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Marzo 17th, 2017 — General, Storia ed attualità
Rassegna stampa | L’iniziativa | superate le 500 visite a questa pagina
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Oltre cento persone hanno partecipato all’iniziativa organizzata dal Coordinamento Antifascista Friulano
di commemorazione di Gelindo Citossi (Romano il Manzìn)
a San Giorgio di Nogaro il 7 ottobre 2013 nel centenario della nascita.
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Marzo 17th, 2017 — General, Mare
dal Piccolo del 16/10/13
«Rigassificatore, il governo revochi l’autorizzazione a Gas Natural»
di Silvio Maranzana Il sindaco Roberto Cosolini vede il bicchiere mezzo pieno: «È indubbio che la Commissione europea ha fatto sparire la localizzazione di Zaule per il rigassificatore in Alto Adriatico comunque inserito nella lista dei progetti energetici prioritari. E questa è una notizia ampiamente positiva soprattutto per i triestini». E l’assessore regionale a Ambiente e Energia Sara Vito fin dalle ore immediatamente successive all’approvazione dell’elenco da Bruxelles è stata ancora più esplicita: «Infrastrutture che hanno un impatto ambientale e conseguenze dirette sul futuro delle attività produttive, come nel caso dell’ipotizzato rigassificatore del porto di Trieste, devono essere ponderate fin dall’inizio con attenzione e in una logica di dialogo transfrontaliero. Siamo favorevoli a una strategia europea che punti a fornire energia a costo più basso per il sistema produttivo e per i cittadini e quindi siamo disponibili a dialogare per raggiungere questi obiettivi. Ma certo non possiamo accettare che la nostra regione subisca senza discutere l’imposizione dall’alto di qualsiasi infrastruttura energetica». Ma la dichiarazione più sorprendente arriva dal deputato del Pd, Ettore Rosato: «Il progetto di Zaule è un progetto definitivamente morto anche perché secondo me, e non ho timore a dirlo apertamente, gli sloveni hanno interesse a realizzare un rigassificatore sul proprio territorio. In questo modo si spiega anche la loro strenua opposizione a Zaule e la localizzazione in Nord Adriatico approvata dall’Ue non ostacolerebbe questa possibilità». Riguardo alla nuova localizzazione il deputato del Movimento 5 stelle, Aris Prodani rileva che alcune voci prive comunque di qualsiasi ufficialità hanno affacciato l’ipotesi di Porto Nogaro del resto ben difficilmente realizzabile dal momento che si tratterebbe di dover preventivamente di dragare i fondali. Ma soprattutto ricorda la risposta a una sua specifica interrogazione data dal sottosegretario allo Sviluppo economico Claudio De Vincenti che ribadì che «non compete alle amministrazioni specificare i siti dove ubicare i terminali di rigassificazione». La parola dunque, almeno per quanto riguarda la proposta di nuova localizzazione, dovrebbe tornare ai privati. Ma l’unico progetto già ben sviluppato sulla carta è quello di Zaule e Gas Natural intende continuare a farlo valere dal momento che non ha rinunciato alla causa dinanzi al Tar del Lazio prevista per il 19 marzo allorché i giudici amministrativi dovranno pronunciarsi nel merito contro la sospensione dell’Aia già concessa nel 2009. La sospensione scade venerdì per cui in tempi brevi il governo potrebbe prorogarla, magari in attesa del giudizio del Tar, oppure revocarla definitivamente come hanno chiesto Comune e Provincia di Trieste con lettere inviate ai tre ministeri interessati.
Dal Piccolo del 15/10/13
«Rigassificatore in Alto Adriatico» La Ue fa sparire la parola Zaule
Tra i progetti energetici strategici che potranno essere cofinanziati dall’Unione europea ce n’è anche un secondo che interessa a Trieste e riguarda il potenziamento dell’oleodotto transalpino che quest’anno batterà tutti i record con 500 petroliere al terminal della Siot e 40 milioni di tonnellate di greggio pompate. In questo caso la proposta è venuta dalla Repubblica Ceca che nel dicembre scorso ha acquistato il 5% delle azioni della società che gestisce la pipeline. Per affrancarsi dalla dipendenza russa, i cechi vogliono aumentare i propri rifornimenti via Trieste. Per fare questo è necessario, tramite una serie di lavori dell’ammontare di svariati milioni di euro, aumentare la portata della pipeline con alcuni accorgimenti tecnici mirati a eliminare una serie di strozzature della condotta e a aumentare la potenza dei motori di pompaggio. (s.m.) di Silvio Maranzana Un rigassificatore on shore, quindi sulla costa, in Alto Adriatico, «la cui precisa collocazione sarà decisa dal governo italiano in accordo con quello sloveno». È la dizione precisa con cui ieri la Commissione europea ha inserito l’impianto, originariamente previsto a Zaule, nell’elenco dei 248 progetti prioritari per le connessioni energetiche. Vero è che la località di Zaule è definitivamente sparita, il che non era accaduto fino al primo passaggio a Bruxelles in sede tecnica, ma il fatto che ieri sia stata ribadita la collocazione on shore e che si citi la necessità di un accordo solo tra Roma e Lubiana ha immediatamente ricreato un clima di incertezza facendo oltretutto supporre che siano state fuorvianti tutte le illazioni emerse nelle ultime settimane e che parlavano dell’ipotesi di un rigassificatore più o meno al largo di Pola con il coinvolgimento anche della Croazia che invece non viene nemmeno previsto. La Commissione europea ha bocciato la soluzione offshore e teoricamente potrebbe anche aver rimesso ballo la soluzione Zaule non fosse che nello stesso elenco dei progetti prioritari è stato inserito, per essere potenziato (come riferiamo a parte), anche l’oleodotto della Siot, società che si è costituita in giudizio rispetto al ricorso al Tar di Gas Natural ritenendo incompatibile l’esistenza di un impianto a Zaule con la crescita, già cominciata, del traffico di petroliere. Ieri il ministero sloveno delle