Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
da Il Piccolo di DOMENICA, 9 MARZO 2014 – Pagina 52 – Gorizia-Monfalcone
I lavoratori del Cara sciopereranno il 14 marzo
GRADISCA Lo sciopero a oltranza dei lavoratori del Cie/Cara torna a essere più che una semplice eventualità. Sospeso nei giorni scorsi, dopo alcune rassicurazioni della Prefettura, ieri pomeriggio l’iniziativa è stata nuovamente proclamata – con tutti i crismi dell’ufficialità – per venerdì 14 marzo. A deciderlo è stata un’assemblea dei lavoratori, assistiti dalle principali sigle sindacali: Fp Cgil, Fisascat Cisl e Lp Uil. Le ragioni che hanno portato i dipendenti della Connecting People a proclamare nuovamente lo sciopero sono molteplici. Senza stipendio da 5 mesi – e nel caso del personale sanitario a partita Iva addirittura da 10 senza vedere evase le fatture per le proprie prestazioni professionali – i lavoratori chiedevano anzitutto che la Prefettura subentrasse in maniera definitiva e continuativa all’ente gestore nel pagamento dei salari. L’ente statale almeno per ora ha però prospettato ai sindacati una soluzione-tampone, sulla falsariga di quanto già avvenuto la scorsa estate: il pagamento (e all’80%) di tre mensilità pregresse, vale a dire novembre, dicembre e tredicesima. Questo non è bastato ai sindacati e ai lavoratori. «Siamo rimasti fermi sulla nostra posizione – spiegano -. Chiedevamo tutto il dovuto maturato dal personale, ma soprattutto una soluzione a lungo termine come il definitivo subentro alla cooperativa da parte della Prefettura, che continuiamo a ritenere l’unico interlocutore, nell’erogazione dei salari». Per ora non vi sono notizie sulla liquidazione del 20% ancora spettante ai dipendenti dalla scorsa estate e i sindacati manifestano altresì “grande perplessita’” sul fatto che il prefetto abbia fatto sapere di voler proseguire nella convenzione con Connecting People, seppure rimodulata sulla base delle attuali esigenze logistiche del Cie/Cara.
Marzo 18th, 2017 — Auto-organizzazione, General
da Il Piccolo del 12 marzo 2014 – Gorizia-Monfalcone, pag. 26
Sfruttavano i bengalesi: 3 arresti negli appalti coinvolte 8 imprese
Organizzazione di 27 persone smascherata dai carabinieri
Le accuse: associazione per delinquere e truffa allo Stato
Assunzione, licenziamento e riassunzione in una ditta amica: lavoratori come palline da ping-pong che passano in maniera disinvolta da una società a un’altra. Lo scopo è doppio: da una parte ottenere dallo Stato gli incentivi e i contribuiti previdenziali legati all’assunzione di nuove maestranze; dall’altro, grazie alla riduzione dei costi d’impresa, proporre a Fincantieri contratti di appalto concorrenziali. La rete di società creata per sfruttare la manodopera bengalese a bassissimo costo è stata però scoperta dai carabinieri e il sistema smantellato.
Sono tre le ordinanze di custodia cautelare, cinque le persone indagate sottoposte all’obbligo di firma e altre 19 quelle denunciate a piede libero nell’ambito dell’operazione “Freework2”. I reati complessivamente contestati sono – a vario titolo e con diversi gradi di responsabilità – di associazione a delinquere finalizzata: alla truffa aggravata ai danni dello Stato, all’intermediazione illecita di manodopera e allo sfruttamento, alla somministrazione fraudolenta di manodopera, all’estorsione e minaccia ai danni dei lavoratori, alla corruzione fra privati e incaricati di pubblico servizio, alla commissione di violazioni in materia di sicurezza sul lavoro fino al falso.
Il blitz è scattato ieri mattina all’alba. In esecuzione dell’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gorizia Massimiliano Rainieri su richiesta del pm Michele Martorelli, i carabinieri del Nucleo investigativo di Gorizia si sono presentati alla porta del 48enne amministratore unico e coproprietario della ditta Scf srl nonché amministratore unico della Sea srl Giuseppe Comentale, dell’omonimo quarantareenne titolare della Edil.Naval srl e del 35enne bengalese dipendente e responsabile di cantiere della Ma&Ea srl Morshed Kamal. La loro posizione è la più delicata e i tre si trovano agli arresti domiciliari. In via preventiva, nella stessa mattinata, sono stati bloccati anche 235mila euro depositati su vari conti correnti bancari.
L’operazione avviata alla fine del 2011 è stata sviluppata dal Nucleo investigativo in stretta collaborazione con il Nucleo ispettorato del lavoro dell’Arma e la Compagnia di Monfalcone per contrastare, da un lato, i reati a danno dell’economia e delle finanze pubbliche, dall’altro per fermare lo sfruttamento dei lavoratori stranieri.
Mano a mano che le attività di polizia giudiziaria sono andate avanti, le maestranze (soprattutto bengalesi, ma non soltanto) hanno denunciato minacce, sopprusi e condizioni di lavoro degradanti. Le testimonianze hanno evidenziato l’esistenza di un’organizzazione complessa ed articolata tra le società Sait spa, Isotermo srl, Elynaval srl, Edil.Naval srl, Ma&Ea srl, Iso.C srl, Scf srl e Sea srl.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il non rispetto degli orari di lavoro, delle mansioni svolte, delle retribuzioni corrisposte, delle disposizioni in materia di sicurezza, nonché i licenziamenti/dimissioni imposti e le altrettanto imposte riassunzioni in altre ditte del gruppo (utili a sfruttare gli incentivi ed i contributi previdenziali offerti dallo Stato) attuate in modo scientifico, hanno permesso di accaparrarsi gli appalti Fincantieri, ma anche ingenti illeciti guadagni attraverso i risparmi ottenuti sui contributi previdenziali dei lavoratori. In occasione dei licenziamenti forzati, inoltre, le maestranze venivano obbligate a firmare dichiarazioni di avvenuta liquidazione dei Tfr che in realtà non venivamo versati.
Accertato un illecito profitto per quasi 2 milioni
La polizia giudiziaria isontina ha contestato 386 sanzioni amministrative. Congelati 235mila euro dai conti correnti
Un illecito profitto da quasi due milioni di euro. È quanto ha accertato l’indagine “Freework 2” della Procura della Repubblica di Gorizia nei confronti delle otto ditte dell’indotto Fincantieri che operavano negli stabilimenti navali di Monfalcone, Trieste e Marghera e si occupavano di coibentazione, isolamento e arpionatura sulle navi da crociera. La polizia giudiziaria del capoluogo isontino ha loro contestato complessivamente 386 sanzioni amministrative per illecito impiego di manodopera o caporalato. L’importo totale dei verbali ammonta a 939mila 540euro. In via precauzionale, sui conti correnti bancari dei principali soggetti dell’organizzazione sono stati congelati 235mila euro, denaro che in caso di condanna verrà definitivamente confiscato.
