Cosa diranno a questo proposito Berluskoni, Maroni, Bersani, Fassino, nonché Grillo e Napolitano …
Onda Resistente
Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
Cosa diranno a questo proposito Berluskoni, Maroni, Bersani, Fassino, nonché Grillo e Napolitano …
Marzo 17th, 2017 — Dibattiti, General
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Conferenza-Dibattito
Un anno di lotte del Movimento Studentesco / Universitario in Gran Bretagna.
Ne parliamo con un testimone
No ifs, No buts, no educations cuts
Senza se, senza ma, no ai tagli all’educazione
Udine Venerdì 8 luglio ore 21.00
Bar ex- Cantuccio
Organizzano:
CSA Via Scalo Nuovo in esili www.csascalonuovo.noblogs.org
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Marzo 17th, 2017 — General, Gruppo Ecologia Sociale
Teepee in tal parco. Fieste dai indiâns 2011.
San Giorgio di Nogaro Parco Comunale ex Canciani (sotto il cavalcavia)
venerdì 22 luglio, sabato 23 luglio, domenica 24 luglio.
Musica, stands, proiezioni, dibattiti .. e dut ze cal covente par fa fieste.
Ajar, aghe, tiare e fôc… lis fuarzis de nature cuintri il podè dal Stât e dal Capitalisim.
Organizazion: “chei di simpri”. Since 1992, against “Colombiadi”. Do you remember?
One does not sell the earth upon which the people walk.
Tashunka Witko ‘Crazy Horse’
Locandina dell’iniziativa———————————————————————————————————————-
Commento.
Un articolo politicamente cazzuto però l’analisi sociologica sul destino della valle pare azzeccata
Il corteo: c’erano anche molti bambini fra i manifestanti che hanno sfilato domenica mattina da Exilles al cantiere di Chiomonte
Per ora la nostra preistorica e storica Valsusa non è riserva per Navajos, per nuovi Navajos da abbruttire. Ma una volta scattata la trappola dell’Alta Velocità il processo della messa in riserva all’indiani d’America di quel fondamentale angolo di frontiera piemontese non si fermerà più.
Se venisse fatta una radiografia psicologica del piccolo popolo valsusino residente e renitente verrebbe in luce l’inconscia paura di uno schiacciamento progressivo – della riduzione a Navajos, Sioux e altri Buffalo Bill – che ne allarma e ne indurisce l’anima. Una fine della contrapposizione TavAntitav non è a breve pensabile. Dalla Sacra, l’arcangelo Michele brandisce la spada, dove pende uno straccio con la scritta di cui è piena laValle: No Tav.
Ho potuto visitare il cantiere della Maddalena di Chiomonte due giorni dopo lo sfondamento delle barricate (pezzi di cancellate, balle di fieno, ruote di scorta) e il lancio di duemila candelotti di lacrimogeni di gas CS – con la scorta di un gentile ispettore della Digos, che mi ha aperto lo sbarramento di carabinieri. Lì c’è una via dell’Avana che non è un omaggio al barbuto di Cuba: l’Avanà è il vitigno della zona e questo tratto a vigneti, tra lacrimazioni e perforazioni, non faticherà ad andare perduto. Vicinissimi ci sono i pilastri giganteschi di un viadotto d’autostrada che potrebbero resistere a un terremoto,ma a un traforo di roccia non so. La collina in discesa è archeologicamente interessante e una parte dei reperti erano visibili in un piccolo museo oggi trasformato in centrale operativa di retrovia militare: nessuno può dire quando riaprirà. Anche tutto quel che la collina nasconde di tracce antropologiche è destinato a rimanere sepolto. Dire «cantiere della Maddalena» è puro flatus vocis fuori della Valle -ma venite qui a toccare con mano le conseguenze. Al museo sono arrivate anche le spartane salmerie per i militari: per cena non riceveranno che un panino al prosciutto e acqua della falda: anche questa a rischio di irreparabile inquinamento. (Sicuramente, nelle tende allestite dai no-tav a pochi metri dagli scudi dei carabinieri, le ragazze sui loro fornellini a gas da campeggio forniranno qualcosa di meglio, come cena d’assedio, ai loro compagni). Sul fondo, le macchine destinate a dare inizio allo sconvolgimento sono draghi addormentati.
