Amianto: si continua a morire a Monfalcone

da Il Piccolo del 31 ottobre 2013

Monfalcone, dall’inizio del 2013 già 58 morti per amianto

L’ha riferito il capo della Procura Caterina Ajello nel fare il punto dei processi in corso

Dall’inizio del 2013 sono già 58 gli ex cantierini di Monfalcone morti in conseguenza all’esposizione all’amianto.

L’ha riferito il procuratore della Repubblica di Gorizia, Caterina Ajello.

Sono stati oltre settecento i fascicoli esaminati negli ultimi mesi dal pool di inquirenti che indaga sulle morti legate all’esposizione all’amianto nei cantieri di Monfalcone.

Oltre al primo maxi-processo, conclusosi il 15 ottobre con la condanna di 13 imputati, i magistrati goriziani hanno concluso le indagini preliminari su 116 casi, al momento riuniti in tre diversi procedimenti, due dei quali già a giudizio, con udienze fissate per il 5 novembre e il 17 dicembre. Per un quarto filone sono in fase di definizione i rinvii a giudizio.


Sono 58 i decessi legati all’esposizione alla fibra d’amianto registrati dall’inizio dell’anno in provincia di Gorizia. Lo ha riferito ieri il procuratore capo di Gorizia, Caterina Ajello, illustrando il dettaglio delle indagini condotte dalla magistratura del capoluogo isontino. Si tratta prevalentemente di operai che hanno lavorato nel cantiere navalmeccanico di Monfalcone tra il 1960 e il 1980. «È un fenomeno ingravescente, che non accenna a diminuire – ha spiegato Ajello -. Le patologie asbesto-correlate, peraltro, sono latenti e si presentano nella loro gravità anche a distanza di trenta o quarant’anni». Il procuratore della Repubblica ha sottolineato come la vicenda «abbia gravi ricadute sociali sul territorio: è compito della magistratura fornire risposte puntuali a questa problematica». E infatti il 5 novembre partirà un nuovo processo. Sono stati oltre settecento i fascicoli esaminati negli ultimi mesi dal pool di inquirenti che indaga sulle morti legate all’esposizione all’amianto nel cantieri di Panzano, ha riferito ancora Caterina Ajello. Oltre al primo maxi-processo, conclusosi il 15 ottobre con la condanna per complessivi 55 anni e 8 mesi, oltre ai risarcimenti ai familiari delle vittime, di 13 imputati (i vertici dell’ex Italcantieri), accusati di omicidio colposo per la morte di 85 operai, i magistrati goriziani hanno concluso le indagini preliminari su 116 nuovi casi, al momento riuniti in tre diversi procedimenti, due dei quali già a giudizio, con udienze fissate per il 5 novembre e il 17 dicembre. Per un quarto filone sono invece tuttora in fase di definizione i rinvii a giudizio. Per circa trecento fascicoli risultano in corso le indagini preliminari, mentre altrettanti arriveranno sui tavoli dei sostituti procuratori dal Centro per l’amianto di Monfalcone. Il procuratore capo di Gorizia, Caterina Ajello, commentando il maxi-processo sulle morti legate all’esposizione all’amianto nella città dei cantieri, ha parlato di una sentenza che è «in questo territorio una tappa storica, un apripista a livello nazionale, che stigmatizza il riconoscimento della sofferenza di tante famiglie di cantierini morti a causa del minerale killer». Per quanto riguarda il maxi processo già concluso, le motivazione della sentenza saranno rese note entro 90 giorni dal giorno della sentenza, cioè entro metà gennaio 2014, ma si può già affermare, solo dalla lettura delle 12 pagine del dispositivo, che non è trattato di una sentenza generica che colpisce nel mucchio e fa di tutta un’erba fascio. I magistrati hanno agito scrupolsamente, una dilegenza che trova conferma nella decina di udienza e nelle perizie mediche e tecniche e nelle centinaia di testi ascoltati durante il dibattimento.

CIE DI GRADISCA: nuova rivolta

Nuova rivolta questa notte dentro il lager. Pubblichiamo le due brevi info fatte girare dalla Tenda per la pace e i diritti questa notte.
 
1)

 I reclusi del CIE di Gradisca sono ora tutti fuori dalle gabbie, alcuni nei corridoi altri nel campo di calcio, notizie non confermate danno tre persone portate in ospedale per intossicazione. Tre stanze sono state incendiate. Alla base dell’ennesima rivolta ancora le disumane condizioni e l’insostenibilità dei CIE

 
2)
Siamo davanti al CIE di Gradisca, una colonna di fumo si alza da dentro, sono entrate un’ambulanza e un’auto medica. I vigili del fuoco erano fuori ma abbiamo visto una camionetta andarsene. Da dentro ci dicono che hanno bruciato i materassi e c’é gente svenuta
 
SEGUIRANNO AGGIORNAMENTI!

