OGM: contaminazione del 10% (agg.al l11/11)

Piccolo del 11/11/13

«Dimostrata la falsità dei dati di Futuragra»

TRIESTE Da un lato la preoccupazione per la pericolosità dei campi Ogm presenti in regione. Dall’altra la soddisfazione per il fatto che tali rischi vengano finalmente allo scoperto. Ad esprimerle sono le associazioni ambientaliste attive in Fvg che, prendendo spunto proprio dai risultati contenuti nella relazione del Corpo Forestale, per far ripartire il pressing sulle istituzioni. «Con grave ritardo, ma finalmente il Corpo Forestale dello Stato ha reso pubblico ciò che era ineludibile: le improvvide semine di Mon 810 a Vivaro e a Mereto di Tomba hanno lasciato un inquinamento che arriva al 10% sul mais dei terreni vicini – scrivono in una nota Aiab, Aprobio, Isde, Legambiente e Wwf -. Questa però è solo la contaminazione sulla coltura, nulla si sa su quella avvenuta verso specie spontanee. E c’è il problema del miele, conclamatamente contaminato dal polline Ogm». E tutto questo, sostengono, poi, è avvenuto «in barba alle rassicurazioni degli “scienziati” assoldati dalla Monsanto, che negli ultimi mesi hanno infestato le campagne friulane, dimostrandoci quanto siamo retrogradi ed informandoci di quanto male ci può fare la polenta. Ha infine dell’incredibile – concludono Aiab, Aprobio, Isde, Legambiente e Wwf, che nei prossimi giorni avvieranno una serie di incontri pubblici per illustrare le ragioni del no agli Ogm – il fatto che il ministro dell’Ambiente Orlando riproponga il palleggio, invitando le Regioni all’ormai superata emanazione dei piani di coesistenza». Ma oltre a governo e Regione ad accendere i riflettori sul caso mais geneticamente modificate è anche Bruxelles, che prova di nuovo ad ingranare la marcia sulle coltivazioni transgeniche, e spera in un colpo di vento favorevole per portare il dibattito fuori dalle secche in cui si è arenato negli anni. Lo scontro, però, è dietro l’angolo. Anche perchè la posta in gioco è alta: l’Europa è chiamata ad autorizzare dopo il mais della Monsanto 801 (quello piantato a Vivaro)anche una seconda “coltivazione Frankentein”, il mais TC 1507. Sotto la spinta di una sentenza del Tribunale Ue, che l’ha condannata per la lentezza nel trattare la richiesta presentata dalla Pioneer nel 2001, per la coltivazione del TC 1507, la Commissione ha investito del caso il Consiglio Ue. I ministri dei 28 Paesi hanno tre mesi per prendere posizione sull’autorizzazione. E l’ok potrebbe arrivare se non ci sarà una maggioranza qualificata a sbarrarle il cammino. In parallelo però l’esecutivo Ue prova anche ad offrire una via d’uscita a quegli Stati membri che non vogliono colture hi-tech sul proprio territorio. La Commissione rilancia infatti nel campo del Consiglio anche la palla della cosiddetta «proposta di coltivazione»: la direttiva che prevede la possibilità per ciascun Paese di decidere in modo autonomo. Una normativa destinata a sostituire le clausole di salvaguardia, che piace al ministro italiano Orlando.

 

mv on line 7 novembre 2013

 

 

  • Ue, scontro sugli Ogm:  caso contagi in Friuli

     

    Ue, scontro sugli Ogm:
     caso contagi in Friuli

    Bruxelles prova di nuovo a ingranare la marcia sulle coltivazioni transgeniche. In regione nei campi confinanti rilevata una contaminazione del 10 per cento

     

     

     

    BRUXELLES. Bruxelles prova di nuovo a ingranare la marcia sulle coltivazioni transgeniche, e spera in un colpo di vento favorevole per portare il dibattito fuori dalle secche in cui si è arenato negli anni. Ma lo scontro è dietro l’angolo. E sarà battaglia per introdurre la seconda coltivazione Frankentein, il mais TC 1507, (dopo quella Monsanto 801) sul suolo del Vecchio continente.

    Per capire che aria tira, basta guardare all’Italia dove, a distanza di un mese, non si arresta la polemica per la prima trebbiatura di mais Mon 810, a Vivaro (Pordenone), dove il vicepresidente di Futuragra (associazione favorevole alle biotecnologie) ha messo in pratica i suoi propositi, in barba all’altolà del ministro all’Ambiente Andrea Orlando e di un decreto che vieta la coltivazione sul territorio nazionale. È notizia di ieri che nei campi confinanti è stata rilevata una contaminazione fino 10%.

    Dal canto suo, sotto la spinta della sentenza del Tribunale Ue, che l’ha condannata per la lentezza nel trattare la richiesta presentata dalla Pioneer nel 2001, per la coltivazione del TC 1507, la Commissione ha investito del caso il Consiglio Ue. I ministri dei 28 hanno tre mesi per prendere posizione sull’autorizzazione.

    E l’ok potrebbe arrivare se non ci sarà una maggioranza qualificata a sbarrarle il cammino. In parallelo però l’esecutivo Ue prova anche ad offrire una via d’uscita a quegli Stati membri che non vogliono colture hi-tech sul proprio territorio. La Commissione rilancia infatti nel campo del Consiglio anche la palla della cosiddetta «proposta di coltivazione»: la direttiva che prevede la possibilità per ciascun Paese di decidere in modo autonomo.