La Valle, nella chiarità estiva, mi è apparsa straordinariamente attrattiva. Capisco che non possa rassegnarsi al destino che le è inflitto: violenza ai borghi, modifiche territoriali, luce di vita spenta. La questione ecologica in Valsusa sta meritatamente sfiorando l’acme del traffico. E so bene che non si tratta di un vero problema tecnico. E neppure di un episodio locale. La Tav (mi provo a darne una definizione non politica) è parte della fondazione di un impero mondiale della Tecnica che opera a ridurre in schiavitù, una schiavitù mai vista, di cui si vanno da molto tempo palesando i segni – il genere umano senza distinzioni etniche e spirituali, gli animali, i semi modificati (OGM), le erbe, l’animato e l’inanimato, tutto. Le connessioni con la finanza, i poteri criminali (ritenuti separabili solo perché fuori della legge), i partiti, i governi, forme e formule terroristiche, non dicono che il nominabile, e non nominano che qualche utensile, di questa mondializzazione che a poco a poco va privando il vivere delle ragioni per vivere (vivendi causas).
– Abbiamo tentato di tutto – dice Alberto Perino: montagne di carta bollata, ricorsi, ottenuto rinvii e perso occasioni di confronto tecnico che ci sono state rifiutate. Quest’opera è una follia e uno sperpero inutile. Succederà come per la Salerno-Reggio: i lavori si fermeranno, procederanno all’infinito, e di chiaro, nel nostro casino all’italiana, non ci sarà che il profitto di qualcuno e il danno perpetuo dellaValle. Quel che è successo il 3 luglio è stato brutto brutto brutto brutto.
Ma qualcosa abbiamo capito: che la violenza non paga e va abbandonata; che dobbiamo elaborare altri metodi, che si può vincere senza scontri, nonostante l’esasperazione della gente, farci più amici, più simpatizzanti…
(Riporto questa conversazione a memoria).
Ma perché, essendo evidente l’inutilità dell’opera, dal momento che il treno c’è già e che il tunnel del 1857 è oggimolto più largo e più sicuro, la si vuole fare ad ogni costo? Non arriviamo da anni in sole 5 ore e trenta a Parigi? Perché il transito Tgv da Lione è stato soppresso?
Rispondo così: perché la ragione d’essere della cosa è proprio la sua inutilità. Il predominio tecnologico non ha per fine l’utile, e ha rapporti vaghi, ormai, col necessario.
Sono ovviamente d’accordo con Perino che la violenza debba essere bandita. Ma in tutto il mondo, dove ci sia una sopravvivenza d’ideale, la resistenza al sopruso applica, dove è possibile, i metodi e le forme della nonviolenza gandhiana.Vale la pena pensarci.
Purtroppo – osserva mirabilmente Colin Wilson – la mancanza di ideali condanna il mondo ad essere distrutto dalla violenza. Il punto è là, e va da Chiomonte allo spazio infinito: suscitare ideale, opporre il sogno alle solitudini elettroniche, battistrada del Nulla; innaffiare il sogno superstite. Se l’ideale riuscirà a prevalere, la Tav non si farà, la Valsusa non diventerà una riserva di pellirosse traMusiné e Frejus.
Marzo 17th, 2017 — General, Tracciati FVG
Il Piccolo giovedì 7 luglio 2011
Vertice No tav nella Bassa con i sindaci del Nordest
di Elena Placitelli SAN GIORGIO DI NOGARO
Vertice No Tav Veneto-Friuli Venezia Giulia questa sera a San Giorgio di Nogaro. I Comitati del Nordest mirano a riaprire la discussione a livello europeo, anche se per i sindaci interpellati non sarà un’altra Val di Susa. O almeno non per ora. Se non altro perché, nella parte orientale della linea ad Alta velocità, tutto pare immobile, fermo alle osservazioni che i Comuni hanno presentato in Regione alla consegna del progetto preliminare, su cui si attende ancora risposta. Ma dopo la protesta piemontese, conseguente all’apertura del cantiere in Val di Susa, i Comitati No Tav del fronte orientale hanno deciso comunque di tenere alta l’attenzione, chiamando per la prima volta a raccolta gli amministratori sia veneti sia del Friuli Venezia Giulia. Si punta a dimostrare all’Europa quanto è forte lo scontento per l’opera. Ospite d’onore della serata, che comincerà alle 21 nella sala di Villa Dora, sarà infatti la deputata europea Sabine Wils (Sinistra Unita e Verdi Nord Europa), su cui i manifestanti fanno