Monfalcone: USI AIT sulla centrale si rispettino gli accordi

ilpiccolo2-11-013da Il Piccolo del 2 novembre 2013

Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

USI-AIT

«Centrale a “tutto gas” Si rispettino gli accordi»

Il sindacato di base Usi-Ait chiede «un’indagine seria e imparziale sulle emissioni della centrale A2A a tutela di lavoratori e cittadinanza che faccia chiarezza su sessant’anni di informazioni contrastanti e di parte e il blocco del progetto “tutto carbone” estendendo la riconversione a gas anche agli attuali gruppi 1 e 2 come previsto dal Protocollo d’intesa per la centrale a carbone del 2004 con il mantenimento degli attuali livelli occupazionali».

«Quanto accaduto all’Ilva di Taranto, a Servola con la Ferriera – scrive l’Usi-Ait – ora succede alla centrale di Monfalcone: ancora una volta i sindacati di regime vogliono farci accettare come ineluttabile l’alternativa tra lavoro e salute. Accettando acriticamente i dati forniti dall’Arpa, in uno studio su cui sussistono dubbi di imparzialità, i sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil si schierano ancora una volta a favore della multinazionale A2A appoggiandone il piano industriale che vuole riconvertire a carbone la centrale di Monfalcone.

In questa indagine dell’Arpa – continua il sindacato – l’accumulo di metalli nei terreni, nell’acqua e nelle persone non sono dati significativi e la diossina non compare fra i potenziali inquinanti. È inammissibile che la misurazione della diossina sia stata effettuata una sola volta in sessant’anni anni a Monfalcone».

 


 

Qui il comunicato integrale

CIE di Gradisca/ Rivolta continua

MV online 3 novembre 2013

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Incendio e proteste, nuova rivolta al Cie

di Christian Seu

Gradisca, fiamme nelle camerate rimaste ancora agibili. Disposto il rafforzamento della vigilanza dentro la struttura
 
 

GRADISCA D’ISONZO. Ancora tensioni al Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca. Che, dopo i tumulti di mercoledì scorso, ha vissuto nella tarda serata di venerdì ulteriori episodi di intolleranza da parte di un gruppo di ospiti, che hanno dato fuoco a materassi e suppellettili, rendendo inagibili le ultime tre stanze ancora utilizzabili. Per arginare le proteste dei clandestini, che hanno intanto proclamato lo sciopero della fame per contestare le condizioni di detenzione all’interno del centro, la Prefettura ha disposto che gli operatori della struttura e gli agenti della Questura vengano affiancati da personale del Comando provinciale dei Carabinieri di Gorizia, in attesa di ulteriori rinforzi che dovrebbero giungere dal Veneto non prima di domani.

La rivolta

Venerdì il centro ha vissuto l’ennesima serata ad alta tensione. Dopo la cena, un gruppo di immigrati – anche con l’obiettivo (non andato a segno) di tentare la fuga – ha dato fuoco alle ultime quattro camerate ancora agibili all’interno della struttura dopo i roghi di mercoledì notte, costringendo gli operatori ad ammassare gli ospiti negli spazi all’aperto. Due immigrati, rimasti intossicati, sono stati condotti per accertamenti al Pronto soccorso dell’ospedale di Monfalcone. Gli altri, dopo le operazioni di bonifica, sono stati accompagnati nelle camere meno danneggiate.

Per domare le fiamme sono intervenuti i Vigili del Fuoco di Gorizia. Ieri, nel fare la conta dei danni, la Prefettura ha confermato che tutte le otto camerate a disposizione nell’area rossa (le zone blu e verde, già danneggiate nelle rivolte agostane, restano inservibili perché interessate dai lavori di ripristino) risultavano inagibili dopo l’ennesimo episodio di intolleranza. Nella notte tra mercoledì e giovedì tre clandestini avevano rotto i vetri e divelto le recinzioni, portandosi ancora una volta sul tetto della struttura di via Udine; un altro gruppo aveva dato alle fiamme alcuni materassi, rendendo inservibili quattro stanze.

Alloggi temporanei

Dopo l’ennesima azione di protesta, gli addetti incaricati dalla Prefettura hanno immediatamente avviato le opere per tentare di recuperare almeno una parte degli spazi, per consentire ai 66 immigrati attualmente detenuti nel centro di riposare in condizioni quantomeno decenti: gli immigrati sono al momento ospitati in alloggi temporanei sempre all’interno del perimetro dell’ex caserma Polonio. I motivi dell’ennesima rivolta sono gli stessi che hanno scatenato le precedenti sommosse.

Gli immigrati protestano per le condizioni di permanenza all’interno del Cie gradiscano, per le supposte precarie condizioni igienico-sanitarie e per l’asprezza delle leggi italiane in materia di immigrazione clandestina. Non solo. «La ragione del tentativo di fuga è sostanzialmente da attribuirsi alla volontà da parte degli stranieri di sottrarsi agli ineludibili provvedimenti di rimpatrio verso i rispettivi Paesi di origine», ha fatto sapere ieri pomeriggio la Questura, attraverso una nota, confermando che sono in corso indagini per risalire all’identità degli autori dei danneggiamenti.

I rinforzi

Dopo i reiterati episodi di protesta, anche violenta, andati in scena tra luglio e agosto, dunque, il Cie di Gradisca torna a preoccupare. Tanto che è stato disposto un rafforzamento della vigilanza all’interno del Centro, con gli operatori civili e gli agenti della Questura che sono da un paio di giorni affiancati dai Carabinieri del Comando provinciale di Gorizia. Non solo: da domani dovrebbero arrivare gli agenti del Reparto Mobile di Padova, impegnati in queste ore nei servizi di vigilanza negli stadi in cui si disputano le gare dei campionati professionistici.

