dai referti emerge che gli hanno spezzato la mandibola e il naso, che ha il segno di uno scarpone sullo sterno e numerose altre ferite ed escoriazioni.
Ascolta la diretta con Eugenio

Nonostante la repressione, nonostante il persistente tentativo di dividere i buoni dai cattivi, la risposta del movimento contro la Torino Lyon non si è fatta attendere.
Circa duemila No Tav, in maggioranza valligiani, hanno preso parte alla fiaccolata che si è snodata ieri sera per le strade di Susa. Il corteo era aperto dalle donne solidali con Marta, la No Tav pisana ferita e molestata sessualmente da alcuni poliziotti dei reparti antisommossa durante la serata di lotta al cantiere di Chiomonte. I No Tav hanno sostato lungamente di fronte all’hotel Napoleon, che ospita carabinieri di stanza alla Maddalena, invitandoli ad andare via. Passando per le vie del centro si è fermato sia davanti ad una pizzeria che ha stipulato un contratto con gli occupanti, sia di fronte al comune, schierato con la Lobby del Tav. La manifestazione si è conclusa di fronte alla villetta del sindaco Gemma Amprino, che, come d’abitudine, non si è fatta vedere.

 

Hanno vinto i No Tav, parola di imprenditore

No Tav, l’imprenditore Beppe Benente: “Hanno vinto loro, mi ritiro”

Ansa  |  Pubblicato: 04/10/2013 16:59 CEST  |  Aggiornato: 04/10/2013 16:59 CEST

 

 

“Hanno vinto i No Tav, sono più forti dello Stato. Lunedì metto la società in liquidazione”. Lo annuncia Beppe Benente, titolare della Geomont di Bussoleno (Torino), dopo che stamattina la Commissione bilancio della Camera ha respinto l’emendamento a tutela delle imprese che lavorano al cantiere della Torino-Lione. “Alzo bandiera bianca – ribadisce Benente, la cui ditta ha subito due attentati in un mese – perché mi sento abbandonato dallo Stato”.

Benente afferma di “non avere mai chiesto niente” allo Stato, anche se confidava “in un gesto simbolico, che facesse capire ai No Tav e alla gente che lo Stato ci è vicino. Ringrazio coloro che ci hanno provato, ma non si è arrivati neanche a questo. Mi sento preso in giro”. La Geomont è passata da 34 a nove dipendenti nell’arco di due anni. “A queste condizioni – riflette Benente – non si può più andare avanti. Lo Stato ti chiede i soldi in anticipo, ti bastona con il Fisco e non ti tutela contro quelli che ti bruciano i macchinari. Come possiamo fare? Francamente, mi costa meno andare a sciare tutto l’inverno e stare più vicino ai miei figli”.

Non si tratta, secondo l’imprenditore, di una questione economica: “Non ho mai chiesto soldi a nessuno, semmai sono stati altri a prometterli – afferma – e, anzi, ad altre condizioni sarei stato anche pronto a indebitarmi con un finanziamento agevolato e restituire il denaro nell’arco di qualche anno. Ma in Italia non si può più pensare di fare imprenditoria. Quanto accaduto oggi è la dimostrazione che come qualcuno tenta di fare qualcosa subito gli tagliano le gambe”.

Benente aveva manifestato il proposito di chiudere l’azienda già un mese fa, dopo che gli furono incendiati alcuni mezzi. Mercoledì mattina un altro attentato. “Non è cambiato nulla – conclude – e oltre al danno c’è anche la beffa, perché i No Tav sui siti si permettono addirittura di scrivere che mi sono incendiato i mezzi da solo. Sono stanco anche di questo fango. L’ho già detto: hanno vinto loro”.

NO TAV: manifestazione popolare in Valsusa sabato 16 novembre

Importante appuntamento al quale saranno presenti, come molte altre volte, anche compagni/e della regione.

Qui sotto l’articolo in uscita su Umanità Nova.

