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TRIESTE: iniziativa sulla Val Susa


VALSUSA
L’autogestione, la resistenza, la dignità, la solidarietà
giulemani_0
VENERDI’ 29 LUGLIO ORE 20.30

Presso la Casa del Popolo di Sottolongera

V.Masaccio 24 (bus n.35)

 

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Capodistria e Pirano: «No al rigassificatore nel golfo di Trieste»

da Il Piccolo

 

Capodistria e Pirano: «No al rigassificatore nel golfo di Trieste»

E i Verdi chiedono al governo sloveno di impedire che la Barcolana, sponsorizzata da Gas Natural, sconfini

di Franco Babich

CAPODISTRIA

«Il rigassificatore off-shore a Trieste non s’ha da fare». I sindaci di Capodistria e Pirano hanno reagito duramente alla notizia del via libera definitivo dell’Italia al progetto del terminal nel golfo e a quello del gasdotto Trieste–Grado–Villesse. In attesa che Lubiana decida le contromosse ufficiali – il ministro dell’Ambiente Roko Zarnic non ha escluso la possibilità di citare l’Italia a giudizio di fronte alla Corte europea – i primi cittadini delle due città costiere hanno fatto capire molto chiaramente che continueranno con la loro battaglia per impedire la costruzione del rigassificatore.

«Il Comune di Capodistria è stato molto chiaro: non ci devono essere rigassificatori né nel golfo di Capodistria né in quello di Trieste. Non abbiamo nessuna intenzione di cedere e faremo anche in futuro tutto quello che sarà possibile per bloccare la costruzione dei terminal, sia in mare sia sulla terraferma» ha dichiarato il sindaco di Capodistria Boris Popovic, secondo cui il parere positivo ai rigassificatori è la conferma che le cose vengono decise da Roma senza tener conto del parere delle autorità locali e della contrarietà espressa dalla stessa regione Friuli-Venezia Giulia. «Il turismo è la nostra principale risorsa, per cui non possiamo in alcun modo accettare la costruzione di una bomba ecologica davanti alla nostra costa», si legge invece nel comunicato sottoscritto dal sindaco di Pirano Peter Bossman.

Per Bossman, il via libera del Ministero dell’ambiente italiano è assolutamente incomprensibile, considerata la posizione dei comuni che si affacciano sul Golfo di Trieste e tutto quello che è stato detto sui rischi ambientali legati al terminal. Per Popovic, la cosa che ora deve essere fatta è coinvolgere anche altri soggetti, compreso il comune di Trieste, nella causa contro il Ministero dell’ambiente italiano che ha dato parere positivo ai due progetti, terminal off shore e gasdotto. Sugli sviluppi della vicenda si è pronunciata pure l’organizzazione ambientalista Alpe Adria Green. Il suo presidente Vojko Bernard ha annunciato che inviterà il governo sloveno a impedire che la Barcolana – sponsorizzata da Gas Natural, la società spagnola interessata a investire nel rigassificatore – sconfini nelle acque territoriali slovene. «Se l’esecutivo non raccoglierà questo invito, ha aggiunto Bernard – invieremo lo stesso appello agli abitanti dei comuni circostanti e fermeremo la Barcolana da soli». Gli attivisti di Alpe Adria Green invieranno inoltre alla Commissione europea un nuovo ricorso contro la costruzione di un rigassificatore nel golfo di Trieste.

STUDENTI UDINE: blitz contro il videocontrollo nelle scuole

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Dal MV del 28 luglio 2011
UDINE. Raid dimostrativo del Movimento studentesco udinese contro l’installazione di 93 telecamere nel Centro studi. Nella notte fra martedì e mercoledì, i giovani hanno esposto striscioni davanti alla sede della Provincia, all’ex deposito Saf, ai licei Copernico e Marinelli chiedendo che i 900 mila euro stanziati dall’amministrazione provinciale per gli occhi elettronici siano invece destinati al restauro delle sedi scolastiche definite “fatiscenti”.

In calce alla nota il Movimento sposta l’attenzione sulla mancanza di spazi sociali e assicura di essere pronto «a occupare e liberare una nuova area dopo il sequestro, nel 2009, del Centro sociale di via Scalo nuovo».