affidamento per sollevare una protesta di cui «l’europarlamentare del Pd Deborah Serracchiani non si fa portavoce – sintetizza Giancarlo Pastorutti, uno degli organizzatori dell’incontro – in linea con i poteri forti di destra e di sinistra». Dopo un minuto di silenzio per ricordare Luciano Giorgi, “il paladino del referendum” scomparso lo scorso 28 giugno, non è detto che l’appuntamento non possa sfociare in una richiesta concreta da parte dei Comitati e rivolta agli amministratori: «I consigli comunali – dice infatti Pastorutti – potrebbero stendere degli atti ufficiali in solidarietà con i manifestanti della Val di Susa, come segno di protesta per stigmatizzare quello che sta succedendo in quelle terre, dove il 73% della popolazione è contrario all’opera e dove anche i sindaci hanno manifestato». Dalla Val di Susa non arriverà nessuna delegazione, «perché – riprende il portavoce – è più importante parlare delle problematiche che coinvolgono il nostro territorio direttamente». Ad aderire, oltre al consigliere regionale di Sinistra Arcobaleno, Igor Kocijancic, i sindaci (o alcuni assessori da loro delegati) dei Comuni di Eraclea, San Stino, Bagnaria Arsa, Villa Vicentina, Torviscosa, Doberdò e Sgonico. Tra gli attivisti invece, i Comitati della Bassa friulana, di Quarto D’Altino, di Ceroglie nel Carso, oltre a “Green action”, che da Trieste mantiene i contatti con “Alpe Adria green”, forte associazione ambientalista dei paesi dell’ex Juguslavia. Ma l’animo caldo dei Comitati trova temperature più miti da parte dei sindaci interpellati: «Un confronto utile e interessante – commenta il sindaco di Villa Vicentina, Mario Romolo Pischedda – anche se restiamo ancora in attesa delle risposte alle osservazioni che abbiamo inviato in Regione». «I sindaci della Val di Susa hanno manifestato contro la Tav?» Esordisce Roberto Fasan di Torviscosa: «Guardo con interesse l’evoluzione del nostro territorio, ma su questo fronte dobbiamo ancora aspettare i nuovi passaggi legati all’anello di collegamento verso Nord, con l’asse adriatico e baltico. Dobbiamo dunque ancora attendere quali decisioni prenderà la Regione, e solo da quel momento si capirà come i sindaci prenderanno posizione»
Messaggero Veneto MERCOLEDÌ, 06 LUGLIO 2011
Pagina 41 – Provincia SAN GIORGIO DI NOGARO
Confronto Veneto-Friuli Vg sull’alta velocità in regione
SAN GIORGIO DI NOGARO Treni ad alta velocità: confronto tra amministratori del Veneto e del Friuli Venezia Giulia, è il tema dell’incontro pubblico promosso dai Comitati No Tav della Bassa Friulana con il Gruppo consigliare regionale Fvg Sinistra Arcobaleno, che si terrà domani sera, alle 21, a Villa Dora di San Giorgio di Nogaro. A parlare di un tema più che mai di grande attualità e assai scottante dopo gli scontri tra manifestanti e polizia della Val Susa, saranno diversi amministratori del Veneto e della Regione Fvg, con la partecipazione della deputata europea Sabine Wils. Ricordiamo che la Regione, e nella fattispecie la Bassa Friulana, sono fortemente interessati dal tracciato che riguarda il progetto dei trenia ad alta velocità, ovvero della Av/Ac, che andrà a coinvolgere numerosi comuni di questo territorio. A seguito della redazione del progetto e in forte contrasto con l’assessore regionale alle Infrastrutture Riccardo Riccardi, i Comitati No Tav hanno inviato lo scorso anno una petizione alla Comunità Europea di Bruxelless, ottenendo un’audizione. l portavoce dei Comitati, Giancarlo Pastorutti, è stato infatti ascoltato dalla Commissione Petizioni del Parlamento Europeo, presente l’onorevole Mazzoni, dove ha spiegato il perché della loro contrarietà a questo tracciato, avviando di fatto una corsia preferenziale con la Comunità europea. Un tema dunque caldo e che sicuramente domani sera a San Giorgio di Nogaro è destinato a rimarcare le distanze tra coloro che sono favorevoli al progetto e ai Comitati che sempre con più vigore osteggiano l’opera ferroviaria. Francesca Artico
Marzo 17th, 2017 — General, Tracciati FVG
Sala affollata e dibattito vivace ieri sera (giovedì 7 luglio) a San Giorgio di Nogaro nell’assemblea indetta dai Comitati No Tav della bassa friulana.