    Una normativa destinata a sostituire le clausole di salvaguardia, che piace al ministro Orlando. In merito a questa proposta di legge, in ballo dal 2010, e che di fatto introduce flessibilità per le capitali, l’Europarlamento aveva già espresso parere positivo nel 2011, ma la legge si era incagliata su un blocco di minoranza esercitato da Gran Bretagna, Francia e Germania.

    La prima occasione per dibattere delle due questioni sarà il consiglio Ambiente del 13 dicembre. E la richiesta di autorizzazione per il TC 1507, che arriverà sul tavolo dei ministri accompagnato da sei pareri positivi rilasciati negli anni dall’Autorità europea per il controllo alimentare (Efsa), potrebbe spianare la strada ad altre sei richieste di autorizzazione.

    Tra le pendenze c’è anche quella di rinnovo presentata da Monsanto per il mais 810, ora coltivato in cinque Stati membri, con estensioni importanti in Spagna e Portogallo: unica coltivazione Ogm attualmente condotta in Europa, dopo che la Basf ha gettato la spugna per la patata «monstre» Amflora. Critiche le posizioni degli ambientalisti, con Greenpeace che accusa la Commissione di «agire in modo irresponsabile» raccomandando l’approvazione di una coltura Ogm «già nota per i danni a farfalle e falene e che incoraggia l’uso dilagante di un erbicida così tossico che è già in fase di eliminazione nella Ue».

    E l’apertura di Bruxelles sul TC 1507 non piace alla Cia-Confederazione italiana agricoltori «deve essere respinta», dicono. «Rappresenterebbe l’ennesima sconfitta per l’Europa, per i suoi cittadini, per i suoi produttori agricoli».

CLIMA/ E’ iniziata la catastrofe climatica

http://www.ecofisica.net/index.php?option=com_content&view=article&id=311:e-iniziata-la-catastrofe-climatica&catid=46:01climate

 

IL FENOMENO
La potenza del vapore. Perché questo ciclone è stato tanto devastante


Sull’Oceano Atlantico, Pacifico e Indiano si scatenano tradizionalmente i cicloni tropicali. Haiyan che ha investito le Filippine è davvero un fenomeno da record? 
Sì perché per la sua intensità ha raggiunto la categoria cinque della scala Saffir-Simpson con venti intorno ai 320 chilometri orari. In questo estremo violento e pericoloso della scala si collocava anche l’uragano Kathrina che nel 2005 investì il sud degli Stati Uniti, in particolare New Orleans, provocando 1.800 vittime. «Con una simile forza distruttiva se ne contano pochi, circa uno all’anno e anche meno – dice Guido Visconti, direttore del centro fenomeni atmosferici estremi dell’Università dell’Aquila -. Complessivamente dal 1924 al 2007 ne sono stati registrati 32 incluso Kathrina in un’ annata che ha visto addirittura cinque fenomeni del genere». Anche Sandy l’anno scorso negli Stati Uniti raggiunse livelli analoghi mentre la maggior parte arriva al quarto grado.


Come mai si formano questi fenomeni nell’atmosfera e con quale frequenza? 
Nelle tre grandi aree oceaniche se ne contano complessivamente una sessantina all’anno con varia intensità e con diversi nomi a seconda delle zone (uragano, tifone o ciclone) ma sono tutti cicloni tropicali. La causa è la rilevante differenza di temperatura tra le acque oceaniche tropicali che superano anche i 35 gradi centigradi e la bassa temperatura in quota nella troposfera (10-12 chilometri) intorno ai 50 gradi sotto lo zero. Più è notevole la differenza, maggiore è la forza distruttiva del ciclone perché aumenta la velocità dei venti. La maggior quantità di vapore che si genera alimenta il processo. Tuttavia oltre la differenza di temperatura possono influire altri fattori come per l’Atlantico, ad esempio, contribuisce il trasporto di sabbia dall’Africa. 
A seconda delle aree, inoltre, il fenomeno ha una sua stagione e in quella delle Filippine (Ovest Pacifico) si manifesta da luglio a novembre. «Ora ci dovrebbe essere un’attenuazione – afferma Visconti – invece è accaduto il contrario e quindi siamo davanti ad una anomalia».


Dopo la nascita come si comporta un ciclone tropicale e quanto può durare nel tempo? 
La vita media dei cicloni più violenti è intorno a tre giorni ai quali bisogna aggiungere un periodo che può arrivare anche a dieci giorni necessari per sostenere la crescita. Haiyan nella sua traiettoria verso il Vietnam ora si sta estinguendo come accade per tutti gli uragani quando raggiungono le coste proprio perché la temperatura del suolo non è più così elevata. A quel punto la velocità del vento diminuisce e il fenomeno scende nella classificazione diventando una tempesta tropicale.

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Ma il riscaldamento globale della Terra può essere la causa dell’intensificazione dei cicloni? 
Il loro numero non sembra cambiato nelle statistiche, però è sicuramente aumentata la loro intensità. Alcuni scienziati attribuiscono la colpa al riscaldamento del nostro pianeta. «Purtroppo, però, – nota Visconti – non abbiamo ancora dati certi per confermarlo. I circa quaranta modelli teorici che si utilizzano per valutare la questione non forniscono la necessaria garanzia». Tuttavia i danni provocati sono in aumento. Oggi solo per gli Stati Uniti si calcola una perdita di nove miliardi di dollari all’anno e questo valore secondo le stime dovrebbe elevarsi a 30 nel 2100. Tenendo poi conto del riscaldamento globale la stessa cifra salirebbe addirittura a 42 miliardi di dollari.