Per certi versi, l’operazione conclusa ieri lancia un messaggio nei confronti di un sistema malato in cui lo sfruttamento dei lavoratori ha raggiunto livelli in alcuni casi eccessivi. Nella rete del caporalato sono finiti non solo cittadini stranieri inconsapevoli di quanto stava succedendo e pronti a tutto pur di non dover rientrare in patria, la crisi ha spinto al compromesso anche lavoratori italiani che, pur di portare a casa uno stipendio minimo, hanno accettato condizioni estreme, condizioni che non tenevano in alcun conto le contrattazioni nazionali collettive di settore.
Le indagini hanno evidenziato che i lavoratori venivano sottoposti a minacce ed estorsioni oltre che impiegati senza certezza negli orari di lavoro, né di mansioni, retribuzioni o condizioni di sicurezza. Venivano imposte loro dimissioni, false liquidazioni e riassunzioni in altre ditte del gruppo utili per sfruttare gli incentivi e i contributi previdenziali offerti dallo Stato, con illeciti guadagni attraverso i risparmi ottenuti sui contributi dei lavoratori.
Gli incentivi statali legati al movimento di personale dipendente da una ditta all’altra hanno portato a risparmi sui salari e questo ha reso il gruppo concorrenziale nel mondo degli appalti navali.
Troppi infortuni in casa: così è partita l’indagine
Per eludere controlli sulla sicurezza molti lavoratori stranieri costretti a dichiarare al pronto soccorso di essersi feriti quando avevano già finito il turno
Incongruenze statistiche: da qui parte l’operazione “Freework 2”, il filone investigativo sullo sfruttamento del lavoro a basso costo legato alle indagini che tra il 2010 e il 2011 si erano concluse con l’arresto di 5 persone e il deferimento in stato di libertà di altre 4 per associazione a delinquere finalizzata all’estorsione e allo sfruttamento dei lavoratori e di truffa aggravata ai danni dello Stato.
Erano troppi e troppo strani gli infortuni domestici denunciati al pronto soccorso di Monfalcone da alcuni lavoratori bengalesi. Non quadravano né al personale sanitario, né agli investigatori: perché mai uno, due, tre… operai avrebbero dovuto lavorare con la fiamma ossidrica a casa poco dopo la fine del proprio turno di lavoro? Strano, troppo strano. Dagli approfondimenti sarebbe emerso un sistema per mascherare gli infortuni sul lavoro. In questo un ruolo chiave sarebbe da attribuire al “terzo uomo”: Morshed Kamal. Il trentacinquenne dipendente e responsabile del cantiere della
Ma&Ea sarebbe stato l’interfaccia culturale di cui aveva bisogno il gruppo per sfruttare i bengalesi. Sarebbe stato lui a “gestire le risorse umane”: oltre a impartire gli ordini operativi alle maestranze.
Approfittando della loro ignoranza, godeva della fiducia dei connazionali tenendoli in pugno. Era lui che faceva firmare i contratti di assunzione o le lettere di licenziamento. Quando qualcuno si faceva male, lo mandava a casa con l’ordine di attendere almeno un paio d’ore prima di presentarsi all’accettazione del pronto soccorso. Ecco allora che sul portale unico delle società Iso.C, Scf, Ma&Ea si legge che l’organico selezionato è altamente qualificato e grazie alla sua pluriennale esperienza è stato scelto tra quei lavoratori che mai sono incorsi in infortuni nella loro carriera.
Strani sono apparsi anche i numerosi licenziamenti di lavoratori a tempo indeterminato. Perché lavoratori che per mantenere il proprio permesso di soggiorno hanno bisogno di un contratto, si dimettono all’improvviso e di continuo? Incongruenze statistiche, appunto. La massa di lavoratori gestita prima da una società, poi dall’altra era anche di 200 persone. Alle volte ai dipendenti veniva fatto credere d’essere in ferie: in realtà venivano licenziati e al loro ritorno venivano riassunti dalla ditta collegata del gruppo.
Il quadro disegnato dagli investigatori ha evidenziato società connesse tra loro per i vincoli operativi legati ai subappalti, ma anche attraverso co-intestazioni e vincoli di parentela tra titolari responsabili: un metodo di fare impresa definito “scriteriato” volto alla strutturazione di un’organizzazione a delinquere.
A maggio udienza del processo per estorsione
Imputato assieme al fratello e al padre anche Pasquale Comentale, ex tronista di “Uomini e donne”
Di caporalato nell’appalto Fincantieri si parlerà a maggio davanti ai giudici del tribunale di Gorizia in occasione del processo che vede imputati di associazione per delinquere ed estorsione aggravata Angelo Comentale, 57 anni, e i figli Giuseppe, 35, e Pasquale, 30, ex tronista di “Uomini e donne”, assieme agli operai Amin Ruhul, 35, e Alessandro Rispoli, 43, nonchè Anna De Simone, 52, moglie di Angelo Comentale, e Miah Kabir, 41, quest’ultimo in relazione alla sola accusa di estorsione.
Nell’udienza di maggio deporrà il perito incaricato di trascrivere le oltre cento telefonate intercettate durante l’indagine. E con lui saranno sentiti anche alcuni testi indicati dal pubblico ministero. L’inchiesta aveva portato alla scoperta di un’organizzazione che, come sostenuto dalla Procura, era dedita principalmente all’estorsione ai danni dei cittadini bengalesi (alcuni si sono costituiti parte civile), sfruttandone l’attività professionale, sottopagandoli e costringendoli con violenza e minaccia ad accettare condizioni deteriori rispetto a quelle previste dalla contrattazione collettiva di lavoro. Il tutto, secondo il capo di imputazione, attraverso il succedersi delle ditte riconducibili ai Commentale, come la Edilnaval, la Navalplanet e la Sea Work, con identico oggetto sociale e sostanziale identità organizzativa.
Nutrito il collegio di difesa (avvocati Roberto Corbo, Francesco De Benedittis, Alberto Tarlao, Massimo Bergamasco, Giovanni Iacono e Mariarosa Platania) che nel dibattimento punterà a smontare le accuse in particolare quella dell’associazione a delinquere che era stata negata in un primo momento dal Gip Santangelo, ma poi riconosciuta sia dal Riesame sia dalla Cassazione.
In precedenza il tribunale di Gorizia aveva respinto la richiesta di citare quali responsabili civili la Fincantieri e le ditte di appalto Danmont e Sait. Sì invece alla citazione di altre ditte come la Edilgreen e la Sea Work. Una decisione che farà discutere e che ha già fatto storcere il naso alla Fiom Cgil e ai 16 lavoratori bengalesi costituitisi parte civile e che avevano richiesto la citazione di Fincantieri e delle altre due ditte d’appalto. Un modo per cercare di avere una solida copertura per i risarcimenti in caso di condanna degli imputati.
da Il Piccolo on-line del 11 marzo 2014
Caporalato nel subappalto della Fincantieri, tre arresti a Monfalcone
Sono in tutto 27 le persone finite nella rete dell’indagine dei carabinieri. I reati contestati: associazione per delinquere, sfruttamento di mandopera, truffa aggravata ai danni dello Stato. L’azienda non è coinvolta
Tre persone sono state arrestate, altre cinque sottoposte all’obbligo di firma e 19 denunciate nell’ambito di un’indagine sullo sfruttamento di lavoratori, perlopiù bengalesi, delle aziende che operano nell’indotto della Fincantieri, che non risulta coinvolta nell’indagine.
