Anche a Trieste gli studenti e le studentesse sono scesi in piazza contro i tagli al sistema scolastico, contro la legge Aprea e contro le politiche sulla scuola del governo Monti e del ministro Profumo.
Marzo 17th, 2017 — General, Studenti Trieste
Anche a Trieste gli studenti e le studentesse sono scesi in piazza contro i tagli al sistema scolastico, contro la legge Aprea e contro le politiche sulla scuola del governo Monti e del ministro Profumo.
Marzo 17th, 2017 — General, Scenari
da Il Piccolo del 15 ottobre 2012
«Il Collettivo per la Difesa del Litorale Carsico aspetta da fine luglio di incontrare il sindaco per un confronto sul futuro della centrale termoelettrica A2A di Monfalcone. Abbiamo sollecitato l’incontro per aver lumi sull’accordo firmato ad agosto dal sindaco e dall’amministratore delegato di A2A. Dopo una serie di rinvii si era stabilito un incontro per il 17 di ottobre, purtroppo impegni improrogabili del sindaco hanno fatto slittare nuovamente l’incontro a data da destinarsi» Durissima la critica dell’associazione nei confronti del sindaco di Monfalcone, Silvia Altran. Anche perchè, spiegano in una nota, sono «tante le domande senza risposta che si sono acuite dopo le dichiarazioni e le interviste televisive del sindaco».
«Da quanto è dato sapere – dice la nota in tono caustico- la signora che governa Monfalcone ha sottoscritto un accordo che rende carta straccia l’impegno a metanizzare i gruppi ad olio combustibile della centrale e dà implicitamente il beneplacito ad A2A per la riconversione a carbone. Perchè? A chi giova?»
Dalle notizie apparse sulla stampa, ricorda la nota, sembra che le peculiarità del piano aziendale saranno la riconversione a carbone dei gruppi ad olio combustibile e l’istallazione di un inceneritore travestito da “sperimentazione per rifiuti differenziati”. «Dopo aver letto queste novità il sindaco, con quella che benevolmente definiamo “ingenuità disarmante” – insiste il Comitato – si domanda se è vero che esiste il carbone pulito e che personalmente, è contraria alle centrali a carbone. Che dire? Parafrasando eminenti scienziati si potrebbe rispondere al sindaco che il carbone pulito si può paragonare all’acqua asciutta: non esiste».
La nota spiega che si potrebbe ricordare al sindaco che il ministro dell’ambiente ha parlato di decarbonizzazione del Paese e che l’anidride carbonica è la principale responsabile dell’innalzamento della temperatura del pianeta.
Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
Dal Messaggero veneto del 16/10/11
Cie, l’urlo ai politici «Meglio la galera»
GRADISCA «Ho visto tanti Cie, ma questo è in assoluto il più simile a un carcere, se non peggio. Ho sentito gente dire che preferirebbe tornare in galera piuttosto che restare qui». Con queste parole la struttura governativa di via Udine viene sonoramente bocciata da Andrea Sarubbi, deputato romano in quota Pd recatosi ieri in visita al Centro di identificazione ed espulsione insieme a Carlo Monai, esponente di Idv alla Camera e a numerosi amministratori locali, fra cui i consiglieri regionali Antonaz, Codega e Kocijancic, l’assessore provinciale alle Politiche sull’immigrazione Della Pietra, il consigliere provinciale Zanella, i sindaci di Sagrado Pian e Mariano Visintin, l’assessore alle Politiche sociali di Cervignano, Gratton e i consiglieri di Romans, Godeas e Guadagnini. Presenti nella folta delegazione anche Corazza del Centro salute mentale di Gorizia e alcuni rappresentanti di Tenda per la Pace, Asgi – studi giuridici sull’immigrazione – e Consiglio italiano per i rifugiati. Sarubbi, che di Cie ne ha visitati parecchi lungo lo Stivale, critica aspramente quello di Gradisca e argomenta con esempi concreti. A Trapani si può entrare con un iPhone, a Roma il cellulare è consentito ma senza fare foto, in riva all’Isonzo il telefonino è vietato del tutto. Oppure la mensa: «Perché a Gradisca è considerata pericolosa e a Roma invece no?» È l’interrogativo del parlamentare capitolino, che auspica nuove leggi sull’immigrazione, ricorda i costi eccessivi di queste strutture e la discrezionalità delle Prefetture. In chiusura Sarubbi sottolinea che