 

 

Susa 16 novembre. Manifestazione popolare No Tav

Non possono bruciare i nostri cuori

Fiamme al Picapera

Il presidio Picapera di Vaie non c’è più. Intorno alle 11 di venerdì 1 novembre è stato dato alle fiamme. Venne costruito alla fine del 2010, nella stagione di resistenza alle trivelle, per impedire un sondaggio geognostico. In questo stesso luogo dovrebbe spuntare il treno, dopo un lungo tratto in galleria. Il presidio era diventato punto di riferimento per la gente di Vaie e per tutta la vasta comunità No Tav.

Il movimento ha immediatamente respinto al mittente la solidarietà pelosa dei parlamentari Si Tav Esposito e Napoli, dichiarando che i mandanti dell’incendio erano tra le file del governo, che appoggia e foraggia la lobby del cemento e del tondino, che ha fatto guadagni enormi con le grandi opere inutili finanziate con i soldi di tutti. Le amicizie tra il ministro della giustizia Cancellieri e la famiglia Ligresti, oggi sotto i riflettori dei media, non sono che l’ultimo esempio di una politica che, all’indomani del terremoto che ha pensionato la prima repubblica, ha individuato nell’alta velocità ferroviaria il canale dal quale attingere denaro senza correre rischi.

Un sistema pulito, semplice, basato sulla complicità bipartisan della destra e della sinistra, che solo in Val Susa ha incontrato l’unico grosso intoppo possibile: un grande movimento popolare, sordo alle lusinghe e forte di fronte alle minacce e alla repressione.

Quello di Vaie è il terzo presidio No Tav andato a fuoco. Prima era toccato a quelli di Bruzolo e Borgone. Quello di Borgone venne ricostruito subito, quello di Vaie lo sarà presto. Dopo la manifestazione popolare del 16 novembre, sia che la magistratura abbia tolto i sigilli, sia che non li abbia tolti, i lavori di ricostruzione riprenderanno.

È l’impegno preso dal comitato No Tav di Vaie, durante la fiaccolata per le vie del paese svoltasi domenica 3 novembre. Migliaia di No Tav sono scesi a Vaie per rafforzare il legame di solidarietà che unisce nella lotta chi resiste al supertreno. Chi resiste all’idea che questo mondo, queste relazioni sociali siano le uniche possibili.

Il giorno precedente, di fronte alle pareti annerite del presidio di Vaie, c’è stato il ricordo di Pasquale Cicchelli, un No Tav rispettato ed amato per il suo impegno nella lotta, prematuramente scomparso due giorni prima.
La magistratura torinese, per dimostrare la propria imparzialità, ha inviato avvisi di comparizione come persone informate sui fatti a numerosi ragazzi di Vaie, tutti No Tav. Una evidente provocazione mirante ad accreditare la tesi che gli incendiari siano tra gli oppositori alla Torino Lyon.

Processi superveloci e crepe nella magistratura: le dimissioni di Caselli

I processi contro i No Tav hanno una corsia privilegiata rispetto agli altri. Quello per lo sgombero della Maddalena e l’assedio del 3 luglio continua in aula bunker con l’esibizione dei poliziotti di servizio in quelle giornate. La tesi è sempre la stessa: attacco paramilitare, gruppi organizzati, violenza. I violenti pestaggi dei manifestanti arrestati, documentati da un video, i lacrimogeni che, oltre a intossicare, hanno ferito chi ha avuto la ventura di intercettarne le curiose parabole, spariscono dalle pittoriche descrizioni di un vice commissario dalla carriera in declino come quella di Massimo D’Alema, il suo referente politico di sempre.

Il lavoro della Procura è incessante su ogni fronte: in questi giorni sono arrivati avvisi di garanzia a No Tav accusati di aver spostato dei jersey che impedivano il passaggio dei manifestanti nel 2011.

Piccole crepe si stanno aprendo anche nel fronte della magistratura.