Nel corso dell’operazione i carabinieri hanno provveduto al sequestro preventivo di 235mila euro sui conti correnti dei titolari delle sei ditte coinvolte. I tre arrestati, due italiani e un bengalese (i nomi sul cartaceo di mercoledì 11 marzo), sono già ai domiciliari.
I provvedimenti, emessi dal Gip presso il Tribunale di Gorizia Massimiliano Rainieri, su richiesta del sostituto procuratore della Repubblica Michele Martorelli, giungono a conclusione dell’indagine «Freework 2», sviluppata tra il 2012 e il 2013 con lo scopo di verificare la gestione di alcune attività imprenditoriali della provincia isontina in appalto e subappalto, impegnate nella realizzazione delle navi da crociera a Panzano, Trieste e Marghera, e segue la prima “tranche” condotta tra il 2010 e il 2011, conclusasi con cinque arresti e quattro denunce.
I nuovi accertamenti sono scaturiti da alcune incongruenze statistiche, da una gestione della sicurezza sui luoghi di lavoro e delle maestranze poco chiara, che ha portato a centrare l’attenzione sulle società Sit spa, Isotermo srl, Elynaval srl, Edil.naval srl, Ma&ea srl, Iso. C. srl, S.C.F. srl e Sea srl, connesse tra di loro per vincoli lavorativi, di cointestazione o di parentela tra i titolari, e in grado di impiegare fino a 200 operai contemporaneamente.
Gli investigatori hanno portato alla luce lo sfruttamento delle maestranze e continui movimenti fra ditte della manodopera, in particolare del Bangladesh. I lavoratori venivano sottoposti a minacce ed estorsioni, impiegati senza orari di lavoro certi, mansioni, retribuzioni e condizioni di sicurezza certi. Venivano imposti dimissioni, false liquidazioni del Tfr e riassunzioni in altre ditte del gruppo, utili per sfruttare gli incentivi e i contributi previdenziali offerti dallo Stato, con illeciti guadagni attraverso i risparmi ottenuti sui contributi dei lavoratori.
da Il Piccolo del 28 febbraio 2014
Riprenderà a maggio il processo sul caporalato nell’appalto di Fincantieri, che vede imputati di associazione a delinquere e estorsione aggravata Angelo Commentale, 57 anni, e i figli Giuseppe, 35, e Pasquale (foto), 30, ex tronista di “Uomini e donne”, assieme agli operai Amin Ruhul, 35, e Alessandro Rispoli, 43, nonchè Anna De Simone, 52, moglie di Angelo Commentale, e Miah Kabir, 41, quest’ultimo in relazione alla sola accusa di estorsione. La prossima udienza vedrà la deposizione del perito incaricato a trascrivere le oltre cento telefonate intercettate durante l’indagine . E con lui saranno sentiti anche alcuni testi indicati dal pubblico ministero. L’inchiesta aveva portato alla scoperta di un’organizzazione che, come sostenuto dalla Procura, era dedita principalmente all’estorsione ai danni dei cittadini bengalesi (alcuni si sono costituiti parte civile), sfruttandone l’attività professionale, sottopagandoli e costringendoli con violenza e minaccia ad accettare condizioni deteriori rispetto a quelle previste dalla contrattazione collettiva di lavoro. Il tutto, secondo il capo di imputazione, attraverso il succedersi delle ditte riconducibili ai Commentale, come la Edilnaval, la Navalplanet e la Sea Work, con identico oggetto sociale e sostanziale identità organizzativa. Nutrito il collegio di difesa (avvocati Roberto Corbo, Francesco De Benedittis, Alberto Tarlao, Massimo Bergamasco, Giovanni Iacono e Mariarosa Platania) che nel dibattimento punterà a smontare le accuse in particolare quella dell’associazione a delinquere che era stata negata in un primo momento dal Gip Santangelo, ma poi riconosciuta sia dal Riesame che dalla Cassazione.
Sfruttavano i bengalesi: 3 arresti negli appalti coinvolte 8 imprese
Organizzazione di 27 persone smascherata dai carabinieri
Le accuse: associazione per delinquere e truffa allo Stato
di Stefano Bizzi
Assunzione, licenziamento e riassunzione in una ditta amica: lavoratori come palline da ping-pong che passano in maniera disinvolta da una società a un’altra. Lo scopo è doppio: da una parte ottenere dallo Stato gli incentivi e i contribuiti previdenziali legati all’assunzione di nuove maestranze; dall’altro, grazie alla riduzione dei costi d’impresa, proporre a Fincantieri contratti di appalto concorrenziali. La rete di società creata per sfruttare la manodopera bengalese a bassissimo costo è stata però scoperta dai carabinieri e il sistema smantellato.
Sono tre le ordinanze di custodia cautelare, cinque le persone indagate sottoposte all’obbligo di firma e altre 19 quelle denunciate a piede libero nell’ambito dell’operazione “Freework2”. I reati complessivamente contestati sono – a vario titolo e con diversi gradi di responsabilità – di associazione a delinquere finalizzata: alla truffa aggravata ai danni dello Stato, all’intermediazione illecita di manodopera e allo sfruttamento, alla somministrazione fraudolenta di manodopera, all’estorsione e minaccia ai danni dei lavoratori, alla corruzione fra privati e incaricati di pubblico servizio, alla commissione di violazioni in materia di sicurezza sul lavoro fino al falso.
Il blitz è scattato ieri mattina all’alba. In esecuzione dell’ordinanza emessa dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Gorizia Massimiliano Rainieri su richiesta del pm Michele Martorelli, i carabinieri del Nucleo investigativo di Gorizia si sono presentati alla porta del 48enne amministratore unico e coproprietario della ditta Scf srl nonché amministratore unico della Sea srl Giuseppe Comentale, dell’omonimo quarantareenne titolare della Edil.Naval srl e del 35enne bengalese dipendente e responsabile di cantiere della Ma&Ea srl Morshed Kamal. La loro posizione è la più delicata e i tre si trovano agli arresti domiciliari. In via preventiva, nella stessa mattinata, sono stati bloccati anche 235mila euro depositati su vari conti correnti bancari.
L’operazione avviata alla fine del 2011 è stata sviluppata dal Nucleo investigativo in stretta collaborazione con il Nucleo ispettorato del lavoro dell’Arma e la Compagnia di Monfalcone per contrastare, da un lato, i reati a danno dell’economia e delle finanze pubbliche, dall’altro per fermare lo sfruttamento dei lavoratori stranieri.