dentro il Cie «non ci sono vittime e carnefici, ma solo vittime, perché poliziotti e operatori lavorano in condizioni poco agevoli» e conferma l’indiscrezione secondo cui gli operatori di Connecting people siano senza stipendio da quasi due mesi. L’ingresso al Cie gradiscano non è stata una novità per il deputato cividalese Carlo Monai. «Eppure ogni volta devo constatarne l’inutilità. Da un paio d’anni gli impianti sportivi e ricreativi sono inaccessibili, eppure sembra sempre che il ripristino sia imminente. Resta il fatto che i cosiddetti “ospiti” vivono condizioni di segregazione tali da essere trattati peggio dei detenuti delle patrie galere: c’è chi mi ha chiesto di poter tornare in carcere perché lì stava meglio». Prima volta al Cie, invece, per l’assessore provinciale Bianca Della Pietra, apparsa quasi sotto choc: «E’ un Centro dove i diritti sono sospesi, se non negati. La persona andrebbe messa al primo posto, invece ho visto un’istituzione negante l’identità personale». Il consigliere regionale Roberto Antonaz si dice pronto a lanciare una proposta: «Una sorta di staffetta per entrare al Cie anche una o due volte a settimana». Giuseppe Pisano
Dal Piccolo
MARTEDÌ, 16 OTTOBRE 2012
«Il Cie di Gradisca è peggio di un carcere»
Visita dei parlamentari Sarubbi e Monai: «Segregazione oltre il buon
senso, diritti negati agli ospiti»
GRADISCA «Quello di Gradisca d’Isonzo è in assoluto il Cie italiano più
simile a un carcere. E per molti versi è pure peggio di molti
penitenziari». Quella di Andrea Sarubbi è un’istantanea impietosa. Il
deputato Pd ha visitato ieri il Centro di identificazione ed espulsione
della cittadina isontina assieme al collega Carlo Monai (Idv)
nell’ambito della campagna di informazione “LasciateCientrare”. Assieme
a loro amministratori locali, operatori della stampa, esperti di ambito
legale ed esponenti del mondo dell’associazionismo. Una visita durata
quasi 3 ore, servita a confermare molte delle perplessità che da sempre
circondano i Cie italiani e quello di Gradisca in particolare. «Dico che
è un carcere perchè qui non esistono percorsi di integrazione,
assistenza o recupero per le persone trattenute – commentano Sarubbi e
Monai -. La promiscuità crea poi una miscela esplosiva. Si va
dall’immigrato che si becca un supplemento di pena dopo essere stato in
carcere, allo straniero rinchiuso per un documento scaduto. Non può
funzionare. E poi – sottolineano – a differenza di altri Cie certi
diritti sono del tutto sospesi. Non si può pranzare in mensa. Non si può
utilizzare il campo da calcio. Tenere le proprie cose in un armadietto.
È vietato l’uso del cellulare, cosa che a Roma o Trapani è consentita.
La verità – è il parere di Sarubbi – è che la discrezionalità delle
diverse Prefetture è troppa, e forse è condizionata dalle maggioranze
politiche. Mi chiedo a chi convenga un sistema nel quale un immigrato ci
costa 1.300 euro al mese, spese di gestione esclusi, per essere
confinato in una stanza senza magari venire neanche rimpatriato».
Sarubbi auspica «una revisione delle leggi sull’immigrazione, anche se
queste in passato sono state scritte solo per interessi elettorali. Cosa
serve? Tempi più brevi di trattenimento e più certi per
l’identificazione». E sottolinea come «in questo sistema perverso non vi
sono nè vittime nè carnefici», confermando l’indiscrezione del Piccolo
secondo cui gli stipendi degli operatori della coop Connecting People
stanno per sfiorare le due mensilità di ritardo. Scontenti anche gli
operatori di polizia. «Non so quanto questa problematica sia in cima
all’agenda del governo Monti – allarga le braccia Sarubbi – e che esito
stia avendo il monitoraggio dei Cie italiani voluto dal ministro
Severino». Monai rincara la dose: «Ogni volta che faccio ritorno a
Gradisca registro un depauperamento. Le condizioni di segregazione vanno
oltre il buonsenso. Continuo a ritenere che non sia questa la risposta
di un Paese civile al fenomeno migratorio, ma nel frattempo perlomeno si
ripristino da subito condizioni di dignità». Assieme ai due parlamentari
hanno visitato il Cie anche i consiglieri regionali Antonaz, Codega e
Kocijancic. (l.m.)