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VALSUSA: cronache dalla Maddalena occupata

Cronache dalla Maddalena occupata

Assedio

Venerdì 22 luglio. Al presidio della centrale, dopo il ponte sulla Dora, è
il giorno dell’accerchiamento. Zaini, limoni, bottigliette di acqua e
malox, maschere antigas di tutte le fogge spuntano da ogni parte. Da una
settimana la polizia asserragliata dietro i due sbarramenti che chiudono
l’accesso alla strada dell’Avanà, spara lacrimogeni ai No Tav che cingono
d’assedio il fortino messo su dallo Stato alla Maddalena occupata.
Basta un battitura più intensa, un pezzo di rete tagliata per scatenare la
rappresaglia con idranti e gas nocivi. Ma i No Tav hanno la testa dura. Il
tam tam di movimento diffonde le notizie sulle maschere che costano meno,
su quelle che durano di più, sui posti dove comperarle. Quelle per il
verderame, mi dice una compagna, dovrebbero tenere 8 ore ma con i gas CS
dopo solo 20 minuti il filtro è da cambiare.
I più incoscienti e temerari usano mascherine da ospedale o fazzoletti
bagnati.
Alcuni passano da Giaglione, altri si incamminano sul sentiero No Tav, che
collega la “centrale” con la zona della Baita, girando intorno al piazzale
occupato. Il sentiero con tanto di segnavia “No Tav” è stato aperto,
pulito e segnato nei giorni precedenti.
Un breve scroscio di pioggia apre la serata che torna presto limpida. In
ogni angolo partono ritmiche le battiture: c’è gente sulla strada che
scende alla centrale come su quella che porta al bivio per la Ramats. Sul
sentiero “No Tav” lampeggiano centinaia di luci: un serpentone che
picchietta la montagna di lievi brillii. Alla centrale, lungo la strada e
nel fortino/pollaio in cima ci sono fari potentissimi, che illuminano a
giorno il filo spinato, i container, parte delle vigne.
La potenza debole e arrogante degli occupanti frantuma la notte, nasconde
il cielo, come nel set di un film di guerra. La guerra dichiarata dallo
Stato italiano alle popolazioni ribelli di quest’angolo di nord ovest.
Dal lato Giaglione viene acceso un falò sotto i piloni dell’autostrada,
mentre il gruppo partito dalla centrale raggiunge la gabbia. Gli uomini in
divisa sparano: una pioggia di lacrimogeni si abbatte sui No Tav, volano
sassi e scoppia qualche bomba carta. La polizia decide per l’ennesima
volta di chiudere la A32 tra Susa e Oulx.
Dalla strada che scende a Chiomonte e dal paese il fragore delle battiture
sale sempre più forte. Tutti gli sguardi sono diretti verso l’altro
versante della montagna da cui si leva un fumo denso bianco, come un
calderone.
Chi è lì ma lontano dalla mischia guarda con partecipazione e affetto. “Ma
quelli chi sono?” Saranno i poliziotti?” “No, No! quelli non escono dal
pollaio!” “Tua figlia è là? L’hai sentita?” “No, meglio di no, chiamo
dopo”.
Sento un compagno: “come stai? Tutto bene?” “Sì, adesso va bene: ci
eravamo persi, ma poi ho ritrovato il sentiero. Per poco non ruzzolavo
giù: fortuna che un altro compagno mi ha pescato al volo. Ci hanno
ammazzati di gas”.
Un fuoco d’artificio spezza la notte.

