Marzo 17th, 2017 — General, Mare
Dal Piccolo del 12/07/13
Gas Natural gioca la carta del Tar: «Rigassificatore, no allo stop»
di Matteo Unterweger Gas Natural Rigassificazione Italia contro tutti. Contro tre ministeri: dell’Ambiente, per i Beni culturali, dello Sviluppo economico. Contro l’Autorità portuale di Trieste, la Regione Friuli Venezia Giulia, la Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale Via e Vas, il Comune di Trieste e pure contro Ezit e Siot. La società che, per conto della gruppo Gas Natural Fenosa, vuole realizzare il rigassificatore di Zaule, ha infatti aperto una battaglia giudiziaria al Tar del Lazio, presentando un ricorso per l’annullamento del decreto ministeriale del 18 aprile scorso con cui è stata sospesa l’efficacia del decreto di compatibilità ambientale del luglio 2009 relativo al progetto del rigassificatore di Zaule e alle opere connesse. Gas Natural, in pratica, ritiene illegittimo l’atto del ministero dell’Ambiente, firmato dall’allora ministro Corrado Clini e controfirmato dal collega dell’epoca ai Beni culturali Lorenzo Ornaghi (si era nella fase finale del mandato del governo Monti), con il quale sono stati dati sei mesi di tempo a Gas Natural per individuare per l’impianto una localizzazione alternativa compatibile con il Piano regolatore portuale o all’Autorità portuale per modificare il proprio Piano regolatore in modo da renderlo compatibile con il progetto del terminale. Il tutto posto che, sulla base dello studio con dati e scenari futuri presentato dalla stessa Authority, lo sviluppo del traffico marittimo del porto triestino e la presenza del terminale di rigassificazione non sono compatibili. Il decreto del 18 aprile scorso aveva di conseguenza indotto poi il ministero dello Sviluppo economico, retto in quel momento ancora da Corrado Passera, sostenitore del progetto, a sospendere il processo autorizzativo per la costruzione dell’impianto. Il 17 luglio, mercoledì prossimo, è in calendario l’udienza cautelare al Tar del Lazio: i giudici si pronunceranno sulla richiesta di sospensione del provvedimento avanzata da Gas Natural. Nel merito, si esprimeranno successivamente. Il ricorrente – attraverso gli avvocati Antonio Lirosi, Giuseppe Velluto e Stefano Cunico – ha chiamato in causa non solo i due ministeri che hanno siglato il decreto (Ambiente e Beni culturali). Ma anche tutte le realtà che, nell’arco degli anni, sono state in qualche misura coinvolte con atti e pronunce proprie nel procedimento autorizzativo collegato. L’udienza è fissata proprio a una settimana dal 24 luglio, giornata in cui la Commissione europea si pronuncerà in via definitiva sull’inserimento o meno anche del rigassificatore di Zaule fra le opere energetiche prioritarie comunitarie. In pochi giorni, dunque, due appuntamenti chiave. Con Gas Natural che non molla nonostante a più riprese il territorio abbia espresso, tramite enti locali, associazioni e gruppi di cittadini, la propria ferrea contrarietà al progetto. E proprio all’inizio di questa settimana anche la governatrice del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani ha ufficializzato il «parere contrario» della Regione alla realizzazione dell’impianto attraverso una lettera inviata ai ministri Orlando (Ambiente), Lupi (Infrastrutture) e Zanonato (Sviluppo economico), e per conoscenza al premier Letta, oltre che alla Commissione europea (al presidente Barroso e ai commissari Tajani, Poto›nik e Oettinger).
13/07/13
Caso rigassificatore al Tar: la Regione sfida Gas Natural
di Pier Paolo Garofalo «La Regione si costituirà in giudizio davanti al Tar contro il ricorso di Gas Natural Rigassificazione Italia, anche per dare un segnale d’immutata contrarietà al progetto di rigassificatore così come è presentato allo stato attuale». All’indomani della mossa giudiziaria del colosso dell’energia, che chiede l’annullamento del decreto ministeriale del 18 aprile scorso con cui è stata sospesa l’efficacia del decreto di compatibilità ambientale del luglio 2009 per il progetto del rigassificatore di Zaule e opere connesse, arrivano le reazioni. Quella della Regione è stata espressa, appunto, dall’assessore all’Ambiente Sara Vito. «Ne abbiamo discusso in giunta – precisa – e ci siamo trovati concordi: in quanto soggetto chiamato in giudizio, la Regione si costituirà. È un modo anche per offrire all’esterno un segnale di opposizione al progetto per Zaule. Per ora è solo una questione di iter procedurale, poi si vedrà». Sulla stessa linea anche il Comune di Trieste, come spiega il sindaco Roberto Cosolini. «Gas Natural – attacca il primo cittadino – aveva e ha il diritto di procedere a tale mossa e ha deciso di avvalersene. Vedremo come andrà a finire. Da parte mia posso solo ribadire il “no” al progetto, peraltro già espresso più volte in passato». Nello specifico, la società che per conto della gruppo Gas Natural Fenosa vuole realizzare il rigassificatore di Zaule ha aperto una battaglia giudiziaria al Tar del Lazio poiché ritiene illegittimo l’atto del Ministero dell’ambiente, firmato dall’allora ministro Corrado Clini e controfirmato dal collega dell’epoca ai Beni culturali Lorenzo Ornaghi (fase finale del governo Monti), con il quale sono stati dati sei mesi di tempo a Gas Natural per individuare una localizzazione alternativa per l’impianto, compatibile con il Piano regolatore portuale, o all’Autorità portuale per modificare il proprio Piano regolatore in modo da renderlo compatibile con il progetto del terminale. Gas Natural, dunque, si è messa contro ben tre ministeri (Ambiente, Beni culturali e Sviluppo economico) l’Autorità portuale, la Regione Friuli Venezia Giulia, la Commissione tecnica di verifica dell’impatto ambientale Via e Vas, il Comune e pure l’Ezit e la Siot. In base a studi dell’Authority, lo sviluppo del traffico marittimo a Trieste e la presenza del rigassificatore non sono compatibili. Il decreto del 18 aprile scorso aveva quindi indotto poi lo Sviluppo economico a sospendere l’iter autorizzativo per la costruzione del terminal. Mercoledì prossimo l’udienza cautelare al Tar laziale. «Non è strano che Gas Natural tenti la strada del ricorso al Tar, anche se non ci sono i presupposti per ribaltare i provvedimenti ministeriali e regionali impugnati – così la governatrice del Fvg Debora Serracchiani -. Coerentemente, abbiamo deliberato di costituirci in giudizio per sostenere la loro legittimità anche in sede di sospensiva».
Marzo 17th, 2017 — General, No OGM
Dal Piccolo del 13/07/13
Mais ogm vietato in Italia
ROMA Il ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo ha firmato, con i ministri della Salute Beatrice Lorenzin, e dell’Ambiente Andrea Orlando, il decreto interministeriale che vieta in modo esclusivo la coltivazione di mais geneticamente modificato Mon810 sul territorio italiano. «Con il decreto vietiamo la sola coltivazione del mais Mon810 in Italia, colmando un vuoto normativo dovuto alle recenti sentenze della Corte di Giustizia europea. È un provvedimento che tutela la nostra specificità, che salvaguardia l’Italia dall’omologazione». Questo il commento del ministro delle Politiche Agricole alimentari e forestali Nunzia De Girolamo. Il divieto è in vigore per un periodo di massimo 18 mesi. Il provvedimento sarà immediatamente notificato alla Commissione europea e agli altri 27 Stati membri dell’Unione europea. Il divieto di coltivazione del mais Mon810 è motivato «dalla preoccupazione sollevata da uno studio del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura, consolidata da un recentissimo approfondimento tecnico scientifico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che ne evidenzia l’impatto negativo sulla biodiversità, non escludendo rischi su organismi acquatici». «La nostra agricoltura – prosegue De Girolamo – si basa sulla biodiversità, sulla qualità e su queste dobbiamo continuare a puntare». Il provvedimento giunge a conclusione della procedura di emergenza attivata dal governo nell’aprile 2013, ed è giuridicamente sostenuto anche dal precedente provvedimento di divieto di coltivazione di ogm, adottato dal governo francese. Reazioni positive dalle associazioni ambientaliste ma soprattutto dagli agricoltori (Coldiretti e Cia) che vedono i primi risultati concreti dopo le loro battaglie con gli ogm.