Le dimissioni da Magistratura Democratica di Giancarlo Caselli, il Procuratore capo di Torino, per ben due volte confermato nell’incarico nonostante il raggiunto limite di età, sono il segnale di un malessere che ha oltrepassato i confini della società civile per investire la stessa magistratura.

Casus belli la pubblicazione sull’Agenda 2014 dell’associazione di un articolo di Erri De Luca titolato “Notizie su Euridice”. De Luca in questo pezzo, più poetico che politico, racconta gli anni Settanta dalla parte dei perdenti, di quelli che si ritrovarono sui banchi degli imputati, quando la pubblica accusa era in mano a magistrati democratici e di sinistra come Giancarlo Caselli.

Intollerabile per il Procuratore della Repubblica, nonostante Magistratura Democratica abbia pubblicato il pezzo di De Luca con una nota introduttiva, in cui prende le distanze dalla “violenza” in ogni sua forma. Ma ben più intollerabile e, forse, all’origine vera delle dimissioni dall’associazione che aveva contribuito a fondare, è la notizia, per ora non esplosa sui media che proprio Magistratura Democratica promuoverà un convegno sui processi No Tav che si svolgerà all’interno del Palagiustizia di Torino. Uno schiaffo a mano aperta al Procuratore che più si stava spendendo per ottenere condanne contro il movimento di resistenza alla Torino Lyon.

Tanto intollerabile che l’11 novembre Caselli ha annunciato le proprie dimissioni da Procuratore: dal 28 dicembre andrà in pensione con cinque mesi di anticipo sulla scadenza dell’incarico, fissata al 9 maggio.

Assedio al Napoleon

Susa. Nella serata di martedì 5 novembre circa 150 No Tav hanno dato vita ad una manifestazione a sorpresa davanti all’hotel Napoleon, che ormai da anni ospita le truppe di occupazione di stanza a Chiomonte. Per due ore e mezza, tra slogan e canti partigiani, gli attivisti hanno aperto uno striscione con la scritta “via le truppe di occupazione” di fronte all’ingresso principale dell’albergo.
Sul retro si è attestato un altro gruppone. I carabinieri, comandati dal capitano Pieroni, che ha sostituito da qualche mese Mazzanti sulla piazza di Susa, hanno atteso inutilmente i rinforzi. Il gran dispiegamento di polizia per la partita Juventus Real Madrid ha evidentemente reso più difficili gli spostamenti di truppe.
Così il cambio turno al cantiere fortino è saltato. Un granello di sabbia nell’ingranaggio della macchina dell’occupazione militare.
Continuano in valle e a Torino le assemblee popolari: dopo quelle di Susa e S. Ambrogio ce ne sarà una a Torino e una ad Almese.

Il prossimo, importante, appuntamento è il corteo No Tav del 16 novembre a Susa.

Possono bruciare i presidi, ma non possono bruciare i nostri cuori. Queste parole erano scritte sullo striscione che apriva la fiaccolata, svoltasi dopo l’incendio del presidio di Vaie.

Lo striscione era retto tenuto dai bambini e dai ragazzi di Vaie. La lotta va avanti.

Vi aspettiamo numerosi a Susa sabato 16 novembre.

Appuntamento davanti alle 13 alla Stazione per un corteo che attraverserà i luoghi della lotta e dell’occupazione militare.

VAL SUSA: aggiornamenti su mobilitazioni e repressione

tutti i seguenti report (dal più recente in giù) sono presi da

anarresinfo.noblogs.org

 