Marzo 17th, 2017 — General, Repressione diffusa
Comunicato
Il CSA di Via Volturno-Via Scalo Nuovo in esilio (dopo lo sgombero del 10 dicembre 2009), solidarizza con gli squatters della caserma Piave, sgomberati il 7 luglio dalla Digos, e denuncia che, ancora una volta, l’unica risposta alle esigenze oggettive, abitative e di socializzazione autogestita, sia costituita da sgomberi, repressione, denunce, fogli di via eccetera. Già un anno fa, per quanto ci riguarda, le trattative con il Comune per ottenere un posto per il CSA si sono arenate e Honsell ci ha liquidati dicendoci che non ci sono spazi a disposizione. Presto dimostreremo il contrario e ci chiediamo: chi arriverà per prima a sgomberarci? I Carabinieri o la Digos? Infatti il CSA in esilio, dopo una lunga incubazione, ha deciso di ritornare alla carica ed entro il secondo anniversario dello sgombero riaprirà un altro posto con le stesse caratteristiche dei Centri Sociali precedenti, anche se con maggiori accortezze tattiche, derivanti dal patrimonio dell’esperienza acquisita in un quarto di secolo di lotte in Friuli.
Messaggero Veneto VENERDÌ, 08 LUGLIO 2011 Pagina 23 – Cronache
Ex Piave, la polizia scopre un rifugio di punkabbestia
I vecchi locali della caserma erano stati occupati da “vagabondi metropolitani” Il blitz ieri mattina all’alba. Denunciate otto persone, tra cui un minorenne
Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
Il piccolo del 08/07/11
Torino-Lione, Bruxelles taglia i fondi
BRUXELLES I fondi comunitari assegnati alla Torino-Lione subiranno un’ulteriore sforbiciata a causa dei ritardi nei lavori. A dirlo è il commissario europeo ai Trasporti, Siim Kallas, che conferma tuttavia l’impegno di Bruxelles per la realizzazione dell’opera. Il giorno dopo la riunione della conferenza intergovernativa tra Italia e Francia in cui sono stati fatti passi avanti nel negoziato ma non è stata conclusa l’intesa sulla ripartizione dei costi dell’opera, la Commissione europea si dice tuttora pronta sostenere i due Paesi per il completamento della linea ad alta velocità. È uno dei principali corridoi di trasporto europeo, considerato fondamentale – spiega Bruxelles – per il collegamento tra la penisola iberica e l’Europa centrale. Ma il mancato rispetto dei tempi nell’esecuzione dei lavori farà salire, probabilmente anche in maniera sostanziosa, l’entità del taglio ai fondi Ue, dopo la sforbiciata di 9 milioni di euro già messa a segno con l’ultima revisione dell’andamento dei progetti transeuropei di trasporto nell’ottobre 2010. La Commissione europea, ha ricordato Kallas rispondendo alle domande dei giornalisti, si era impegnata a concedere 671 milioni di euro di co-finanziamenti per la realizzazione della Torino-Lione, ma l’accordo «prevedeva – ha precisato il commissario – che se i finanziamenti non fossero stati assorbiti entro il 2015 ci sarebbero stati dei tagli». È chiaro che ora «ci sarà qualche difficolta», ha messo in guardia Kallas, aggiungendo di ritenere «realistico che ci saranno dei tagli». Quanto alla cifra, il commissario e anche i suoi collaboratori, hanno più volte affermato di non poter indicare oggi l’entità, rinviando al prossimo autunno quando sarà rivista la decisione sul finanziamento, alla luce dei ritardi accumulati
Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
di seguito un articolo di commento e analisi della situazione valsusina, in uscita sul numero
di umanità nova di questa settimana. www.umanitanova.org
Val Susa. Fumo e aria fresca
Domenica 3 luglio, Val Susa. Un’altra pagina della nostra storia fatta
delle mille storie individuali che si intrecciano e si moltiplicano.
Lo striscione dei bambini che apre il corteo, la banda che suona, gli
striscioni, il popolo delle mille resistenze d’Italia che si mescola in un
grande corteo. Così grande che le menzogne della Questura saranno più
sfacciate del solito. Tanta gente con un unico grande obiettivo: stringere
d’assedio il fortino costruito alla Maddalena dalle truppe di occupazione.
Chi ha spezzato le barricate della Libera Repubblica, chi ha voluto
imporre con la forza militare il proprio dominio deve sapere che non potrà
lavorare in pace, che verrà contrastato giorno dopo giorno dai No Tav,
finché se ne andrà.
Il corteo si snoda per ore da Exilles lungo la statale e di lì in discesa
in mezzo ai piloni dell’autostrada sino alla barriera di acciaio e filo
spinato piazzata all’ingresso della salita verso la Maddalena, poco dopo
la centrale idroelettrica. C’è anche lo spezzone rosso e nero degli
anarchici sociali, che a centinaia hanno risposto da tutt’Italia
all’appello per la manifestazione, dividendosi tra il corteo e l’assedio
dai tanti sentieri. Nei giorni precedenti in moltissime città avevano dato
vita ad iniziative di solidarietà e sostegno alla lotta in Val Susa.