 


ansa.it, 2 novembre 2013

Cie Gradisca, nuovo incendio stanze

Interpellanza Manconi ad Alfano, chiudere struttura

(ANSA) – GORIZIA, 2 NOV – Un nuovo episodio di protesta è avvenuto nella serata di ieri nel Cie di Gradisca d’Isonzo (Gorizia). Gli immigrati hanno dato fuoco alle stanze risparmiate dal rogo di mercoledì, rendendo di fatto completamente inagibili gli spazi. Due immigrati sono rimasti lievemente intossicati. Il presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, Luigi Manconi, ha presentato un’interpellanza urgente al ministro dell’Interno in cui chiede che la struttura venga chiusa al più presto.
 

Cie di Gradisca fuori uso. Distrutte tutte le camerate

da Radio BlackOut – 3 novembre 2013

Rivolta e repressione a Gradisca – parlano i reclusi

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In diretta su Radio Blackout i prigionieri del CIE di Gradisca d’Isonzo raccontano che dopo le due notti di rivolta e incendio del 30 e 31 ottobre il centro è pressochè totalmente inagibile. I reclusi ancora presenti, tra i 50 e i 70, sono sistemati in locali di fortuna, e dormono nei corridoi con i vestiti bagnati dalla pioggia.

Ieri sera la polizia è venuta per cercare di individuare chi avesse appiccato il fuoco ma non ottenendo ciò che voleva ha dato il via a un pestaggio indiscriminato; in particolare a un giovane senegalese è stato fratturato un braccio ma come cura ha ricevuto solo un sonnifero, e ora sta soffrendo molto, come anche altri detenuti, alcuni di età avanzata.

Sempre ieri due o tre reclusi sono stati liberati, mentre questa mattina cinque sono stati trasferiti, forse con destinazione Milano e Torino.

I reclusi chiedono che dall’esterno qualcuno venga a vedere la loro situazione e di far arrivare il più lontano possibile la loro voce.

Ascolta le due dirette effettuate nella mattinata:

http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/11/ciegradisca1.mp3
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da Il Piccolo del 4 novembre 2013 – Pagina 11 – Gorizia-Monfalcone

Cie di Gradisca fuori uso Distrutte tutte le camerate

Nuovi incendi nella notte. Immigrati accampati nei corridoi delle parti comuni La paura degli operatori: «Qui è una guerra, stanno incenerendo la struttura»

GRADISCA Al Cie di Gradisca non c’è più neppure una stanza agibile. Le violente proteste degli immigrati in attesa di espulsione hanno sostanzialmente distrutto anche le ultime due camerate ancora utilizzabili. Nuovi tumulti, infatti, si sono verificati nella notte fra sabato e domenica, con altri incendi appiccati dando fuoco ai materassi e alle coperte. La conseguenza è che gli ospiti trascorreranno la notte sul pavimento dei corridoi nella zona dei centralini, che di fatto risulta interamente occupata dai clandestini. Al momento non è stato ancora autorizzata dalla Prefettura la parziale riapertura della “zona blu”, mentre nelle prossime ore per alcuni stranieri potrebbero essere accelerate le operazioni di rimpatrio in modo da alleggerire la situazione. I disordini sono continuati anche nella mattinata di ieri («qui è una guerra», «stanno incenerendo il Cie», alcuni degli sms provenienti dall’interno) e la situazione è ritornata all’apparente normalità solamente nel primo pomeriggio. Le forze dell’ordine negano sia stata usata la forza per ricondurre a più miti consigli i rivoltosi dell’ex Polonio. Tensione e paura per gli operatori della Connecting People, già prostrati dai ritardi nel pagamento degli stipendi (martedi faranno conoscere la propria posizione): i dipendenti hanno lasciato la zona occupata dagli ospiti e lavorano in una sezione adiacente, pronti a stemperare eventuali tentativi di evasione di massa assieme a poliziotti, militari e carabinieri. Il contingente di vigilanza sarà rinforzato solamente oggi perchè molti uomini erano impegnati nell’ordine pubblico negli stadi. Intanto il dibattito politico attorno alla struttura di Gradisca rimane serrato. Secondo Giulio Lauri, capogruppo Sel in Consiglio regionale, «il governo non può continuare a ignorare l’escalation di tensione al Cie: si decida finalmente a chiuderlo: per quanto si pensa di potere continuare questo braccio di ferro sulle condizioni di vita e sui tempi di trattenimento senza che nessuno si faccia di nuovo male? Come si fa ad ignorare un appello come quello del Presidente della Commissione parlamentare Manconi secondo cui i diritti umani lì non sono garantiti? La Regione – ricorda Lauri – si è espressa chiaramente: se a Gradisca i diritti umani non vengono garantiti il centro va chiuso, anche a legislazione vigente». Di ben altro parere Massimiliano Fedriga (Lega Nord) che chiede «maggiore rigore» all’interno del Cie. «Il centro di Gradisca ha la funzione di una struttura detentiva, non è un resort – premette il parlamentare del Carroccio -: e se considerassimo anche che gli ospiti sono persone che hanno commesso dei reati, riusciremmo ad analizzare la questione con obiettività. Purtroppo però la sinistra, Serracchiani in testa, sta facendo di tutto per promuovere una visione assolutamente distorta secondo cui gli ospiti vivrebbero in condizioni disumane e subirebbero violenze da parte delle forze dell’ordine. Rinnovo l’invito a fornire prove a queste gravi affermazioni, lesive della dignità di uomini e donne che svolgono un compito delicatissimo e pericoloso. Altrimenti – attacca Fedriga – è solo propaganda che alimenta irresponsabilmente la tensione». Condivide il sindacato di polizia Sap. »L’azione politica per la chiusura dei Cie non dovrebbe essere una conseguenza delle azioni violente di pochi, ma una volontà democraticamente sviluppata e destinata ad individuare soluzioni diverse per rimpatriare i clandestini – argomenta il segretario provinciale Angelo Obit -. Affrancare chi ha avuto un passato carcerario a seguito di condanne per furti, rapine, violenze sessuali, reati di spaccio di stupefacenti è pericoloso per i cittadini onesti, quelli che non usano la violenza come metodo di discussione». Secondo i dati del Sap «il Cie di Gradisca ha di gran lunga i migliori risultati in termine rimpatri. Lo Stato dovrebbe essere forte e dettare regole chiare sulla detenzione più che sul trattenimento, ripristinando intanto le sezioni del Cie chiuse da tempo. La Polizia ha bisogno di certezze operative e non di soluzioni-tampone».