Infrastrutture ha ricordato che l’accordo raggiunto con Roma prevede che l’Italia possa determinare il sito del rigassificatore solo in accordo con la Slovenia che si è opposta a Zaule. La premier slovena Alenka Bratusek ha dichiarato che la decisione riguardo al sito per il rigassificatore dovrà essere presa sulla base dell’impatto ambientale e transfrontaliero. La questione potrebbe essere sufficientemente chiara se già fra tre giorni, il 18 ottobre, non scadesse la moratoria di sei mesi decisa dall’ex ministro Corrado Clini al provvedimento di compatibilità ambientale che già nel 2009 il governo italiano aveva emesso a favore di Gas Natural per il progetto di Zaule. Da giovedì la compatibilità ambientale riprenderà vigore. A questo proposito ieri gli assessori all’Ambiente Umberto Laureni e Vittorio Zollia hanno annunciato che sindaco e presidente della Provincia stanno per inviare una lettera ai ministri dell’Ambiente, dello Sviluppo economico e dei Beni culturali affinché l’autorizzazione di Via (Valutazione d’impatto ambientale) al rigassificatore di Zaule anziché rientrare in vigore venga definitivamente revocata. E per l’assessore regionale Sara Vito l’assenza del sito di Zaule premia la nuova amministrazione regionale da sempre contraria a quell’ubicazione. «È essenziale che siano rispettati i criteri di sicurezza e salvaguardia ambientale», ha sottolineato il parlamentare dei Popolari europei Antonio Cancian. Ma anche la causa al Tar di Gas Natural nel frattempo procede e appena il 19 marzo i giudici amministrativi del Lazio si pronunceranno nel merito. La battaglia dunque a Trieste dove ultimamente tutte le amministrazioni elettive e le associazioni ambientaliste, oltre all’Autorità portuale e alla maggior parte dei partiti e dei sindacati si sono detti contrari alla localizzazione di Zaule pare destinata a riprendere vigore. «Riteniamo che la stragrande maggioranza dei progetti energetici Ue d’interesse comune verrà realizzata nei prossimi anni», ha dichiarato ieri il commissario all’Energia Guenther Oettinger specificando che «nella lista adottata oggi ci sono solo quelli che riteniamo siano fattibili a breve in quanto sono stati concordati da tutti gli Stati membri e c’è quindi la certezza che i 28 sono interessati e coinvolti per la loro effettiva realizzazione». I finanziamenti europei saranno di 5,85 miliardi di euro fino alla fine del decennio. Fare parte della lista è condizione indispensabile per chiedere il cofinanziamento dei progetti. La lista sarà ora passata al vaglio formale del Parlamento e del Consiglio europei: fare emendamenti non è ammesso, l’approvazione viene data per scontata
Dal Piccolo del 10/10/13
«Dove il rigassificatore? Non decide Roma»
Dove, in quale località nel Nord Adriatico è prevista la realizzazione del terminale di rigassificazione incluso fra i progetti di interesse comune su cui lunedì prossimo la Commissione europea dovrà pronunciarsi definitivamente? A questa domanda, posta dal deputato triestino di M5S Aris Prodani anche alla luce della sospensione della Via decretata lo scorso aprile dal Ministero dell’Ambiente sull’ipotesi Zaule, il Ministero dello Sviluppo economico ha risposto. Ma solo riepilogando, in sintesi, lo stato delle cose. L’altro giorno, peraltro, è arrivata la notizia della cancellazione del sito di Zaule dall’elenco di possibili localizzazioni al vaglio di Bruxelles. Il Mise, per voce del sottosegretario Claudio De Vincenti, ha illustrato la risposta in commissione. Ricordando in primis come nella lista europea dei progetti energetici compaia quello «denominato come “rigassificatore in terraferma nel Nord Adriatico” proprio per tener conto di una sua possibile delocalizzazione nell’area del Nord Adriatico, come previsto dal decreto di sospensione della Via». «Tale circostanza – prosegue il ministero – sarà valutata dal Mattm (Ministero dell’ambiente e della tutela del territorio e del mare, ndr) alla scadenza del termine 18 ottobre fissato dal decreto». L’allora ministro Clini aveva infatti dato tempo sei mesi a Gas Natural per individuare una localizzazione alternativa per l’impianto o all’Autorità portuale per modificare il proprio Piano regolatore in modo da renderlo compatibile con il progetto del terminale. Al 18 ottobre, scadenza dei sei mesi, «verosimilmente – prosegue il documento ministeriale -, nessuna delle due ipotesi presenti nel Dm di sospensiva sarà realizzata». A quel punto il Ministero dell’Ambiente si pronuncerà, confermando o revocando la Via a suo tempo adottata. In caso di revoca, il Ministero dello Sviluppo economico rigetterà la domanda di autorizzazione alla costruzione dell’impianto. Inoltre, rileva il Mise, «non compete alle amministrazioni specificare i siti dove ubicare i terminali di rigassificazione», quanto invece pronunciarsi, rispetto alle istanze di autorizzazione presentate dai privati, «sulla base del rapporto ambientale e dei piani territoriali interessati». Tutt’altro che soddisfatto Prodani: «Mi aspettavo una risposta più puntuale e precisa – afferma il parlamentare grillino -, cioè definitiva su un sito da parte del governo. Considerata la contrarietà degli enti locali e dell’Autorità portuale, e quanto affermato da Viviane Reding (vicepresidente della Commissione europea, ndr) a Trieste». Quest’ultima aveva spiegato come l’Ue stia attendendo la pronuncia dell’Italia sulla nuova valutazione d’impatto ambientale. Prodani svela infine un altro motivo di insoddisfazione, emerso a margine della seduta in commissione durante la quale ha preso la parola De Vincenti: «Verbalmente mi è stato detto che per la data del 18 ottobre sicuramente non arriverà una risposta del governo. Ci vorrà più tempo… Pensavo che alla luce del Piano regolatore del porto fosse stata messa una pietra tombale sul rigassificatore, ma – conclude il deputato del MoVimento 5 Stelle – non sembra sia così». (m.u.)