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Quindi, guardando verso il futuro, quali possono essere le prospettive immaginabili? 
Non positive. Intanto l’innalzamento delle acque marine dovuto al riscaldamento globale estenderà le aree nelle quali i cicloni possono far sentire i loro effetti distruttivi. Negli ultimi decenni il sistema delle infrastrutture si è espanso ma è diventato anche più vulnerabile. Tenendo poi conto che l’urbanizzazione nei continenti è sempre più concentrata lungo le coste queste si presentano come future aree più a rischio. Sul piano scientifico, pur essendo accertato un aumento della temperatura, la discussione è sempre molto accesa. I ricercatori del Mit danno la colpa al riscaldamento globale. Invece gli scienziati della Noaa sono più prudenti.

10 novembre 2013

 

TAV/ La Serracchiani non dà parere

Ecco qua il meglio di debora

 

http://www.regione.fvg.it/rafvg/comunicati/comunicato.act?dir=%2Frafvg%2Fcms%2FRAFVG%2Fnotiziedallagiunta%2F&nm=20131110104125001

 

notizie dalla Giunta

10.11.2013 10:41

 

TAV: DA GIUNTA VIA LIBERA A TRE INTERVENTI STRATEGICI

 

MA NON ESPRIME PARERE DI COMPATIBILITA’ AMBIENTALE SUL PROGETTO PRELIMINARE PER LA TRATTA RONCHI-TS
Trieste, 10 nov – La Giunta regionale non esprime parere di compatibilità ambientale sul progetto preliminare complessivo della nuova linea ferroviaria Alta Velocità/Alta Capacità per la tratta Ronchi dei Legionari-Trieste, presentato da Italferr S.p.A., ma dà il “via libera”, con alcune prescrizioni, a tre interventi specifici compresi nel progetto, ritenuti strategici per il sistema dei trasporti del Friuli Venezia Giulia: il Bivio di San Polo a Monfalcone, la stazione ferroviaria davanti al polo intermodale dell’aeroporto di Ronchi dei Legionari, le interconnessioni in località Bivio di Aurisina.
Si chiede inoltre a Italferr che venga sviluppata un’alternativa per quanto riguarda, in particolare, la tratta Bivio San Polo-Bivio di Aurisina e la tratta Bivio di Aurisina-Trieste, anche in considerazione di eventuali sviluppi di futuri progetti infrastrutturali concernenti la rete dei trasporti della confinante Repubblica di Slovenia, prima della realizzazione del progetto definitivo.
È quanto deciso nell’ultima riunione di Giunta, su proposta degli assessori all’Ambiente, Sara Vito, e alle Infrastrutture, Mariagrazia Santoro. Si è deciso di non esprimere il parere di compatibilità ambientale sul progetto complessivo di fronte alle “carenze documentali evidenziate e al permanere dello stato di incertezza e di insufficiente conoscenza in merito alle potenziali criticità indotte dal progetto”.
Per quanto riguarda le prescrizioni, Italferr dovrà predisporre, per ciascuno dei tre interventi puntuali, un Piano di monitoraggio sistematico dei fattori inquinanti, da sottoporre all’ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente). Per San Polo, in particolare, si chiede a Italferr di sviluppare una semplificazione progettuale, che consenta una riduzione degli impatti con una contestuale ottimizzazione della rete (utilizzo dei binari esistenti) anche in funzione del collegamento con il Porto di Monfalcone, mediante per esempio una soluzione a scavalco.
Per la stazione davanti al polo intermodale di Ronchi, Italferr dovrà porre particolare attenzione in fase di cantiere a non interferire con le aree relative ai laghetti di Dobbia e curare le opere di ripristino del verde, eseguendo la manutenzione nei cinque anni successivi rispetto alla chiusura dei lavori.
Infine, per l’interconnessione nei pressi di Aurisina, le opere dovranno essere limitate ai tratti superficiali e a quanto strettamente indispensabile, tenendo comunque in considerazione le alternative di tracciato proposte e le misure di mitigazione previste. Dovranno inoltre essere analizzate possibili soluzioni per il mantenimento delle caratteristiche architettoniche di manufatti eventualmente vincolati da un punto di vista storico-architettonico.
ARC/PF

 

 

CIE DI GRADISCA: rassegna stampa del 09/11

Il Piccolo

«Il Cie di Gradisca non va riaperto”