 

dal Messaggero Veneto del 4 novembre 2013

Pagina 1 – Prima Pagina

Cie, situazione fuori controllo

Tumulti a Gradisca: Centro devastato. Gli operatori: «Qui è una guerra»

Il Cie di Gradisca è completamente devastato: è il risultato di giorni e giorni di rivolte, incendi, vandalismi. Gli immigrati rinchiusi nel Centro si scatenano e accusano la polizia, gli agenti non sanno più come fermarli.

 

Pagina 11 – Regione

Cie di Gradisca fuori uso Distrutte tutte le camerate

Nuovi incendi nella notte. Immigrati accampati nei corridoi delle parti comuni La paura degli operatori: «Qui è una guerra, stanno incenerendo la struttura»

GRADISCA Al Cie di Gradisca non c’è più neppure una stanza agibile. Le violente proteste degli immigrati in attesa di espulsione hanno sostanzialmente distrutto anche le ultime due camerate ancora utilizzabili. Nuovi tumulti, infatti, si sono verificati nella notte fra sabato e domenica, con altri incendi appiccati dando fuoco ai materassi e alle coperte. La conseguenza è che gli ospiti trascorreranno la notte sul pavimento dei corridoi nella zona dei centralini, che di fatto risulta interamente occupata dai clandestini. Al momento non è stato ancora autorizzata dalla Prefettura la parziale riapertura della “zona blu”, mentre nelle prossime ore per alcuni stranieri potrebbero essere accelerate le operazioni di rimpatrio in modo da alleggerire la situazione. I disordini sono continuati anche nella mattinata di ieri («qui è una guerra», «stanno incenerendo il Cie», alcuni degli sms provenienti dall’interno) e la situazione è ritornata all’apparente normalità solamente nel primo pomeriggio. Le forze dell’ordine negano sia stata usata la forza per ricondurre a più miti consigli i rivoltosi dell’ex Polonio. Tensione e paura per gli operatori della Connecting People, già prostrati dai ritardi nel pagamento degli stipendi (martedi faranno conoscere la propria posizione): i dipendenti hanno lasciato la zona occupata dagli ospiti e lavorano in una sezione adiacente, pronti a stemperare eventuali tentativi di evasione di massa assieme a poliziotti, militari e carabinieri. Il contingente di vigilanza sarà rinforzato solamente oggi perchè molti uomini erano impegnati nell’ordine pubblico negli stadi. Intanto il dibattito politico attorno alla struttura di Gradisca rimane serrato. Secondo Giulio Lauri, capogruppo Sel in Consiglio regionale, «il governo non può continuare a ignorare l’escalation di tensione al Cie: si decida finalmente a chiuderlo: per quanto si pensa di potere continuare questo braccio di ferro sulle condizioni di vita e sui tempi di trattenimento senza che nessuno si faccia di nuovo male? Come si fa ad ignorare un appello come quello del Presidente della Commissione parlamentare Manconi secondo cui i diritti umani lì non sono garantiti? La Regione – ricorda Lauri – si è espressa chiaramente: se a Gradisca i diritti umani non vengono garantiti il centro va chiuso, anche a legislazione vigente». Di ben altro parere Massimiliano Fedriga (Lega Nord) che chiede «maggiore rigore» all’interno del Cie. «Il centro di Gradisca ha la funzione di una struttura detentiva, non è un resort – premette il parlamentare del Carroccio -: e se considerassimo anche che gli ospiti sono persone che hanno commesso dei reati, riusciremmo ad analizzare la questione con obiettività. Purtroppo però la sinistra, Serracchiani in testa, sta facendo di tutto per promuovere una visione assolutamente distorta secondo cui gli ospiti vivrebbero in condizioni disumane e subirebbero violenze da parte delle forze dell’ordine. Rinnovo l’invito a fornire prove a queste gravi affermazioni, lesive della dignità di uomini e donne che svolgono un compito delicatissimo e pericoloso. Altrimenti – attacca Fedriga – è solo propaganda che alimenta irresponsabilmente la tensione». Condivide il sindacato di polizia Sap. »L’azione politica per la chiusura dei Cie non dovrebbe essere una conseguenza delle azioni violente di pochi, ma una volontà democraticamente sviluppata e destinata ad individuare soluzioni diverse per rimpatriare i clandestini – argomenta il segretario provinciale Angelo Obit -. Affrancare chi ha avuto un passato carcerario a seguito di condanne per furti, rapine, violenze sessuali, reati di spaccio di stupefacenti è pericoloso per i cittadini onesti, quelli che non usano la violenza come metodo di discussione». Secondo i dati del Sap «il Cie di Gradisca ha di gran lunga i migliori risultati in termine rimpatri. Lo Stato dovrebbe essere forte e dettare regole chiare sulla detenzione più che sul trattenimento, ripristinando intanto le sezioni del Cie chiuse da tempo. La Polizia ha bisogno di certezze operative e non di soluzioni-tampone».