Dal Piccolo del 09/10/13
Rigassificatore, la Commissione Ue cancella la collocazione di Zaule
di Silvio Maranzana Lunedì prossimo, il 14 ottobre, la Commissione europea darà il via libera alla realizzazione di un rigassificatore nell’Alto Adriatico, ma non sul sito di Zaule che è stato definitivamente cancellato. L’approvazione alla realizzazione di un impianto, presumibilmente offshore, ma del quale non si conosce ancora la collocazione precisa, avverrà nell’ambito dell’approvazione della lista dei 130 progetti prioritari di interesse comune in ambito energetico che ha già passato il vaglio del Comitato tecnico dell’Ue nella seduta del 24 luglio. Successivamente, tra fine ottobre e inizio novembre, il Parlamento e il Consiglio europeo si pronunceranno su questo elenco delle priorità semplicemente con un sì (o meno probabilmente con un no), ma senza che sia previsto un dibattito e senza la possibilità di presentare emendamenti. Le notizie fresche arrivano dal parlamentare europeo veneto Antonio Cancian dei Popolari europei ieri al lavoro nel suo ufficio di Strasburgo. Nella lista passata l’estate scorsa al vaglio tecnico era inserito un impianto connotato in questo modo: «rigassificatore a Zaule o in altra località dell’Alto Adriatico». «Ora però – riferisce Cancian – la località Zaule è definitivamente scomparsa e si cita soltanto in modo generico l’Alto Adriatico». Era stata la Slovenia a presentare opposizione alla collocazione di Zaule (contro la quale hanno preso posizione contraria anche tutte le amministrazioni elettive regionali e triestine interessate oltre all’Autorità portuale e alle associazioni ambientaliste) minacciando il voto contrario che avrebbe fatto saltare l’intera lista dal momento che è necessario l’assenso di tutti i Paesi dell’Ue. La Commissione ha allora demandato agli Stati nazionali il compito di accordarsi e il 12 settembre nella Trilaterale a Venezia i capi di Governo di Italia, Slovenia e Croazia hanno convenuto di costituire un gruppo di lavoro per i progetti infrastrutturali. In un incontro successivo, Italia e Slovenia avrebbero nuovamente dibattuto la questione e sarebbero giunte a un accordo che prevederebbe la collocazione dell’impianto a una distanza minima di 16 km. dalle acque territoriali slovene. Già a luglio il ministro dell’Ambiente sloveno si sarebbe detto pronto a favorire il sì politico del suo Paese a patto che il rigassificatore “scivoli” verso Venezia. Erano circolate ufficiosamente anche due date: il 20 settembre come termine ultimo dato a Roma e Lubiana per accordarsi e il 2 ottobre per notificare l’accordo raggiunto agli altri Stati membri. Tutto ciò evidentemente sarebbe già avvenuto e qualche giorno fa la notizia dell’accordo raggiunto è stata pubblicata dal quotidiano on line sloveno Finance. Voci insistenti parlerebbero di una collocazione al largo di Pola evidentemente con il coinvolgimento anche della Croazia. La questione Zaule però potrebbe non essere definitivamente risolta. Il 18 ottobre cioé venerdì prossimo scadono infatti i sei mesi di moratoria decisi dall’ex ministro Clini sul provvedimento di compatibilità ambientale dato già nel 2009 dal Governo italiano al progetto della società catalana Gas Natural che contro questa sospensione ha fatto ricorso sul quale il Tar si pronuncerà nel merito appena il 19 marzo 2014. «In caso di mancata realizzazione dell’impianto il Governo italiano potrebbe dover pagare penali enormi a Gas Natural», commenta l’assessore comunale all’Ambiente Umberto Laureni che al pari del suo collega della Provincia, Vittorio Zollia, nelle ultime settimane sul rigassificatore non ha ricevuto alcuna comunicazione né da Roma né da Bruxelles. L’impianto di Zaule deve essere cassato ufficialmente dopodiché spetterà evidentemente al Governo italiano e a Gas Natural trattare per il divorzio o per il nuovo progetto.
Marzo 17th, 2017 — Eco-catastrofi, General
Marzo 17th, 2017 — General, Repressione diffusa
Il giornalista, oltre a dover come sempre fare il nome di qualche leader, sbaglia pure una data in quanto il processo per la manifestazione contro moretti parte il 20 giugno.
Dal Piccolo del 10/10/13
“Occupy” e No Tav, in 20 a giudizio
A giudizio Luca Tornatore e altri 19 aderenti al movimento “Occupy” per l’assalto alla sede dell’ex Banco di Napoli e per la manifestazione No Tav non autorizzata nel giorno dell’arrivo a Trieste dell’amministratore delegato delle Ferrovie Mauro Moretti. Lo ha decretato con la formula della citazione diretta il pm Federico Frezza in due distinti provvedimenti. Le udienze sono state fissate per il 21 luglio dal giudice Marco Casavecchia e per il 28 febbraio davanti al giudice Massimo Tomassini. L’assalto all’ex sede del Banco di Napoli porta la data del 9 novembre del 2011. Il corteo era partito regolarmente da piazza Oberdan attorno alle 16.30. Tutto previsto, sia annunciato sui social network che comunicato in Questura. Gli Occupy avevano seguito via Ghega e via Roma fino a corso Italia. Lì c’era stato un improvviso cambio di percorso. Apparentemente un fuori programma, in realtà previsto: già ben prima delle 16.30 un gruppo di una ventina di ragazzi aveva preso possesso dei locali dell’ex Banco di Napoli di corso Italia dopo aver segato catene e rotto lucchetti. Attorno all’edificio si erano schierati una trentina di agenti anti-sommossa. Poi si erano verificati gli scontri nei quali erano rimasti feriti quattro poliziotti. A Luca Tornatore viene contestato assieme ad altri 16 aderenti al movimento di avere organizzato il corteo che il 29 febbraio 2012 aveva seguito, o meglio “inseguito”, dal Municipio al museo Revoltella l’amministratore delegato di Ferrovie italiane Mauro Moretti. Una manifestazione tragicomica con qualche decina di attivisti No Tav che erano riusciti a mettere sotto scacco polizia, carabinieri e vigili urbani, costringendo beffardamente gli uomini in divisa a un lungo girotondo attorno al museo in cui stavano “assediati” Mauro Moretti, il sindaco Roberto Cosolini e l’allora assessore regionale ai trasporti Riccardo Riccardi. «Non vogliamo l’isolamento ferroviario di Trieste, sosteniamo che esiste un collegamento tra la truffa della Tav e il depotenziamento drastico della linee locali dedicate ai pendolari». Nel corso delle indagini Tornatore era stato perquisito all’interno dell’Osservatorio astronomico dove lavora come ricercatore universitario. Al suo posto di lavoro si erano presentati gli agenti della Digos e della Polizia postale. Gli agenti avevano clonato il disco rigido della memoria del computer che appartiene al ricercatore per poterlo leggere. (c.b.)
Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
dalla tenda per la pace e i diritti
Un giovane che era trattenuto al CIE di Gradisca d’Isonzo si trova ora recluso nel carcere di Gorizia; su di lui le imputazioni di danneggiamento, oltraggio a pubblico ufficiale e minacce.
I fatti che gli vengono contestati si riferiscono al 21 settembre giorno in cui i reclusi del CIE hanno, per la quinta volta dall’inizio delle proteste di agosto, rotto la rete che chiude le gabbie dall’alto, per raggiungere il tetto.
Il danneggiamento che lo ha portato in carcere è proprio quello della rete, che ricordiamo è stata montata non più di 10 mesi fa, la stessa rete che ha colpito e impressionato chi ha visitato il CIE nell’ultimo periodo dai consiglieri regionali, ai parlamentari, fino al senatore Manconi.
Quella che non permette più nemmeno guardare il cielo, quella che rende lo spazio che gestori, Prefettura e Questura chiamano “vasche”, delle gabbie e basta.
Tra pochi giorni, il 15 ottobre, ricorre il primo anniversario dell’arresto di tre persone che al CIE di Crotone erano state accusate di devastazione e resistenza aggravata per aver divelto, durante una rivolta, strutture di costrizione per raggiungere il tetto e da lì aver dato via ad una “battaglia”, durata quasi una settimana, con lancio di vari materiali staccati dalla struttura stessa.
Da quella accusa i tre erano stati assolti dal giudice del Tribunale di Crotone che aveva riconosciuto come la loro fosse stata una forma di resistenza e di difesa personale per la condizione di ingiusta compressione della libertà e dei diritti fondamentali. Nella sentenza che li ha assolti è stato inoltre sottolineato come, secondo la direttiva europea 115 del 2008, il ricorso alla detenzione amministrativa debba essere attuata in “estrema ratio”.
Dice un passaggio della sentenza:
“Né può ritenersi che gli imputati avrebbero potuto porre in essere forme di protesta passiva, come, ad esempio, lo sciopero della fame, dato che uno Stato laico di diritto non si può sostituire ad una scelta di valori (quali quelli da porre in conflitto rispetto alla condotta aggressiva subita) che compete esclusivamente all’agente. Si deve inoltre tenere in debita considerazione l’idea – che costituisce cultura dominante e che è stata ribadita all’odierna udienza dal rappresentante della Pubblica Accusa nella sua requisitoria – secondo cui il trattenimento presso un centro di identificazione è previsto dalla legge, per cui gli apparati burocratici (prefetture, questure, giudici di pace, altre magistrature, etc.), non possono fare altro che applicare la legge vigente. Nel caso specifico, tale idea avrebbe reso pressoché inutile ogni altra istanza orale o scritta alle autorità competenti: tant’è che gli imputati hanno riferito di aver provato a rivolgere richieste, senza sortire alcun effetto (“come acqua nella sabbia”).”
Come appare chiaro che l’azione di togliere una rete durante una rivolta non è certo atto di un’unica persona, così pare che l’arresto avvenuto al CIE di Gradisca d’Isonzo sia stata un’azione punitiva che vuol essere monito per gli altri. Se poi la persona in questione era in contatto con Tenda per la Pace e i Diritti e si faceva portavoce delle istanze di altri e faceva “uscire” quanto accadeva all’interno, la luce su quanto accaduto si fa ancora più fosca.
Da mesi i reclusi del CIE di Gradisca stanno portando all’attenzione pubblica la disumanità del luogo e la situazione di negazione dei diritti, ma nonostante molte prese di posizione netta per la sua chiusura, non da ultima la Regione FVG che si è espressa con una mozione pochi giorni fa, le loro richieste non hanno sortito effetto, anzi la situazione all’interno del CIE è peggiorata da quando è stata aggiunta una nuova rete anche al corridoio centrale che conduce alle gabbie e da giorni, i trattenuti possono raggiungere l’atrio interno, l’infermeria e gli uffici uscendo solo uno alla volta scortati da due poliziotti.
Qui di seguito l’intera sentenza del Tribunale di Crotone, per ricordare che ribellarsi all’ingiusta detenzione è legittima difesa!
http://www.meltingpot.org/Sentenza-del-Tribunale-di-Crotone-n-1410-del-12-dicembre.html#.Uk7VO6dH6P8
Marzo 17th, 2017 — Carbone, General
da Il Piccolo dell’11 ottobre 2013
Pagina 1 – Gorizia-Monfalcone
Rapporto-choc sulla centrale nascosto dal 2001
Spunta uno studio-choc sulla centrale, del 2001, che evidenza i rischi per la salute dall’utilizzo del carbone. Ma nessuno finora lo aveva divulgato GARAU a pagina 24.