Mano a mano che le attività di polizia giudiziaria sono andate avanti, le maestranze (soprattutto bengalesi, ma non soltanto) hanno denunciato minacce, sopprusi e condizioni di lavoro degradanti. Le testimonianze hanno evidenziato l’esistenza di un’organizzazione complessa ed articolata tra le società Sait spa, Isotermo srl, Elynaval srl, Edil.Naval srl, Ma&Ea srl, Iso.C srl, Scf srl e Sea srl.
Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, il non rispetto degli orari di lavoro, delle mansioni svolte, delle retribuzioni corrisposte, delle disposizioni in materia di sicurezza, nonché i licenziamenti/dimissioni imposti e le altrettanto imposte riassunzioni in altre ditte del gruppo (utili a sfruttare gli incentivi ed i contributi previdenziali offerti dallo Stato) attuate in modo scientifico, hanno permesso di accaparrarsi gli appalti Fincantieri, ma anche ingenti illeciti guadagni attraverso i risparmi ottenuti sui contributi previdenziali dei lavoratori. In occasione dei licenziamenti forzati, inoltre, le maestranze venivano obbligate a firmare dichiarazioni di avvenuta liquidazione dei Tfr che in realtà non venivamo versati.
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
Detenzione discrezionale, condizioni igieniche indecenti, uso (e abuso) di un potere esercitato tramite manganelli e lacrimogeni, somministrazione sistematica di psicofarmaci, violazioni dei diritti umani.
Questo è stato per anni il CIE di Gradisca d’Isonzo, situazioni denunciate da avvocati, medici, giornalisti, associazioni ma anche commissioni governative e decine di parlamentari.
Per tutto questo nessuno ha pagato.
Nessuna indagine è mai stata aperta.
Evidentemente per qualcuno l’esistenza di un mostro simile sul territorio italiano è da considerarsi normale, un elemento imprescindibile per le leggi di criminalizzazione degli esseri umani.
A distanza di mesi dalla sua chiusura, che ci auguriamo sia definitiva, gli unici che stanno pagando un prezzo altissimo, la propria libertà, sono coloro accusati di aver danneggiato quel mostro che in un groviglio di reti e sbarre metalliche negava loro anche di poter vedere il cielo.
Un consigliere regionale del Partito Democratico, riferendosi agli incendi che hanno portato alla chiusura del CIE, aveva pubblicamente dichiarato: “Hanno fatto quello che avremmo dovuto fare noi con altri sistemi, ma per loro quella era l’unica possibilità”
Una tesi che trova riscontro anche nella giurisprudenza, viste alcune sentenze che riconoscono come difesa personale il ribellarsi all’interno dei CIE (la prima fu del Tribunale di Crotone nel 2012).
A pagare in questo momento sono coloro che, nei tragici giorni estivi del CIE di Gradisca, sono accusati di aver rotto le reti che circondano il centro per salire il tetto e comunicare con l’esterno.
Sono cinque le persone accusate di aver danneggiato la struttura, quattro le persone attualmente soggette a un provvedimento di custodia cautelare che si protrarrà fino alla fine delle indagini:
I. e S. sono in carcere da ottobre. Sei mesi per aver rotto un plexiglass e qualche pezzo di ferro.
Tra il 4 e il 5 marzo altre due persone sono state arrestate e si trovano attualmente in stato di detenzione con la medesima accusa. Probabilmente pensavano che l’incubo fosse finito, ignorando di aver a che fare con una giustizia che diventa improvvisamente solerte quando deve difendere plexiglass, reti metalliche e sistemi d’allarme.
Noi da quella giustizia invece non abbiamo mai avuto risposte.
Non sappiamo per esempio se qualcuno ha mai indagato cio’ che davvero accadde la notte che Majid cadde dal tetto del CIE, nell’agosto 2013. Majid è in coma da più di sei mesi, e l’unica reazione davvero solerte che abbiamo riscontrato è stata quella di tentare di impedire ai suoi cugini, arrivati da un’altra regione italiana dove risiedono da più di 10 anni, di vederlo. “L’ispettore del CIE dice che nessuno può entrare a vederlo, nemmeno i parenti, è un caso riservato” ci dissero i medici dell’Ospedale di Cattinara (Trieste)
Non sappiamo neanche che ne sia stato di Radouane, che per fuggire dal CIE di Gradisca nel 2012 saltò da quel maledetto tetto rompendosi entrambi i talloni. Due settimane di ospedale, e poi di nuovo nella bocca del mostro, a muoversi con le stampelle in una struttura certamente non pensata per i disabili. “Non avrei dovuto saltare – ci disse – il muro era alto, ma io avevo preso molti psicofarmaci e non me ne sono reso conto.”
Non sappiamo se qualcuno si sia mai posto il problema di capire perché, per sedare queste “illegittime” rivolte, si sia pensato di far cadere piogge di lacrimogeni su persone intrappolate dentro a delle gabbie; non ci risulta sia normale, nemmeno in un paese come il nostro.
Non sappiamo infine se qualcuno, nelle alte sfere, si sia mai domandato se e’ normale non evacuare un edificio dato ripetutamente alle fiamme per cinque giorni, forse la punizione per aver appiccato quell’incendio e’ stata rimanere la’, in mezzo al fumo e alla cenere, fino alla fine.
Non sappiamo se qualcuno abbia mai indagato sui pestaggi denunciati per anni dai migranti, non sappiamo se chi prescrive misure di custodia cautelari per i migranti “ribelli” sia al corrente del fatto che in tanti, pur di fuggire da quel garbuglio di reti, gabbie e burocrazia hanno martoriato i propri corpi con ferite autoinferte, inghiottendo lamette, batterie, e tutto quel poco che era loro concesso tenere con se’ (persino i libri, la’ dentro, erano considerati pericolosi perche’ infiammabili).
Ma forse abbiamo sbagliato tutto, e dobbiamo solo essere riconoscenti ad una giustizia rimasta silente per anni perche’ non c’era niente di strano in questa storia fatta di sangue e privazioni, mentre invece questa ridicola caccia all’uomo contro i distruttori di plexiglass va portata avanti fino alla fine.
Cio’ che ci auguriamo e’ che gli echi di quella sentenza che a Crotone scosse le fondamenta del sistema CIE, il 12 dicembre 2012, arrivino finalmente anche a Gorizia. Forse allora ci sara’ qualcosa di cui parlare.