 

La Slovenia torna in piazza

Da Il Piccolo del 31 ottobre 2013

La “rivoluzione dei fiori” torna nelle piazze slovene

di Mauro Manzin TRIESTE La Slovenia si arrabbia di nuovo. E torna in piazza. A protestare contro il malgoverno, la crisi, i politici ladri e le lobby finanziarie. Ma, stavolta, anche contro Bruxelles, contro la supposta liason tra la cancelliera Angela Merkel e la premier Alenka Bratušek, contro la tassa sugli immobili. L’insurrezione popolare degli “arrabbiati”, o, forse meglio, la “rivoluzione dei fiori” è ricomparsa esattamente un anno dopo la sua nascita. Stessi slogan, stessa rabbia, ma molte meno persone a urlare la propria ira. A Lubiana circa 500 davanti al Parlamento (lo scorso anno erano in 20mila), altrettante a Maribor dove la protesta era nata sotto l’impulso della rabbia popolare per gli autovelox collocati in città dall’allora amministrazione municipale poi decapitata proprio dalla rivolta di piazza. Solo 10 persone in piazza Tito a Capodistria, piazza che peraltro non è stata mai eccessivamente “calda” neppure un anno fa. Cos’è cambiato? Innanzitutto Janez Janša, leader del centrodestra sloveno, non è più primo ministro e gran parte della prima rivolta aveva come bersaglio proprio lui, il premier inquisito. La forza di mobilitazione delle sinistre era stata il jolly giocato lungo le vie e le strade della Slovenia. Oggi è al governo la sinistra, o meglio, un’icona un po’ blasfema della vera socialdemocrazia, impersonificata da quella Slovenia positiva voluta dal sindaco tycoon di Lubiana Zoran Jankovi„ per garantirsi sopravvivenza politica. Un partito un po’ frettolosamente “beatificato” dai grandi vecchi della sinistra slovena come l’ex presidente Milan Ku›an che, comunque, nel populismo socialista di Jankovi„ hanno visto, e da questo punto di vista sono stati lungimiranti, il grimaldello per scassinare la cassaforte conservatrice custodita da Janša. E così, un anno dopo, si ritrovano in 500 a protestare davanti al Parlamento della capitale quando, a stretto rigor di logica, avrebbero dovuto essere almeno in 50mila visto che le condizioni economiche e sociali del Paese sono di gran lunga peggiori rispetto a 365 giorni or sono, visto che la Slovenia è oramai nell’anticamera che aspetta di chiedere gli aiuti all’Unione europea, con un sistema creditizio praticamente in fallimento e un governo che ha appesantito la croce fiscale che grava sulla schiena dei contribuenti. C’erano gli anarchici, gli “arrabbiati”, quelli cioè che non trovano lavoro, che non arrivano alla fine del mese e che non hanno una casa, qualche studente sensibile alle mobilitazioni popolari ma, grande assente, era il popolo della sinistra. Va detto, inoltre, che la rivolta popolare slovena sorta e organizzatasi attorno i socialnetwork, Facebook su tutti, ha avuto, e ha ancora, la tentazione di trasformarsi in partito per potersi presentare alle prossime elezioni, vuoi politiche, vuoi europee. Una tentazioni che da molti è stata letta come una sorta di sacrilegio, di peccato mortale che lede lo spirito stesso che ha fin qui alimentato la “rivoluzione dei fiori”. E poi nel mare magnum dei movimenti che costellano la “rivolta” non c’è un Walesa in grado di catalizzare i consensi e offrire una leadership forte e credibile da spendere anche sul fronte politico del confronto. Così due giovani che si baciano davanti al Parlamento di Lubiana tenendo in mano un cartello su cui sta scritto «il governo cadrà, ora basta. Autore: il popolo» che campeggia in prima pagina del quotidiano Delo di ieri è forse l’icona più rappresentativa della rabbia popolare slovena di questo autunno del 2013. Un mix tra “fate l’amore e non la guerra” e quello rigorosamente sessantottino di “fantasia al potere”. Insomma più una rabbia da bar esplicitata in piazza che una vera e propria insurrezione popolare come viene proposta dagli artefici. Dalla “rivoluzione dei fiori” alla “rivolta dei baci”. Chissà, per la Slovenia, forse, un’occasione mancata.