Marzo 17th, 2017 — General, Ultime
Dal Piccolo
MARTEDÌ, 16 OTTOBRE 2012
Pagina 25 – Cronaca Trieste
Caso Alina, indagato anche il vice di Baffi
Blitz in Questura, il commissario capo dell’ufficio stranieri Panasiti
deve rispondere di sequestro di persona e arresto illegale
La Procura: non è un episodio isolato
LE REAZIONI DEL POLIZIOTTO Ho la coscienza tranquilla, ma viste le
indagini mi aspettavo questo provvedimento. Ho eseguito gli ordini dei
miei superiori
Dietro il suicidio di Alina Bonar Diachuk (nella foto) «decine e decine
di altri casi» di detenzioni illegali». Le parole del procuratore capo
Michele Dalla Costa risalgono allo scorso 15 maggio e tornano di
attualità. Infatti dopo il blitz messo a segno l’altro giorno in
Questura dal pm Massimo De Bortoli e dalla sua squadra, hanno trovato
una nuova ulteriore conferma. Altri 128 casi che si aggiungono ai 49
accertati in maggio. In tutto 179 vicende di arresti illegali prima
dell’espulsione. È questa la direzione in cui si stanno muovendo le
indagini scaturite dal suicidio della cittadina ucraina all’interno
della cosiddetta camera di “controllo” del commissariato di Opicina. Nei
prossimi giorni gli investigatori effettueranno altri accertamenti. Lo
scopo è anche quello di acquisire, se possibile, testimonianze dirette.
Qualche “detenuto” che racconti ai giudici il suo calvario.
di Corrado Barbacini Caso Alina: nuovi sviluppi dell’inchiesta della
procura sull’ufficio immigrazione della Questura nella quale è finito
sotto indagine l’ex dirigente Carlo Baffi. Sotto accusa è ora il vice.
Si chiama Vincenzo Panasiti e ha 56 anni. Il blitz in Questura è stato
messo a segno l’altra mattina. Ma la notizia, tenuta riservata, è
trapelata solo ieri. Il pm Massimo De Bortoli è tornato negli uffici al
terzo piano con una decina tra finanzieri e poliziotti della procura. È
stato perquisito l’ufficio di Panasiti. Sono stati sequestrati altri 128
fascicoli in originale relativi ad altrettanti cittadini extracomunitari
anch’essi, in attesa di espulsione, e detenuti anche per giorni
all’interno del commissariato di Opicina. Integrano i 49 faldoni che
erano stati acquisiti nel corso della perquisizione effettuata il 9
maggio sempre da De Bortoli e dalla sua squadra di finanzieri e
poliziotti. In quell’occasione gli investigatori avevano trovato
nell’ufficio di Carlo Baffi prima e poi nella sua abitazione una serie
di libri dal contenuto antisemita. Ma anche in un cassetto della
scrivania un foglio stampato con il computer con la scritta «Ufficio
epurazione». Il commissario capo Panasiti è indagato di sequestro di
persona e arresto illegale. Si tratta delle stesse contestazioni
(escluso l’omicidio colposo) che in maggio erano state mosse nei
confronti di Carlo Baffi. In pratica il vice dirigente è finito nei guai
per i periodi in cui ha gestito l’ufficio in assenza del titolare. I
fascicoli sequestrati dalla procura riguardano il periodo che va da
gennaio ad agosto 2011. «Siamo tranquilli e sereni e a disposizione
dell’Autorità giudiziaria», ha dichiarato il questore Giuseppe Padulano
gettando acqua sul fuoco. E ha aggiunto: «Continueremo con impegno il
nostro difficile lavoro a tutti i livelli». Altro non ha voluto
aggiungere. Il commissario capo Vincenzo Panasiti ieri era regolarmente
al suo posto di lavoro nel suo ufficio al terzo piano della questura.