12/07/13
Si riaccende la “guerra” degli Ogm
TRIESTE Giorgio Fidenato, l’agricolture “ribelle” di Vivaro noto per le sue battaglie pro Ogm, torna a far parlare di sè. Lo fa sferrando un attacco ad alzo zero contro la neo governatrice: «La presidente della Regione Debora Serracchiani, ex deputato europeo, si riempie la bocca di europeismo, ma alla prima occasione dà dimostrazione del contrario». Uno sfogo registrato a margine di un evento organizzato ieri proprio a Vivaro da Futuragra per promuovere l’utilizzo del mais geneticanente modificato. «È una vergogna – ha proseguito Fidenato, presidente di Agricoltori Federati – che quando la Ue ha dato parere favorevole alla coltivazione di mais transgenico, la presidente abbia fatto di tutto per metterci i bastoni tra le ruote». «Siamo all’oscurantismo del Medioevo – ha rincarato la dose Duilio Campagnolo, presidente di Futuragra -, poichè Regione e governo italiano non rispettano la normativa e le sentenze dell’Unione Europea e non permettono alla ricerca italiana di restare al passo con quella internazionale». «Siamo in una situazione paradossale – ha aggiunto Campagnolo – nella quale siamo costretti a importare Ogm in quanto non siamo autonomi nel quantitativo necessario di mais da utilizzare in zootecnia, ma non abbiamo l’autorizzazione a utilizzare gli stessi semi disponibili all’estero e che generano un prodotto che, una volta giunto nel nostro Paese, è perfettamente legale». Alla giornata di informazione e sensibilizzazione sull’utilizzo degli Ogm promossa a Vivaro hanno partecipato anche alcuni docenti di Università italiane, che hanno denunciato la mancanza assoluta di ricerca, non solo per gli Ogm, ma per l’agricoltura in generale. L’avvocato Francesco Longo, esperto e docente di diritto ambientale, ha infine spiegato perchè le norme dell’Ue sulla possibilità di utilizzo degli Ogm debbano essere rispettate dagli Stati membri: diversamente, si creerebbe una concorrenza sleale tra le diverse nazioni, favorendone alcune rispetto ad altre. «Si tratta di semi – ha spiegato – che sono stati sottoposti a severi controlli da parte di soggetti istituzionali pubblici».
Dal Messaggero Veneto del 13/07/13
Stop del governo agli Ogm Fidenato: «Daremo battaglia»
di Elena Del Giudice PORDENONE Mais Ogm, divieto assoluto di coltivazione in Italia. Lo stop è legge con il decreto firmato ieri dal ministro delle Politiche agricole Nunzia De Girolamo con i ministri della Salute, Beatrice Lorenzin, e dell’Ambiente, Andrea Orlando e motivato dalla preoccupazione sollevata da uno studio del Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura e da un approfondimento tecnico scientifico dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, che ne evidenzia l’impatto negativo sulla biodiversità, non escludendo rischi su organismi acquatici. Il divieto resterà in vigore per 18 mesi e verrà immediatamente notificato alla Commissione europea e a tutti i Paesi della Ue. «Decreto strumentale che non avrà vita facile» dichiara Giorgio Fidenato, l’imprenditore di Vivaro che ha già seminato, pochi mesi fa, proprio il mais “incriminato” forte della sentenza della Corte di giustizia europea alla quale si era appellato dopo la distruzione di un primo raccolto avvenuta lo scorso anno. «Il decreto – spiega De Girolamo – colma un vuoto normativo dovuto alle recenti sentenze della Corte europea. È un provvedimento che tutela la nostra specificità e che salvaguardia l’Italia dall’omologazione». «Se vogliono renderci la vita difficile – è la posizione di Fidenato – sappiano che anche noi faremo altrettanto. Temo siano però anche poco informati circa le decisioni assunte dalla Ue e dalla Corte di giustizia. C’è già una sentenza riguardante la Francia la quale, invocando la clausola di salvaguardia aveva cercato di impedire la semina di mais Ogm, aveva adottato un provvedimento d’urgenza. Bene, la risposta della Corte è stata che i provvedimenti d’urgenza vanno assunti in presenza di un pericolo imminente, la qual cosa nel caso del Mon810 non c’è. La Corte – prosegue Fidenato – ha quindi affidato al proprio organo tecnico, l’Efsa, il compito di eseguire un’indagine sui rilievi francesi la cui risposta è prevista entro la fine di settembre. E di fronte a tutto ciò, cosa fa l’Italia? Vara un decreto per istituisce un divieto di semina per 18 mesi? Scusate se sorrido. Ce la vedremo nei tribunali italiani che ritengo saranno più attenti alle norme europee». E che accadrà al mais già in maturazione a Vivaro? «Non ne ho idea. Il provvedimento non può essere retroattivoma mi dicono – avanza l’imprenditore – che conterrebbe anche un ordine di distruzione del raccolto, nel qual caso ci opporremo». Alla luce del decreto, l’ex ministro Alfonso Pecoraro Scanio chiede ora il «sequestro dei campi coltivati a Ogm in Friuli Venezia Giulia» e che «siano vietate ulteriori semine illegali». La Coldiretti, da un lato plaude al provvedimento del Governo, ricordando che si tratta di una decisione che ha il sostegno di 8 italiani su 10, e dall’altro sollecita «l’intervento della Forestale – dichiara il presidente della Federazione del Fvg, Dario Ermacora – per la distruzione delle piante Ogm. La difesa della distintività italiana deve essere una priorità della politica perché da essa dipende l’esistenza stessa del made in Italy che è il nostro petrolio, il nostro futuro, la nostra leva per tornare a crescere nell’alimentare». «Finalmente ci si risveglia dal lungo letargo con la firma auspicata sul decreto – dichiarano le associazioni Aiab, Isde, Legambiente, Slowfood -, strumento, a lungo richiesto per fare chiarezza e porre fine al lungo e incompiuto iter chiamato a sbarrare la strada alla coltivazione di Ogm in Italia». «Meglio tardi che mai» è la chiosa di Greenpeace
12/07/13
Nasce il Comitato anti Ogm: vanno distrutti
Nasce il coordinamento a tutela della biodiversità in Friuli Venezia Giulia per fare «applicare la legge regionale e per la distruzione immediata di ogni coltura ogm presente illegalmente sul territorio friulano». Lo spunto era nato da due esponenti di Legambiente, Oscar Missero e Paolo Giacomello di Montereale Valcellina, e, dopo due incontri con movimenti, esponenti vicini al centro-sinistra che vi hanno aderito a titolo personale e mondo ambientalista, è stato fondato il coordinamento, una voce in più nel panorama no ogm. Accusa la giunta regionale di «agire in maniera pericolosamente contraddittoria», per volere modificare la legge regionale, inserendo clausole per la coesistenza tra ogm e free. Secondo il coordinamento, però, la sentenza della Corte di giustizia Ue riguarda solo i provvedimenti nazionali emanati dai precedenti governi, quindi la legge regionale «va mantenuta e va distrutta la coltura mais ogm seminata illegalmente a Vivaro». Anche il Movimento 5 Stelle scende in campo contro gli ogm in Friuli, dove si sono «appena seminati seimila metri di terreno con Mon810». Sul fronte opposto, Futuragra, contesta il tavolo verde convocato per oggi dal vicepresidente della Regione Sergio Bolzonello.
Marzo 17th, 2017 — General, Uncategorized
Una 50ina le persone presenti e molto interesse. Buona la raccolta fondi per le spese legali.




Marzo 17th, 2017 — General, Noi
Una 50ina di persone presenti e tanto interesse. Buona anche la raccolta fondi per le spese legali.




Marzo 17th, 2017 — General, Nocività
da Il Manifesto del 17 luglio 2013
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20130717/manip2pg/07/manip2pz/343239/
AMIANTO – PER GLI AVVOCATI DI FINCANTIERI IL PROCESSO VA SPOSTATO: I GIUDICI NON SONO SERENI
Nuovo rinvio per la fibra killer
Negli stabilimenti il colore della pelle e la nazionalità assegnano il posto di lavoro In alto gli italiani, a seguire gli altri. Gli ultimi sono bengalesi. Tutti a rischio di tumore
Monfalcone è sul mare ma il litorale se l’è mangiato il cantiere. Non ci arrivi a toccare le onde, ti tocca prendere l’auto e spostarti di qualche chilometro. Per vedere il mare devo salire sulla terrazza della sede dell’Anpi, che era un tempo il dopolavoro operaio dello stabilimento della Solvay. Ma anche da lì, gli occhi cadono prima su un supermercato e poi sulla ciminiera della centrale a carbone dell’Enel, infine sulle gru enormi della Fincantieri. Il mare è lontano, a Monfalcone, quanto la giustizia. Sembra a portata di mano, eppure c’è sempre qualche grande stabilimento a mettersi di mezzo.
Provo a avvicinarmi a piedi.