Da Kabul a Chiomonte: via gli alpini!
Sabato 23 luglio, Baita Clarea. I No Tav della rete “torino&cintura sarà
dura” si sono dati appuntamento per una giornata antimilitarista. Prima di
pranzo facciamo un giro alle gabbie e raccogliamo due borsate di bossoli
di lacrimogeni. Incrociamo forestali e poliziotti che stanno facendo lo
stesso lavoro, per far sparire le tracce della notte precedente. Insistono
per vedere le nostre carte di identità e poi si allontanano.
Intorno alle gabbie hanno sbancato con le ruspe per rendere più difficile
avvicinarsi: all’interno stazionano all’ombra dell’autostrada una
cinquantina di poliziotti e finanzieri. Un cingolato sposta qualche
jersey.
Gli alpini della Taurinense, gli ultimi arrivati nel fortino della
Maddalena, se ne stanno lontani dalle reti.
Il governo, dopo lungo tergiversare, ha deciso di impiegare l’esercito in
Val Susa. Ospitare in albergo poliziotti, carabinieri, finanzieri e
forestali costa troppo: gli alpini dormono in caserma. Dopo la guerra in
Afganistan, nei CIE della penisola o nelle periferie delle nostre città
sono pronti per la Maddalena.
Nel pomeriggio andiamo alle gabbie per un rumoroso saluto ai nuovi
arrivati: collane di fiori, bombe di coriandoli, uno striscione con la
scritta “Da Kabul a Chiomonte: via gli alpini!”.
Attacchiamo alle reti carta e plastica trasparente, dove ciascuno scrive
il proprio messaggio ai nuovi arrivati “Soldà fora d’le bale!”, “Gli
alpini attaccano la gente delle alpi”, “No a tutte le guerre!”.
Poi parte la battitura sul cancello. Una buona mezz’ora e poi si va.
Lungo la recinzione hanno chiuso col filo spinato il camminamento che
consentiva di salire alla strada asfaltata ma il modo di salire lo
troviamo lo stesso: arriviamo sulla strada dell’Avanà, apriamo lo
striscione e partiamo in corteo verso la centrale. A metà strada ci viene
incontro la polizia in assetto antisommossa, che ci spiega a gesti che non
possiamo andare oltre. Gli argomenti sono rozzi ma inequivocabili.
Arriva anche la digos: sono nervosi ed incazzati. È la seconda volta in
due settimane che, in barba a divieti e cancelli, filo spinato e guardie
armate, torniamo sulla strada che porta alla Maddalena.
Alcuni poliziotti ci scortano indietro… sul sentiero sbagliato! Quando i
tutori dell’ordine costituito decidono di salutarci, torniamo sui nostri
passi ed imbocchiamo l’erto cammino dell’andata.
Non hanno abbastanza filo spinato, né guardie armate per serrare la
montagna in una morsa: c’è sempre chi si inventa il modo di passare.
Qui trovi qualche foto della giornata:
http://www.flickr.com/photos/58952321@N07/sets/72157627299981218/show/
I No Tav al corteo storico con la Gemma di Susa
Sabato 23 luglio, Susa. È in programma la sfilata storica per le strade
della città. Questa volta ci sono anche i No Tav con tanto di bandiere e
l’ultima creazione di Piero Gilardi: la sindaca di Susa in gommapiuma con
in braccio tutti i doni malefici del Tav. Assisa su un baldacchino
partecipa anche lei alla sfilata: la sindaca originale alla vista del
proprio doppio si allontana in tutta fretta.
Al termine della sfilata si accodano anche i No Tav. Sfiliamo gridando
“giù le mani dalla Valsusa!” “via le truppe di occupazione”. Molti
applaudono, gli unici fischi vengono da un gruppetto vicino ai Lazzaro e
ai Martina i due imprenditori che per soldi stanno erigendo le
fortificazioni alla Maddalena.
Si chiude in bellezza con foto ricordo davanti al palazzo del Comune.
Qui puoi vedere alcune foto della serata segusina:
http://www.flickr.com/photos/58952321@N07/sets/72157627300037244/show/
Alpini del popolo, gas, un ferito grave
Domenica 24 luglio, presidio No Tav alla Centrale. I No Tav che hanno
fatto l’alpino sono tanti in Valsusa: hanno partecipato alla difesa della
Maddalena e sono presenti all’assedio, veri “alpini del popolo”. Come gli
ex arditi della prima guerra mondiale, che scelsero di opporsi al
fascismo, hanno deciso di schierarsi contro l’occupazione militare della
loro valle.
Discorsi, canti, e poi la marcia per il sentiero No Tav sino alla al
piazzale. Dall’altra parte della gabbia ci sono i reduci dell’Afganistan,
i secondini dei CIE, mercenari che hanno scelto il mestiere delle armi.
Come ogni sera, nell’area del presidio ci sono incontri, chiacchiere,
bambini che giocano. Sul primo dei due cancelli che serrano la strada
dell’Avanà comincia la battitura. Un pezzo di cancello viene giù. La
reazione dei poliziotti è immediata: sparano centinaia di cartucce di gas
CS, incuranti dei bambini, degli anziani, della folla domenicale che
mangia e beve.
La gente reagisce con composta calma. I genitori portano i bimbi lontano
lungo il fiume: ne vedo uno sui sei sette anni, il fazzolettino davanti
alla bocca, che guarda con occhi larghi il fumo denso ed acre, che poco a
poco raggiunge l’area del presidio, si insinua tra le tende, invade la
cucina. Chi l’ha indossa la maschera antigas, prende un fazzoletto
bagnato, afferra un limone. Nessuno scappa.
I ragazzi corrono, afferrano i lacrimogeni e li buttano nella Dora o nelle
bacinelle sempre pronte al presidio.
Qualcuno va sulla statale e blocca il traffico.
Un No Tav si avvicina al cancello per scattare qualche foto: gli sparano
un candelotto in faccia rompendogli il naso e la mandibola, tagliandogli
labbra e palato. Lo soccorre un medico No Tav, poi va all’ospedale di Susa
dove lo ricuciono.
Il giorno dopo La Stampa oserà scrivere che i No Tav hanno usato i bambini
come scudi umani. Dell’uomo con la faccia spaccata non farà parola.
La testimonianza di Alessandro, l’uomo ferito dal candelotto:
http://www.youreporter.it/video_FERITO_GRAVE_DA_LACRIMOGENO_IN_VAL_DI_SUSA
Carabinieri e sassi
Lunedì 25 luglio, presidio No Tav alla centrale. Una serata fredda e calma.
La notizia del giorno è l’attacco subito dalla Italcoge la notte
precedente: un camion distrutto, altri danneggiati. Naturalmente i
giornali puntano subito il dito sui No Tav, dimenticando che spesso le
ditte bollite come quella segusina subiscono attentati, che, grazie alle
assicurazioni, garantiscono loro denaro liquido.
Il giorno dopo è previsto un presidio davanti all’Italcoge: se qualcuno
spera che i No Tav rinuncino si sbaglia. Di grosso. L’assemblea del
presidio conferma l’iniziativa.
Nella notte i carabinieri sono schierati come statuine del presepe
sull’alto muraglione accanto agli sbarramenti.
Chi prova a passare sul ponte rischia una sassata: i militari ammazzano il
tempo giocando con le pietre. Niente di speciale, solo sassolini. Chi ha
l’auto al di là del ponte lo attraversa di corsa.
Collaborazionisti
Martedì 26 luglio, viale Couvert, Susa. Dalle sei del mattino circa
duecento No Tav salutano in ingresso e in uscita i mezzi dell’Italcoge,
una delle ditte che dal 27 giugno collabora con le forze del disordine
statale nel costruire il fortino della Maddalena.
Slogan, bandiere, un tappo della benzina che parte e poi torna. Su tutto
una cantilena orecchiabile che diventa subito contagiosa. “Come mai, come
mai, vi chiamate operai? Siete servi degli sbirri e non vi lamentate mai!”
Una sorta di forca caudina dove camion ed auto sono obbligate a passare,
senza tuttavia che vi sia un blocco delle partenze.
Chi collabora con gli occupanti la deve trovare dura.
Una bandiera No Tav viene issata sul pennone che svetta all’ingresso del
piazzale dell’Italcoge.
La mattinata prosegue con un presidio informativo nella limitrofa piazza
del mercato. Su un banchetto piazzato sotto lo striscione “prodotti del
Tav” vengono esposti centinaia di bossoli di gas CS. Volantini e brevi
comizi informano chi passa.
Una goccia nel mare dell’informazione al servizio del Si Tav. Una goccia
corrosiva.
Qui alcune foto scattate all’Italcoge e al mercato:
http://www.flickr.com/photos/58952321@N07/sets/72157627175929541/show/
Le storie raccontate dai giornali del giorno dopo sono molto diverse.
Da mesi provano senza successo a dividere i buoni dai cattivi, i
valligiani dai facinorosi di pianura. Al di là delle diverse posizioni
politiche tutti hanno le idee chiare: i violenti, i devastatori, chi lucra
sulle vite di tutti per il profitto di pochi siede sui banchi del governo
e su quelli dell’opposizione.
Chi ordina di gasare i bambini in Val Susa è lo stesso criminale che ha
appena deciso il rifinanziamento della “missione” militare in Afganistan.
Lì i bambini non hanno scrupoli ad ammazzarli.
Maria Matteo
(questi testi, in versione riveduta, compariranno sul mensile “A”, ma
possono essere fatti circolare liberamente da chi lo desidera)
Per info:
fai_to@inrete.it
338 6594361 begin_of_the_skype_highlighting
338 6594361
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VALSUSA/ Continua l’assedio al cantiere della TAV