Quando il corteo arriva alla centrale molti No Tav si fermano nei boschi,
mangiano e si preparano all’assedio, altri si dispongono lungo la strada
che sale al paese di Chiomonte, altri ancora raggiungono il campo sportivo
dove si conclude la parte di manifestazione cui hanno aderito anche
sindaci ed amministratori.
Chi se la sentiva è sceso dai sentieri, gli altri hanno scelto la strada:
ma la giornata è di tutti.
L’assedio va avanti per ore ed ore. I No Tav scendono dai sentieri e
premono contro le reti. Scendono dalla Ramats, si affacciano da Giaglione,
attraverso la via delle Gorge. Anche alla Centrale, una volta defluito il
corteo dove tanti hanno scelto di portare i propri bambini, comincia la
pressione contro le recinzioni.
In tanti hanno imparato la lezione impartita a suon di gas e manganellate
durante l’attacco di polizia alla Libera Repubblica: chi si è comperato la
maschera antigas, chi quelle semplici da ospedale, chi si limita ad un
fazzoletto bagnato. Tutti hanno i limoni, le pastiglie di Malox da
sciogliere, il ventolin. Caschi di tutte le fogge difendono il capo dei
manifestanti: chi indossa quelli da cantiere, chi mette quelli da moto o
da bici: gli alpinisti si distinguono per il materiale tecnico usato da
chi arrampica.
Nonostante le protezioni, al termine della giornata i feriti saranno
tantissimi, impossibile contarli tutti, perché solo i più gravi vanno in
ospedale: gli altri vengono curati sul posto da medici e infermieri No
Tav. Qualcuno va su con in faccia i segni dei colpi ricevuti la settimana
precedente.
La baita dei resistenti, a margine del borgo Clarea, viene ripresa dal
corteo partito da Giaglione e si trasforma in ospedale da campo.
I poliziotti diranno di aver avuto 200 feriti: una dottora del CTO,
intervistata dal TG3 dichiarerà che tanti sono scivolati o sono vittima di
malori da caldo e stress. Si fa davvero fatica a provare compassione per
questi servi sciocchi e crudeli, ma chi ci riesce dimostra la diversa
qualità morale che oppone i resistenti ai lanzichenecchi del governo.
L’assedio va avanti per ore ed ore: dalla mattina sino a sera. Chi si
affaccia alle reti viene accolto da un fitto lancio di lacrimogeni CS,
un’arma da guerra, che altrove è stata bandita dalle manifestazioni. I
colpi spesso sono diretti sulle persone con effetti devastanti. I feriti
più gravi sono centrati da lacrimogeni sparati a distanza ravvicinata.
Come se non bastasse poliziotti e carabinieri lanciano sassi: li tirano da
dietro la recinzione, li scagliano dall’autostrada sui manifestanti che
stanno sotto.
Chi può si difende e tira a sua volta sassi. La lotta è impari, ma i
resistenti non mollano. Sui fronti di Ramats, Giaglione e della Centrale i
No Tav continuano per oltre sei ore il loro assedio. In un paio di punti
la recinzione cede alla pressione. La polizia continua a gasare: i
manifestanti arretrano ma poi tornano ad avanzare. La forza delle proprie
ragioni è più tenace della ragioni della forza bruta.
Chi cade in mano alle truppe dello Stato viene offeso e torturato. Un
ragazzo, con un braccio spezzato mentre cercava di difendere il capo dalle
manganellate di una decina di energumeni che lo pestavano a terra,
racconta di una giornata di umiliazioni e paura. Disteso su una barella
continua ad essere colpito da calci e pugni: un colpo di spranga gli
spezza il naso, è innaffiato da un bicchiere di orina. Ben tre ambulanze
vengono mandate indietro: resta senza cure in una barella al sole per
oltre tre ore.
Un carabiniere, anche lui scivolato e caduto in terra, viene abbandonato
dai propri camerati: saranno i No Tav a riportarlo tra i suoi.
Quattro manifestanti vengono arrestati e condotti nel carcere di Torino.
Maroni, i cui uomini hanno ferito, torturato ed offeso pretende che i
resistenti siano accusati di tentato omicidio.
Durante le lunghe ore dell’assedio la gente che per età o per salute non
ce la fa ad essere in mezzo ai boschi non si allontana, e sostiene con
passione chi è in prima fila nell’assedio. Alla Baita i feriti sono
accolti da applausi e urla di sostegno; dai curvoni che salgono a
Chiomonte la gente grida forte quando arriva la notizia che una rete è
saltata. Alcuni tentano anche una sortita dal fiume per dare man forte a
chi resiste più in alto.
Il giorno successivo i giornali racconteranno un’altra storia, ripetendo
un copione già scritto e usurato da anni: la litania della gente pacifica
e dei cattivi Black Bloc, l’opposizione tra i tranquilli valligiani e i
professionisti venuti da fuori.