Cammino per il quartiere operaio di Panzano, a fianco del cantiere navale che ha visto morire per tumori correlati all’amianto così tanti operai. Tra i coibentatori, su 120 ne sono sopravvissuti solo quattro. Mi stupiscono i cocci di vetri rotti che sormontano il muro perimetrale. Mi chiedo se in passato quei cocci rotti siano bastati a impedire alle fibre killer di scavalcare il muro. Come il vetro tagliente, i mattoni dividono il cantiere dalle casette ordinate di chi ci lavora dentro: il rione Panzano è un esempio di villaggio operaio all’interno di una company town, la piccola città di un grande cantiere. Luca, la mia guida dell’Unione Sindacale Italiana, mi porta a visitare il monumento alle vittime dell’amianto, che sorge in una piazzetta nel cuore di Panzano. Riporta una frase emblematica di Massimo Carlotto: «Costruirono le stelle del mare/ li uccise la polvere/ li tradì il profitto». Carlotto e altri scrittori, artisti e intellettuali hanno sostenuto la lotta degli esposti e dei familiari delle vittime dell’amianto, ma rimane tanto da fare perché il nemico è ovunque: basta alzare gli occhi dal monumento e subito dietro vedo spuntare, irridente, una lastra di eternit. L’assassino è ancora sul luogo del delitto e va al funerale delle vittime. Sorrido amareggiato. Attraverso la strada, provo a visitare il museo della cantieristica monfalconese, ma a quell’ora è chiuso. Mi infilo allora in un bar di operai e condivido con alcuni compagni uno spritz, che da queste parti non è altro che un leggero vinello bianco allungato con l’acqua minerale fresca. Sfoglio i giornali locali mentre il gestore pela le patate col sigaro in bocca.
Un articolo riporta un commento, alla vigilia della sentenza Italcantieri, della signora Romana, la presidente dell’Afeva di Casale Monferrato. È anche lei parte di questa terra perché è nata a Salona d’Isonzo e si è trasferita a Casale solo perché con i nuovi confini, nel dopoguerra, lo stabilimento Eternit dove lavorava suo padre era rimasto in Jugoslavia. Non è un caso che in Slovenia, a Nova Gorica, ci sia un sindacato specifico che tutela gli esposti all’amianto. Sono tantissimi in quel paese.
Suona la sirena, è finito il turno. Esco immediatamente per vedere aprirsi i cancelli dello stabilimento. Per strada spuntano una miriade di operai in bicicletta e a piedi. Ci sono colori diversi, sia per la pelle che per le tute. I due elementi tra loro sono correlati: una miriade di subappalti con ditte private, ognuna con una sua tuta, e la presenza di una divisione del lavoro in termini di classe. Una scala che pone una classifica degli sfruttati dove la divisione non è solo di classe: sotto gli italiani, a fare i lavori più nocivi, ci sono gli istriani e in fondo a tutti i bengalesi.
La sera ci troviamo per parlare d’amianto e fare il punto della situazione con Chiara Paternoster dell’Associazione Esposti. Ci diamo appuntamento alle 8 del mattino di martedì 25 giugno. Arriviamo a Gorizia da Monfalcone in pulman. Purtroppo siamo in pochi e le poltroncine sono in gran parte vuote. Altre persone sono comunque già arrivate con i loro mezzi. Ci ritroviamo nella parte del tribunale che ospita il pubblico. Cinquanta persone, in gran parte anziani, molte vedove, qualche nipote che forse non ha mai conosciuto il nonno. Con qualche minuto di ritardo l’udienza si apre. Il giudice fa l’appello, gli imputati, perlopiù dirigenti della vecchia Italcantieri, che gestiva i cantieri navali prima della Fincantieri, sono tutti liberi e contumaci. L’avvocato di uno dei vertici dell’azienda prende subito parola mettendo le mani avanti. Comprende il dolore dei familiari ma… Attendo il colpo e non ci mette troppo ad arrivare. Le associazioni con i volantini, gli articoli, e i sit-in avrebbero creato un clima poco sereno che non metterebbe i giudici in grado di giudicare con tranquillità. Un clima che preoccupa e che può creare problemi di ordine pubblico, sostiene. Nel pubblico ci guardiamo allibiti. Io fisso quelle vedove, quei vecchi ammalati, quei nipotini tenuti in collo. Sono loro il problema d’ordine pubblico? L’avvocato va avanti. Chiede pertanto una remissione del processo. Una sorta di eccezione procedurale. Vale a dire spostare tutto armi e bagagli da un’altra parte, per ripartire da zero, per annullare la domanda di verità e giustizia di queste vedove e di questi bambini. A me sembra assurdo, mi vengono in mente quelle situazioni infantili, quando giocavamo a pallone: tu segnavi un gol ma te lo annullavano perché il pallone era sgonfio. Penso che i padroni sono come i bambini prepotenti: fanno le regole durante il gioco e le cambiano quando stanno per perdere.
I giudici si ritirano in aula di consiglio e non escono più. Passano due ore. Tanto, troppo tempo. Sono preoccupato. Telefono a mia madre, che vuole essere aggiornata: è stupita che nel telegiornale stavolta non abbiano detto nulla, al contrario del processo Eternit. Ma stavolta non si processano dei cattivi magnati stranieri, stavolta i padroni sono italiani, e sarà tutto più difficile, lei dico. Poi le racconto quel che è successo, le parole dell’avvocato sulla presunta lesione della serenità dei giudici. Lei mi stupisce con una riflessione perfetta nella sua semplicità: «i giudici non sarebbero sereni? Chissà quanto sono sereni i familiari degli operai!» Ha ragione la casalinga più del togato, anche stavolta. Che dovevamo fare? «Scusate se vi turbiamo col nostro malessere. Anche noi non siamo sereni». Andrebbe scritto in uno striscione e appeso in ogni balcone tra Monfalcone e Gorizia. Scusiate se siamo venuti al tribunale, ma non siamo riusciti ad andare al mare, perché a Monfalcone il mare è lontano.
Intanto andiamo a prenderci un caffè, parlo con un operaio dei cantieri navali in cassa integrazione. La legge Fornero l’ha fregato. Avrebbe dovuto già essere in pensione ma adesso servono più anni di contributi. Ha chiesto il prepensionamento anticipato per il lavoro a contatto con l’amianto ma per ora le cose non si sono messe bene. Scambio due parole con un altro attivista. Lui non è un operaio, ma il figlio di un operaio dei cantieri navali. E i cantieri gli hanno portato via il fratello, morto in un incidente. Altri operai mi raccontano che ai saldatori e ai coibentatori che lavoravano a contatto con la fibra assassina, l’impresa regalava mezzo litro di latte, «per digerire l’amianto». Il latte serviva solo per andare più spesso al cesso, all’amianto gli faceva un baffo.
Torniamo in tribunale appena in tempo. Rientra il giudice, annuncia l’aggiornamento dell’udienza al prossimo 23 luglio. Niente sentenza, per ora. Si attende anzi che la cassazione si pronunci per capire se il processo sarà spostato e quindi, di fatto, annullato. Ce ne andiamo con un senso di frustrazione: a Monfalcone il mare è lontano e la giustizia ha messo sul piatto della bilancia mezzo litro di latte. Non so se basterà a digerire questa giornata ingiusta.
da Il Piccolo del 15 luglio 2013
Pagina 1 – Gorizia-Monfalcone
Caso amianto Il processo rischia lo stop
La Cassazione non ha ancora deciso sull’annullamento per legittimo sospetto. Tutto potrebbe slittare all’autunno.