No Tav. Altre denunce e obblighi di dimora

Martedì 31 luglio. Con puntualità e precisione sono stati recapitati 12 avvisi di garanzia con tanto di misure restrittive della libertà a 12 No Tav. Questa mattina all’alba la digos ha prelevato dal campeggio Max / Obelix e gli ha notificato l’obbligo di dimora a Torino, stessa sorte toccata a Giorgio cui, oltre al domicilio coatto a Bussoleno, è stato imposto il coprifuoco notturno. Ad altri cinque No Tav è stato notificato il divieto di ingresso a Chiomonte. Il pubblico ministero aveva chiesto che fossero arrestati, ma il Gip ha preferito misure restrittive più lievi.
Tutti e 12 sono accusati di resistenza, lesioni e violenza a pubblico ufficiale per la giornata di lotta alle reti dell’8 dicembre scorso. Una giornata durissima per i No Tav che scelsero di andare in Clarea.
Gli uomini in divisa ebbero ordine di colpire e fare male: ci furono numerosissimi feriti di cui tre molto gravi. Un No Tav padovano ci ha rimesso un occhio, uno di Venaus ha perso l’udito da un orecchio, dopo essere stato a lungo in prognosi riservata.
Oggi sono arrivati i nuovi pacchi dono della Procura. Non sono i primi, non saranno certo gli ultimi, poiché le veline dei giornali da tempo annunciano nuovi provvedimenti per le occupazioni dell’autostrada di quello stesso 8 dicembre e dello scorso fine febbraio.
La Procura torinese continua nel suo lavoro di cane da guardia del partito trasversale degli affari. Abbaiano e azzannano ma il movimento non si tira indietro. Anzi. La marcia di sabato scorso è stata la miglior risposta a chi pensa che denunce, restrizioni, fogli di via, botte possano spaventare i No Tav.
Sempre più gente sta imparando cosa sia la democrazia reale. Sempre più gente pratica la politica del basso, in autonomia dall’istituito, nella consapevolezza che la libertà non si mendica ma si conquista. Pezzo per pezzo.

 

No Tav. Isolati i violenti. In divisa

Prefetto e questore le avevano provate tutte pur di tenere a casa i No Tav. Zona rossa per tutta l’area del cantiere: divieto di passaggio su tutte le strade di accesso all’area del campeggio a Chiomonte e alla zona del campo sportivo a Giaglione. Vietati anche i sentieri e i boschi.
Vietata ovviamente anche la marcia.
Chi ci andava rischiava una denuncia.
Per un’intera settimana ci sono stati posti di blocco in ogni paese, fermi, espulsioni, un clima pesante per mettere paura, per cercare – ancora una volta – di spezzare il movimento in buoni e cattivi, in chi manifesta in modo pacifico e chi attacca le reti, rompe di muri, affronta lacrimogeni e manganelli.
Nonostante tutto l’apparato militare e la propaganda terrorista dei media migliaia di persone hanno partecipato alla marcia da Giaglione a Chiomonte di sabato 28.
C’erano i giovani, gli anziani, i bambini, c’erano quelli del posto e i solidali accampati a Gravela.
Molti sono stati costretti a lasciare l’auto sulla statale perché i carabinieri bloccavano gli accessi a Giaglione, l’area del campeggio è stata inaccessibile in auto per l’intera giornata.
Come se non bastasse i jersey bloccavano la strada delle Gorge prima del cantiere e la polizia impediva il passaggio dal ponte sul Clarea prima della Borgata limitrofa alla zona occupata.
Nessuno si è perso d’animo: il lungo serpente umano si è inerpicato in alto guadando il fiume a monte. I più agili aiutavano quelli meno capaci: anche i bambini piccoli sono passati tra salti d’acqua e rocce. Il cantiere si scorgeva dall’alto: un deserto di polvere e filo spinato pieno di uomini in armi contro tanta gente che marciava su per i boschi in barba a tutti i divieti.
Lentamente la gente è arrivata al campeggio, lo stesso campeggio da dove era partita la marcia notturna della settimana prima, perché – ancora una volta – siamo tutti black bloc.
Il giorno dopo il quotidiano La Stampa ha titolato. “Isolati i violenti in Val Susa”.
Sì, certo. Quelli in divisa.