Politici e politicanti per un momento si illuderanno di poter finalmente
spezzare il movimento, dividendo tra buoni e cattivi, tra pacifici e
violenti. Ma si sbaglieranno. Una comunità resistente, una comunità che si
è reinventata tale sfuggendo alle trappole dei media, imparando a capire
da se come stanno le cose, una comunità che tante volte ha assaggiato
sulla propria pelle la violenza dello Stato, non si fa abbindolare tanto
facilmente.
La gente dei boschi e quella della strada è la stessa gente, le stesse
facce, la stessa storia fatta delle mille storie di ciascuno di noi.
Nella conferenza stampa indetta il giorno dopo a Chiomonte verrà detto
forte e chiaro: nei boschi e sulle strade non c’erano Black Bloc, c’era
una comunità resistente, che si è difesa dagli attacchi riuscendo a
riprendersi la Baita e buttando giù, qua e là, la rete.
Sono passati dieci anni da Genova. Il sole estivo a tanti ricorda
quell’altro luglio, quando il movimento contro la globalizzazione perse la
sua grande occasione. Era il momento giusto per tessere a trama fitta
fitta una rete solidale tra chi lotta per un mondo dove lucro,
sfruttamento, disuguaglianza, comando scompaiano, divengano parole
cancellate dal lessico comune, relegate tra i residui di un passato da
dimenticare.
Un obiettivo importante che non si seppe centrare, perché chi si candidava
al governo dell’opposizione, chi voleva far leva sui movimenti per
costruire le proprie carriere politiche, chi parlava di municipalismo ma
finiva con il candidare i propri uomini nelle liste di centro sinistra,
non poteva permettere troppa autonomia ai movimenti.
Fecero male i propri conti, perché il vento stava cambiando in peggio:
qualcuno raccattò una poltrona, altri restarono a mani vuote.
D’altra parte i militanti più radicali nella pratica non seppero aprire
interlocuzioni sui contenuti, oltre che sulla prassi. E la prassi, scissa
da una forte progettualità autogestionaria, non indica altro che se
stessa. E in se stessa si esaurisce.
La criminalizzazione in questo contesto divenne sin troppo facile.
I media inventarono favole cattive per tenere buoni ed obbedienti i
bambini e troppi adulti pensarono che fossero vere. I buoni e i cattivi,
chi era dentro e chi era fuori. La barriera di carta e menzogne di quel
luglio divenne ben così alta e robusta che ancora oggi soffoca.
Le botte, i gas, le torture, gli insulti, gli inermi massacrati per le vie
di Genova e nelle caserme degli uomini dello Stato quasi passavano in
secondo piano. I cattivi in nero divennero l’alibi che quasi giustificò la
violenza di polizia e carabinieri, la feroce repressione compiuta dal
governo Berlusconi ma preparata dal governo D’Alema.
Ma Genova, dopo dieci anni non possiamo non riconoscerlo, era soprattutto
un enorme palcoscenico. I potenti della terra riuniti in una città ridotta
ad avamposto di frontiera tra uomini in armi e, intorno la folla
eterogenea, molteplice venuta a rovinarne la festa, a mettere in luce la
trama feroce di chi governa un mondo attraversato da ingiustizie
intollerabili.
Poi venne l’11 settembre, la guerra permanente contro il terrorismo, e
quel movimento piano piano si esaurì. L’opposizione alla guerra non seppe
mai farsi movimento vero, capace di mettere in difficoltà chi bombardava
in nome della democrazia. Quella guerra non è mai finita. Ed è anche
nostra responsabilità non averla saputa fermare.
In questo luglio, tra i piloni dell’autostrada e i sentieri ripidi della
montagna, dove la valle si stringe e dirupi si fanno scoscesi, abbiamo
scritto un’altra storia.
Non per caso.
Vent’anni di lotta, di autogestione, di continuo interrogarsi sul come e
il perché hanno dato i loro frutti. Un movimento che rifugge la violenza,
perché la violenza è quella feroce degli Stati, degli eserciti, delle
guerre, sa che quando si viene attaccati e invasi occorre difendersi.
L’etica della convinzione e quella della responsabilità si coniugano e
raggiungono un felice equilibrio quando si radicano nella prassi
quotidiana di un movimento fatto di tante anime e tante diverse
sensibilità.
Le reti devono andare giù, la terra deve essere difesa. È una questione di
dignità. Niente di tutto questo è legale, ma contro chi fa guerra, chi
sfrutta, chi tortura, chi invade e ferisce, ribellarsi è sempre giusto.