Pagina 15 – Gorizia-Monfalcone
Il processo amianto rischia un altro stop
La Cassazione non ha ancora deciso sull’annullamento per legittimo sospetto. Tutto potrebbe slittare all’autunno
Rischia di slittare ancora il processo per amianto che vede imputati di omicidio colposo 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti, per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. A 9 giorni dalla nuova udienza fissata dal giudice Matteo Trotta, non s’è ancora pronunciata la Cassazione in merito alla “legittima suspicione” sollevata il 24 giugno dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, che ha richiesto la rimessione del processo. È un passaggio decisivo, poichè la Suprema Corte dovrà stabilire se il procedimento potrà continuare, e quindi approdare a sentenza, oppure, invece, verrà annullato, dovendo ripartire da zero con il trasferimento in altra sede, fuori dalla regione, e con altro giudice. Secondo l’avvocato Cassiani, il Tribunale di Gorizia non sarebbe nelle condizioni di pronunciare la sentenza in modo sereno ed equilibrato. L’attesa si carica di interrogativi. Ad oggi non risulta sia ancora giunta la notifica da parte della Cassazione in merito all’udienza che dovrà sancire il trasferimento o meno del processo. Gli atti dovranno poi venire ritrasmessi al Tribunale goriziano. Entro il 24 luglio. Ci si chiede se bastino 9 giorni per sapere come andrà a finire. Il rischio è quello di veder slittare tutto dopo la pausa estiva, con un rinvio a settembre dell’udienza in Cassazione. L’eventuale sentenza finale del processo potrebbe quindi sortire solo in autunno. Semprechè il procedimento goriziano venga “salvato” da quel legittimo sospetto consentito dalla legge agli imputati per la ricusazione dei giudici. E semprechè Trotta, peraltro, non venga prima trasferito, come ha ricordato nell’ultima udienza. Ce n’è abbastanza per non dare nulla per scontato. Intanto incombe lo spettro del rifacimento del processo. Novantun udienze cancellate, più di 500 testimonianze inutilizzabili e il rischio-prescrizione. Un prezzo alto da pagare, a carico del cittadino. Ma soprattutto un prezzo morale e affettivo difficile da sostenere da parte dei famigliari delle vittime dell’amianto, per i quali la richiesta di giustizia sembra scontare le logiche di un sistema lontano dal diritto di avere risposte in tempi ragionevolmente congrui. L’avvocato Riccardo Cattarini, che difende uno degli imputati, ha osservato: «Ritardare la sentenza di un processo non serve mai a nessuno. Oltre alle persone offese che attendono giustizia, ci sono anche gli accusati, per i quali la stessa Procura ha chiesto l’assoluzione, che attendono con ansia». L’istanza di rimessione del processo era piombata all’improvviso. Annunciata a inizio udienza dall’avvocato Cassiani, che aveva spiegato come le pressioni esercitate nei giorni precedenti, gli articoli dei giornali e la richiesta, poi respinta, del Procuratore capo della Repubblica di autorizzare riprese in video-conferenza tra l’aula del Tribunale e la sala conferenze del San Polo, per evitare eventuali problemi di ordine pubblico, non garantivano ai giudici serenità di giudizio. Contro la richiesta del legale s’erano espressi il pm Valentina Bossi e gli avvocati delle parti civili. Il giudice Trotta, dopo 2 ore e mezza di camera di consiglio, s’era limitato a trasmettere tutto alla Cassazione, secondo la giurisprudenza corrente.
Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
Il Piccolo è sempre più demenziale nei suoi articoli, la cui inattendibilità emerge anche dal linguaggio triviale (“sbronzi”, alzare il gomito).
Il fatto evidentemente è stato ben più contenuto visto che di questo episodio non se ne ha menzione qui in zona.
Resta il fatto che un paio di ragazzi, con un passato recente segnato dall’attraversamento del canale di Sicilia e la dura accoglienza a Lampedusa (dove continuano le proteste dei migranti), hanno esploso la loro rabbia contro coloro che blindano il loro presente e futuro.
Uno della zona
da Il Piccolo del 16 luglio 2013
Gradisca, seminano il panico e lanciano sassi ai carabinieri
Fermati a fatica e rinchiusi in carcere due eritrei appena giunti al Cara da Lampedusa che si sono resi protagonisti di ripetute violenze
GRADISCA. Hanno seminato il panico fra gli automobilisti e preso a sassate i carabinieri, prima di finire in carcere e perdere con tutta probabilità ogni speranza di rimanere in Italia. Istanti di ordinaria follia l’altra sera a Gradisca lungo via Roma, all’altezza della vecchia uscita autostradale. Protagonisti due ragazzi di nazionalità eritrea (rispettivamente di 23 e 22 anni) ospiti del vicino Cara – il centro per richiedenti asilo – nel quale erano arrivati da pochissimo. A quanto si apprende si tratta di due giovani da poco sbarcati a Lampedusa con una delle tante “carrette del mare” che solcano il Mediterraneo. Una realtà recentemente toccata con mano anche da Papa Francesco. Trasferiti a Gradisca per la loro richiesta di asilo politico, i due ragazzi devono aver voluto festeggiare il nuovo approdo alzando un po’ troppo il gomito. Visibilmente alterati dall’alcol, i due eritrei non contenti hanno ben pensato di regalarsi qualche brivido in più. L’episodio si è verificato attorno alle 19: incuranti del pericolo e del traffico i due africani, particolarmente sbronzi, si sono messi al centro della carreggiata e hanno cominciato a fermare le vetture in transito. Poi si sono messi a minacciare di morte gli automobilisti e in alcuni casi a percuotere violentemente il cofano delle loro macchine. Alcuni di loro, inevitabilmente spaventati, hanno contattato via cellulare la stazione carabinieri di Gradisca. Una prima vettura del Nucleo Radiomobile è arrivata in pochi minuti ed i militari sono inizialmente riusciti a ridurre a più miti consigli i due giovani, convincendoli a spostarsi dalla strada. Quando però i carabinieri hanno tentato di procedere alla loro identificazione, gli extracomunitari hanno dato nuovamente in escandescenze, resistendo con violenza alle forze dell’ordine, insultandole e addirittura cercando di colpire i due militari con dei sassi. I carabinieri se la sono cavata soltanto con qualche escoriazione. L’arrivo di una seconda gazzella ha permesso agli uomini del Radiomobile di procedere pochi istanti dopo al definitivo arresto dei due indemoniati, che sono stati immediatamente tradotti nel carcere goriziano di via Barzellini con una serie piuttosto fitta di imputazioni: ubriachezza molesta, resistenza, violenza e minacce a pubblico ufficiale. Ma vista la gravità dell’episodio, soprattutto, i due giovani si sono giocati quasi certamente ogni residua speranza di vedersi concedere lo status di rifugiati. E così, una volta scontata la pena, per i due eritrei anzichè le porte del Cara rischiano di aprirsi quelle dell’adiacente Cie, il centro di espulsione dove vengono trattenuti gli immigrati irregolari in attesa di rimpatrio.
Marzo 17th, 2017 — General, Pendolari
da Il Piccolo del 16 luglio 2013
Forti ritardi dei treni a Trieste: fino a 4 ore
Il problema sarebbe stato causato da un guasto elettrico verificatosi a Monfalcone. Disagi alla circolazione fino a tarda sera
Un treno di pendolari a Trieste (foto d’archivio)
Forti ritardi fino a 250 minuti (oltre 4 ore) si stanno verificando in entrata e in uscita dalla città di Trieste nei collegamenti ferroviari a causa di un guasto. Secondo quanto è stato reso noto dalle Ferrovie dello Stato, il problema sarebbe stato causato da un guasto elettrico verificatosi a Monfalcone. Alcuni convogli con destinazione Trieste portano ritardi fino a 250 minuti mentre treni in partenza dal capoluogo sono annunciato con oltre un’ora e mezza di ritardo.
Fra i disagi segnalati alla redazione quelli di decine di viaggiatori che sono rimasti bloccati per cinque ore tra Sistiana e Duino a bordo di un treno partito alle 16.11 da Venezia. Secondo il capotreno si sarebbe verificato un problema elettrico, probabilmente un black out, sulla linea. Sembrava un inconveniente da poco, facilmente risolvibile, ma il treno è invece rimasto bloccato lì con i passeggeri che, inevitabilmente, hanno iniziato a spazientirsi. Con il passare del tempo il malumore dei viaggiatori è sensibilmente aumentato, dato che è venuta a mancare anche l’illuminazione interna. Quasi tutti si sono attaccati al telefonino per avvisare i parenti e gli amici, che attendevano ignari in stazione, ma alcuni hanno anche allertato le forze dell’ordine. Dopo la prima ora di attesa, alcuni agenti della Polizia ferroviaria sono saliti a bordo del treno per portare almeno delle bottigliette d’acqua agli sfortunati, e accaldati, viaggiatori. Per oltre due ore i malcapitati hanno atteso l’arrivo del locomotore diesel incaricato di recuperare il convoglio fermo. Molti, però, sfiancati dall’attesa, hanno preferito scendere e tornare a Trieste con mezzi propri. I disagi si sono protratti fino a tarda sera e la circolazione è proseguita a senso unico alternato, utilizzando un solo binario.