«Ho la coscienza tranquilla», ha detto. Poi si è lasciato sfuggire: «Me
lo aspettavo dopo quanto accaduto al dottor Baffi». Quindi è entrato nel
merito dell’indagine: «Ho sempre rispettato le disposizioni che erano
state impartite dai dirigenti. Non comando, sono un mero esecutore e
sono convinto che in breve la mia posizione sarà chiarita. Sono
fiducioso nell’esito delle indagini». La bufera dell’Ufficio
immigrazione della Questura era clamorosamente esplosa nello scorso mese
di aprile come conseguenza del suicidio di Alina Bonar Diachuk, una
donna ucraina di 32 anni che era stata scarcerata due giorni prima in
attesa di essere allontanata dall’Italia. Invece era stata portata a
forza al commissariato di Opicina. Era accaduto a cavallo di un week
end. Nei fine settimana infatti non era in servizio un giudice che
potesse convalidare i decreti di espulsione. In quelle ore, secondo la
Questura, gli stranieri non possono essere liberati. Ma per la Procura
non possono essere nemmeno trattenuti. Un limbo, insomma, che si traduce
però per gli stranieri in attesa di espulsione in una vera e propria
detenzione. Praticamente il suo suicidio aveva fatto emergere, nel corso
delle indagini coordinate dal pm Massimo De Bortoli, non solo la sua
detenzione illegale, ma anche, che di arresti fuorilegge ce ne erano
stati decine anzi centinaia. Detenzioni gestite dall’ufficio
immigrazione della Questura che fino ad allora era stato gestito da
Carlo Baffi. Ora nei guai è finito il suo vice.
Marzo 17th, 2017 — General, Varie
Venerdì ci incontriamo con Donatella Cozzi, antropologa, per parlare di quella cosa che chiamiamo “depressione” e di tutto quello che a questa gira intorno.
Avevamo incontrato Donatella nel lontano 1992, nell’ambito di una rassegna (“Dire, fare, baciare… tecnica, mutamento”) che avevamo organizzato al Centro Sociale Autogestito di Via Volturno a Udine. Lei, allora, stava proprio lavorando al testo, poi pubblicato nel 2007 con il titolo “Le imperfezioni del silenzio- riflessioni antropologiche sulla depressione femminile in un’area alpina”.
L’area alpina è quella della Carnia; il suo punto di riferimento è il centro di salute mentale di Tolmezzo, punto di arrivo di persone dolenti, spezzate, perse.
Dalle loro “storie” emergono relazioni, aspirazioni soggettive, trame sociali e famigliari, che la visione antropologica restituisce in modo forse meno parziale di quanto possano fare altre discipline e con un taglio, nel caso della nostra ospite, non certo accademico, ma di profonda sensibilità.
Così inizia il suo lavoro: “Anche facendo un enorme sforzo, non potrei scindere il mio percorso biografico e di studi dall’interesse per il disagio mentale e per la psichiatria di cui questo saggio segna il punto culminante e insieme il calmo distacco. Ho avuto un motivo importante per perseguire questo interesse, la ‘malattia’ di mia madre. Un madre e una malattia biograficamente inscindibili, ingombranti, a volte titaniche e minacciose, dolenti e affascinanti, strenuamente indomite e intrusive, altre volte sorprendentemente creative e scatenanti all’esplorazione del mondo. Di lei, tutto quello che vi lascio sapere è che è una sfida formidabile. Tutto quello che sono o non sarò lo devo a lei, e al tenace amore di mio padre che le è rimasto sempre accanto. E’ la signora delle mie lacrime, la matrice della mia insicurezza, la nutrice inconsapevole della mia forza…”
Un incipit ben diverso da quello che abbiamo letto quest’estate come premessa da una iniziativa tenutasi sempre in Carnia e sempre sullo stesso ‘nodo’. Leggete qua: “Se la depressione colpisce una donna, come reagisce chi gli sta vicino? Quando un uomo uccide la propria partner per gelosia, cosa pensiamo? Quando una donna è preda della droga, del gioco d’azzardo, del vizio, come ci comportiamo? Quando una donna è diversa dalle nostre aspettative cosa facciamo? E se non gli interessano gli uomini?” Una cosa vergognosa, un approccio falsato e sessista oltre che semplicemente irritante per tutti gli stereotipi peggiori che si porta dentro.
Sbollita l’incazzatura, abbiamo continuato a pensare a quale sarebbe stato un avvicinamento corretto; e ci siamo ricordate del lavoro di Donatella Cozzi…
“… Allora, ragionare sulla depressione, per le donne (e gli uomini) del nostro tempo, rimanda in senso pieno non solo a tutte le condizioni che mortificano, umiliano, rattrappiscono la nostra umanità, e che chiedono una risposta capace di dispiegarsi anche sul piano del sociale e del politico, ma svela anche quella logica del dominio (e i suoi dispositivi) secondo la quale “il dolore va fluidificato, poichè di fronte alla violenza della perdita si fa collera e passa all’atto. Questa corrosività istituzionale del femminile sembra essere letta solo nei luoghi in cui esso è costretto: già plasmato fra norme e ruoli dunque, e mai nei luoghi della sua forza, tutta ancora da controllare. Una lettura sempre sul filo dello scacco, mai su quella capacità intrinseca di rendere più problematico e conflittuale il reale”. L’auspicio è che il nostro ragionare comune, nella pluralità di voci e di prospettive disciplinari, diventi legante dinamico di questa corrosività“.