di Gianpaolo Sarti wTRIESTE Il centrosinistra fa quadrato e dichiara la sua netta opposizione all’ipotesi di una riapertura del Cie di Gradisca. La presa di posizione è emersa ieri nel corso di un convegno a Trieste dedicato alla situazione in cui versano i centri in Italia e in Europa. Al dibattito, proposto dall’associazione culturale “Spaesati”, hanno preso parte l’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione (Asgi), gli organizzatori della campagna nazionale “Lasciateci entrare” e il Consorzio italiano di Solidarietà (Ics). Dopo i fatti che hanno portato allo sgombero e alla chiusura della struttura, devastata dagli ospiti, Pd e Sel hanno sposato la stessa linea politica sul futuro dell’ex caserma Polonio: la Regione non consentirà di ripetere l’esperienza del Cie, una realtà definita senza mezzi termini “disumana, inutile e costosa” a cominciare dal mondo dell’associazionismo presente ieri in sala. «La situazione è disastrosa, tutto è bruciato – ha affermato Silvana Cremaschi (Pd), che in mattinata aveva preso parte a un sopralluogo all’interno del sito -. Non vogliamo più un Cie qui né nel resto d’Italia, tutte le regioni dovranno opporsi. A Gradisca il ministero dell’Interno non stava garantendo il rispetto dei diritti umani e la Regione ha il dovere di vigilare perché è responsabile di tutti i cittadini che sono nel suo territorio». Il Pd propone la trasformazione dell’ex caserma in un Cara, ma sul modello di Centro Balducci di Zugliano: «Una trasformazione completa – ci tiene ad evidenziare ancora Cremaschi – creando spazi davvero vivibili». D’accordo Franco Codega: «Soluzioni come il Cie sono inefficaci, devono essere assicurate condizioni di vita nell’assoluto rispetto dei diritti umani». Da Sel, presente al dibattito con la deputata Serena Pellegrino, i consiglieri Stefano Pustetto e Giulio Lauri, una netta condanna all’esperienza di Gradisca. «La politica ha fallito, una struttura del genere non può più riaprire perché quel luogo è uno strumento punitivo» ha evidenziato Pustetto. Pellegrino si è soffermata «sul giro di affari di milioni di euro che il ministro Alfano si guarda bene dal fermare. Il Cie è una macchina da soldi sulla pelle delle persone». «Gradisca è la peggiore d’Italia, ma dobbiamo riflettere su tutti i centri di detenzione del Paese e del continente», ha rilevato Gianfranco Schiavone (Asgi). «E non è affatto dimostrato che siti di questo tipo siano efficaci rispetto all’obiettivo finale, cioè l’espulsione (solo l’1% viene rimpatriato, ndr) – gli ha fatto eco Alessandra Capodanno, che coordina la campagna internazionale “Open Access Now” -. Noi continuiamo a impegnarci per rivendicare il diritto di accesso ai centri. Ne abbiamo visitati 56 in 13 Paesi Ue. L’accesso deve essere incondizionato e non per accompagnare i parlamentari in visite guidate». Una ricerca di Grazia Naletto (Lunaria), infine, ha analizzato anche la spesa dello Stato per Cie, Cpsa, Cda e Cara. «Limitandoci ai documenti accessibili, tra il 2005 e il 2011 l’Italia ha impiegato oltre 1 miliardo di euro»

La visita nell’ex caserma Polonio devastata: «Roma non pensi che basta una verniciata»

 

Un luogo devastato, zero ospiti al suo interno, un presidio ridotto di forze dell’ordine, gli operatori della Connecting People che rischiano il posto di lavoro. È lo scenario che si è presentato davanti ai consiglieri regionali Giulio Lauri (Sel), Silvana Cremaschi e Diego Moretti (Pd) che ieri mattina – rispetto al divieto per i giornalisti – hanno potuto visitare ciò che resta dell’ex Polonio. Una visita programmata prima ancora della clamorosa decisione del Viminale di azzerare il centro. «Il Cie è completamente inagibile, e dopo averlo visto si fa fatica a capire come nella zona rossa rimanga la capienza teorica dichiarata di 18 posti: noi non abbiamo visto alcun ambiente in cui la permanenza di esseri umani possa avvenire in condizioni igienico-sanitarie e di civiltà adeguate a garantire i più elementari diritti» raccontano i consiglieri. Al di là dei danni collegati alle ultime proteste l’impressione è quella di «un luogo non riformabile in quanto costruito con criteri peggiori di un carcere. Ci auguriamo che nel governo nessuno pensi che basti dargli una riverniciata o ristrutturarlo per poi riaprirlo». Il riferimento è all’ipotesi di rinconversione del Cie in Centro di accoglienza, ampliando le funzioni del vicino Cara così come ipotizzato da Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per i diritti umani. Un pensiero dei consiglieri anche per gli operatori: «Lo Stato oltre a pagare gli operatori deve rispettare integralmente il contenuto di contratti e convenzioni e non deve lasciarli in strada» (l.m.)

Foto e report del presidio sotto il carcere di Gorizia

gorizia9nov2013carcere

 Al presidio davanti al carcere di Gorizia,  tenutosi sabato 9 novembre hanno partecipato una trentina di compagne e com

pagni arrivate dai quattro angoli del FVG. 
Gazebo, Striscione, Volantinaggio.
Tanta polizia, carabinieri, digos.
E Bomba d’Acqua

Vento, Tuoni, Fulmini e Saette 
Nubifragio!

Che ha impedito l’arrivo dell’impianto e ha fatto scappare
utt* dopo le 18.
La presenza è durata circa un’ora e mezza.

 

UDINE/ Processo NO TAV 10 febbraio 2014

E’ stata fissata la data del processo per l’opposizione al decreto di condanna 10/02/14

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processo no tav-01

 

processo no tav-02

NO TAV: manifestazione popolare in Valsusa sabato 16 novembre

Importante appuntamento al quale saranno presenti, come molte altre volte, anche compagni/e della regione.

Qui sotto l’articolo in uscita su Umanità Nova.

 

 

Susa 16 novembre. Manifestazione popolare No Tav

Non possono bruciare i nostri cuori

Fiamme al Picapera

Il presidio Picapera di Vaie non c’è più. Intorno alle 11 di venerdì 1 novembre è stato dato alle fiamme. Venne costruito alla fine del 2010, nella stagione di resistenza alle trivelle, per impedire un sondaggio geognostico. In questo stesso luogo dovrebbe spuntare il treno, dopo un lungo tratto in galleria. Il presidio era diventato punto di riferimento per la gente di Vaie e per tutta la vasta comunità No Tav.