Dal Piccolo
13/03/14
«Distruggere il Cie è legittima difesa»
GRADISCA «Gli immigrati sono gli unici che stanno pagando per il fallimento del sistema-Cie». È la presa di posizione dell’associazione antirazzista Tenda per la Pace ed i diritti, che esterna la propria indignazione a seguito degli arresti di alcuni ospiti ritenuti responsabili dei danneggiamenti alla Cie di Gradisca, attualmente chiusa per ristrutturazione proprio a seguito degli incidenti che l’hanno resa inagibile. «Detenzione discrezionale, condizioni igieniche indecenti, uso (e abuso) di un potere esercitato tramite manganelli e lacrimogeni, somministrazione sistematica di psicofarmaci, violazioni dei diritti umani. Questo – è il parere di Tenda per la Pace – è stato per anni il Cie di Gradisca. Per tutto questo nessuno ha pagato. Nessuna indagine è mai stata aperta». Secondo l’associazione isontina «a distanza di mesi dalla sua chiusura, che ci auguriamo sia definitiva, gli unici che stanno pagando un prezzo altissimo, la propria libertà, sono coloro accusati di aver danneggiato quel mostro che in un groviglio di reti e sbarre metalliche negava loro anche di poter vedere il cielo. Un consigliere regionale del Pd, riferendosi agli incendi che hanno portato alla chiusura del Cie, aveva dichiarato: “Hanno fatto quello che avremmo dovuto fare noi con altri sistemi, ma per loro quella era l’unica possibilità”. Una tesi che trova riscontro anche nella giurisprudenza, viste alcune sentenze che riconoscono come difesa personale il ribellarsi all’interno dei Cie». Sono cinque le persone accusate di aver danneggiato la struttura, quattro le persone attualmente soggette a un provvedimento di custodia cautelare che si protrarrà fino alla fine delle indagini. Tra il 4 e il 5 marzo altre due persone sono state arrestate e si trovano attualmente in stato di detenzione con la medesima accusa. «Probabilmente pensavano che l’incubo fosse finito, ignorando di aver a che fare con una giustizia che diventa improvvisamente solerte quando deve difendere plexiglass, reti metalliche e sistemi d’allarme. Noi da quella giustizia invece non abbiamo mai avuto risposte: non sappiamo per esempio se qualcuno ha mai indagato ciò che davvero accadde la notte che Majid cadde dal tetto del Cie, nell’agosto 2013. Majid è in coma da più di sei mesi, e l’unica reazione davvero solerte che abbiamo riscontrato è stata quella di tentare di impedire ai suoi cugini, arrivati da un’altra regione italiana dove risiedono da più di 10 anni, di vederlo. Non sappiamo se qualcuno abbia mai indagato sui pestaggi denunciati per anni dai migranti, non sappiamo se chi prescrive misure di custodia cautelari per i migranti “ribelli” sia al corrente del fatto che in tanti, pur di fuggire da quel garbuglio di reti, gabbie e burocrazia hanno martoriato i propri corpi con ferite autoinferte, inghiottendo lamette, batterie, e tutto quel poco che era loro concesso tenere con sè (persino i libri, là dentro, erano considerati pericolosi perchè infiammabili). Ma forse abbiamo sbagliato tutto, e dobbiamo solo essere riconoscenti ad una giustizia rimasta silente per anni perché non c’era niente di strano in questa storia fatta di sangue e privazioni, mentre invece questa ridicola caccia all’uomo contro i distruttori di plexiglass va portata avanti fino alla fine».(l.m.)
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
Dal Piccolo
12/03/14
Vertenza Cie no all’incidente probatorio
GRADISCA Bisognerà attendere il 25 marzo la decisione del gup sul procedimento giudiziario che vede coinvolti il viceprefetto vicario, un funzionario della Prefettura e i vertici della Connecting People, il consorzio che gestisce i centri Cie e Cara di Gradisca. Ieri il gup Rossella Miele ha respinto la richiesta dei difensori degli imputati, gli avvocati Tarlao e Campeis, che avevano xhiesto un incidente probatorio teso a ottenere una perizia per verificare con esattezza la documentazione fornita dalla difesa. Su quell’istanza si era opposto il pm Michele Martorelli. Nella prossima udienza è rpevista la dicussione tra le parti e non è escluso che il gup decida sul rinvio a giudizio degli imputati o sul loro proscioglimento. I vertici della Connecting people sono accusati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa dello Stato. Secondo il capo di accusa, infatti, nelle fatture inviate alla Prefettura sarebbe stato indicato un numero maggiore di ospiti di quelli effettivamente presenti nelle due strutture gradiscane, per una truffa complessiva di quasi 1,5 milioni di euro. Il viceprefetto vicario e il ragioniere capo della Prefettura sono accusati di falsità materiale e ideologica in atti pubblici per non aver verificato la congruità delle fatture.
Marzo 18th, 2017 — General, OGM
Foto e report infoaction della manifestazione No Ogm del 6 aprile


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Nonostante i gravissimi e reiterati divieti della Questura si è svolto comunque, in un terreno privato, nel Comune di Arba, la manifestazione No Ogm.
Evidentemente la partecipazione ha fortemente risentito del clima di repressione che si è instaurato sul territorio, comunque, nonostante le difficoltà di riorganizzare una manifestazione in pochisssimi giorni, all’iniziativa di Arba hanno partecipato oltre 150 persone. Bella giornata sia meteorologica che conviviale. Ottimi interventi, sia politici che scientifici, a prefigurare quella sintesi vitale per lo sviluppo un nuovo movimento radicale e radicato sul territorio e consapevole dei problemi, per una società sostenibile da costruire giorno dopo giorno, mentre il vecchio mondo capitalista, inquinatore ed autoritario è oramai sulla strada del crollo e, piaccia o non piaccia, della catastrofe.
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Marzo 18th, 2017 — Clima e Potere, General
Repubblica 24 marzo 2014

Pesca crollata, vittime di inondazioni triplicate, città assediate dal caldo, rischio di un’estinzione di massa. Sono le conseguenze del global warming descritte nella seconda parte del rapporto Ipcc, che verrà resa nota il 31 marzo. Cresce la pressione dei deserti, aumentano i rifugiati ambientali
Alluvioni, ecosistemi in ginocchio.Ecco il costo del clima che cambia
ROMA – Gli alberi, troppo lenti nel migrare, spazzati via dalla velocità del cambiamento climatico. Le vittime delle alluvioni triplicate. La pesca negli oceani crollata fino a punte di dimezzamento. I raccolti di grano e riso che diminuiscono del 2% ogni 10 anni. Sono alcune delle conseguenze dello scenario più severo di global warming, quello che corrisponde alle scelte politiche attuali, basate su una crescita continua dell’uso di combustibili fossili. Le previsioni sono contenute nella seconda parte del quinto rapporto dell’Ipcc (Intergovernamental Panel on Climate Change) che sarà reso noto il 31 marzo. La prima parte, pubblicata nel settembre scorso, aveva fornito il quadro dei cambiamenti fisici. Partendo dall’analisi dei fatti – negli ultimi 30 anni ogni decennio è stato più caldo del precedente, i mari hanno accelerato la risalita, la concentrazione di CO2 in atmosfera ha superato le 400 parti per milione – lo studio aveva formulato 4 scenari. In quello coerente con le politiche energetiche attuali si ottiene un aumento di oltre 5 gradi rispetto al livello pre industriale: è quasi il triplo del limite di sicurezza.
Ora, nella seconda parte del rapporto, gli scienziati coinvolti nelle valutazioni sul futuro climatico del pianeta (209 autori principali, 50 curatori, 600 che hanno inviato contributi, 1.500 revisori) precisano gli impatti di questo cambiamento. L’analisi è centrata sulle macroregioni (il Mediterraneo è una di quelle che soffriranno di più. assieme alle coste asiatiche), ma alcune osservazioni valgono per tutti. Ecco una rapida sintesi delle conseguenze dello scenario business as usual, che si può liberamente tradurre con “andiamo avanti facendo finta di niente”.