Pagina 24 – Gorizia-Monfalcone
Centrale dei veleni: studio “dimenticato”
“Ignorato” dal Comune un documento di Enel del 2001 che rilevava sul territorio metalli pesanti con possibili rischi per la salute
Arsenico e cadmio al limite delle concentrazioni naturali, berillio, anche se basso, che contribuisce ad aumentare l’incidenza del tumore ai polmoni, cromo con “alterazione media” in molte aree e “alterazione massima” nella zona urbana di Monfalcone, anche questo agente tumorale, piombo con “alterazione alta” concentrato maggiormente a Monfalcone Nord e Nord-Ovest, Jamiano e Doberdò. Ci sono anche vanadio, alterazione “media diffusa”, metallo tossico, mercurio con “alterazione medio-alta” e “molto alta” nel settore nord occidentale, Jamiano e Doberdò. Una lista di metalli pesanti che fa impressione quelli elencati nello studio di “bioaccumulo lichenico” commissionato dall’Enel che aveva incaricato un’azienda specializzata, la Strategie ambientali di Roma, di realizzare e gestire una rete di biomonitoraggio del territorio circostante la centrale elettrica di Monfalcone. Lo studio risale al 1999, l’Enel che gestiva l’impianto a carbone lo aveva realizzato come prevedevano le prescrizioni di allora, le attività di biomonitoraggio sono iniziate nel 1999 e ci sono state ben tre campagne (1999, 2000 e 2001). Nel febbraio 2001 l’Enel ha depositato gli elaborati al Comune di Monfalcone. Torniamo al 2013, era il luglio scorso, e i ricercatori dell’Università di Trieste incaricati (un mese prima) dall’imprenditore della Sbe Alessandro Vescovini di fare una ricerca identica per verificare la contaminazione dei metalli pesanti sul territorio, quando hanno “tirato fuori” questo studio, tra le 12mila pagine di materiale presente in Comune (analisi, dati tecnici, procedure autorizzative utili per una storiografia) sono sobbalzati. Era stato già fatto uno studio, i risultati erano stati depositati in Comune, ma a quanto sembra erano solo in pochi a saperlo. Ed ecco sorgere il problema. E a sollevarlo è lo stesso Vescovini: «Stranamente di questo studio non si fa alcuna menzione nell’Aia (autorizzazione integrata ambientale) del 2001 per la stessa centrale, ma nemmeno in quella del 2009 al contrario assai prolissa di informazioni inerenti gli innoqui NoX e SoX». Vescovini ha chiesto che comunque vada avanti lo studio dell’Università (i risultati sono annunciati fra un mese), ma ieri la scoperta ha scatenato un polverone sui social network, in particolare Facebook e ha sollevato domande pesanti. «Ma perchè questi documenti sono rimasti a dormire in Comune fino a oggi?». Ma soprattutto perchè nessuno ne ha mai parlato? Analisi, fatte nel 2001 (tra i protagonisti il professor Nimis del Dipartimento di Biologia vegetale della stessa Università di Trieste) che spiegano come tutte queste sostanze, ovvero questi metalli, lo ribadisce Vescovini: «Sono contenuti nel carbone» e sono stati sparsi nell’aria dopo essere usciti con il fumo dal camino della centrale e sono “ricaduti” sul territorio, concentrandosi in alcune zone piuttosto che altre, finendo nell’acqua, sulle piante, ma anche sulle verdure e la frutta degli orti, dal mare fino al Carso. Qualcuno probabilmente lo sapeva, per questo ricorda Vescovini «nel 2003, e forse non è stato un caso, furono prelevati campioni di sangue alla popolazione alla ricerca di una fantomatica contaminazione da selenio e nel 2004, grazie alla giunta Illy, venne firmato il famoso protocollo con Endesa. Ma poi le carte sono state dimenticate in un cassetto…». Una quadro, considerati gli anni di esercizio della centrale a carbone e che ora A2A si propone di ristrutturare, che getta ombre inquietanti sui possibili rischi per la salute della cittadinanza sui quali continua a non esserci chiarezza. Un fatto gravissimo soprattutto a Monfalcone città colpita dalla tragedia dell’amianto e dalle patologie legate all’asbestosi, che sembra circondata da una maledizione. Non bastava l’amianto, anche i possibili rischi della centrale a carbone. E ciò che preoccupa è che i rischi di malattia, secondo gli studiosi, si moltiplicano. Sono gli stessi ricercatori dell’Università di Trieste ad averlo evidenziato: nel caso di una persona ammalata di asbestosi il rischio che sorga il tumore, in un ambiente normale, è circa del 9%. Ma nel caso viva in una zona inquinata il rischio sale al 50%.
Persi: non ricordo. Pizzolitto: mai visto
I due sindaci allora in carica a scavalco nel 2001 non sanno spiegare che fine aveva fatto il dossier
Adriano Persi ricorda appena che a quei tempi era in ballo uno studio realizzato sfruttando la capacità bioaccumulatrice di sostanze inquinanti dei licheni. Ma la memoria poi non lo soccorre, a distanza di oltre dieci anni. «Certamente – ha spiegato Persi – l’allora assessore Corrado Altran potrebbe saperne di più». E Gianfranco Pizzolitto, da parte sua, andando a scavare nella memoria, ha argomentato: «Di quello studio non ne ero a conoscenza. Se così fosse stato, avrei quantomeno avvisato chi di dovere, non sarei certo stato a guardare». Insomma, quell’indagine in merito ai metalli pesanti presenti nel territorio monfalconese, commissionata da Enel allora gestore dell’impianto a carbone, e depositata in Comune nel febbraio 2001, non sembra aver lasciato traccia tra i sindaci di allora. Eppure il “dossier” in questione proviene proprio dagli archivi dell’ente locale. Ieri negli uffici erano in corso le verifiche di ricerca di quello studio. Tra il 1999 e il 2001, durante il quale fu eseguito il monitoraggio, la città visse la fase di “passaggio delle consegne” del centrosinistra che nel maggio del 2001 vide l’insediamento di Pizzolitto, ad ereditare l’amministrazione guidata da Persi. E Persi, che nel febbraio di quell’anno era ancora in carica, è rimasto sul vago: «Al momento, purtroppo, non sono in grado di ricostruire quel periodo e quindi il percorso e l’esito dello studio. Ricordo solo che si trattava di un’indagine basata sull’utilizzo dei licheni, in grado di rilevare i metalli pesanti». Persi ha aggiunto: «Il problema della centrale, comunque, era ben presente, tanto che seguì la fase relativa all’installazione in città del gas metano, e sappiamo tutti come finì quel progetto, bocciato da un referendum popolare». Pizzolitto, da parte sua, subentrando nel maggio di quell’anno ribadisce di non saperne nulla: «Quello studio – ha spiegato – sul mio tavolo quand’ero sindaco non è mai arrivato. Diversamente, qualora vi fossero stati elementi gravi ed evidenti, avrei non solo resi pubblici i dati emersi, ma avrei anche provveduto a convocare una conferenza dei servizi. Del resto – ha aggiunto – come sarebbe stato possibile un errore del genere, un gesto di irresponsabilità e di insensibilità? No, non è proprio possibile. Purtroppo, quella questione non appartiene al periodo della mia amministrazione. È peraltro plausibile, visto che ero subentrato a ricerca eseguita. Ero, infatti, diventato sindaco nel maggio del 2001 e il documento non mi è mai stato presentato, nè l’ho mai visto». Pizzolitto ha poi osservato: «Per quanto mi riguarda, avevamo comunque fatto eseguire interventi di rilevamento da parte dell’Arpa. Con l’allora Endesa avevamo anche cercato di mettere in piedi un monitoraggio capillare, ma allora la Provincia non ritenne sensato avviare un progetto assieme alla proprietà della centrale».