VALSUSA: Assedio continuo

ELETTRODOTTO Wurmlach-Somplago: la Regione da il via libera. Sindaci divisi

Messaggero Veneto del 05/04/11

 

Elettrodotto, la Regione dà il via libera
I comitati annunciano: occuperemo

Disco verde (anche della Lega) per la linea Wurmlach-Somplago, ma con diverse prescrizioni e cavi interrati per 12,8 km
di Antonio Simeoli e Tanja Ariis

 

TOLMEZZO. L’elettrodotto Wurmlach-Somplago si farà. La giunta regionale infatti ieri ha votato all’unanimità il parere di compatibilità ambientale relativo alla linea elettrica proposta dalla cordata Fantoni-Pittini-Burgo e partecipata anche da Enel e da una società austriaca. La linea da 220 Kw con una capacità complessiva di 300 Mw potrà, dunque, essere realizzata ma alla condizione che 12,8 km della stessa vengano interrati.

Si tratta, come anticipato dal Messaggero Veneto venerdì, dei punti più delicati dal punto di vista ambientale. Insomma, Malga Pramosio e dintorni che per la giunta regionale (e per le direttive dell’Unione europea) dovranno essere oltrepassate grazie a una serie di cavi interrati. Dopo un lungo iter che ha visto la partecipazione di Comuni, realtà locali e ambientalisti, quindi la giunta Tondo ha prodotto una sintesi.

Una mediazione tra le esigenze degli industriali, che chiedono da anni di poter importare energia a un costo più competitivo per dare ossigeno alle loro imprese, e quelle del territorio e degli ambientalisti che non vogliono “subire” un’altra opera impattante nelle loro valli. Una mediazione alla quele anche la Lega Nord si era affidata dopo le polemiche dei giorni scorsi innescate dal consigliere regionale Enore Picco, che aveva accusato Tondo e la sua giunta di andare contro la gente.