Marzo 17th, 2017 — General, No OGM
Dal Messaggero Veneto del 18/07/13
Assolto Fidenato, l’Ogm non è reato
PORDENONE Assolto perché il fatto non è previsto dalla legge come reato. Una sentenza, quella pronunciata dal giudice monocratico del tribunale di Pordenone Ridolfo Piccin, pressoché scontata: la procura aveva chiesto l’assoluzione di Giorgio Fidenato, leader di Agricoltori federati, dopo che, su richiesta del giudice, l’8 maggio si era pronunciata la Corte di giustizia europea. Il mais ogm Mon 810 si può coltivare, anche in Italia, dice l’Europa, senza la preventiva autorizzazione nazionale. Lo conferma la magistratura. Ma le battaglie dell’imprenditore agricolo di Arba e di Futuragra (associazione di agricoltori che si batte per l’introduzione delle biotecnologie), non sono finite. Il presidente Duilio Campagnolo non ha dubbi: «L’Italia è l’unico Paese in cui si devono condurre battaglie civili per fare impresa. Gli effetti di questo atteggiamento ideologico da caccia alle streghe sono devastanti: in 10 anni di mancato accesso all’innovazione, l’agricoltura italiana ha perso 5 miliardi di euro. Chi ha sbagliato paghi». C’è poi da approntare un ricorso al Tar, sottolinea il difensore di Fidenato, l’avvocato Francesco Longo, contro le nuove limitazioni imposte dal Governo: «Lede il principio del diritto comunitario, perché non fissa il quadro di coesistenza, ma esclude la coltivazione ogm per 18 mesi». Il processo – cominciato il 2 febbraio 2011 con l’opposizione al decreto penale di condanna da parte di Fidenato, al pagamento di 30 mila euro di multa e alla distruzione del mais ogm seminato a Vivaro e Fanna nella primavera 2010 – si è esaurito ieri con le richieste delle parti e la sentenza. «Assolvere Fidenato», è la richiesta della procura. L’avvocato di parte civile per conto della Provincia, Andrea De Col, ha giocato l’ultima carta: «Il diritto comunitario mette in discussione il diritto costituzionale alla proprietà e alla libertà dell’iniziativa economica. Si pronunci la Corte costituzionale». Richiesta alla quale si sono poi associate le altre parti civili: Regione, Slow Food, Coldiretti e Codacons Fvg. Ribatte la difesa: «L’unico limite è costituito dal danno per la salute o l’ambiente, che non c’è. Possono essere adottate misure di coesistenza, tra le diverse coltivazioni, non divieti». Al rientro dalla camera di consiglio, il giudice, che aveva già disposto il dissequestro di quanto sequestrato a Fidenato, all’indomani dell’ordinanza della Corte di giustizia europea, pronuncia sentenza di assoluzione. Nelle aule del tribunale di Pordenone il caso è chiuso. Non per Futuragra, che intende chiedere i danni di dieci anni di raccolto ogm perso. Non per Fidenato, che intende ricorrere al Tar contro il recente decreto del Governo che vieta per 18 mesi la coltivazione ogm. «Non esiteremo a impugnarlo nuovamente – annuncia Campagnolo – e a denunciare alla commissione europea questo ennesimo mostro giuridico, frutto dell’ignoranza demagogica in materia scientifica ed economica al pari delle norme anti ogm proposte dalla Regione Friuli Venezia Giulia». «Spero – ha detto Fidenato – che finiscano le guerre di religione e ci si sieda a un tavolo, senza prevaricazioni e mettendo al bando ipocrisie sul fatto che in Italia non c’è bisogno di ogm, quando invece i mangimi non possono più fare a meno di mais transgenico e ne sono pieni»
Confermata la scelta della Corte europea
UDINE «La sentenza non ci sorprende». Lo afferma Roberto Burdese, presidente di Slow Food Italia, commentando l’assoluzione di Giorgio Fidenato per la semina di mais Ogm. «Il processo – prosegue Burdese – è stato condizionato in maniera determinante dall’intervento della Corte di giustizia europea di maggio che noi avevamo criticato nel metodo e nel merito». Per Stefano Cavallito, Alessandro Lamacchia e Katjuscka Piane, legali dell’associazione della chiocciola, costituitasi parte civile nel processo, «l’ordinanza europea si è fondata su un fraintendimento grave sulla natura dell’autorizzazione alla semina degli Ogm».
Dobbiamo puntare sui prodotti tipici
UDINE «L’agricoltura italiana in questo momento non ha bisogno degli Ogm»: lo ha affermato il ministro delle Politiche agricole, Nunzia De Girolamo. «Non entro nel merito della sentenza del tribunale di Pordenone – ha detto il ministro –, sarebbe scorretto commentare qualcosa che non conosco. La nostra scelta di vietare gli Ogm in Italia è una scelta politica di mercato, ma anche di rispetto di ciò che ci chiedono gli agricoltori italiani e i cittadini. Noi siamo conosciuti in tutto il mondo per la tipicità e la biodiversità, per l’eccellenza dei nostri prodotti. Fare attraverso gli Ogm un prodotto simile a quelli della Cina e dell’America ci farebbe finire di essere quegli straordinari esportatori del made in Italy agroalimentare che siamo».
Marzo 17th, 2017 — General, Mare
Dal Piccolo del 18/07/13
«Rigassificatore, bocciati i siti alternativi»
di Silvio Maranzana «Non solo quella prevista di Zaule, ma anche qualsiasi altra localizzazione del rigassificatore di Gas Natural in un punto della costa all’interno del porto di Trieste andrebbe a pregiudicare lo sviluppo dei traffici dello scalo». È la perentoria conclusione alla quale è giunta la Commissione istituita dall’Autorità portuale dopo che il decreto del 18 aprile dell’ex ministro Clini ha sospeso l’efficacia della Via rilasciata nel 2009 al progetto di Gas Natural, subordinandola a un’eventuale rideterminazione delle previsioni di sviluppo del Piano regolatore del porto per renderlo appunto compatibile con il rigassificatore. Della Commissione hanno fatto parte Eric Marcone (Authority), Umberto Laureni (Comune di Trieste), Nerio Nesladek (sindaco di Muggia), Vittorio Zollia (Provincia), Giorgio Lillini (Genio civile), Natale Serrano (Capitaneria di porto), Fabrizio Zerbini (Associazione terminalisti), ed è stata inoltre aperta a rappresentanti di organizzazioni che promuovono la protezione dell’ambiente: Roberto Sasco (Italia Nostra), Carlo Franzosini (Riserva di Miramare), Dario Predonzan (Wwf) e Lucia Sirocco (Legambiente). «Alla luce dei dati di traffico attualmente in essere, delle previsioni del Piano regolatore attualmente in itinere, nonché degli scenari che si determinerebbero nei traffici portuali quali evidenziati dagli studi commissionati dall’Autorità portuale – conclude la relazione – la Commissione non ritiene né utile, né percorribile la rideterminazione del Piano regolatore portuale per renderlo compatibile con l’impianto di rigassificazione proposto dalla società Gas Natural. La Commissione è del parere che rispetto a quanto richiesto dal Decreto interministeriale, non si possa provvedere alla rideterminazione delle previsioni di sviluppo espresse dal Piano regolatore del porto senza arrecare grave nocumento allo sviluppo dei traffici e del porto medesimo. La Commissione ritiene incompatbile – è appunto la conclusione – ogni altra localizzazione del terminale Gnl di rigassificazione all’interno dell’ambito portuale di Trieste per gli stessi motivi e le stesse criticità evidenziati dal caso dell’impianto localizzato a Zaule». Nella relazione si fa presente che le sole opere previste dal Piano regolatore fanno stimare in 2900 le navi che annualmente dovrebbero percorrere il canale di accesso al porto. «In tale contesto – viene sottolineato – l’introduzione delle navi gasiere (stimate in almeno 100 unità annue sulla base delle dichiarazioni della società Gas Natural) porterebbero a delle condizioni di traffico eccessivo sul canale Sud creando disservizi (quali tempi di attesa) per gli altri terminal». Ma si entra anche nel dettaglio prefigurando che «nello scenario di lungo periodo la presenza di navi gasiere abbia quali conseguenze: un incremento del tasso di occupazione del canale fino al valore del 70% (superiore al valore massimo di funzionamento ottimale); un generale incremento dei ritardi dei tempi di arrivo e partenza delle navi; un particolare ritardo delle navi che non hanno priorità di ingresso e di uscita con conseguenti difficoltà dei traffici relativi (in particolare ro-ro e contenitori)». Dopo aver passato in rassegna i numerosi tipi di traffici presenti in porto, l’incremento fatto registrare negli ultimi anni e in particolare il pericolo di interferenze con le petroliere dirette al terminale della Siot (più di 500 all’anno), la Commissione rileva che «nei principali porti del mondo dove sono stati costruiti impianti di rigassificazione sono state introdotte da parte delle locali Autorità marittime ordinanze di accesso che hanno modificato in senso più restrittivo le priorità di ingresso e uscita delle navi, a svantaggio dei traffici più tradizionali ritenuti non prioritari da un punto di vista della sicurezza, mentre, per gli aspetti di security e safety, hanno imposto aree di rispetto che, di fatto, sotrarrebbero spazi ad altre attività in banchina, incidendo altresì sulla movimentazione delle navi all’interno dell’area portuale e, in rada, sulle superifici destinate alle navi alla fonda. La Commissione ritiene che nell’ipotesi di costruzione del terminal Gnl sarebbero introdotte anche per il proto di Trieste nuove misure in tema di priorità di ingresso e uscita delle navi, oltre a zone di rispetto in corrispondenza dell’impianto e in rada, limitando l’operatività dei terminali esistenti e pregiudicando la potenzialità di sviluppo di nuove opere».