Corrosive, ecco; infine, noi per il nostro bene.
Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
Dal Piccolo del 19/10/12
Maghrebino tenta di impiccarsi al Cie, salvo
GRADISCA Serata ad alta tensione al Cie di Gradisca. Un maghrebino avrebbe tentato di impiccarsi con un indumento. Scarni i dettagli emersi. L’allarme è scattato mercoledì sera alle 21. L’uomo avrebbe minacciato di volerla fare finita, attirando l’attenzione dei compagni di stanza e degli operatori della Connecting People. A quel punto è scattato l’allarme con l’immediato intervento dei poliziotti della vigilanza esterna, di un’ambulanza del 118 e dei vigili del fuoco di Gorizia, pronti ad imbragare l’uomo. In qualche modo dopo lunghi, interminabili minuti, il maghrebino è stato ridotto a più miti consigli. Il capo di gabinetto della Questura di Gorizia, Gennaro D’Agnese, circoscrive l’episodio: «Fortunatamente si è trattato più che altro di un gesto dimostrativo. Spesso si tratta di stratagemmi intrapresi per attirare l’attenzione od ottenere un ricovero ospedaliero dal quale è più facile tentare la fuga. Penso anche ai non infrequenti episodi di autolesionismo, come l’ingerimento di bulloni e lamette o i tagli alle braccia. Ad ogni modo non sottvalutiamo il problema». Nella giornata di ieri l’uomo avrebbe nuovamente minacciato di volersi uccidere. All’origine dell’episodio vi sarebbe lo stato di esasperazione per le condizioni di vita all’ex Polonio. Qualche giorno fa il nordafricano aveva addirittura deciso di denunciare l’ente gestore perché gli aveva sequestrato (come da regolamento) il cellulare. La denuncia era stata ritirata. Sul sequestro dei telefoni era intervenuto poche ore prima il deputato Pd Sarubbi, in visita al Cie: a suo dire, una misura restrittiva in vigore soltanto a Gradisca.(l.m.)
Marzo 17th, 2017 — General, Rassegna stampa
Una bella trama quella di ieri sera, costruita sul filo del lavoro e della narrazione di Donatella Cozzi.
Stanzetta al limite fisiologico di trenta persone, che è quello che al momento ci è possibile in termini di spazio, dai tempi dello sgombero del CSA di Via Scalo Nuovo.
Donatella ha fatto strada in quelle “Imperfezioni del silenzio” dalle quali, per chi li vuole cogliere, sfuggono segnali, storie, materia che ridefiniscono le persone nella loro rete di relazioni tra storie individuali legate a storie sociali.
Perchè ci sono “malattie” definite dalla società che in realtà la definiscono; in particolare nei confronti delle donne; oggi la depressione è un pò quello che era l’isteria di un tempo nella sua connotazione misogina e sessista.
Perchè poi la depressione, parola scritta e parlata dal corpo malato (che la madrelingua descrive con il suo repertorio sintomatologico, di cui molto al femminile, peraltro) è la spiegazione di molte cose che non si riesce e non si vuole spiegare (ed aggiustare) altrimenti.
E’ la “malattia” funzionale alla società del dominio nella quale il dolore deve essere “fluidificato”, mantenuto sottotraccia farmacologicamente, cronicizzato, che non diventi nè indicatore, meno che meno stimolo al cambiamento; che sia il mantenimento di una addomesticazione che non crea problemi… quante biografie femminili si leggono in questa dimensione!
E quanto viene oggi usata strumentalmente questa “patologia”… delle volte anche quasi a giustificazione degli uomini che uccidono le donne…
Insomma, le riflessioni sviluppate ieri, sulla guida della complessità antropologica, fanno pensare alla depressione un pò come una trama contro le donne e allora, si è detto, occorre tramare, tramare veramente vie di fuga. Per noi tramare ha il senso di tessere, così come riportato in una citazione del libro di Cozzi.