La criosfera, il mondo del freddo, arretra ovunque in modo drammatico. In particolare l’area del permafrost, la terra tenuta assieme dal ghiaccio, a fine secolo scomparirà. E’ un cambiamento che trascina con sé altri effetti negativi. Ad esempio l’albedo, la capacità del terreno di riflettere i raggi del sole, cambierà: la terra più scura assorbirà più calore accelerando il riscaldamento.
Il ciclo idrico sarà sconvolto in larghe aree del pianeta accentuando la tendenza alla desertificazione. L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati aveva già calcolato che entro il 2050 si arriverà a 200 – 250 milioni di rifugiati ambientali. Con queste proiezioni la cifra rischia di salire sensibilmente.
La biodiversità subirà un colpo durissimo: il termometro a più 5 gradi significa un’ecatombe. Le probabilità di arrivare alla sesta estinzione di massa nella storia del pianeta (la prima provocata da una singola specie) salgono. In particolare la tabella che mostra la velocità di migrazione di piante, erbe, animali paragonata alla velocità del cambiamento climatico è impressionante. Nell’ipotesi dei 5 gradi le specie arboree vengono cancellate perché non riescono a raggiungere un habitat favorevole, solo un terzo delle piante erbacee sopravvive, una specie di primati su 6 sparisce.
Quale sarà l’effetto di questo collasso degli ecosistemi sulla vita quotidiana? “Senza entrare nel merito dei numeri, che possono essere divulgati solo il 31 marzo, posso dire che si pone un problema serio di governance”, risponde Riccardo Valentini, l’italiano che assieme a un collega inglese ha coordinato la parte sugli effetti del cambiamento climatico in Europa. “L’analisi ha portato a evidenziare un rischio sistemico. Vuol dire che si produce una catena di effetti negativi che ha bisogno di una nuova capacità di coordinamento delle risposte. Per fare un esempio pensiamo agli incendi che hanno sconvolto la Russia nel 2010: l’emissione di particolato ha fatto aumentare sensibilmente i ricoveri creando una domanda di assistenza sanitaria non prevista; la gente ha provocato ad allontanarsi e i trasporti sono andati in crisi; l’effetto sui raccolti è stato pesante. Se non fermeremo le emissioni serra dovremo prepararci a vivere in un mondo in cui questi fenomeni non sono più un’eccezione”.
Marzo 18th, 2017 — Carceri, General
30 marzo. Tre carceri, tre presidi: Roma, Ferrara e Alessandria | Ferrara, cariche della polizia: report

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Marzo 18th, 2017 — General, Tracciati FVG
…. Però la TAV c’è ancora e non si sa nulla su cosa abbia deciso il Ministero
Messaggero online 26 marzo 2014
Raggiunto l’accordo a Roma tra Fvg, Veneto, ministero delle infrastrutture, commissario per la Tav e Rfi. Serracchiani: “Rfi ha recepito le nostre istanze che da tempo chiedevano di modificare il tracciato del 2010. Inoltre è stato concordato che gli interventi saranno intanto finalizzati alla velocizzazione della tratta esistente”. Il ministro Lupi: riunione molto concreta e operativa
TRIESTE. Il collegamento ad alta velocità fra Venezia e Trieste si farà, procedendo però con una realizzazione per fasi, più sostenibile economicamente e meno invasiva.
È quanto emerso oggi a Roma, al termine dell’incontro al quale hanno preso parte la presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, il ministro alle Infrastrutture, Maurizio Lupi, il presidente del Veneto, Luca Zaia, il commissario straordinario per la Tav Venezia-Trieste, Bortolo Mainardi, l’amministratore delegato di Rfi, Michele Mario Elia, e il capo della struttura tecnica di missione del ministero alle Infrastrutture, Ercole Incalza.
«Rfi – ha confermato Serracchiani – ha recepito le istanze del Friuli Venezia Giulia e del Veneto che da tempo chiedevano di modificare il tracciato del 2010. Inoltre, considerati i tempi lunghissimi previsti per la realizzazione e l’enorme impegno finanziario richiesto per l’opera, è stato concordato che gli interventi saranno intanto finalizzati alla velocizzazione della tratta esistente, per la quale è previsto un impegno di 1,8 miliardi di euro.
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Tav: Serracchiani, da Mestre a Trieste avanti per fasi
26 Marzo 2014 – 14:53
(ASCA) – Trieste, 26 mar 2014 – Il collegamento ad Alta velocita’ fra Venezia e Trieste si fara’, procedendo pero’ con una realizzazione per fasi, piu’ sostenibile economicamente e meno invasiva. E’ quanto emerso oggi a Roma, al termine di un incontro al quale hanno preso parte, oltre alla presidente del Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, anche il ministro alle Infrastrutture, Maurizio Lupi, il presidente del Veneto, Luca Zaia, il commissario straordinario per la Tav Venezia-Trieste, Bortolo Mainardi, l’amministratore delegato di Rfi, Michele Mario Elia, e il capo della struttura tecnica di missione del ministero alle Infrastrutture, Ercole Incalza. Rfi, ha confermato Serracchiani, ha recepito le istanze del Friuli Venezia Giulia e del Veneto che da tempo chiedevano di modificare il tracciato del 2010. Inoltre, considerati i tempi lunghissimi previsti per la realizzazione e l’enorme impegno finanziario richiesto per l’opera, e’ stato concordato che gli interventi saranno intanto finalizzati alla velocizzazione della tratta esistente, per la quale e’ previsto un impegno di 1,8 miliardi di euro. Lo sdoppiamento e scavalco del bivio San Polo presso Monfalcone rientra in questa serie di interventi, mentre l’intervento sulla Udine-Cervignano e quello, gia’ finanziato, sul nodo di Udine, andra’ ad integrarsi con la modernizzazione dell’asse Adriatico-Baltico, attraverso il potenziamento tecnologico e strutturale della linea Pontebbana. fdm/sam/
Tav: Zaia, portiamo a casa sblocco Mestre-Portogruaro
26 Marzo 2014 – 13:31
(ASCA) – Venezia, 26 mar 2014 – ”Ho trovato il ministro Lupi tonico ed efficiente sulla partita della Tav in Veneto”. Lo ha dichiarato il presidente della Regione Veneto, Luca Zaia, dopo l’incontro con il ministro sulla Tav Mestre-Triste, a cui ha partecipato anche Debora Serracchiani, presidente del Fvg. ”Dalla riunione di stamattina – ha aggiunto – noi portiamo a casa lo sblocco della progettazione del tratto Verona-Padova e anche quello del tratto Venezia-Portogruaro, con l’abbandono dell’ipotesi del vecchio tracciato”. Prossimo un incontro col sindaco di Vicenza, Achille Variati, cosi’ da affrontare il nodo del tracciato nella cittadina berica. Oltre ai progetti per la Tav, poi, ”portiamo a casa anche lo sblocco della progettazione del tratto fra Venezia e l’aeroporto, che e’ strategico”. fdm/cam
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La Nuova Venezia 26 marzo
Il ministro delle Infrastrutture e Trasporti ha incontrato i governatori Serracchiani e Zaia oggi a Trieste

TRIESTE. «L’alta velocità tra Venezia e Trieste va avanti. Abbiamo deciso di abbandonare il vecchio progetto del 2010 e di sbloccare la progettazione di un nuovo tracciato». Lo dichiara il ministro delle Infrastrutture, Maurizio Lupi, al termine di un incontro al ministero a Roma con i presidenti di Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, e Veneto, Luca Zaia.