Marzo 17th, 2017 — General, Nocività
da Il Piccolo del 24 luglio 2013 Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone
Morti di amianto, udienza-lampo La sentenza slitta al 15 ottobre
La data subordinata al rigetto da parte della Cassazione del ricorso per “legittimo sospetto” Il procedimento sarà comunque concluso dal presidente Matteo Trotta, a breve trasferito a Trieste
MAXI-PROCESSO»SI ALLUNGANO I TEMPI
La sentenza del maxi-processo per le morti da amianto potrebbe essere emessa il prossimo 15 ottobre. È questa la data fissata dal giudice monocratico Matteo Trotta per riprendere il processo bloccatosi lo scorso 25 giugno per la richiesta di legittimo sospetto avanzata dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, ex dirigente dell’Italcantieri e uno dei principali imputati. Lo ha deciso ieri mattina il dottor Trotta nel corso di una breve udienza e dinanzi a una sala semivuota. Pochi gli avvocati presenti tra i quali Corrado Cassiani, Riccardo Cattarini, Francesco Donolato, Roberto Maniacco, Elisa Moratti e Mariarosa Platania; assente invece Cassiani. La data indicata dal giudice, per sua ammissione, è la più vicina possibile a quella del 24 settembre, giorno in cui la Corte di Cassazione deciderà sul legittimo sospetto. Trotta è stato chiarissimo e ha quasi tolto la parola all’avvocato Platania – tutela alcune famiglie di lavoratori morti e costituitesi parte civile – che chiedeva di anticipare l’udienza. «Lo dico chiaramente per tutti – ha detto Trotta quasi scandendo le parole – il 15 ottobre è la data più stretta possibile. Nell’ipotesi che il legittimo sospetto venisse accolto è necessario un determinato tempo per le le comunicazioni e le notifica della decisione alle parti, giudice compreso. In questo caso il processo sarebbe azzerato e riprendere daccapo in altra sede. Se la Suprema corte dovesse respingere invece la richiesta si procederà il 15 ottobre con le incombenze già fissate il 25 giugno scorso e cioè le repliche delle parti e la decisione del giudice». Come più volte detto un accoglimento del ricorso significherebbe azzerare tutto. È quasi certo – negli ambienti di Palazzo di giustizia lo danno per scontato – che nonostante il trasferimento a Trieste, il dottor Trotta sarà autorizzato a concludere il processo ormai giunto a un passo dal traguardo finale dopo ben 95 udienze. Anche sul legittimo impedimento, chiesto dall’avvocato Cassiani a nome del suo cliente, c’è un opinione diffusa tra gli addetti ai lavori che la Suprema corte rigetti il ricorso anche perché non appaiono valide le motivazioni adottate dal legale di Tupini. Chi ha seguito l’intero processo, snodatosi per oltre tre anni, ha potuto cogliere nel dibattimento tra le parti un clima sereno e tranquillo anche perché la quasi totalità delle udienze sono state seguite da pochissime persone. Solamente nella prima udienza e nell’ultima la sala riservata al pubblico era affollata ma si è trattato di non più di 50 persone che non hanno certo creato problemi di ordine pubblico. Il maxiprocesso, iniziato nell’aprile di tre anni fa, vede imputate 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti. Tutti devono rispondere di omicidio colposo per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. La Procura della Repubblica ha chiesto la condanna per i soli dirigenti dell’Italcantieri e l’assoluzione per gli altri, compresi gli addetti alla sicurezza. Nell’udienza del 15 ottobre l’accusa sarà rappresentata in aula dal solo pm Valentina Bossi perché l’altro pm, Luigi Leghissa, il 7 ottobre prenderà servizio alla Procura di Caltanisetta.
da Il Manifesto del 24 luglio 2013
La notizia è caduta come un macigno sui familiari delle vittime dell’amianto dei cantieri navali di Monfalcone. Lo scorso 24 giugno attendevano nel tribunale di Gorizia una sentenza che condannasse i vertici industriali per la morte di ottantacinque operai, ma l’avvocato Cassiani, difensore di un dirigente dell’ex Italcantieri, ha tentato una mossa d’arrocco in extremis presentando un’istanza di trasferimento del processo per legittima suspicione. Il giudice Matteo Trotta aveva fissato una nuova udienza per ieri, il 23 luglio, in attesa del parere della Cassazione, nella speranza di arrivare a sentenza visto il suo imminente trasferimento al tribunale di Trieste. Un nuovo colpo di scena è arrivato però pochi giorni fa, quando gli avvocati dei familiari degli operai hanno appreso che la Cassazione si esprimerà solo il prossimo 24 settembre. Nell’udienza di ieri al giudice non è rimasto altro che aggiornare al 15 ottobre, la prima data disponibile dopo il parere della Cassazione. Se la Corte Suprema dovesse spostare il processo, questo ripartirebbe da zero, con la possibilità che il reato cada in prescrizione. Una beffa, dopo novantuno udienze in tre anni, che si prenderebbe gioco della domanda di giustizia delle vedove e dei familiari degli operai uccisi dall’amianto, usato per coibentare le navi nei cantieri monfalconesi. Chiara Paternoster, portavoce dell’Associazione Esposti, non usa mezzi termini: «I familiari sono ormai sfiniti, in quindici anni hanno dovuto organizzare sit-in, chiedere l’intervento del Presidente Napolitano e dell’allora Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Trieste, dott. Beniamino Deidda, per riuscire a veder celebrato questo processo». Come le Madri di Plaza de Mayo, i familiari degli operai hanno dovuto sfilare per mille giovedì davanti alla procura di Gorizia. E adesso la mossa della difesa degli imputati rischia di far cadere una pietra tombale sulle loro pretese di giustizia: «Confidiamo che venga riconosciuta l’assoluta infondatezza dell’eccezione di controparte, che il processo si chiuda presto e che giustizia sia fatta», aggiunge Paternoster. Quello dei familiari dei coibentatori esposti all’amianto, come ha scritto Enrico Bullian nel saggio Il mal e che non scompare , è stato un vero «calvario». I processi aprono delle ferite e senza una sentenza è difficile arrivare a elaborare il lutto. La speranza è che il processo rimanga a Gorizia e che il Csm rinvii il trasferimento del giudice titolare del processo o ne disponga l’applicazione a Gorizia nel tempo necessario per arrivare a sentenza. Per sapere come finiranno le storie giudiziarie di ottantacinque metalmeccanici di Monfalcone, uccisi da tumori correlati all’amianto, bisognerà aspettare con paziente tenacia il prossimo 24 settembre, tenendo ben presente, come gridano le Madri di Plaza de Mayo, che «l’unica battaglia che si perde è quella che si abbandona».
da Il Piccolo del 23 luglio 2013 Pagina 24 – Gorizia-Monfalcone
Amianto, udienza “apri e chiudi”
Garanzie affinchè il giudice Trotta, vicino al trasferimento a Trieste, possa concludere il maxi-processo
Un’udienza-lampo, apri e chiudi, limitandosi a fissare il rinvio dopo il 24 settembre. È quanto succederà questa mattina, al Tribunale di Gorizia, per il processo amianto che vede imputati di omicidio colposo 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti, per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. Risulta, infatti, ben difficile prevedere scenari diversi, considerata la rimessione degli atti da parte del presidente Matteo Trotta, alla Cassazione, in virtù dell’istanza per “legittima suspicione” sollevata dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, e motivata dal fatto che il Tribunale di Gorizia non sarebbe in grado di esprimere un giudizio sereno ed equilibrato. La Suprema Corte ha già stabilito la data del 24 settembre per decidere in merito all’accoglimento o meno dell’istanza di rimessione, decretando pertanto se andare ad un nuovo procedimento con il trasferimento di sede e altri giudici, oppure invece permettere al processo goriziano di concludersi con l’attesa sentenza. È evidente, pertanto, che il rinvio dell’odierna udienza, al Tribunale di Gorizia, non potrà che essere fissato oltre la data del 24 settembre. Tenendo conto dei passaggi di rito, come le notifiche, si potrebbe ipotizzare che la successiva udienza possa essere stabilita tra fine settembre e il mese di ottobre. Intanto, sembra che il Consiglio superiore della magistratura potrà autorizzare l’applicazione del presidente Matteo Trotta a Gorizia, al fine di completare, in un modo o nell’altro, il procedimento. Si tratta di un aspetto molto importante, proprio in vista del prossimo trasferimento del magistrato a Trieste, evitanto pertanto comunque un eventuale azzeramento del processo. La richiesta di rimessione per “legittimo sospetto” era stata avanzata dall’avvocato Alessandro Cassiani, durante l’ultima udienza del 24 giugno scorso, all’apertura del processo, per il quale veniva ormai dato per scontato il pronunciamento della sentenza. Il legale aveva quindi sostenuto che le pressioni esercitate nei giorni precedenti, gli articoli dei giornali e la richiesta, poi respinta, del Procuratore capo della Repubblica di autorizzare riprese in video-conferenza tra l’aula del Tribunale e la sala conferenze del San Polo, per evitare eventuali problemi di ordine pubblico, non garantivano ai giudici serenità di giudizio. Contro la richiesta del legale s’erano espressi il pm Valentina Bossi e gli avvocati delle parti civili. Il giudice Trotta, dopo 2 ore e mezza di camera di consiglio, s’era limitato a trasmettere tutto alla Cassazione, secondo la giurisprudenza corrente.