RIGASSIFICATORE: la Altran possibilista

Da Il Piccolo del 04 novembre 2013 – Pagina 16 – Gorizia-Monfalcone

Altran possibilista su un rigassificatore

 

Il sindaco Silvia Altran non dice “no” all’ipotesi che il territorio ospiti un rigassificatore, in grado di rifornire di gas la centrale termoelettrica. «E’ un’idea interessante – ha detto, rispondendo alla nuova sollecitazione del capogruppo della Lega Nord Federico Razzini nell’ultima seduta del Consiglio – come tutti i suggerimenti che potrebbero aiutare a risolvere il problema della centrale che da decenni sta devastando il nostro territorio». Il sindaco ha comunque voluto ricordare come, dopo il referendum del 1996 che vide vincere i “no” al progetto della Snam, il Consiglio comunale bocciò nel 2006 un’ipotesi analoga. «Da parte mia sono comunque assolutamente aperta a qualsiasi tipo di soluzione – ha ribadito il sindaco -. La scorsa settimana ho incontrato il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, con cui ho parlato della situazione della centrale termoelettrica che già conosce. Spero si possa arrivare a una soluzione con l’aiuto di tutti». Razzini si è detto soddisfatto della risposta del sindaco, giunta forse inattesa. «Il quadro nel 1996 era del tutto diverso – ha osservato il capogruppo della Lega Nord -. Credo si possa e si debba aprire un serio ragionamento sulle opportunità che questo tipo di investimento potrebbe rappresentare per il nostro territorio, dove la questione occupazionale non è, in questo momento, di secondaria importanza». Razzini ha avanzato a più riprese, nel corso dell’anno, la proposta di «aprire dei tavoli e individuare i percorsi corretti per cercare magari di collocare a Monfalcone il rigassificatore che altrove è stato bocciato». Già a gennaio l’allora consigliere regionale aveva suggerito una candidatura di Monfalcone come possibile sito per l’insediamento del terminale di rigassificazione che Gas Natural intendeva realizzare a Trieste. «Le opzioni sul tappeto sono del resto tre – aveva detto Razzini a gennaio – perché o ci si oppone in modo fermo alla proposta, legittima e comunque migliorativa di A2A, di creare una nuova sezione a carbone, o la si appoggia. Si possono però anche perseguire tutte le strade per cercare di metanizzare questa centrale termoelettrica». Nell’ultima seduta del Consiglio il sindaco ha dato comunque il via libera a una seduta “monfalconese” del Consiglio provinciale, che si riunisca in città per discutere proprio di questioni relative all’ambiente, come l’impatto della centrale e l’inquinamento del golfo. A chiedere se ci fosse la disponibilità dell’amministrazione, posta come pregiudiziale dal presidente della Provincia Enrico Gherghetta, è stato il capogruppo del Pdl Giuseppe Nicoli, che è anche consigliere provinciale. (l.b.)

NO OGM: rassegna stampa del 31 ottobre

dal messaggero veneto del 31/10/13

No agli Ogm, pressing sul governo

 

PORDENONE La guerra di religione sulle colture Ogm riparte dal consiglio regionale. Se l’aula oggi pomeriggio cercherà di mettere una “pezza” alle maglie larghe della normativa nazionale – attraverso la discussione della mozione di Sel, alla quale è abbinata la proposta di voto al Governo e alle Camere del gruppo 5 stelle, per spingere l’adozione della clausola di salvaguardia –, Futuragra ieri ha lanciato la controffensiva. L’associazione, che riunisce gli agricoltori che vogliono poter seminare mais, soia e colture arboree biotech in Friuli Venezia Giulia, ha avviato una petizione rivolta al presidente del Consiglio regionale per chiedere che la Regione si adegui alla sentenza della Corte di Giustizia europea in materia di coltivazione di mais transgenico. Il fronte dei contrari agli Ogm, però, è compatto. Sempre ieri Coldiretti regionale, Aiab e Legambiente hanno a loro volta messo a punto delle proposte per la Regione. La palla ora alla politica. Dopo le contestate trebbiature avvenute a Vivaro a inizio ottobre (sui campi di Silvano Dalla Libera e di Giorgio Fidenato, agricoltori che si sono visti riconoscere il diritto alla semina dai tribunali e quello alla trebbiatura dalla Regione stessa, che non ha potuto fare altro che imporre delle prescrizioni per la fase di raccolta del mais), il tema approda in consiglio regionale. A riportare l’attenzione, cercando di colmare i vuoti del decreto interministeriale dello scorso luglio, saranno Sel e M5S. Con la mozione promossa da Giulio Lauri e Alessio Gratton, si impegna la giunta regionale (oltre allo smaltimento del mais trebbiato come rifiuto speciale) a emanare in fretta il regolamento alla legge 5/2011 (come emendata lo scorso anno), a dare corso alla regione Ogm free e a fare pressing sul governo per promuovere la clausola di salvaguardia. Su questo specifico punto i consiglieri 5 stelle hanno elaborato una proposta di voto al Governo e alle Camere che presentano al consiglio. E proprio il pressing sul governo e un maggior coordinamento tra istituzioni (leggasi Stato e Regione in primis) è quello che si attendono Coldiretti, Legambiente e Aiab. Contrarie alla coesistenza tra colture tradizionali e Ogm, le organizzazioni chiedono alla Regione di: predisporre il regolamento e inviarlo alla Unione europea, rendere pubblico il registro delle semine, incentivare le filiere Ogm free attraverso il nuovo piano di sviluppo rurale. Ma Futuragra, con la raccolta firme, viaggia in direzione opposta: «Vogliamo ricordare alla Regione che nelle nostre campagne – annuncia il presidente Duilio Campagnolo – esiste una prassi ormai consolidata di coltivazioni diversificate che hanno permesso la coesistenza senza commistioni e senza che si sia mai creato nessun contenzioso giudiziario tra gli imprenditori che perseguono diversi obiettivi economici. Chiediamo quindi che vengano rispettate le sentenze europee e che l’ignoranza colpevole della politica non ostacoli più i diritti degli agricoltori che si rifiutano di restare ancorati al Medioevo agricolo». Martina Milia