Guarda le foto di Luca Perino

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Prossimi appuntamenti:
Martedì 31 luglio ore 21
coordinamento comitati no tav / assemblea al campeggio di Chiomonte

Mercoledì 1 agosto ore 18
Appuntamento al campeggio per azioni di lotta contro le truppe di occupazione, le ditte che lucrano e i partiti che vogliono il tav

 

Il grembiule a quadretti

C’è chi pensa che la lotta No Tav attraverserà le prossime generazioni. Il No Tav ha già segnato le vite di tante persone. Oggi in piazza ci sono ragazzi che ieri erano bambini, tante volte ci è capitato di accompagnare nell’ultimo viaggio uno di noi.
Finora le botte, gli arresti, la violenza non sono bastate a piegarci. Anzi! Ogni volta che hanno colpito duro la nostra rivolta è dilagata ovunque mettendoli in difficoltà.
Ma.
Le lotte e i movimenti durano quando segnano punti all’avversario. Le sconfitte alla lunga logorano. La rassegnazione è una malattia insidiosa e mortale, è la malattia che attraversa da lunghi anni il nostro paese, la malattia di chi ha perso la speranza che questo non sia il solo mondo possibile.
È su questo che puntano i nostri avversari. Auspicano che un anno di occupazione militare riesca a fiaccare la nostra resistenza. Non sgomberano subito il campeggio, perché sanno che sapremmo reagire, ma provano a soffocarci con continui controlli, con i fogli di via, con l’esistenza stessa del cantiere militarizzato.
Non siamo più nel 2005. Allora si andò di slancio e il governo venne preso alla sprovvista: c’era in noi tutta la forza della prima volta, l’insurrezione si fece con la spontaneità con cui si impastano i sogni dei bambini. Prima che arrivi il buon senso, la disciplina che incarcera i corpi ed ingabbia le menti, prima del grembiule a quadretti, della campanella, del banco, del tempo rubato che dalla scuola porta alla servitù del lavoro.
In questi sette anni siamo stati in gamba. I giochi della politica, gli amministratori voltagabbana, la sottile illusione che il gioco delle istituzioni si potesse giocare con altre carte, tra liste civiche e “democrazia partecipativa” non ci hanno fatto smarrire la via.
Quando le armi della politica hanno ceduto il passo alla politica delle armi abbiamo saputo ancora una volta metterci di mezzo, nella chiara consapevolezza che solo la nostra azione diretta poteva impedire che l’arroganza e la violenza dispiegata dello Stato cantassero indisturbate la loro canzone.
Sapevamo che quando il potere non riesce a sedurre, quando il grande fratello non riesce a farsi amare, allora colpisce ed uccide.
Oggi ci serve forza ed intelligenza. I nostri avversari sono cattivi ma non sono stupidi, sanno usare l’inganno e la violenza, i giudici e i poliziotti, i giornalisti e l’illusione partecipativa.
Oggi la partita non è (più) solo sul Tav. In ballo c’è il disciplinamento di un movimento che ha saputo rimettere al centro la questione sociale, che ha saputo riprendersi la facoltà di decidere e di pensare un altro futuro, perché sa vivere un altro presente.
Questa volta, lo sappiamo bene, lo Stato intende andare sino in fondo per spezzare un movimento divenuto simbolo di rivolta un po’ ovunque.
Dobbiamo tenerne conto. Soprattutto dobbiamo decidere il senso di una lotta il cui esito resta comunque incerto. Abbiamo l’ambizione di vincere, perché abbiamo imparato che vincere fa bene. Conta anche vincere bene, senza deleghe a qualche cacciatore di poltrone, senza rinunciare mai alla propria dimensione di movimento popolare, senza affidarsi ai giochi della politica internazionale.
In quest’anno e più di lotta durissima abbiamo imparato tanto, ma non sempre l’abbiamo saputo mettere a frutto.
Lontani dal loro fortino/cantiere, lontani dalle recinzioni e dal filo spinato, siamo riusciti a metterli in difficoltà, rendendo visibile la violenza dispiegata dello Stato. Una violenza legale, che sempre meno persone considerano legittima.
Hanno scelto con cura il posto dove fare il tunnel geognostico. Un’area poco abitata, lontano dalle case e dagli occhi dei più, un posto perfetto per un’occupazione militare. Sperano che il movimento si estenui nell’assedio del cantiere militarizzato.
Gli ingranaggi dell’occupazione militare e della macchina che lucra e propaganda il Tav sono dappertutto. Anche noi possiamo essere dappertutto.