Il movimento ha immediatamente respinto al mittente la solidarietà pelosa dei parlamentari Si Tav Esposito e Napoli, dichiarando che i mandanti dell’incendio erano tra le file del governo, che appoggia e foraggia la lobby del cemento e del tondino, che ha fatto guadagni enormi con le grandi opere inutili finanziate con i soldi di tutti. Le amicizie tra il ministro della giustizia Cancellieri e la famiglia Ligresti, oggi sotto i riflettori dei media, non sono che l’ultimo esempio di una politica che, all’indomani del terremoto che ha pensionato la prima repubblica, ha individuato nell’alta velocità ferroviaria il canale dal quale attingere denaro senza correre rischi.

Un sistema pulito, semplice, basato sulla complicità bipartisan della destra e della sinistra, che solo in Val Susa ha incontrato l’unico grosso intoppo possibile: un grande movimento popolare, sordo alle lusinghe e forte di fronte alle minacce e alla repressione.

Quello di Vaie è il terzo presidio No Tav andato a fuoco. Prima era toccato a quelli di Bruzolo e Borgone. Quello di Borgone venne ricostruito subito, quello di Vaie lo sarà presto. Dopo la manifestazione popolare del 16 novembre, sia che la magistratura abbia tolto i sigilli, sia che non li abbia tolti, i lavori di ricostruzione riprenderanno.

È l’impegno preso dal comitato No Tav di Vaie, durante la fiaccolata per le vie del paese svoltasi domenica 3 novembre. Migliaia di No Tav sono scesi a Vaie per rafforzare il legame di solidarietà che unisce nella lotta chi resiste al supertreno. Chi resiste all’idea che questo mondo, queste relazioni sociali siano le uniche possibili.

Il giorno precedente, di fronte alle pareti annerite del presidio di Vaie, c’è stato il ricordo di Pasquale Cicchelli, un No Tav rispettato ed amato per il suo impegno nella lotta, prematuramente scomparso due giorni prima.
La magistratura torinese, per dimostrare la propria imparzialità, ha inviato avvisi di comparizione come persone informate sui fatti a numerosi ragazzi di Vaie, tutti No Tav. Una evidente provocazione mirante ad accreditare la tesi che gli incendiari siano tra gli oppositori alla Torino Lyon.

Processi superveloci e crepe nella magistratura: le dimissioni di Caselli

I processi contro i No Tav hanno una corsia privilegiata rispetto agli altri. Quello per lo sgombero della Maddalena e l’assedio del 3 luglio continua in aula bunker con l’esibizione dei poliziotti di servizio in quelle giornate. La tesi è sempre la stessa: attacco paramilitare, gruppi organizzati, violenza. I violenti pestaggi dei manifestanti arrestati, documentati da un video, i lacrimogeni che, oltre a intossicare, hanno ferito chi ha avuto la ventura di intercettarne le curiose parabole, spariscono dalle pittoriche descrizioni di un vice commissario dalla carriera in declino come quella di Massimo D’Alema, il suo referente politico di sempre.

Il lavoro della Procura è incessante su ogni fronte: in questi giorni sono arrivati avvisi di garanzia a No Tav accusati di aver spostato dei jersey che impedivano il passaggio dei manifestanti nel 2011.

Piccole crepe si stanno aprendo anche nel fronte della magistratura.

Le dimissioni da Magistratura Democratica di Giancarlo Caselli, il Procuratore capo di Torino, per ben due volte confermato nell’incarico nonostante il raggiunto limite di età, sono il segnale di un malessere che ha oltrepassato i confini della società civile per investire la stessa magistratura.

Casus belli la pubblicazione sull’Agenda 2014 dell’associazione di un articolo di Erri De Luca titolato “Notizie su Euridice”. De Luca in questo pezzo, più poetico che politico, racconta gli anni Settanta dalla parte dei perdenti, di quelli che si ritrovarono sui banchi degli imputati, quando la pubblica accusa era in mano a magistrati democratici e di sinistra come Giancarlo Caselli.

Intollerabile per il Procuratore della Repubblica, nonostante Magistratura Democratica abbia pubblicato il pezzo di De Luca con una nota introduttiva, in cui prende le distanze dalla “violenza” in ogni sua forma. Ma ben più intollerabile e, forse, all’origine vera delle dimissioni dall’associazione che aveva contribuito a fondare, è la notizia, per ora non esplosa sui media che proprio Magistratura Democratica promuoverà un convegno sui processi No Tav che si svolgerà all’interno del Palagiustizia di Torino. Uno schiaffo a mano aperta al Procuratore che più si stava spendendo per ottenere condanne contro il movimento di resistenza alla Torino Lyon.

Tanto intollerabile che l’11 novembre Caselli ha annunciato le proprie dimissioni da Procuratore: dal 28 dicembre andrà in pensione con cinque mesi di anticipo sulla scadenza dell’incarico, fissata al 9 maggio.