CIE DI GRADISCA: iniziato lo svuotamento!

da Il Piccolo on line del 5 novembre 2013

Al Cie di Gradisca non sarà sgombero totale

Secondo la Questura sono ancora agibili 18 posti letto, Intanto 36 immigrati vengono trasferiti a Trapani

È iniziato lo svuotamento del Cie di Gradisca con il trasferimento a Trapani di 36 immigrati. Ma al momento non è previsto lo sgombero totale perchè all’interno della struttura dovrebbero rimanere una decina di ospiti. Secondo la Questura di Gorizia restano infatti agibili complessivamente 18 posti letto. Aria di fermento anche tra i dipendenti della Connecting people, la cooperativa che gestisce il centro immigrati, che da mesi attendono di essere pagati. Hanno convocato un’assemblea per decidere iniziative da intraprendere per arrivare a una soluzione del loro problema.

 

 

Scatta lo sgombero del Cie di Gradisca

 

Roma dispone il trasferimento degli immigrati: i primi 38 partiranno oggi per Trapani. Il Sap: «Lo Stato si arrende»

di Luigi Murciano

 

GRADISCA. Il Cie di Gradisca, ormai in ginocchio, sarà svuotato. Da subito. La clamorosa decisione è stata presa ieri dal Ministero dell’Interno ed è trapelata nel tardo pomeriggio: per disposizione del Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Viminale sarà attuato un maxi-trasferimento di ospiti al Cie di Trapani. Secondo alcune indiscrezioni, potrebbe essere il primo passo verso una temporanea chiusura del centro in attesa che sia ripristinata la sua completa funzionalità dopo i tumulti degli ultimi mesi che lo hanno praticamente distrutto.

Scatola vuota

Il provvedimento preso ieri riguarda ben 38 clandestini che questa mattina alle 11.30 partiranno alla volta della Sicilia. A questi vanno sommati i 12 stranieri irregolari per i quali in queste ore sono state accelerate le operazioni di rimpatrio o di allontanamento dall’ex Polonio. Altri potrebbero avere la stessa sorte nelle prossime ore. Di fatto, dunque, da oggi l’ex Polonio – che ospitava poco più di una sessantina di persone – diventa una scatola praticamente vuota. È invece pienamente operativo il vicino Cara-Cda, che ospita profughi e richiedenti asilo e non presenta profili di criticità.

Il giallo della chiusura

Un provvedimento talmente forte che in serata si sono diffuse voci – non confermate – sul fatto che tale provvedimento del Viminale possa costituire il preludio ad una possibile chiusura temporanea dell’ex caserma Polonio. Provvedimento a lungo invocato dal centrosinistra (sia a livello nazionale che locale, in primis dal governatore Serracchiani), ma che sarebbe tutt’al più finalizzato al completamento dei lavori di ripristino delle sezioni letteralmente devastate dai migranti nel corso degli ultimi tre anni. L’impressione è che la situazione sia molto fluida, al punto che neppure Prefettura e Questura hanno confermato o smentito qualsivoglia scenario.

Il realismo del sindaco

Senza conferme ufficiali da parte delle istituzioni statali, il sindaco della cittadina isontina Franco Tommasini non pare volersi fare troppe illusioni. Ma è convinto che il momento per chiedere a gran voce la chiusura del Cie è non era mai stato piu’ propizio. «La chiusura mi sembrerebbe in questo momento un passaggio logico – afferma senza mezze misure -. Sappiamo perfettamente in che situazione si trovi la struttura in questo momento. Presenta condizioni precarie per la sicurezza e la dignità sia dei trattenuti sia di chi vi lavora, operatori e forze dell’ordine su tutti. Non c’erano mai state sinora condizioni più adatte di queste per chiedere la chiusura del Cie. Auspico – conclude – che ora la politica possa fare sentire la sua voce in questa fase di transizione. Ma non mi faccio illusioni, e non voglio che se ne facciano i miei concittadini».