Azione legale contro la Via di 12 anni fa
È stata una riunione decisamente lunga e articolata. Finchè, ad un certo punto, s’è anche fatto riferimento ad una sorta di «riserva di adire alle vie legali per invalidare la Via dell’epoca». C’erano un po’ tutti, ieri in Commissione provinciale ambiente, era presente anche l’Associazione del Rione Enel, con il suo presidente, il vice e altri due componenti del direttivo. E quando Alessandro Vescovini ha snocciolato tutti i dati contenuti nello studio sui metalli pesanti assegnato da Enel a un’azienda specializzata tra il 1999 e il 2001, studio scoperto dai ricercatori ai quali l’imprenditore monfalconese ha commissionato un’indagine sulla centrale termoelettrica, la sorpresa è stata generale. Chi era a conoscenza di quello studio presentato nel febbraio del 2001 in Comune? Era mai stato reso pubblico? E cosa poteva significare allora, anche ai fini delle normative vigenti all’epoca? Certo è che gli interrogativi si sono susseguiti, di fronte all’incalzare delle informazioni fornite da Vescovini. Sono risuonate parole come piombo, mercurio, vanadio, cromo, berillio, con tanto di “quantificazioni” tracciate sull’intero territorio, da Monfalcone fino a Doberdò e Iamiano. Metalli tossici, agenti tumorali. Il consigliere provinciale Fabio Del Bello ha presentato uno specifico ordine del giorno, per approfondire tutta la questione. Fino a prospettare l’ipotesi di questa sorta di azione legale “retroattiva”.
Cisint: «L’Aia va sospesa o revocata»
Ha sortito un effetto-bomba lo studio “dimenticato” del 2001 commissionato da Enel che indicava un gravissimo inquinamento ambientale provocato dalla centrale sul territorio. La capogruppo di “Cambiamo” Anna Cisint ha inviato un’immediata interrogazione al sindaco, cui confida di ottenere risposta nel Consiglio del 17 ottobre, cui chiede tra l’altro «di provvedere subito a far sospendere o revocare l’Aia nel caso in cui fosse stata ottenuta senza una valutazione dei risultati dell’indagine». Inoltre chiede di verificare i possibili riflessi penali che una tale “dimenticanza” può determinare. Cisint domanda inoltre «come mai tali argomenti non siano mai stati affrontati in Consiglio nei numerosi dibattiti sul tema della centrale» e se sia stato verificato «se il ministero competente nel concedere l’Aia abbia valutato gli impatti sulla salute di cui parla che lo studio dell’Enel».
La Giunta di San Canzian intanto non si oppone al tutto carbone.
Non passa il no al progetto tutto carbone di A2A
Da Il Piccolo del 3 ottobre 2013
SAN CANZIAN D’ISONZO Mentre anche a Monfalcone il Pd si è espresso in modo chiaro contro l’utilizzo del carbone nel futuro della centrale termoelettrica, a San Canzian una presa di posizione analoga è mancata. A sottolinearlo è il gruppo di minoranza Centrosinistra per San Canzian futura che sul tema aveva presentato un ordine del giorno, bocciato dalla maggioranza nell’ultima seduta del Consiglio comunale. «Ci è stato detto che il documento era pretestuoso – afferma la capogruppo Viviana Businelli -, anche se quello che chiedevamo era soprattutto di portare in Città mandamento la questione, che non riguarda solo Monfalcone, visto il raggio di dispersione degli inquinanti che è di almeno 12 chilometri». Vero è che il documento puntava anche a impegnare il sindaco Silvia Caruso a «esprimersi nelle sedi competenti contro ogni ipotesi di utilizzo del carbone, anche di quello cosiddetto pulito, che non esiste, all’interno della centrale». Un’affermazione in linea, rileva il gruppo di minoranza, con quanto contenuto nel programma della presidente della Regione Debora Serracchiani. A fronte di «un inquinamento che non ha confini», il gruppo di minoranza riteneva quindi che Città mandamento avrebbe potuto affrontare il tema in modo più incisivo e che «un maggior coinvolgimento e una visione unitaria di tutti gli enti locali della Bisiacaria potrebbe dare maggior forza alle posizioni comunemente individuate». Nell’ultima seduta del Consiglio la maggioranza ha bocciato anche la mozione di Centrosinistra per San Canzian futura che chiedeva la rinuncia dell’aspettativa da parte del sindaco, con conseguente, secondo il gruppo, recupero di fondi e la riduzione del 10% sui gettoni di presenza e sulle indennità degli assessori. «Indubbiamente non si risolvono così le difficoltà finanziarie dell’ente – afferma la capogruppo -, però volevamo dare un segnale a quei cittadini che si trovano senza lavoro e magari creare un fondo per le emergenze economiche delle persone in difficoltà. Da parte della maggioranza c’è stata una chiusura totale non solo sull’aspettativa, ma anche sulla riduzione». Con il resto della minoranza in questo caso ha votato anche Rossella Buttaro del Centrodestra.