Genova è lontana, lontanissima. Anche allora c’era chi scelse di fuggire
lo spettacolo, mirando a coniugare radicalità e radicamento. Una scelta
che oggi a dieci anni di distanza mostra tutta la propria forza.
Ci hanno intossicati di gas, ci hanno chiamati criminali, hanno riempito
di fumo il chiarore del nostro luglio. Ma non è bastato a cancellare
l’aria fresca di questo movimento.
L’assedio continua. Ogni giorno.
Maria Matteo
Marzo 17th, 2017 — General, Sequestro e futuro
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Comunicato. Il CSA di Via Volturno-Via Scalo Nuovo in esilio (dopo lo sgombero del 10 dicembre 2009), solidarizza con gli squatters della caserma Piave, sgomberati il 7 luglio dalla Digos, e denuncia che, ancora una volta, l’unica risposta alle esigenze oggettive, abitative e di socializzazione autogestita, sia costituita da sgomberi, repressione, denunce, fogli di via eccetera. |
Marzo 17th, 2017 — General, Manifestazioni locali
DOMENICA, 10 LUGLIO 2011 Pagina 1 – Pordenone
Centinaia di stranieri in corteo, proteste e tensione
Centinaia di immigrati hanno partecipato al corteo che si è snodato ieri per quattro ore in centro città. Un’iniziativa di protesta contro la carenza di lavoro e assistenza sanitaria per gli irregolari. Momenti di tensione quando alcuni hanno cercato di deviare il percorso per recarsi verso la sede della Questura nI SERVIZI IN CRONACA
DOMENICA, 10 LUGLIO 2011 Pagina 13 – Pordenone
«Senza lavoro, ora mi cacciano»
Il dramma di Mohadin, disoccupato da un anno: tra 15 giorni dovrà lasciare l’Italia
«Ho chiesto informazioni in Questura a Pordenone e mi sono trovato in mano il foglio di via». Disperato, Samali Mohadin ha tirato fuori dalla tasca la notifica: 15 giorni per lasciare l’Italia. «Lavoro, anche se poco – ha alzato le mani al cielo – e farò ricorso. L’avvocato costa, ma come me ci sono tanti disperati: non hanno lavorato per un anno e si trovano senza la carta di soggiorno». Quelli che non mollano, cadono nella clandestinità oppure si mettono nelle mani dei legali. Said è un marocchino che fa l’ambulante: è rimasto un anno senza reddito e si è ritrovato senza permesso di soggiorno. Storie dell’immigrazione come grani di un rosario che segnano la vita e quelli che ce la fanno, pensano ai figli. «Sono autonomo, ho un camion che mi rende orgoglioso – ha detto Ekponza Kassi padroncino a 46 anni con un mutuo di 15 mila euro da saldare -. Ho lasciato la Costa d’Avorio 13 anni fa e ho tre figli. Per loro, vorrei un futuro integrato, a partire dalla scuola: perchè ai figli degli immigrati dicono di iscriversi nei professionali?». (c.b.)
DOMENICA, 10 LUGLIO 2011
Pagina 13 – Pordenone
I DISAGI
Vie bloccate e traffico in tilt Automobilisti spazientiti
Strade bloccate, traffico fermo, un dispiegamento di forze dell’ordine in tenuta anti sommossa che poche volte si è visto a Pordenone. L’altra faccia del corteo degli immigrati, che si è snodato dalle 16 alle 20.30 di ieri, è stato quello dei disagi e delle proteste. «Siamo in Italia e per pochi voti da infilare nelle urne ci vendono agli stranieri», ha alzato la voce Roberto F. quando è partito il corteo degli immigrati: i tamburi, le trombe e le maracas degli africani hanno assorbito lo “j’accuse” che grondava ruggine politica, in piazzetta Cavour. «Non sono leghista, ma i comunisti stanno svendendo le nostre tradizioni e la cultura – ha riassunto critico -. Mi definisco il classico, vecchio democristiano che è cresciuto ai valori democratici della Patria. Vede quelle bandiere, per esempio: che ci fanno?». Drappi neri con la “A” dell’anarchia, si specchiavano nelle vetrine con i saldi estivi della Bottega. Duro il lavoro della Polizia municipale costretta a transennare le strade e a calmierare l’irruenza degli automobilisti che, in alcuni casi, hanno spostato i blocchi per cercare di passare comunque. Insomma una giornata di grande fatica sotto il sole bollente. (c.b.)