«Tondo gode della nostra fiducia» ha detto ieri mattina il capogruppo Danilo Narduzzi ribadendo però che «il massimo per l’elettrodotto sarebbe stato il completo interramento». «Noi abbiamo guardato alle esigenze della regione – ha detto il vicepresidente e assessore all’ambiente, Luca Ciriani a bocce ferme – e abbiamo dato il via libera a un’infrastruttura di rilevante interesse strategica per la nostra economia».

E la soluzione mista interrato-aereo? «Non è una concessione ai comitati o ai Comuni – ha aggunto – è solo il rispetto della legge. La linea dovrà essere interrata per 12,8 km di cui 8,9 ad alta tensione, rappresenterà un importante aumento di costi per i proponenti, ma garantirà la difesa dell’ambiente».

Accanto al parziale interramento l’esecutivo ha indicato una lunga serie di prescrizioni tecniche e compensazioni a vantaggio del territorio come l’eliminazione di vecchi tralicci, l’obbligo di effettuare continui monitoraggi ambientali sul fronte dell’inquinamento elettromagnetico o di posizionare alcuni piloni in zone particolarmente sensibili facendo uso degli elicotteri.

Basterà per placare l’ira dei comitati e della gente della Carnia scesa in piazza nei mesi scorsi? Sembra proprio di no visto che Renato Garibaldi di “Carnia in movimento” annuncia battaglia con «nuove iniziative, molto più forti. La protesta ora si infiammerà davvero, pensiamo anche ad occupazioni. Non siamo più la Carnia di 20 anni fa, siamo cittadini e non sudditi. Lo dimostreremo. Non siamo sudditi né della politica, né dell’economia. Siamo delusi, arrabbiati. La bugia che ci fa arrabbiare di più è che l’opera sarebbe di rilevante interesse strategico per l’economia del FVG. Siamo all’apoteosi delle bugie dei politici e degli industriali. L’unica evidenza è la convenienza per le tasche dei proponenti».

«E gli elicotteri per posizionare i piloni nelle zone sensibili? È fantascienza, fantapolitica – sbotta Garibaldi – Non ci aspettavamo nulla di diverso, dopo le anticipazioni. La Giunta regionale contraddice se stessa parlando di elettrodotto in parte aereo e in parte interrato. Ammette che si può fare interrato. Doveva imporlo tutto interrato! Se no è come dire che la speculazione di un imprenditore vale più delle migliaia di persone scese in piazza per dire no ad ogni ipotesi di elettrodotto aereo. È incredibile che Tondo abbia messo l’interesse di un imprenditore davanti ai suoi cittadini. Noi con quelle migliaia di persone abbiamo in testa un progetto di valorizzazione del nostro territorio, che è il nostro futuro, l’imprenditore solo la valorizzazione del suo portafoglio».

Intanto l’iter per l’elettrodotto non si è concluso. Dopo il via regionale ci vorranno infatti quello del Ministero e dell’Unione Europea.

 

Messaggero Veneto del 06/04/11

I sindaci della Carnia sono divisi sull’elettrodotto

Posizioni diversificate sulle ipotesi aerea e interrata della Wurmlach-Somplago. Si temono gravi ripercussioni sull’ambiente e restano dubbi sull’utilità della linea

di Gino Grillo

CERCIVENTO. Il sindaco di Cercivento Dario De Alti, uno fra i più contrari all’elettrodotto Wurmlach-Somplago, non ha dubbi: l’elettrodotto, per non determinare impatti ambientali sul territorio montano, deve essere solamente interrato.

La decisione della Regione di accogliere in parte le scelte delle popolazioni della valle del Bût che si sono schierate contro il passaggio aereo dei cavi dell’alta tensione, licenziando in giunta un provvedimento che salvaguardia, con una soluzione che vede interrare i cavi per 12.8 chilometri nella zona a confine con l’Austria verso Malga Pramosio, è vista come un segno distensivo, di buona volontà e potrebbe far ritornare al tavolo delle trattative i primi cittadini di Cercivento e di Paluzza «con pari dignità fra Regione e amministrazioni comunali», ha affermato il sindaco Elia Vezzi, che a suo tempo aveva dichiarato di non voler più sedersi al tavolo delle trattative in quanto il “no” del suo Comune era definitivo.

Rimangono dubbi sull’effettiva necessità di un elettrodotto. «Manca un piano energetico complessivo regionale», afferma Vezzi, e sulle ricadute che questo avrà sull’occupazione e sul minor costo energetico per le industrie del posto che, stanti le sentenze della Comunità europea in fatto di energia, non andrebbe a determinare oneri più bassi per la cordata Fantoni-Pittini-Burgo. Meglio, comunque, una linea interamente interrata, «ma se i Comuni di Cavazzo Carnico e Tolmezzo proseguono nelle loro intenzioni a favore della soluzione aerea, lo facciano pure: saranno loro a dover rispondere successivamente ai loro cittadini».