L’avvocato Cattarini: «Non ci sono elementi per paventare il legittimo sospetto»
L’avvocato Riccardo Cattarini, difensore di alcuni imputati, non condivide lo scenario alla base della richiesta di spostamento del maxi-processo amianto per “legittimo sospetto”. «La situazione è grave – afferma – perché se la richiesta di rimessione della questione ad altro giudice fosse accolta il processo dovrebbe essere rifatto, questa volta a Bologna. A me non pare che di questi problemi ce ne siano. La civilissima popolazione del nostro territorio non usa disturbare le udienze ed è rispettosissima delle istituzioni. Anche nelle udienze più combattute in Tribunale non c’è mai stato nulla che potesse far pensare a pressioni del pubblico sul giudice. Dubitare della regolarità del processo sin qui, e dell’imparzialità del Tribunale, è davvero opinione che non si può condividere. C’è invece una forte domanda di giustizia, sia dagli ammalati che da coloro che hanno perduto i loro cari sia da coloro che sono stati trascinati in una vicenda processuale durissima ritenendosi innocenti. La Cassazione ha comunicato che solo il 24 settembre deciderà se il processo si sia svolto in modo regolare o se dovrà essere ricelebrato daccapo. Quindi nessuna sentenza oggi a Gorizia, tutti dovranno attendere».
da Il Piccolo del 20 luglio 2013
Maxi-processo amianto, si teme l’azzeramento
Forte preoccupazione a Monfalcone per lo slittamento al 24 settembre della pronuncia della Cassazione che ha già causato il rinvio della sentenza
MONFALCONE È forte la preoccupazione per il rischio di veder saltare il processo-amianto, procedimento-pilota per il quale sono imputate 35 persone dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. La Cassazione deciderà solo il 24 settembre sul “legittimo sospetto”. E a complicare tutto il prossimo trasferimento del presidente Matteo Trotta. C’è delusione nel Monfalconese e nell’Isontino. La vicenda è già stata paragonata ad un secondo “caso Ilva”. Non manca il grande senso di incertezza, espresso dagli amministratori del Comune di Monfalcone, dai sindacati e dall’Associazione esposti amianto, costituitisi parte civile al processo.
Perchè è evidente la paura di ritrovarsi con «un pugno di mosche», ora che la Suprema Corte ha fissato l’udienza al 24 settembre per decidere in merito alla rimessione del processo in virtù della “legittima suspicione” richiesta dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, nell’ultima udienza, il 24 giugno. Secondo il legale, il Tribunale di Gorizia non sarebbe nelle condizioni di pronunciare un giudizio sereno ed equilibrato.
Intanto il presidente Matteo Trotta è in procinto di lasciare Gorizia. Si teme che, qualora non intervenga una sorta di “proroga” o un “distaccamento” del magistrato, si debba comunque ricominciare da capo, con un altro giudice. Cgil e Aea lanciano un appello alla magistratura, affinchè Trotta possa portare a termine il suo compito. Il segretario provinciale della Cgil, Paolo Liva, spiega: «Uno dei nostri legali che ci rappresenta ha prospettato scenari pesanti. Per come stanno le cose, tutte le prospettive sono aperte. Può succedere di tutto. Tra l’attesa del pronunciamento della Cassazione, che avverrà solo il 24 settembre, il trasferimento del presidente Trotta e le inevitabili dilazioni dei tempi, c’è da temere che diventi impossibile arrivare alla sentenza del procedimento. Sembra di assistere a un secondo “caso Ilva”. È inammissibile ritardare la giustizia – continua il sindacalista – su una questione così rilevante come le morti di amianto. Beniamino Deidda, nel 2008, in qualità di procuratore generale presso la Corte d’Appello di Trieste, avviò la “corsia preferenziale” costituendo un pool di magistrati. In gioco c’è il diritto alla giustizia per i famigliari delle vittime, ma anche la necessità di un riconoscimento delle responsabilità di fronte a un territorio duramente colpito. È una questione sociale, per la quale una giustizia lenta diventa pericolosa, poichè finisce per normalizzare responsabilità che invece sono molto gravi».
Liva chiede quantomeno che il presidente Trotta «prenda in mano la situazione anche in qualità di presidente del Tribunale di Trieste». Il segretario della Cgil aggiunge: «Con i nostri uffici vertenze, anticipando i tempi avevamo intrapreso il percorso extragiudiziale per il riconoscimento del danno differenziale, un percorso più rapido, utile anche a raccogliere elementi probanti e spendibili per il processo penale. A questo punto, rischia di diventare l’unica forma di giustizia per i famigliari delle vittime e per il territorio». Chiara Paternoster, dell’Associazione esposti amianto, da parte sua osserva: «Esprimiamo forte preoccupazione per la decisione della Cassazione di fissare l’udienza in merito al “legittimo sospetto” solo il 24 settembre. Lo riteniamo molto grave, anche perchè ora il problema è che il presidente Trotta verrà trasferito. Qualora la Cassazione, come ci auguriamo, non accoglierà la rimessione del processo, resta il rischio, vista la dilatazione dei tempi, di un azzeramento del procedimento, dovendo nominare un altro giudice». Quindi aggiunge: «C’è da sperare che il Csm, o l’organismo preposto, comprenda la necessità di chiudere questo processo, per garantire la certezza del diritto alla giustizia». Paternoster confida, inoltre, che la Suprema Corte «dichiari infondata la paradossale eccezione sollevata in ordine al “legittimo sospetto”, avvenuta alla 91.a udienza, in un contesto di assoluta serenità, a fronte solo di una richiesta di giustizia da parte dei famigliari delle vittime. Famigliari che hanno sempre manifestato grande dignità e pazienza, considerati i meccanismi del sistema giudiziario».
Il vicesindaco Omar Greco esprime stupore e sgomento: «Il legittimo sospetto a mio avviso è palesemente infondato, è solo un modo per dilatare i tempi. È piuttosto squallido lo spettacolo al quale stiamo assistendo, di fronte alla portata della questione-amianto nel nostro territorio. Mi auguro che la Suprema Corte rigetti la richiesta di rimessione, poichè è impensabile il trasferimento del processo in altra sede. C’è poi il trasferimento del presidente Trotta ed il rischio che la sentenza possa slittare oltremodo, altro aspetto che mi irrita molto. Voglio sperare che venga, invece, data al più presto una risposta di giustizia».
da Il Piccolo del 19 luglio 2013
Amianto, nuovo stop per il processo
La Cassazione deciderà sul legittimo sospetto il 24 settembre. L’udienza fissata a Gorizia per martedì slitterà all’autunno
Nuovo rinvio per il processo-amianto. Imputati di omicidio colposo 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti, per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. Ieri la Cassazione ha fissato nella giornata del 24 settembre l’udienza per decidere in merito alla “legittima suspicione” sollevata il 24 giugno dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, che aveva richiesto la rimessione del procedimento. La Suprema Corte dovrà stabilire se il processo potrà continuare, e quindi approdare a sentenza, oppure, invece, verrà annullato, con il trasferimento in altra sede, fuori dalla regione, e con altro giudice. Secondo Cassiani, il Tribunale di Gorizia non sarebbe nelle condizioni di pronunciare la sentenza in modo sereno ed equilibrato. La data del 24 settembre stabilita dalla Cassazione costringerà giocoforza a rinviare anche l’udienza fissata dal giudice Matteo Trotta per martedì. Il tutto in attesa di conoscere l’esito della Suprema Corte sulle sorti del procedimento che lo scorso 24 giugno sembrava ormai avviato alla sentenza. A questo punto, i tempi si dilatano. Quantomeno la successiva udienza al Tribunale isontino dovrà essere calendarizzata dopo il 24 settembre. Tenendo conto delle relative notifiche, tutto potrebbe slittare tra fine settembre e ottobre, se non oltre. Semprechè il procedimento goriziano venga “salvato” dal legittimo sospetto consentito dalla legge agli imputati per la ricusazione dei giudici. Intanto il giudice Trotta si prepara al trasferimento, previsto a fine mese. È possibile, tuttavia, che sortisca una “proroga” permettendo al magistrato di concludere il procedimento al momento ancora sub judice.