La reazione dei poliziotti

«A quanto pare quella presa a Roma è una decisione politica, non operativa – commenta Angelo Obit, segretario provinciale del Sindacato Autonomo di Polizia/Sap -. Di fatto lo Stato si arrende a chi ha devastato il centro. Persone, lo ricordo, in attesa di espulsione e rimpatrio perchè provenienti dal circuito carcerario e ritenute pericolose. Persone che con i disperati di Lampedusa o i richiedenti asilo del Cara non c’entrano nulla. Il messaggio che passa con questo provvedimento – conclude amaro – è che con la violenza si può ottenere tutto, persino la sospensione di regole democraticamente votate e alle quali la politica non è sinora stata capace di proporre delle alternative».

La situazione oltre le sbarre

Anche ieri, intanto, si sono registrati momenti di tensione. Gli ospiti hanno trascorso la giornata ammassati nell’unica camerata ritenuta agibile e sul pavimento del corridoio che conduce al centralino. Due immigrati hanno compiuto atti di autolesionismo: uno ha ingoiato diversi oggetti tra cui mollette, chiavi e pezzi di plastica. Un secondo si è ferito alla testa sbattendosela nelle sbarre. Sullo sfondo, altre tre situazioni arroventano il caso-Cie: oggi i dipendenti denunceranno gli ennesimi ritardi nell’erogazione dei salari; sabato la galassia di movimenti e associazioni anti-centro protesterà davanti alla struttura; domenica invece è annunciato a Gradisca il segretario del Carroccio Matteo Salvini.

 

da Il Piccolo del 05 novembre 2013

 

«La politica dica basta una volta per tutte»

GRADISCA «Bisogna avere una volta per tutte il coraggio di dichiarare che questa struttura è completamente inagibile». Serena Pellegrino sulla possibile svolta nel caso Cie è stata quasi profetica. La parlamentare del Sel ieri mattina si era recata in visita all’ex Polonio per verificare di persona la situazione dopo le rivolte che hanno messo in ginocchio il centro di Gradisca. L’impressione è che il pressing della deputata friulana, così come la precedente interpellanza urgente del senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, nelle ultime ore abbiano giocato un ruolo chiave nel giungere alla clamorosa decisione del maxi trasferimento di immigrati irregolari a Trapani. Al termine del suo sopralluogo Pellegrino aveva descritto la situazione al centro dopo i disordini e gli incendi delle scorse notti, sollecitando per l’ennesima volta la chiusura. «Ho voluto entrare al Cie per verificare di persona il contesto in cui si trovano gli immigrati – ha affermato -. Non servono le mie competenze tecniche di architetto per affermare che la struttura va chiusa: è inagibile nella sua interezza visto che le stanze si trovano in assoluto stato di degrado e che le persone sono trattenute in condizioni igienico sanitarie indescrivibili. Nelle prossime ore intendo verificare concretamente questa vergognosa situazione». A fine mattinata, la Pellegrino aveva chiamato le istituzioni alle loro responsabilità: «Il mio intervento politico pone una domanda di evidente gravità: chi si assume la responsabilità del fatto che il Cie di Gradisca è rimasto comunque operativo, nonostante le ripetute specifiche denunce e le richieste di chiusura, e nonostante il ministro dell’Interno abbia formalmente riconosciuto che il meccanismo nel suo complesso va rivisto e che in tutti i centri le modalità di gestione debbano assicurare alle persone il rispetto della dignità umana e garantire normali condizioni igienico sanitarie? Mi è stato riferito – ha proseguito Pellegrino – che dopo i disordini di questi giorni si sono succedute con significativa rapidità le espulsioni dall’Italia e lo spostamento di diverse persone in altri Cie italiani. Ritengo che questo processo possa proseguire scongiurando l’accadere di nuovi incidenti e di ulteriori manifestazioni». (l.m.)

CHIUSO IL LAGER DI GRADISCA!

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FOTO E RASSEGNA STAMPA DEL CORTEO

 

Sabato 16 corteo CIEmaipiù

Rassegna stampa 14 novembre

 

Foto e report del presidio
 

SABATO 9 NOVEMBRE ALLE 17.00 SOTTO IL CARCERE DI GORIZIA PRESIDIO SOLIDALE COI RECLUSI INCARCERATI

DOPO LE RIVOLTE NEL CIE

Aggiornamenti 9 novembre
 

Aggiornamento 7 novembre:il CIE è ufficialmente chiuso. Ora inizia la battaglia affinchè non riapra mai più.
Aggiornamento 6 novembre ore 15.00:

è ormai ufficiale il CIE chiuderà entro oggi pare per almeno sei mesi.

Aggiornamento 6 novembre ore 10.25: gli ultimi detenuti dovrebbero essere usciti tutti nelle prime ore del mattino di oggi. Due persone avevano fatto richiesta di asilo, hanno fatto la commissione di urgenza ieri pomeriggio e sono in questo momento in volo verso Trapani. Gli altri, tutti algerini, sembra avessero i documenti per essere rimpatriati e che abbiano fatto richiesta di rimpatrio volontario (erano al CIE da “poco” tempo). Non abbiamo notizie se i rimpatri sono già avvenuti…

 

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