Sinora però siamo stati quasi timidi. Siamo usciti dal catino solo per reagire alla loro violenza, non abbiamo saputo costruire una solida rete che metta in difficoltà tutti gli snodi dell’occupazione militare.
Quando le nostre barricate attraverseranno tutti i paesi, quando le truppe saranno obbligate a valicare dal Sestriere, perché questa valle gli si chiuderà ancora una volta davanti allora – come nel dicembre del 2005 e nel febbraio del 2010 – li vedremo fare marcia indietro.
Ridurre la nostra resistenza alla ripetizione rituale della pressione sul cantiere, sperando che il tempo sia dalla nostra, è il primo sintomo della rassegnazione. Si va perché si deve, si va perché non si vuole fare la fine di altri movimenti, ridotti ad un ruolo meramente testimoniale, si va perché quelle reti, quelle ruspe, quegli uomini in armi sono intollerabili. Si va perché è giusto andarci.
Ma.
Non basta e non può esaurire la nostra lotta. Sarebbe miope non vederlo.
Il fortino non è una via crucis da percorrere per celebrare il rito collettivo del taglio di qualche metro di filo spinato.
Il taglio delle reti è indubbiamente il segnale forte della volontà di rifiutare le regole di un gioco truccato. Ma se resta un esercizio, diviene inutile. Tanto inutile che tanti che lo praticavano oggi restano a casa. I militari fanno scavare le buche e poi le fanno riempire, perché i soldati non devono pensare ma ubbidire. Noi non siamo soldati, siamo gente che decide di testa propria senza farsi comandare da nessuno.
La Val Susa è un laboratorio vivo dove radicalità dell’agire e radicamento sociale si coniugano in una sintesi felice, mai data per sempre, ma costantemente rinnovantesi, nella sfida ai poteri forti.
Una sfida che può e deve tornare a coinvolgere tutti, che può e deve puntare al blocco della valle, allo sciopero generale, alla rivolta che li obblighi a mollare senza rimettere in moto i tavoli di mediazione, i giochi della politica come accadde nel dicembre del 2005, quando la vittoria ci sfuggì di mano per aver esitato a mantenere ferma la resistenza.
In questi lunghi mesi tanta gente di ogni dove è scesa in piazza al nostro fianco, perché le nostre ragioni sono quelle di tanti. Il governo ha fatto una macelleria sociale senza precedenti. Si sono presi quello che restava di libertà e tutele, si sono presi la nostra salute, l’accesso ai saperi, alle risorse indispensabili alla vita. Nonostante piovano pietre prevale la paura, l’io speriamo che me la cavo, la ricerca meschina di una salvezza individuale. Ma i sommersi sono ben più dei salvati. La lotta dei No Tav è stata l’unica scintilla che ha spezzato la paura che ha rotto la rassegnazione, che ha dato fiducia nella possibilità di invertire la rotta.
Questa scintilla, se riesce a mantenere forte la propria fiamma, se riesce a farsi pratica viva può accendere ovunque nuovi focolai di lotta.
Oggi occorre un nuovo patto di mutuo soccorso. Un patto vero che si costruisca spontaneamente tra chi lotta in ogni dove, non certo l’ennesima assise politica dell’ennesimo super movimento, l’ultima delle creature che uccidono in breve chi le ha partorite.
Presto ci saranno le elezioni, presto i giochi della politica istituzionale in chiave partecipativa reclameranno le loro vittime. È tempo di costruire una prospettiva diversa. È tempo che la capacità di fare politica senza deleghe sperimentata in questi anni tra una barricata e un pranzo condiviso, esca fuori dalla gabbia istituzionale.
Costruire assemblee popolari che in ogni contrada avochino a se la facoltà decisione, svuotando e delegittimando chi gioca il gioco del potere, è una prospettiva possibile un po’ ovunque. Tante Libere Repubbliche, tante Comuni contro il Comune, tanti spazi di libertà che allarghino il fronte, che mettano in gioco intelligenze e cuori, che ridisegnino la mappa del territorio in cui viviamo.
Solo se sapremo scandire con intelligenza e passione un tempo altro potremo mettere – ancora una volta – in difficoltà un avversario che non fa sconti a nessuno. Occorre estendere il conflitto, aprire sempre nuovi ambiti di autogestione, per spezzare l’accerchiamento e creare le condizioni per mandarli via. E non solo dalle reti di Clarea. Non c’è pace per chi viene a farci guerra.
Non siamo più bambini. Non permetteremo a nessuno di metterci il grembiule a quadretti per rubarci i sogni. (questo testo verrà distribuito alla marcia dal Giaglione a Chiomonte di sabato 28 luglio)