Assedio al Napoleon

Susa. Nella serata di martedì 5 novembre circa 150 No Tav hanno dato vita ad una manifestazione a sorpresa davanti all’hotel Napoleon, che ormai da anni ospita le truppe di occupazione di stanza a Chiomonte. Per due ore e mezza, tra slogan e canti partigiani, gli attivisti hanno aperto uno striscione con la scritta “via le truppe di occupazione” di fronte all’ingresso principale dell’albergo.
Sul retro si è attestato un altro gruppone. I carabinieri, comandati dal capitano Pieroni, che ha sostituito da qualche mese Mazzanti sulla piazza di Susa, hanno atteso inutilmente i rinforzi. Il gran dispiegamento di polizia per la partita Juventus Real Madrid ha evidentemente reso più difficili gli spostamenti di truppe.
Così il cambio turno al cantiere fortino è saltato. Un granello di sabbia nell’ingranaggio della macchina dell’occupazione militare.
Continuano in valle e a Torino le assemblee popolari: dopo quelle di Susa e S. Ambrogio ce ne sarà una a Torino e una ad Almese.

Il prossimo, importante, appuntamento è il corteo No Tav del 16 novembre a Susa.

Possono bruciare i presidi, ma non possono bruciare i nostri cuori. Queste parole erano scritte sullo striscione che apriva la fiaccolata, svoltasi dopo l’incendio del presidio di Vaie.

Lo striscione era retto tenuto dai bambini e dai ragazzi di Vaie. La lotta va avanti.

Vi aspettiamo numerosi a Susa sabato 16 novembre.

Appuntamento davanti alle 13 alla Stazione per un corteo che attraverserà i luoghi della lotta e dell’occupazione militare.

ANTIFASCISMO/ Rassegna stampa su Gelindo Citossi (Romano il Manzin)

Appena abbiamo un po’ di tempo organizziamo un’altra assemblea pubblica

Coordinamento Antifascista Friulano

 

Rassegna stampa

Messaggero Veneto 12 NOVEMBRE 2013

«Su Citossi troppa confusione storica»

San Giorgio, lo scrittore Monte interviene sulla polemica dell’intitolazione di una via al capo partigiano

 

SAN GIORGIO DI NOGARO «Perchè gli abitanti di un paese come San Giorgio hanno delle opinioni così stridenti su fatti e vicissitudini accaduti 70 anni fa? Perchè una parte del paese nega le virtù di un capo partigiano, Gelindo Citossi, chiamato “il Mancino”, autore di una delle più audaci, se non la più audace, impresa che la storia della Resistenza ricordi: la liberazione dei prigionieri dalle carceri di Udine avvenuta in maniera rocambolesca la sera del 7 febbraio 1945, lo stesso giorno della strage di Porzus? Perchè una parte del paese nega il valore di chi, per oltre un anno, con pochi ragazzini male armati e male addestrati ha tenuto in scacco le truppe tedesche d’occupazione e i fedeli repubblichini fascisti italiani, autori di inenarrabili crimini nei confronti di civili inermi? A queste domande non so darmi una risposta precisa ma, di fronte a fatti inconfutabili come quelli appena descritti, il tentativo di delegittimare la figura del Mancino deve avere delle origini non solo di fazione, ma anche soprattutto personali e familiari». Monta la polemica nella Bassa friulana, e non solo, sulla figura di Gelindo Citossi. Oggi lo scrittore sangiorgino, Marco Monte, risponde ai detrattori del “Mancino”: «Se il Mancino viene descritto da coloro che diffidano il Comune dall’intitolargli una via come un “esecutore spietato”, mi chiedo esecutore di chi e perchè – dice -. Non so se abbia ucciso, non risulta in nessun atto ufficiale, ma se lo ha fatto non lo ha fatto certo nei confronti dei senza colpa: per le spie e i delatori ogni guerra ha sempre negato il tempo e lo spazio per un processo. Non scordiamoci che le celle della caserma Piave di Palmanova erano colme di prigionieri antifascisti, torturati e assassinati, catturati grazie alla delazione di compiacenti collaborazionisti, come i vari Rebez, Arrotini, Munaretto e i loro feroci sgherri. Le diatribe di paese nascono alimentate dalla confusione storica divisa tra studiosi “ortodossi” e “revisionisti”. La polemica non trova origine nella ricerca della verità storica, ma nell’appartenenza politica. Non abbiamo bisogno né di storici ortodossi né di revisionisti, ma solamente di verità: se le dicerie che dipingono il Mancino come un esecutore spietato trovassero un fondamento di verità, sarei il primo a rinnegare colui che al momento riconosco come un baluardo della libertà». (f.a.)

 

 

Messaggero Veneto 11 novembre 2013

Una via al comandante Romano, infuria la polemica

SAN GIORGIO. La Bassa, ma non solo, si spacca sulle vicenda del partigiano Gelindo Citossi-“Romano il Manzin”: l’eroe al quale dedicare una via a piazza a San Giorgio di Nogaro; o lo “spietato…

 