Dario Iuri, primo cittadino di Cavazzo Carnico, ribadisce: «Ufficialmente non ne sappiamo nulla, ma la scelta operata dalla Regione, per quanto appreso dalla stampa, mi pare strana». Iuri conferma le scelte effettuate a suo tempo con il collega tolmezzino Dario Zearo, favorevoli anche al passaggio aereo delle linee elettriche, «ma – afferma – non si accettano elemosine, occorre rivedere le compensazioni». Zearo, infine, si barrica dietro un “no comment”: «Non ho nulla da riferire in merito».

Ribadisce il suo no il sindaco di Zuglio, Elio Moser: «Siamo contrari sia all’elettrodotto aereo che a quello interrato, del quale non si conosce ancora la portata delle propagazioni dei campi magnetici». Una valle troppo stretta, quella del Comune a ridosso di Tolmezzo, già oberata da molte servitù. «Qualora dovessero però passare con l’elettrodotto, protesteremo, ma senza scendere in piazza».

Franceschino Barazzutti di Movimento Mont attacca il presidente della Regione Renzo Tondo. «All’ex carnico Tondo – afferma Barazzutti, sottolineandone la grande distanza dai suoi cittadini – non è bastata una manifestazione imponente a Paluzza, con oltre 2 mila persone scese in piazza per dire “o elettrodotto interrato o niente”. Non gli sono bastate neppure le 4 mila persone a Tolmezzo. Da quanto Tondo è presidente della Regione non ne ha fatta una giusta. Il sospetto è che siccome è stato votato poco in Carnia, faccia qualche ripicca.

NO OGM: sequestrati l’Azienda e i campi di Fidenato (aggiornato il 06 aprile)

Messaggero Veneto del 05/04/11

Ogm, sequestrati l’azienda e i campi di Giorgio Fidenato

Ogm

di Enri Lisetto

PORDENONE. La magistratura stoppa la semina di mais Ogm. Il giudice monocratico del tribunale di Pordenone Rodolfo Piccin, su richiesta del pubblico ministero Piera De Stefani, ha disposto il sequestro preventivo dell’azienda – e quindi di tutti i suoi beni strumentali – del leader di Agricoltori federati Giorgio Fidenato, che nei giorni scorsi si era autodenunciato e aveva manifestato l’intenzione di voler seminare anche quest’anno mais Ogm. Il provvedimento è stato firmato il primo aprile ed eseguito il giorno successivo, sabato mattina, dai carabinieri

della sezione di polizia giudiziaria.

I militari dell’Arma si sono presentati nell’abitazione di Fidenato, ad Arba, sede legale della sua azienda, la Introis, e posto sotto sequestro un trattore, 15 sacchi di sementi Ogm, il pc e il conto corrente dell’imprenditore. Sigilli apposti anche ai due campi, ora incolti, già coltivati lo scorso anno, ovvero quelli di Vivaro e di Fanna. Sequestrate due tipologie di sementi di mais Omg, acquistate da Fidenato recentemente per circa 3 mila euro in tutto, di marca Monsanto Dkc5874yg (prodotto negli Stati Uniti), e di marca Kws Karter (prodotto in Germania), contenenti il Mon 810 e custoditi nell’abitazione del leader di Agricoltori federati.

Al momento dell’arrivo dei carabinieri Fidenato si trovava a Lugano per un convegno ed è stato avvisato dalla moglie: «Non ho mai nascosto nulla – ha spiegato – e pertanto ho indicato immediatamente l’armadio dove erano custoditi i sacchi con le sementi». Col provvedimento del giudice, che non esclude il pericolo di reiterazione del reato, è stato nominato anche un amministratore giudiziario, nella persona di Luca Bulfone, direttore della Direzione centrale delle risorse agricole e forestali della Regione. Potrà autorizzare la coltivazione dei campi e l’utilizzo degli strumenti agricoli, ma solo per colture autorizzate.

Il sequestro preventivo è stato disposto dal giudice monocratico Rodolfo Piccin in quanto titolare del procedimento in corso: il 2 febbraio, infatti, si è aperto il dibattimento di secondo grado dopo che Fidenato si era opposto al decreto penale di condanna al pagamento di una sanzione di 30 mila euro e alla distruzione del mais transgenico coltivato nel 2010. La prossima udienza è fissata per il 29 giugno, a nuova semina già avvenuta. La procura contesta la violazione del decreto legislativo 212/01 ovvero la messa a coltura di sementi mais Mon 810 senza autorizzazione.

Ieri pomeriggio Giorgio Fidenato, accompagnato dal suo legale, l’a vvocato Francesco Longo, si è recato in procura per chiedere il dissequestro di tutti i beni aziendali, sementi Ogm comprese. «Non dovesse essere concesso – annuncia – mi rivolgerò al Riesame e alla Cassazione per una battaglia che ha il sigillo della Comunità europea». Se avesse voluto «svolgere un’attività clandestina – spiega l’avvocato Longo – non avrebbe comunicato di provvedere alla seminagione, onde evitare problemi di ordine pubblico».