Marzo 17th, 2017 — General, Nucleare
da Il Piccolo del 13 ottobre 2013
Scoperta avaria alla centrale nucleare di Krsko
Non ci sarebbero state contaminazioni. L’impianto sloveno, a 100 km da Trieste, è fermo dal primo ottobre per lavori di manutenzione
Avaria alla centrale nucleare slovena di Krsko. È emersa durante le operazioni di manutenzione dell’impianto connesse all’esame delle condizioni di tre elementi del combustibile nucleare della centrale. Gli esperti – secondo quanto è stato diffuso questa sera dall’emittente televisiva Telecapodistria – hanno rinvenuto guasti meccanici alle barre radioattive della cui esistenza sospettavano già da tre mesi durante le regolari misurazioni che avevano effettuato per controllarne la stabilità atomica. L’inconveniente non ha causato la fuoriuscita di materiale radioattivo dal ciclo secondario della centrale e, da questo, nell’ambiente. La centrale di Krsko è ferma dal primo ottobre per lavori di manutenzione straordinaria che dureranno tutto il mese, cioè il tempo necessario per revisionare l’intero impianto e il suo sistema di sicurezza. Il costo degli interventi – hanno precisato i responsabili – si aggira sui 30 milioni di euro. Ai lavori vi partecipano i 620 dipendenti della centrale nucleare e i 1.500 tecnici esterni specializzati.
Pagina 10 – Attualità
LA SLOVENIA SMORZA L’allarme
Danni superiori al previsto nella centrale di Krsko
Problemi inaspettati o maggiori del previsto, ma nessun pericolo né per l’impianto, né per l’ambiente e la popolazione che vive attorno alla centrale. Malgrado le rassicurazioni, ha comunque fatto preoccupare molti, tra Lubiana e Zagabria, l’annuncio dato ieri dalla direzione della centrale nucleare slovena di Krsko – inattiva da inizio ottobre per lavori di manutenzione programmata – dell’individuazione di «danni» di natura meccanica a tre elementi di combustibile del reattore. In una nota, la Nuklearna Elektrarna Krsko ha specificato che la scoperta è avvenuta «nell’ambito delle operazioni pianificate di manutenzione» all’impianto. Dopo «l’ispezione degli elementi combustibili» rimossi dal reattore, 121 in totale, sono stati accertati «danni di natura meccanica» alle «barre di combustibile di tre» di essi, ha specificato il comunicato. Comunicato che ha inoltre aggiunto che «le cause» del danno «possono essere differenti» e che «al momento sono in corso verifiche con ultrasuoni» sugli elementi in questione per individuare la ragione del danneggiamento e per evitare simili problemi in futuro. Problemi che, ha specificato Rtv, la tv pubblica slovena in un articolo online significativamente intitolato «riparazioni minori necessarie a Krsko», erano stati evidenziati già «nei mesi scorsi» da alcuni tecnici dell’impianto, che avevano «notato una specifica attività delle particelle radioattive nel liquido di raffreddamento», ma dato che «le particelle erano molto al di sotto dei livelli permessi», le verifiche erano state rinviate fino al «checkup programmato». In ogni caso, ha informato l’agenzia di stampa croata Hina, il numero uno della centrale, Stane Rozman, ha assicurato che da una parte i danni rilevati sono stati superiori al previsto, ma al tempo stesso che non ci sono motivi di allarme, non essendo state registrate fughe radioattive né all’interno della centrale, né all’esterno. Rozman ha aggiunto che i test e le verifiche strutturali all’impianto continueranno fino alla scoperta delle cause specifiche del danno e che il periodo di manutenzione pianificata, che doveva durare 35 giorni, potrebbe essere leggermente prolungato. Centrale che, ricordiamo, dal primo ottobre è stata spenta per permettere di revisionare l’impianto e i suoi sistemi di sicurezza, di sostituire gli elementi di combustibile esauriti, 56 su 121 per la precisione, il ricambio del combustibile e l’ispezione completa di tutti gli impianti meccanici ed elettrici, questi ultimi da potenziare. Ai lavori, che costeranno circa 30 milioni di euro, stanno partecipando i 620 dipendenti di Krsko, centrale in funzione da trent’anni che produce quasi il 40% dell’energia elettrica in Slovenia, insieme a 1.500 tecnici esterni specializzati.
da Il Piccolo del 1 ottobre 2013
Manutenzione straordinaria: stop di un mese alla centrale di Krsko
L’impianto nucleare sloveno verrà riacceso il 5 novembre. In questi 35 giorni in programma importanti lavori di revisione e di messa a punto del sistema di sicurezza
Nuovo stop per la centrale nucleare slovena di Krsko. È stata spenta per lavori di manutenzione già programmati e rimarrà inattiva per poco più di un mese il tempo necessario cioè per revisionare l’intero impianto e il suo sistema di sicurezza.
Il fermo è in atto dalla notte scorsa e il reattore verrà riacceso il 5 di novembre. In questi 35 giorni – assicura la direzione dell’impianto – verranno effettuate tutte le operazioni di revisione e manutenzione in particolare sul sistema di sicurezza. Verranno anche sostituite le barre di uranio esaurite, 56 delle complessive 121 e si procederà al ricambio del combustibile, alla revisione degli impianti meccanici, dei sistemi elettrici e di tutte le componenti che costituiscono la struttura della centrale.
«Apporteremo migliorie al sistema di misurazione della temperatura, ammoderneremo l’impianto di aerazione e cambieremo uno dei convertitori di energia potenziando la funzionalità dell’impianto elettrico» ha confermato il direttore della centrale Stane Rozman. Con questo intervento ordinario si chiude un ciclo decennale di revisione della centrale nucleare. Il costo degli interventi si aggira sui 30 milioni di euro. Ai lavori vi partecipano i 620 dipendenti della centrale nucleare e i 1.500 tecnici esterni specializzati. Nell’ultimo ciclo di combustibile, Krsko ha prodotto otto milioni di megawattore di corrente elettrica, quasi il 40 per cento del fabbisogno nazionale. La centrale slovena, che dista da Trieste 140 chilometri, è in funzione da 30 anni.
da AGI
Nucleare: ferma per un mese centrale slovena Krsko
22:12 01 OTT 2013
(AGI) – Trieste, 1 ott. – Nuovo stop per la centrale nucleare slovena di Krsko. E’ stata spenta per lavori di manutenzione gia’ programmati e rimarra’ inattiva per poco piu’ di un mese il tempo necessario cioe’ per revisionare l’intero impianto e il suo sistema di sicurezza. Il fermo e’ in atto dalla notte scorsa e il reattore verra’ riacceso il 5 di novembre. In questi 35 giorni – assicura la direzione dell’impianto – verranno effettuate tutte le operazioni di revisione e manutenzione in particolare sul sistema di sicurezza. Verranno anche sostituite le barre di uranio esaurite, 56 delle complessive 121 e si procedera’ al ricambio del combustibile, alla revisione degli impianti meccanici, dei sistemi elettrici e di tutte le componenti che costituiscono la struttura della centrale. .