SAN GIORGIO. La Bassa, ma non solo, si spacca sulle vicenda del partigiano Gelindo Citossi-“Romano il Manzin”: l’eroe al quale dedicare una via a piazza a San Giorgio di Nogaro; o lo “spietato esecutore” per il quale il neonato comitato diffida il sindaco Pietro Del Frate dal fare questo passo? La polemica divampa sia su facebook, che col tam-tam telefonico, tanto da indurre il Coordinamento Antifascista Friulano a organizzare, a breve, un incontro pubblico con l’intento, mettendo a confronto le varie posizioni, di fare definitivamente chiarezza in merito. Intanto, dopo la diffida del neonato comitato a dedicargli una strada o piazza a San Giorgio, paese natale del “Manzin”, scende in campo Giorgio Coianiz, lo storiografo amico di Gelindo Citossi, uno dei pochi che lo andava a trovare nell’esilio di Pisino, dove ritorna ogni anno dal 1976 (anno della morte) per commemorare il “comandante Romano”. «Durante la lotta di liberazione dal nazifascismo del 1943-45 le formazioni partigiane da noi, in pianura, avevano due compiti – spiega Coianiz -: il primo rifornire le truppe in montagna ed eliminare le spie e i torturatori come quelli della caserma Piave di Palmanova. Il secondo lavoro veniva svolto dagli uomini più audaci e più coraggiosi: Gelindo Citossi era uno di loro. Per un intero anno, giorno dopo giorno, mise la sua vita in pericolo nelle sue azioni contro i fascisti in tutta la Bassa, tanto che i tedeschi dissero a suo padre: “Vedi questa scatoletta di carne? Quando lo prendiamo te lo mandiamo dentro queste”. Infatti questi eroi, quando venivano catturati, subivano le torture più crudeli e poi fucilati. Quando il 7 febbraio del 1945 Romano il Mancino riusciva a liberare le carceri di Udine, Radio Londra la indicò come la più audace azione di tutta la guerra di Liberazione. Finite le ostilità – racconta – si scatenava una canea persecutrice politica contro questi combattenti che furono, molte volte, costretti a riparare all’estero. Nel 1990, assieme alla figlia Natalina, sono stato al casellario giudiziario del Tribunale di Udine che mi rilasciò il certificato di Gelindo Citossi in cui si legge molto bene “Nulla”. Nessun processo, nessuna denuncia, appunto nulla. Figurarsi negli anni ’50 se ci fosse stato a suo carico un qualsiasiappiglio penale se non l’avessero processato. Quindi consiglio attenzione a una critica legittima ma che non deve scadere nella diffamazione».

Francesca Artico

 

 

 

NOTAV: news sulla tratta Trieste-Divaccia

DAl Piccolo del 13/11/13

Trieste-Divaccia, progetto entro l?anno

di Giovanni Tomasin TRIESTE Entro l’inizio del prossimo anno il governo italiano e quello sloveno potrebbero trovarsi davanti una proposta di progetto per la linea ferroviaria Aurisina-Divaccia: partirà a quel punto il processo di verifica del progetto con gli enti locali e tra questi e il territorio. «Auspichiamo che per i primi mesi del 2014 gli enti incaricati di decidere dispongano di tutte le informazioni necessarie per scegliere un tracciato», ha spiegato il responsabile dei Corridoi Ten-T per ilministero, Roberto Ferrazza, a margine della conferenza interministeriale svoltasi ieri a Trieste nell’ambito del progetto Acrossee. Il progetto Il progetto, che secondo alcune stime dovrebbe costare circa due miliardi di euro per una ventina di chilometri di linea, nelle intenzioni degli enti ferroviari dovrebbe favorire il traffico di merci fra Italia e Slovenia: lo scopo è quello di consentire al porto di Trieste di fare da punto di ricezione delle merci provenienti da Suez, per indirizzarle poi via rotaia verso la Slovenia e i mercati est e nord-europei oppure verso la Francia. L’hub della Venezia Giulia dovrebbe così raddoppiare il volume dei suoi traffici. «L’università di Lubiana preparerà entro l’anno uno studio sui potenziali traffici della linea – ha spiegato Ferrazza -, che chiarirà le potenzialità dell’opera». Lo studio sarà uno dei fattori di cui i tecnici del Geie (Gruppo europeo di interesse economico, composto da rappresentanti delle ferrovie dei due Paesi) terranno conto nell’elaborare la proposta di progetto che poi sarà sottoposta al vaglio politico della commissione intergovernativa Italia-Slovenia, di cui fa parte anche la Regione Friuli Venezia Giulia. I possibili tracciati vanno da una linea parzialmente in galleria a una in superficie, basata su semplici rettificazioni della linea. Opere al risparmio Tutto al convegno di ieri, organizzato dall’Ince proprio per discutere di accessibilità transfrontaliera nel Sud Est Europa, lasciava intendere che le soluzioni privilegiate saranno quelle pratiche, veloci e poco costose. Atteggiamento obbligatorio in tempi di tragica siccità di fondi. I precedenti non mancano: il commissario straordinario alla Tav Venezia Trieste, Bortolo Mainardi, non fa mistero di propendere per una ottimizzazione della linea esistente. La Regione Fvg, da parte sua, ha chiesto che vengano privilegiati gli interventi urgenti sulle linee attuali. Sul possibile accordo tra queste posizioni e un collegamento Tav fra Aurisina e Divaccia, Ferrazza si è espresso così: «Attenzione, non stiamo parlando di alta velocità in questo tratto – ha risposto -. Si punta soprattutto ad aumentare la capacità, diminuendo la pendenza della linea per allungare i treni. Bisogna anche tener conto del fatto della grande delicatezza ambientale dell’area». La Venezia-Mestre Per quanto riguarda il tracciato da Mestre a Ronchi, Ferrazza ha detto che«Rfi, Rete ferroviaria italiana, ha sollecitato il ministero (dell’Ambiente, ndr) a dare indicazioni per le finalizzazioni del progetto di affiancamento alla linea esistente». «Adesso – ha aggiunto – il ministero dell’Ambiente chiuderà il parere di Valutazione di impatto ambientale (Via) confrontando tra loro sia l’ipotesi costiera che quella di affiancamento alla linea ferroviaria esistente». Anche in questo caso «la priorità è l’alta capacità» più che l’alta velocità. Ferrazza ha riconosciuto come «saggia» la scelta di «aggredire i colli di bottiglia» sulla rete storica, aggiungendo che «non è mai stata messa in discussione l’alta capacità in sé. Servono soluzioni ferroviarie che non siano un ostacolo allo sviluppo del porto di Trieste e dei porti dell’Adriatico. Tra fare un quadruplicamento ex novo e la linea storica con soluzione dei nodi c’è una bella differenza». Il protocollo Il project manager dell’Ince Carlo Fortuna ha detto che «in un periodo di risorse pubbliche in calo, è indispensabile concentrare l’attenzione sui piccoli progetti». La Regione Friuli Venezia Giulia ha poi firmato un protocollo per il coordinamento delle opere con gli altri partner di Accrosee: ministeri dei Trasporti, Camere di commercio, Università e altre istituzioni di Paesi dell’Unione europea e del Sud- Est.