 

Val Susa. Sequestri e rastrellamenti

La “nuova” strategia contro i No Tav è chiara. Strangolare il movimento in una morsa militare, estendendo l’occupazione a strade e paesi. Ieri, mentre a Torino si riuniva il comitato per l’ordine e la sicurezza, sei blindati carichi di poliziotti e carabinieri dell’antisommossa e alcune auto piene di digos che salivano in alta valle sui curvoni del Belvedere, sopra Susa, hanno invertito la marcia, si sono messi di traverso per fermare una decina di auto che procedeva nella direzione opposta.
La statale 24 che porta al valico del Monginevro è stata bloccata a lungo. È passata una buona mezz’ora prima che polizia permettesse la circolazione a senso unico alternato delle auto. Chi passava guardava esterrefatto la scena da tempi di guerra. Una sessantina di persone sequestrate per due ore e mezza con il pretesto di un controllo di documenti. Tutti fotografati in mezzo alla strada.
Una decina di energumeni intorno all’auto di due donne che avevano osato protestare.
Ieri era mercoledì. Il giorno – pubblicizzato su tutti i siti e le liste – per le azioni di contestazione No TAV verso le truppe di occupazione, le ditte collaborazioniste, i partiti che vogliono imporre con la violenza il Tav.
Per bloccare l’iniziativa sono arrivati al sequestro preventivo dei manifestanti.
Un assaggio di quello che ci aspetta nei prossimi mesi.
Alla riunione del comitato per l’ordine e la sicurezza hanno partecipato il sindaco di Torino Fassino, il presidente della Provincia Saitta, il questore, i comandanti di carabinieri e guardia di finanza, oltre al capo della Procura Caselli e al suo vice Beconi. Questi due in veste di “esperti”. Alla faccia della separazione dei poteri e della neutralità della magistratura. L’incontro si è concluso senza alcun comunicato ufficiale, ma la linea decisa è chiara. Nessuno sgombero del campeggio No Tav, se non si ripeteranno le “violenze” della notte del 21 luglio durante l’assedio alle cantiere militarizzato di Clarea. In quell’occasione il capo della digos, Giuseppe Petronzi, venne lievemente ferito.
Nonostante i toni arroganti alla fine è prevalsa la cautela, poiché le forze del disordine sanno bene che lo sgombero del campeggio Gravela di Chiomonte potrebbe allargare il fronte a tutta la valle, rendendo molto più difficile tenere sotto controllo la protesta.
Invece di un’immediata azione di forza hanno deciso di costellare i paesi e le strade della Val Susa di check point.
Potrebbe essere un boomerang, perché la violenza dello Stato, invisibile in Clarea, diviene palpabile per le strade della valle. Ieri hanno sequestrato per ore 60 persone. Tutte colpevoli. Colpevoli di essere No Tav e di non rassegnarsi alla violenza di ha trasformato la Clarea in un campo militare.