Marzo 17th, 2017 — General, Varie
Intanto le parole.
Da un po’ di tempo in qua la crew Futuragra sostituisce la M di OGM con l’aggettivo Migliorati.
Questo perchè la campagna di sfondamento ogm sì, a partire dal Friuli prevede il pensopositivo per il Mon 810 ed il peste fame et cancro per tutti gli altri mais, soprattutto quelli da coltivazioni biologiche.
Perciò prima della mietitura miracolosa il giornale locale pubblica un articolo con questo titolo: “Tumori all’esofago: ‘imputata’ la polenta”, lo direbbe una ricerca la quale ci spiega in sintesi che chi di mais si nutre, di tumore muore, a meno che quel mais non sia quello di cui sopra.
Ma prima ancora si sono pubblicati altri spot in cui più o meno si dichiarava che “C’è vita sul mais gm”, piante rigogliose brulicanti di biodiversità, pannocchie belle, brave, buone rispetto alle altre brutte sporche e cattive…. Pannocchie che nessun altro parassita, …diabrotica, afidi, nottua… che la troppa pioggia, il troppo secco, le erbacce,… nuje. Un miracùl!! Un vero miracolo se si pensa che il costrutto è “migliorato” solo per far morire la piralide-
Piralide: “farfalla che infesta le coltivazioni di mais tradizionale e genera micotossine estremamente tossiche per l’uomo” (MV 12.10.13).
Si sa che i giornali sono dei divulgatori scientifici molto pasticcioni, ma “la piralide che genera micotossine” è proprio una citazione, ed è del professore incaricato di svolgere le analisi sulle colture in questione. Chissà se le “genera”, per via orale o anale o via ovidutto o attraverso un apposito canale micotossinogeno…. No, perchè detto e scritto così, sembra che le micotossine le fa la piralide; perciò: no piralide, no micotossine.
Non è così purtroppo, le micotossine sono collegate sì alla piralide ma non solo e non solo sul mais… e la scienza lo sa; ma questa scienza non lo dice, anzi.
I nostri nonni e nonne grandi mangiator* di polenta -che non avevano altro-, avrebbero dovuto morire tutti di quel brutto male; non ci pare, ci pare che ne capiti più alla generazione successiva che di polenta ne mangia assai poca… vai a sapere… che della famosa ricerca non è dato conoscere autore, pubblicazione, revisione, protocolli sperimentali, procedure ecc.
Con le ricerche è così, difficile capire chi la spunta; i topi di Seralini nutriti ad ogm e deformati da tumori di ogni tipo o i poveri pordenonesi ed in subordine tutti gli altri mangiatori di polenta.
“La scienza ci dà ragione” canta di gallo Dalla Libera; non ne avevamo dubbi; fintantochè le rilevazioni vengono fatte da persone sostenitrici del biotech in agricoltura.
Magnifici anche i servizi del tg3 regionale brillanti per mancanza di contradditorio, in particolare quello di ieri.
Quello di oggi invece ci ha mostrato il mais colorato dai no global, nel campo sbagliato, che il mais a vederlo è tutto uguale, anzi, quando noi abbiamo visto quello di Fidenato, ci è sembrato pure più brutto di quello normale perchè già in prima fila c’erano tre piante con il carbone; non dimentichiamo che anche quella dopotutto è vita!
Fidenato ha trebbiato, pare, qualche tempo fa; Dalla Libera oggi, come illustrato dal suddetto tg.
Dalla Libera aveva ricevuto un‘ordinanza della Direzione regionale risorse agricole e forestali che gli poneva il limite per la trebbiatura entro il 10 ottobre. Oggi siamo il 12.
Poi si raccomandavano altre cose tipo le operazioni di trebbiatura che devono limitare al minimo la caduta di cariossidi e di granella al suolo, e poi le macchine utilizzate che devono essere “assoggettate a diligente svuotamento e pulizia in modo da assicurare l’eliminazione di ogni residuo di prodotto ogm…” , poi il trasporto che deve avvenire “con l’utilizzo di mezzi stagni” ed il divieto di spigolatura e viavanti per evitare il granello clandestino che altrimenti in primavera bisogna diserbare tutto.
Insomma una serie di ordini che la regione ha emesso per non voler dire di no, in forma di sì condizionato di cui la prima condizione è già stata bellamente disattesa.
Parole quindi, anche quelle dell’ordinanza, ma con una premessa che è l’acquasanta generatrice di questo e di tutti i miracoli a venire: “…la messa in coltura di varietà di mais Mon810…. non può essere assoggettata ad una procedura nazionale di autorizzazione…”
Piace vincere facile?
Marzo 17th, 2017 — General, Studenti
Udine martedì 15 ottobre ore 15.00 assemblea studenti in Piazza Libertà

Marzo 17th, 2017 — General, Storia ed attualità
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Un bel colpo messo a segno!
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Troppo facile fare solo commemorazioni “fuori casa” senza aggancio con la realtà e le sue contraddizioni e senza disturbare gli equilibri politici, generali e, soprattutto, locali. Il Manzìn ha trovato ora, in loco, un riferimento irriducibile dove depositare la sua eredità ideale e politica. Staremo a vedere se prevarrà ancora il miserabile opportunismo di Pietro Del Frate, sindaco ex comunista (sostenuto da lega e udc), al terzo mandato, che ha dedicato la “casa del mutilato” ad un ex segretario dell’ MSI e trema solo all’idea di dover trattare la questione del Manzin a San Giorgio di Nogaro.
Paolo De Toni
San Giorgio di Nogaro 15 ottobre 2013
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