RIGASSIFICATORE: Clini smentisce Passera

Il piccolo del 24/07/12

Clini sul rigassificatore: ancora tutto in discussione

 

di Gabriella Ziani Sì, l’approvvigionamento di gas è una questione strategica per l’Italia. Ma non per questo il rigassificatore previsto a Zaule è da considerarsi cosa fatta. Anzi. Pendono sul previsto impianto di Gas natural questioni grandi, tuttora irrisolte, e molto controverse, quindi lo spazio per discuterne c’è. All’indomani delle certezze, e del sollecito espresso al nostro giornale dal ministro per le Infrastrutture Corrado Passera, sull’urgenza indiscutibile di realizzare un rigassificatore e proprio a Trieste, è il ministro dell’Ambiente, Corrado Clini, a declinare in dettaglio lo stato problematico delle cose. Il tema, dice, è ancora aperto. Ministro Clini, Passera è stato impositivo nel sostenere che il rigassificatore si debba realizzare e presto. A Trieste si ritiene che venga sottovalutato il capitolo delle criticità. Lei che cosa ne pensa? La posizione di Passera è assolutamente condivisa, è necessario diversificare le fonti energetiche, avere una sicurezza a livello europeo, considerare l’uscita della Germania dal nucleare che crea opportunità molto grandi, sono temi cui prestare grandissima attenzione. Ma per Trieste mancano ancora dei passaggi per una decisione, che sono ancora tutti da definire. Quali sono? Il ministero, ancora col governo Berlusconi, ha dato parere positivo alla Valutazione d’impatto ambientale, ma per esempio il rigassificatore non è inserito nel piano di sviluppo regionale. Secondo, un rigassificatore comporta vincoli e servitù per il porto, e per gli usi dell’area circostante. Ed è un altro problema. Su questo la situazione è ancora ferma, manca il parere della Regione e delle altre autorità locali. Quindi si vede come il tema sia ancora aperto, e su cose rilevanti. È allora dalla Regione che tutto dipende? Manca ancora una politica regionale in materia di portualità e in campo energetico. La Regione su questi temi deve perciò esprimersi. E una volta che la Regione lo avesse fatto? C’è un’altra questione, ben più complicata. Ed è l’opposizione manifestata dalla Slovenia, e ribadita nuovamente al presidente Napolitano nel corso della sua recente visita a Lubiana. È un tema non banale, ma sostanziale. Ci viene chiesto di rispettare procedure europee, che sarebbe stato molto opportuno già osservare in precedenza. E cioé avviare una Valutazione ambientale strategica (Vas) transfrontaliera. A settembre abbiamo un incontro fissato con la Slovenia, e questo sarà certamente uno dei primi temi. Quindi, fatto salvo che uno “hub” del gas, come dice Passera, è importante per la politica energetica nazionale, abbiamo su Trieste ancora questi problemi da risolvere. E quelli di sicurezza dell’impianto? L’approfondimento dei problemi relativi ai rapporti fra sicurezza, protezione ambientale e sviluppo portuale potrebbe essere d’aiuto per raggiungere margini di miglioramento in fatto di tecnologie e dispositivi per la sicurezza. Quindi lei non dà affatto per certo e imminente il rigassificatore di Zaule? No, perché il tema è aperto anche su altre questioni ancora. Il procedimento di Vas per il piano regolatore del porto è ancora in discussione al ministero dell’Ambiente proprio perché si stanno analizzando i diversi usi dell’area portuale e le loro compatibilità. È a causa del rigassificatore che il piano regolatore del porto non viene dunque “rilasciato”? Sì, per questo. Ma poi stiamo analizzando anche altro. Che cosa? Al ministero è stato presentato un secondo progetto per Trieste, quello per il rigassificatore “off shore”, e il procedimento di Valutazione d’impatto ambientale non è concluso. Ma un rigassificatore in Alto Adriatico non dovrebbe escludere l’altro? La domanda è di solo buon senso. Ma si può rispondere soltanto con un piano nazionale energetico e dei rigassificatori, che invece manca. Il principale punto debole procedurale è comunque che avremmo dovuto, come paese, affrontare la Valutazione strategica per situare i rigassificatori. È del resto cosa prevista dalle norme Ue. Ma in passato si è invece preferito valutare caso per caso. Ora stiamo lavorando a questo.