VAL DI SUSA: ripreso il presidio di Chiomonte

Ripreso il presidio di Chiomonte

 

Siamo tanti, tanti che la piazzetta di Chiomonte non ci contiene. Alcuni di noi vengono dal presidio di Torino, dove circa 300 persone hanno dato vita ad un corteo per il centro.
I carabinieri che bloccavano via Roma, la strada che scende in località Gravela, dove c’è la casetta del presidio sequestrata e sigillata nelle prime ore del mattino dalle forze del disordine, se ne vanno.
Il serpentone dei No Tav scende veloce verso il presidio. Sul ponte sulla Dora c’è un discreto schieramento di polizia con tanto di idrante che non manca di innaffiare le prime file dei manifestanti. In montagna le strade sono tante e i No Tav le conoscono tutte. Il presidio viene raggiunto aggirando i militari schierati all’ingresso dell’area.
Poi si tratta di lavorare di lena per liberare la nostra casa comune, una delle tante che il movimento ha costruito in Valle a presidio del territorio, per coordinare la resistenza e per condividere momenti di festa e di gioco.
Le truppe si ritirano dietro i cancelli del check point della centrale. Al presidio si fa assemblea.
LTF oggi ha annunciato in pompa magna di aver cominciato lo scavo. Lunedì Monti potrà raccontare a Hollande che il primo cantiere per la Torino Lyon mai aperto in territorio italiano ha cominciato i lavori.
Ci sono voluti vent’anni. Da quando hanno deciso di usare la forza hanno impiegato un anno e mezzo. In quest’anno e mezzo i No Tav gli hanno fatto sudare ogni momento, contrastando attivamente l’avvio del cantiere. Il ministero dell’Interno ha impiegato migliaia di uomini in quest’angolino di montagna, spendendo centinaia di migliaia di euro, la zona è stata dichiarata di interesse strategico militare e vi prestano servizio i reduci dalla guerra in Afganistan.
In questi mesi ci hanno gasati e bagnati, hanno spaccato teste e braccia, hanno arrestato e processato tanti di noi. Su di noi hanno raccontato infinite menzogne, sono arrivati all’infamia di dire che siamo cattivi genitori, segnalando le famiglie No Tav ai servizi sociali.
Noi abbiamo la testa dura e le gambe ben salde in terra. Non ci siamo mai fatti spaventare, nemmeno quando la paura ci faceva battere forte il cuore.
Monti tutto questo a Hollande non potrà spiegarlo.
Lunedì 3 dicembre a Lyon ci saremo anche noi.
Appuntamento alle12 in place Brotteaux

Venerdì 30 novembre
Assemblea contro la repressione
interverranno gli avvocati Eugenio Losco e Mauro Straini di Milano e alcuni imputati nei processi No Tav e antirazzisti
ore21 in corso Palermo 46

VALSUSA/ Iniziata la costruzione del “muro della vergogna”

murovalsusino

 

VENERDI’ 16 DICEMBRE ORE 20.30 GIAGLIONE CAMPO SPORTIVO FIACCOLATA NO TAV

 

 

15 dicembre

il muro rappresenta la loro sconfitta

 

14 dicembre 2011

Le reti non bastano più, inizia l’operazione “muro”

Submitted by on 14 dicembre 2011 – 13:37 No Comment

Giunge ora la notizia, da chi è presente in baita, che stanno cominciando  a costruire il famoso muro di cui si parlava al posto delle recinzioni.
Stanno piantando nel terreno delle grosse putrelle ad H in cui infilano pannelli di cemento prefabbricati.
Hanno cominciato proprio nella zona dove si sono concentrati i maggiori “tagli” l’8 e il 10 ovvero di fronte al nostro terreno dove è posizionata la baracca di lamiera.