Per il tratto in questione – ha ricordato Lupi – c’è già il consenso del territorio per il tratto veneto, e presto arriveranno le osservazioni dal Friuli Venezia Giulia. «Rfi prenderà in considerazione le osservazioni e le verificherà – ha continuato Lupi -, in modo da poter avviare in tempi rapidi lo studio di fattibilità e il conseguente progetto preliminare da sottoporre al ministero dell’Ambiente per la Valutazione di impatto ambientale». Parallelamente alla progettazione della Tav RFI sta lavorando per velocizzare la linea esistente con interventi funzionali di ammodernamento tecnologico che permetteranno velocità fino a 200 Km orari. A tal fine è stata evidenziata la necessità di intervento su alcuni nodi critici (Linea dei Bivi, Bivio San Polo, passaggi a livello, nodo di Udine). L’investimento per queste opere è di un miliardo e 800 milioni di euro. Il ministro Lupi, in pieno accordo con il presidente Zaia, ha quindi chiesto a Rfi di lavorare sul collegamento ferroviario con l’aeroporto internazionale di Venezia. Alla riunione con Lupi e i presidenti di regione hanno partecipato il commissario straordinario per la Tav Venezia-Trieste, Bortolo Mainardi, e i vertici di RFI, l’amministratore delegato Michele Elia e il direttore Investimenti Maurizio Gentile.
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Tracciato alternativo Tav per il Ministero non esiste – Cronaca – la Nuova di Venezia
nuovavenezia.gelocal.it
Allarme del Pd dopo la risposta del sottosegretario De Caro all’interrogazione «Il percorso litoraneo è stato bocciato da tutti ma a Roma c’è solo quello»
Marzo 18th, 2017 — Fascisti carogne, General
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
Dal Piccolo
2014-03-28
I legali degli imputati: al processo chiariremo che i dati sono esatti
GRADISCA «Siamo certi che nel dibattimento processuale faremo valere le nostri ragioni e si arriverà al proscioglimento degli imputati»: così gli avvocati Enrico Agostinis e Alberto Tarlao, difensori di alcuni imputati rinviati a giudizio per truffa nei confronti dello Stato nella vicenda delle fatture gonfiate riguardanti le presenza degli immigrati nei centri Cie e Cara di Gradisca. La loro fiducia è riposta in quell’indagine compiuta dalla Prefettura, avallata anche dal ministero dell’Interno, che attestava, secondo le argomentazioni della difesa, come i numeri delle presenza degli immigrati, nel periodo dal 2008 al 2011, fossero coerenti con quelli riportati nelle fatture. Tanto che il ministero dell’Interno non si è costituito parte civile nel procedimento. D’altra parte sia Agostinis che Tarlao, durante le udienze preliminari, avevano insistito sulla richiesta di un incidente probatorio che vertesse sulla relazione della Prefettura, richiesta che per due volte fu respinta dal gup. «Il materiale acquisito è centrale in questa vicenda – sostiene Agostinis -; pieno rispetto per le decisioni del gup, ma un più approfondito esame dibattimentale potrà far emergere la verità». Anche il legale del Consorzio Connecting People sostiene che quelli raccolti dalla Guardia di finanza, che ha svolto le indagini coordinate dalla Procura della Repubblica, sono parziali. E sulla correttezza di comportamenti e fatture insiste anche l’avvocato Giuseppe Campeis, che difende il vice prefetto vicario Gloria Allegretto, imputata di falso materiale e ideologico. Il legale ha assicurato che la sua cliente non intende dimettersi. Ed anche sulle forniture d’acqua, sigarette e schede telefoniche la difesa degli imputati sostiene la correttezza dei comportamenti anche se le forniture venivano fornite da ditte subappaltanti. Come abbiamo già ricordato gli imputati sono tredici e il processo è fissato per il prossimo 12 giugno. E si prevedono tempo mediamente lunghi per arrivare alla sentenza: tra eccezioni procedurali, l’escussione di un numero piuttosto consistente di imputati che verranno citati da accusa e difesa e, infine, la discussione tra le parti ci vorranno, se tutto va bene, non meno di dieci udienze. Tra pausa estiva e tempi non certo celeri del tribunale goriziano la sentenza nona arriverà prima del prossimo anno. (fra. fem.)
2014-03-26,
Fatture gonfiate al Cie, tredici a processo
Il consorzio Connecting People, originario di Trapani, è ancora gestore dei centri immigrati di Gradisca. Chiuso temporaneamente il Cie per ristrutturazione, la cooperativa cura attualmente il Cara, il centro per richiedenti asilo politico, dove sono ospitati mediamente 200 persone. Secondo l’appalto il gestore riceve 42 euro al giorno per ogni immigrato al quale deve fornire pasti, medicinali, vestiario e quanto di altro necessario. Una gestione non facile dal punto di vista finanziario visto che la Prefettura ha dovuto anticipare in questi ultimi mesi gran parte degli stipendi ai dipendenti che più volte hanno minacciato lo sciopero. Nell’ultima occasione, una settimana fa, sono stati precettati dopo aver indetto una giornata di sciopero. Non percepiscono un euro da quasi un anno per i professionisti che operano a partita Iva come medici e infermieri. di Franco Femia wGORIZIA Tutte rinviate a giudizio le 13 persone coinvolte nell’inchiesta sulle fatture gonfiate al Cie-Cara di Gradisca d’Isonzo. Il viceprefetto vicario di Gorizia Gloria Sandra Allegretto e il ragioniere capo della Prefettura Telesio Colafati sono imputati di falso materiale e ideologico in atti pubblici. Undici persone tra i vertici della Connecting people, il consorzio siciliano che gestisce i due centri immigrati di Gradisca sono invece imputati di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato a inadempienze di pubbliche forniture. Gli imputati sono Giuseppe Scozzari presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della Connecting people, Ettore Orazio Micalizzi vice presidente del Cda, Vittorio Isoldi direttore della Connecting people all’epoca dei fatti, Giovanni Scardina direttore del Cie, Gloria Savoia direttrice del Cara (centro che ospita i richiedenti asilo politico), Mauro Maurino componente del Cda e Giuseppe Vito Accardo sindaco supplente. Rinviati a giudizio anche quattro dipendenti del Consorzio con le stesse imputazioni del vertici della Connecting people. Il gup Rossella Miele, al termine di sette udienze preliminari, ha accolto la richiesta avanzata dal pubblico ministero Michele Martorelli, mentre i difensori (avvocati Alberto Tarlao, Enrico Agostinis, Giuseppe Campeis, Francesco De Benedictis e i siciliani Granata e Licata) hanno chiesto il proscioglimento di tutti gli imputati. Tarlao e Agostinis hanno insistito sulla richiesta di incidente probatorio sulle perizie contabili essendoci a loro dire incongruenze e dati non omogenei, ma il gup ha respinto la richiesta. La Procura della Repubblica contesta ai vertici della Connecting people di aver ottenuto nel periodo tra marzo del 2008 e dicembre del 2011 somme ben più alte di quelle dovute sulla gestione degli immigrati. Secondo l’indagine condotta dagli uomini della Digos e della Guardia di finanza, nelle fatture presentate alla Prefettura sarebbe stato indicato un numero maggiore di ospiti di quelli effettivamente presenti nelle due strutture gradiscane. Secondo l’accusa la truffa ammonterebbe a quasi un milione e mezzo di euro. Inoltre sono accusati di non aver fornito agli extracomunitari ospitati nelle due strutture gradiscane alcuni servizi che erano invece contrattualmente previsti come carte telefoniche prepagate e acqua minerale. All’Allegretto e al funzionario della Prefettura viene contestato il fatto di non aver verificato la congruità delle fatture presentate e di averle vistate autorizzandone il pagamento.