DOMENICA, 10 LUGLIO 2011
Pagina 13 – Pordenone
LE POLEMICHE
Contestati vessilli rossi e No Tav
«Iniziativa senza sigle». Negro: spediamo Bortolotti a Lampedusa
Bandiere rosse e nere sotto accusa, ieri, nel corteo degli immigrati. «Non vogliamo le bandiere dei partiti: vanno lasciate a casa e l’abbiamo detto a Michele Negro – ha dato l’altolà Adolph il capo-corteo con Paolo Piuzzi -. Ci ha risposto che il corteo è libero come l’aria che fa sventolare le bandiere. Ma non siamo un partito e ci dà fastidio». I drappi: rossi di Rifondazione comunista, neri degli anarchici e bianchi “No Tav”, tra i pugni chiusi di molti immigrati. «Che cosa c’entrano con gli immigrati?», hanno continuato. «La protesta è senza colore partitico, per favore». La richiesta è caduta nel vuoto e le bandiere hanno sventolato nella maratona di 4 chilometri del corteo. Michele Negro ha sdrammatizzato. «Alla manifestazione dell’associazione immigrati hanno aderito Rifondazione e la Federazione della sinistra: nessuno ci ha detto di non portare le bandiere». Sdoganati i drappi, disco verde alle rasoiate al Governo. «Propongo di mandare i leghisti Bortolotti e Maroni a Lampedusa con gli immigrati – ha sparato Negro -. L’esperienza per capire quello che è il mondo dei clandestini dovrebbe durare 18 mesi: sufficienti per cambiare rotta sull’emergenza immigrazione». (c.b.)
Messaggero Veneto online
Gli slogan della manifestazione: vogliamo pari diritti. Momenti di tensione quando hanno tentato di recarsi a parlare in Questura.
Gli slogan della manifestazione: vogliamo pari diritti. Momenti di tensione quando hanno tentato di recarsi a parlare in Questura.
PORDENONE. Città blindata e momenti di tensione, ieri a Pordenone con gli immigrati in corteo per reclamare diritti e lavoro. In piazza Duca d’Aosta si è rischiato lo scontro: la cintura di sicurezza dei carabinieri ha bloccato il flusso in via della Colonna, che porta dritto alla questura. “Senza immigrati l’Italia non va avanti”. Urla, proteste di mille africani secondo gli organizzatori (500 ha ridotto la questura) e poi il serpentone ha deviato in viale Marconi, assaltando coi cassonetti che hanno ondeggiato sull’asfalto.
In testa al corteo, Adolph, ivoriano immigrato con famiglia e il pick-up dell’associazione immigrati con Mauro Marra al volante. Dietro, i tamburi e le trombe a dare il ritmo alla protesta. «L’associazione immigrati: sì o no», ha fatto bollire la folla Adolph. «Yeah» hanno urlato tunisini, ghanesi, ivoriani, magrebini con la pattuglia dei Giovani comunisti, docenti in pensione, il Centro islamico con l’imam Mohamed Ouatiq e altri. «La questura, il Comune e la Regione?», ha provocato l’ivoriano. «Bhu», è stata la rabbia a inondare le strade sotto il sole a picco. Caldo e rancore: «Cinquecento immigrati rischiano di perdere il diritto di rimanere a Pordenone».
In via Oberdan altro blocco del traffico e risalita a passo d’uomo su corso Garibaldi («la Provincia non fa nulla» hanno protestato davanti a palazzo Sbrojavacca). Sosta a microfoni aperti in piazzetta Cavour e finale di partita sotto le finestre del municipio. «Pratiche lumaca in questura con lunghe file all’esterno degli uffici: andremo dal sindaco Pedrotti per chiedergli di installare con urgenza una pensilina – ha elencato Mauro Marra con Luigina Perosa e Willer Montefusco -. Lavoro in crisi, disoccupazione femminile cronica e tanti immigrati scivolano nella clandestinità. Chiederemo un incontro con il prefetto Pierfrancesco Galante e con l’Ass 6: bisogna riaprire un ambulatorio per gli immigrati irregolari».
Sono 25 mila, nel pordenonese, cioè il 10 per cento. Chiedono lavoro, la carta di soggiorno, l’integrazione reale a scuola e nella società. «Ci sfruttano e ci sbattono fuori dall’Italia – ha protestato Bernardo Ntoto -: ho due fogli di via dopo avere pagato le tasse e lavorato». Le sigle in piazza: Associazione immigrati, Associazione ivoriani, Ghana nationals association, Associazione Burkinabè, Associazione nigeriani, Associazione mondo Tuareg. «Circa 200 migranti hanno ricevuto il rifiuto per la regolarizzazione 2009 e ora sono senza assistenza medica – hanno continuato quelli dell’associaizone -. A questi si aggiungono quelli che diventano irregolari per la perdita del lavoro. Centinaia di migranti che non possono avere il sostegno medico».