All’inizio di marzo, infatti,

Fidenato si era autodenunciato alle sette autorità competenti con una lettera in cui comunicava la prossima semina. Di più: avrebbe fornito le sementi transgeniche agli agricoltori che avessero voluto imitarlo. Aveva allegato alla autodenuncia sette pagine di fitta motivazione: al ministro dell’A gricoltura, al procuratore della Repubblica, al presidente della Regione, al commissario europeo John Dalli che si occupa di Ogm, al prefetto (che sulla questione aveva convocato un vertice), al questore e al comandante provinciale dell’Arma

 

 

Messaggero veneto del 06/04/11

Ogm, dopo il sequestro controlli a tappeto in Fvg

 

PORDENONE Controlli a tappeto dell’Ersa, in collaborazione con gli enti preposti e le forze dell’ordine, sui terreni agricoli del Fvg per impedire la semina di mais Ogm. L’ha annunciato il direttore dell’Ersa, Mirko Bellini. Giorgio Fidenato, intanto, ha ultimato ieri la lettera che invierà alla Commissione europea per comunicare quanto accadutogli sabato scorso, ovvero il sequestro preventivo disposto dai magistrati di Pordenone per la sua azienda e, di conseguenza, per le sementi Ogm che aveva acquistato dagli Stati Uniti e dalla Germania per le coltivazioni dei suoi sei ettari di terreno tra Vivaro e Fanna. Un sequestro che blocca una seconda primavera Ogm nel Friuli occidentale, ma non altrove. Perché, come si evince dal sito del Movimento libertario che fa riferimento agli Agricoltori federati dell’imprenditore di Arba, un socio aveva già ottenuto le contestate sementi (di cui, ricordiamo, è vietata la semina, ma non la detenzione e la vendita) a quanto pare finite nel Bresciano. E questo le avrebbe già distrubuite ad alcuni agricoltori che le avrebbero piantate in diversi appezzamenti. Scrive con il nickname Maumen: «Sequestrate, sequestrate, scrivete, scrivete, venite a cercare i 64 ettari seminati fra mercoledì e venerdì scorso». Da Giorgio Fidenato un secco «no comment» sul post, riferisce solo che l’autore è un socio di Agricoltori federati.

CIE DI GRADISCA: cambio di gestione e condanne

Messaggero Veneto del 06/04/11

Cie e Cara gestiti dai francesi Ogni immigrato ospitato costerà 34 euro al giorno

 

GRADISCA Gestione francese per il Cie e il Cara di Gradisca. E’ di ieri, infatti, la notizia che la Prefettura di Gorizia ha affidato in via provvisoria i servizi interni alle due strutture per immigrati di via Udine al consorzio temporaneo d’ impresa guidato dalla transalpina Gepsa (con sede a Parigi) in associazione con Cofely Italia e le coop italiane Acuarinto di Agrigento e Synergasia di Roma. Riammessa dopo l”iniziale esclusione per carenza documentale al pari del gestore attuale Connecting People, la cordata di imprese si è aggiudicata l’appalto con un leggero ribasso: 14 milioni 882mila euro l’offerta, di poco inferiore ai 15 milioni fissati come base d’asta. Gepsa ha preceduto in graduatoria l’attuale gestore , il consorzio cooperativistico trapanese Connecting People, la cooperativa goriziana Minerva (primo gestore del centro dal marzo 2006 al febbraio 2008) e la cooperativa Ghirlandina di Modena. Nel frattempo la Prefettura ultimerà le necessarie verifiche sulle autocertificazioni presentate dagli altri sei soggetti in gara. Un ulteriore passaggio che dovrebbe richiedere non più di una decina di giorni, tanto da rendere plausibile l’avvio della nuova gestione già dalla data del 1° maggio. Il metodo di valutazione per la stesura della graduatoria si basa su due criteri portanti: la valutazione tecnica, nella quale l’attuale ente gestore Connecting People aveva ottenuto il punteggio massimo, e la valutazione economica che vedeva proprio la cordata franco-italiana guidata da Gepsa al primo posto. In base all’offerta economica presentata, Gepsa ha indicato in poco più di 34 euro il costo giornaliero per ogni immigrato ospitato nelle due strutture. Il gestore uscente Connecting People, per contro, aveva presentato un “preventivo” da 40 euro pro die e pro capite, di poco inferiore ai costi di gestione attuali (42) per Cie e Cara. Minerva e Ghirlandina, rispettivamente al terzo e quarto posto con un’offerta di circa 18 milioni di euro, hanno presentato una proposta economica da poco più di 42 euro giornalieri ad ospite. (m.c.)