Intanto resta la spada di Damocle del rifacimento del processo qualora la Cassazione decida di accogliere l’istanza sollevata dall’avvocato Cassiani. Novantun udienze e oltre 500 testimonianze finite nel nulla, con il rischio-prescrizione. La richiesta di rimessione del processo era stata annunciata a inizio udienza, il 24 giugno, dal legale che aveva spiegato come le pressioni esercitate nei giorni precedenti, gli articoli dei giornali e la richiesta, poi respinta, del Procuratore capo della Repubblica di autorizzare riprese in video-conferenza tra l’aula del Tribunale e la sala conferenze del San Polo, per evitare eventuali problemi di ordine pubblico, non garantivano ai giudici serenità di giudizio. Contro l’istanza s’erano espressi il pm Valentina Bossi e gli avvocati delle parti civili. Trotta s’era limitato a trasmettere gli atti alla Cassazione, come da prassi procedurale.
Alberto Prunetti su Il Manifesto del 17 luglio 2013
AMIANTO – Per gli avvocati di Fincantieri il processo va spostato: i giudici non sono sereni
Nuovo rinvio per la fibra killer
Negli stabilimenti il colore della pelle e la nazionalità assegnano il posto di lavoro In alto gli italiani, a seguire gli altri. Gli ultimi sono bengalesi. Tutti a rischio di tumore
Monfalcone è sul mare ma il litorale se l’è mangiato il cantiere. Non ci arrivi a toccare le onde, ti tocca prendere l’auto e spostarti di qualche chilometro. Per vedere il mare devo salire sulla terrazza della sede dell’Anpi, che era un tempo il dopolavoro operaio dello stabilimento della Solvay. Ma anche da lì, gli occhi cadono prima su un supermercato e poi sulla ciminiera della centrale a carbone dell’Enel, infine sulle gru enormi della Fincantieri. Il mare è lontano, a Monfalcone, quanto la giustizia. Sembra a portata di mano, eppure c’è sempre qualche grande stabilimento a mettersi di mezzo.
Provo a avvicinarmi a piedi.
Cammino per il quartiere operaio di Panzano, a fianco del cantiere navale che ha visto morire per tumori correlati all’amianto così tanti operai. Tra i coibentatori, su 120 ne sono sopravvissuti solo quattro. Mi stupiscono i cocci di vetri rotti che sormontano il muro perimetrale. Mi chiedo se in passato quei cocci rotti siano bastati a impedire alle fibre killer di scavalcare il muro. Come il vetro tagliente, i mattoni dividono il cantiere dalle casette ordinate di chi ci lavora dentro: il rione Panzano è un esempio di villaggio operaio all’interno di una company town, la piccola città di un grande cantiere. Luca, la mia guida dell’Unione Sindacale Italiana, mi porta a visitare il monumento alle vittime dell’amianto, che sorge in una piazzetta nel cuore di Panzano. Riporta una frase emblematica di Massimo Carlotto: «Costruirono le stelle del mare/ li uccise la polvere/ li tradì il profitto». Carlotto e altri scrittori, artisti e intellettuali hanno sostenuto la lotta degli esposti e dei familiari delle vittime dell’amianto, ma rimane tanto da fare perché il nemico è ovunque: basta alzare gli occhi dal monumento e subito dietro vedo spuntare, irridente, una lastra di eternit. L’assassino è ancora sul luogo del delitto e va al funerale delle vittime. Sorrido amareggiato. Attraverso la strada, provo a visitare il museo della cantieristica monfalconese, ma a quell’ora è chiuso. Mi infilo allora in un bar di operai e condivido con alcuni compagni uno spritz, che da queste parti non è altro che un leggero vinello bianco allungato con l’acqua minerale fresca. Sfoglio i giornali locali mentre il gestore pela le patate col sigaro in bocca.
Un articolo riporta un commento, alla vigilia della sentenza Italcantieri, della signora Romana, la presidente dell’Afeva di Casale Monferrato. È anche lei parte di questa terra perché è nata a Salona d’Isonzo e si è trasferita a Casale solo perché con i nuovi confini, nel dopoguerra, lo stabilimento Eternit dove lavorava suo padre era rimasto in Jugoslavia. Non è un caso che in Slovenia, a Nova Gorica, ci sia un sindacato specifico che tutela gli esposti all’amianto. Sono tantissimi in quel paese.
Suona la sirena, è finito il turno. Esco immediatamente per vedere aprirsi i cancelli dello stabilimento. Per strada spuntano una miriade di operai in bicicletta e a piedi. Ci sono colori diversi, sia per la pelle che per le tute. I due elementi tra loro sono correlati: una miriade di subappalti con ditte private, ognuna con una sua tuta, e la presenza di una divisione del lavoro in termini di classe. Una scala che pone una classifica degli sfruttati dove la divisione non è solo di classe: sotto gli italiani, a fare i lavori più nocivi, ci sono gli istriani e in fondo a tutti i bengalesi.
La sera ci troviamo per parlare d’amianto e fare il punto della situazione con Chiara Paternoster dell’Associazione Esposti. Ci diamo appuntamento alle 8 del mattino di martedì 25 giugno. Arriviamo a Gorizia da Monfalcone in pulman. Purtroppo siamo in pochi e le poltroncine sono in gran parte vuote. Altre persone sono comunque già arrivate con i loro mezzi. Ci ritroviamo nella parte del tribunale che ospita il pubblico. Cinquanta persone, in gran parte anziani, molte vedove, qualche nipote che forse non ha mai conosciuto il nonno. Con qualche minuto di ritardo l’udienza si apre. Il giudice fa l’appello, gli imputati, perlopiù dirigenti della vecchia Italcantieri, che gestiva i cantieri navali prima della Fincantieri, sono tutti liberi e contumaci. L’avvocato di uno dei vertici dell’azienda prende subito parola mettendo le mani avanti. Comprende il dolore dei familiari ma… Attendo il colpo e non ci mette troppo ad arrivare. Le associazioni con i volantini, gli articoli, e i sit-in avrebbero creato un clima poco sereno che non metterebbe i giudici in grado di giudicare con tranquillità. Un clima che preoccupa e che può creare problemi di ordine pubblico, sostiene. Nel pubblico ci guardiamo allibiti. Io fisso quelle vedove, quei vecchi ammalati, quei nipotini tenuti in collo. Sono loro il problema d’ordine pubblico? L’avvocato va avanti. Chiede pertanto una remissione del processo. Una sorta di eccezione procedurale. Vale a dire spostare tutto armi e bagagli da un’altra parte, per ripartire da zero, per annullare la domanda di verità e giustizia di queste vedove e di questi bambini. A me sembra assurdo, mi vengono in mente quelle situazioni infantili, quando giocavamo a pallone: tu segnavi un gol ma te lo annullavano perché il pallone era sgonfio. Penso che i padroni sono come i bambini prepotenti: fanno le regole durante il gioco e le cambiano quando stanno per perdere.
I giudici si ritirano in aula di consiglio e non escono più. Passano due ore. Tanto, troppo tempo. Sono preoccupato. Telefono a mia madre, che vuole essere aggiornata: è stupita che nel telegiornale stavolta non abbiano detto nulla, al contrario del processo Eternit. Ma stavolta non si processano dei cattivi magnati stranieri, stavolta i padroni sono italiani, e sarà tutto più difficile, lei dico. Poi le racconto quel che è successo, le parole dell’avvocato sulla presunta lesione della serenità dei giudici. Lei mi stupisce con una riflessione perfetta nella sua semplicità: «i giudici non sarebbero sereni? Chissà quanto sono sereni i familiari degli operai!» Ha ragione la casalinga più del togato, anche stavolta. Che dovevamo fare? «Scusate se vi turbiamo col nostro malessere. Anche noi non siamo sereni». Andrebbe scritto in uno striscione e appeso in ogni balcone tra Monfalcone e Gorizia. Scusiate se siamo venuti al tribunale, ma non siamo riusciti ad andare al mare, perché a Monfalcone il mare è lontano.
Intanto andiamo a prenderci un caffè, parlo con un operaio dei cantieri navali in cassa integrazione. La legge Fornero l’ha fregato. Avrebbe dovuto già essere in pensione ma adesso servono più anni di contributi. Ha chiesto il prepensionamento anticipato per il lavoro a contatto con l’amianto ma per ora le cose non si sono messe bene. Scambio due parole con un altro attivista. Lui non è un operaio, ma il figlio di un operaio dei cantieri navali. E i cantieri gli hanno portato via il fratello, morto in un incidente. Altri operai mi raccontano che ai saldatori e ai coibentatori che lavoravano a contatto con la fibra assassina, l’impresa regalava mezzo litro di latte, «per digerire l’amianto». Il latte serviva solo per andare più spesso al cesso, all’amianto gli faceva un baffo.
Torniamo in tribunale appena in tempo. Rientra il giudice, annuncia l’aggiornamento dell’udienza al prossimo 23 luglio. Niente sentenza, per ora. Si attende anzi che la cassazione si pronunci per capire se il processo sarà spostato e quindi, di fatto, annullato. Ce ne andiamo con un senso di frustrazione: a Monfalcone il mare è lontano e la giustizia ha messo sul piatto della bilancia mezzo litro di latte. Non so se basterà a digerire questa giornata ingiusta.