Riportiamo a questo proposito un articolo preso dal blog Anarresinfo.noblogs.org
Si è chiusa con 13 richieste di rinvio a giudizio l’inchiesta giudiziaria sugli appalti al Cie e al Cara di Gradisca d’Isonzo. Il gup ha fissato per il prossimo 2 luglio l’udienza preliminare per tredici imputati.
Tra cui il viceprefetto Gloria Sandra Allegretto e il ragioniere capo della Prefettura Telesio Colafati accusati di falso materiale e ideologico in atti pubblici. I vertici di Connecting people, il consorzio siciliano che gestisce dal 2008 i due centri, vanno alla sbarra per associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato e a inadempienze di pubbliche forniture.
Gli imputati sono Giuseppe Scozzari presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della Connecting people, Ettore Orazio Micalizzi vice presidente del Cda, Vittorio Isoldi direttore di Connecting people, il direttore del Cie Giovanni Scardina, e quella del CARA Gloria Savoia, Mauro Maurino componente del Cda e Giuseppe Vito Accardo sindaco supplente.
I vertici del “sinistro” consorzio avrebbero ottenuto somme ben più alte di quelle dovute sulla gestione degli immigrati. Avrebbero presentato fatture dove era gonfiato il numero di immigrati presenti al CARA e al CIE. Scozzari e la sua allegra compagnia si sarebbero intascato persino i soldi, che in base al capitolato d’appalto, erano destinati per l’acquisto di carte telefoniche e acqua.
Al vice prefetto Allegretto e al funzionario della Prefettura viene contestato il fatto di non aver verificato la congruità delle fatture presentate e di averle vistate autorizzandone il pagamento.
Si va dal 2008 al 2011, i tre anni in cui Connecting people ha gestito il centro di via Udine dopo aver vinto l’appalto. La gestione è poi proseguita ed è tuttora affidata al consorzio siciliano perché la gara d’appalto lo scorso anno non è stata aggiudicata per un vizio formale che ha escluso la vincitrice, una cordata guidata dalla francese Gepsa.
Sin qui i fatti.
Non possiamo dire di essere stupiti. Chi sgomita per gestire una struttura detentiva, lo fa per i soldi. In questi anni i professionisti dell’umanitario di soldi se ne sono messi in tasca tantissimi. Secondo calcoli del Ministero dell’Interno la macchina delle espulsioni costa intorno ai 18 milioni di euro l’anno, parte dei quali presi dalle tasce dei lavoratori immigrati con permesso di soggiorno, gente uscita dalla clandestinità che potrebbe tornarci se resta senza lavoro.
Uno dei paradossi feroci del paese degli italiani brava gente.
Difficile dimenticare l’arrogante sicumera di Mauro Maurino, responsabile di Connecting People a Torino, che, nel 2009 aveva tentato di aggiudicarsi la gestione del CIE di corso Brunelleschi.
Ad un gruppo di antirazzisti che gli avevano occupato l’ufficio, dichiarò che, la loro gestione, una gestione di “sinistra”, sarebbe stata sicuramente preferibile a quella della Croce Rossa. Mentre parlava agitava il treccione a dred e si lisciava il costosissimo maglione etnico.
Da quel momento divenne uno degli interlocutori preferiti del giornalista di nera del quotidiano “La Stampa”, Massimo Numa, che lo intervistava in occasione di rivolte al CIE o iniziative degli antirazzisti.
D’altra parte, ai responsabili della Croce Rossa, in prima fila il responsabile di allora, il colonnello e poi generale Antonio Baldacci, era stato imposto il silenzio stampa. Decisamente poco edificanti furono le dichiarazioni rilasciate dopo la morte di Fathi Nejl, un tunisino lasciato morire nel CIE, nonostante fosse gravemente malato.
Quest’anno la gara per l’assegnazione del CIE di Torino è stata disertata persino dalla Croce Rossa: troppo basso il guadagno, in una struttura sull’orlo del collasso, semidistrutta dalle continue rivolte.
Nel frattempo proseguono in sordina i due maxi processi contro 67 antirazzisti torinesi. Per chi fosse interessato le prossime udienze si terranno mercoledì 9 e venerdì 11 aprile.
Il CIE di Gradisca è chiuso da mesi in attesa di una sempre più improbabile ristrutturazione.
Ancora aperto è il CIE di Trapani Milo. A metà gennaio il Prefetto Falco ne aveva annunciato la chiusura per ristrutturazione. Il Centro trapanese, considerato una struttura modello, ha infatti il record di fughe, le ultime solo tre giorni fa. Per tappare i buchi del colabrodo di contrada Milo sono previsti nuovi e più sofisticati sistemi di sorveglianza, muri più alti e filo spinato.
Durante la chiusura Falco avrebbe provato a dipanare la matassa ingarbugliata della gestione del centro. Cacciata la famigerata cooperativa Oasi, la cui gestione del CIE di Modena, ne aveva accelerato la chiusura, Falco si era ritrovato la patata bollente della cooperativa palermitana Glicine, che pur essendosi aggiudicata l’appalto, aveva deciso di rinunciare.
I giochi della politica e degli affari hanno rimescolato le carte: il centro trapanese è rimasto aperto, senza gestore. I reclusi, cui mancava persino la carta igienica, hanno dato vita a nuove proteste, rendendo ancora incandescente il clima.
Secondo alcuni la Croce Rossa potrebbe aggiudicarsi presto la gestione del Centro.
Anarres ne ha parlato con un antirazzista trapanese, Alberto La Via. Ne è scaturita una chiacchierata a tutto campo, che è stata anche occasione per fare il punto sulle lotte dei richiedenti asilo nei tre CARA del trapanese.
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