 

Messaggero Veneto del 05/04/11

Rivolta al Cie condanne per otto tunisini

 

 

GORIZIA Sono stati processati ieri gli otto immigrati tunisini arrestati il 20 marzo al termine di una rivolta al Cie di Gradisca. Sette erano finiti in carcere per violenza e resistenza a pubblico ufficiale, mentre l’ altro era stato arrestato per aver sottratto con la forza a uno degli operatori le chiavi delle porte interne della struttura. I sette hanno patteggiato una pena di 6 mesi e hanno potuto lasciare il carcere mentre l’ottavo tunisino arrestato è stato condannato con il rito abbreviato a 2 anni di reclusione.

OPERAZIONE ANTI-ANARCHICA: perquise anche a Trieste

Dal Piccolo del 07/04/11

Attentati anarchici

c’è una pista triestina

Perquisite due case

Sequestrati computer e documenti definiti «interessanti»

La maxi operazione anti-terrorismo è partita da Bologna

Bologna e Trieste,ma anche

Modena, Roma, Padova, Trento,

Reggio Calabria, Ancona, Torino,

Lecce, Napoli, , Genova, Teramo,

Forlì, Ravenna e Milano. In queste

città è scattato ieri il blitz che ha

coinvolto circa 300 uomini della

Polizia. Investigatori chiamati a

ricostruire la rete di contatti tra gli

esponenti dell’ala insurrezionalista

del movimento. Contatti che il

nucleo bolognese teneva anche

attraverso la rivista clandestina

“Invece” trovata anche a Trieste.

Un blitz con trecento uomini della polizia

Ha toccato anche Trieste la maxi operazione anti-terrorismo avviata

dalla procura di Bologna che, all’alba di ieri, ha fatto scattare

in sedici città del Paese dodici misure cautelari e una sessantina

di perquisizioni a carico di esponenti dell’ala insurrezionalista

del movimento anarchico italiano, accusati di associazione

a delinquere con finalità eversive. Nel nostro territorio a

ricevere la “visita” di Digos e polizia sono stati due uomini di 30

e 35 anni, sorpresi all’interno di altrettante abitazioni in centro

storico. Abitazioni nelle quali sono stati sequestrati computer e

grandi quantità di documenti, manifesti e volantini di propaganda.

Materiali definiti dagli investigatori “estremamente interessanti”

tanto che, nelle prossime ore, potrebbero portare

all’iscrizione dei loro nomi nella già lunga lista degli indagati.

Per il momento infatti a carico dei due triestini – già noti alla

Digos come attivi protagonisti dell’anarchismo cittadino – non

è stata mossa alcuna accusa. A chiamarli in causa nell’operazione

è stata essenzialmente la conoscenza diretta e l’assidua frequentazione

con il nucleo bolognese del movimento. Quello a cui, secondo la procura del capoluogo

emiliano, sarebbero riconducibili diversi atti dimostrativi

e raid messi a segno negli ultimi anni. Tra questi anche l’attacco

incendiario nella sede dell’Eni eseguito a Bologna il 28 marzo

scorso.

Proprio con gli attivisti emiliani e con i frequentatori del circolo

bolognese “Fuoriluogo”, posto ora sotto sequestro penale, i

due triestini avrebbero avuto rapporti stretti e frequenti. Al

punto che gli investigatori non escludono nemmeno un loro

coinvolgimento attivo negli atti a sfondo terroristico. Chi invece,

secondo la procura di Bologna, a quegli episodi ha contribuito attivamente,

seppur a vario titolo, sono i cinque arrestati: Stefania

Carolei e Annamaria Pistolesi, bolognesi di 55 e 36 anni, Martino

Trevisan e Robert Ferro, 25enni e originari dell’Alto Adige

e il romeno Roman Nicusor di 31 anni. Un ruolo importante

l’ avrebbero avuto poi altri sette anarchici: Sirio Manfrini (26 anni,

di Rovereto), Roberto Nadalini (modenese 32enne), Maddalena

Calore (24 anni, Padova), Francesco Magnani (24 anni,

Ferrara, fermato proprio per l’attentato all’Eni) colpiti da obbligo

di dimora nel Comune di appartenenza, e Stella Paola Molina

(25 anni, trentina), Giuseppe Valerio Caprioli (27 anni, potentino),

Simone Ballerini (21 anni, di Bologna), raggiunti da divieto

d’accesso nel territorio di Bologna. Secondo gli inquirenti il gruppo

aveva dato vita a un sodalizio interessato ad aggredire

“antagonisti” politici e sociali, individuati nelle forze di polizia,

in centri di potere economico (banche e aziende), partiti e in

simboli di azioni governative avversate,come i Centri per l’identificazione ed

espulsione.

Confermato lo sciopero dell’USI-AIT del 15 aprile

Oggi telefonicamente dal ministero della funzione pubblica il sindacato USI-AIT viene informato della revoca del proprio sciopero generale del 15 per il settore pubblico da parte di una USI-AIT con sede a Roma… questa la risposta del sindacato USI-AIT legittima.

revoca