Ecco, a proposito del libro, attualmente difficile da trovare (abbiamo ordinato alcune copie e chi è interessat* ci può contattare al ns indirizzo: dumbles@inventati.org); Donatella, dopo aver sentito l’editore, ci dirà se potremo metterlo on line.
Intanto prepariamo la registrazione filmata dell’incontro da postare su questo blog
Marzo 17th, 2017 — General, Notizie flash
Marzo 17th, 2017 — General, Storia ed attualità
dal Messaggero veneto del 22/10/12
Scontri durante il corteo
identificate 30 persone
Gli sviluppi dell’indagine sugli incidenti dopo il presidio antifascista contro Forza Nuova. Decisivi i video girati dalla polizia. Decine di posizioni al vaglio della Procura
di Anna Rosso
UDINE. Grazie ai video realizzati dalla polizia e all’analisi delle immagini registrate dal sistema di videosorveglianza comunale, sono già una trentina le persone identificate dalla Digos di Udine a seguito degli scontri avvenuti lo scorso 28 settembre. La loro posizione è ora al vaglio della Procura della Repubblica di Udine. E l’attività di indagine della questura è ancora in corso.
Quel giorno, come si ricorderà, in città si è svolta la manifestazione del movimento politico di destra Forza Nuova. Gli esponenti friulani, aderendo a un’iniziativa nazionale, avevano annunciato una protesta contro diversi aspetti dell’attuale politica del governo. Si erano dati appuntamento in piazzale D’Annunzio. Di lì è poi partito un corteo – formato da alcune decine di persone – che ha poi raggiunto piazza Libertà per un breve comizio.
Dopo aver appreso la notizia, realtà politiche e movimenti della sinistra hanno dato vita a una contro-manifestazione, annunciando a loro volta anche su Internet una protesta antifascista. Al termine di un confronto con le istituzioni, è arrivato l’ok per effettuare un presidio in piazza della Repubblica.
Così quel venerdì pomeriggio, intorno alle 17.30, un’ottantina di persone (almeno stando alle stime delle forze dell’ordine) si sono ritrovate tra viale Leopardi e via Ciconi.
Sin dai primi momenti si è creata una certa tensione. E, dopo poco, quello che avrebbe dovuto essere un semplice presidio si è trasformato in un corteo non autorizzato finalizzato a raggiungere i militanti di Forza Nuova in piazzale D’Annunzio, dove la polizia (presente anche il personale del Reparto mobile di Padova) ha avuto il suo da fare per evitare scontri diretti. Si è comunque assistito a lanci di lattine e a frasi e cori ingiuriosi.
Poi, dopo la partenza del corteo di Forza Nuova, anche quanti avevano dato vita alla contro-manifestazione di sinistra si sono mossi alla spicciolata verso piazza Libertà. Qui è stata di nuovo la polizia, che ha schierato gli agenti creando veri e propri “cordoni”, a prevenire scontri.
Nei prossimi giorni il sostituto procuratore Maria Caterina Pace valuterà le singole posizioni e deciderà se contestare o meno agli interessati il fatto d’aver dato vita a un corteo non autorizzato o di non aver rispettato le disposizioni della polizia.
Marzo 17th, 2017 — General, Noi
Mentre il progetto TAV nel Friuli-Venezia Giulia sta dimostrando tutta la sua insostenibilità finanziaria, ambientale e strategica e si assiste allo sfacelo del trasporto ferroviario regionale, la Procura di Trieste notifica decine di denunce ad numerosi attivisti per le manifestazioni di febbraio-marzo in solidarietà con la Val di Susa in lotta. Erano i giorni in cui si ampliavano i cantieri della linea Torino-Lione, con la conseguente violenta repressione contro la mobilitazione del popolo NOTAV, culminata con il grave ferimento di Luca Abbà, da sempre impegnato in prima persona nella lotta. In tutto il paese si sono svolte iniziative di solidarietà, con cortei ed occupazioni di stazioni ed uffici dirigenziali delle F.S.
A Trieste si è manifestato con un presidio in piazza Unità e davanti al Museo Revoltella in occasione dell’incontro istituzionale con Mauro Moretti, amministratore delegato delle Ferrovie, personaggio furiosamente impegnato a trasformare le medesime da bene collettivo e servizio per tutti ad affare per pochi. Il giorno successivo, in solidarietà con Luca Abbà, un corteo spontaneo è sfilato lungo le via cittadine per protestare e sensibilizzare la popolazione, corteo svoltosi senza assoggettarsi ai tempi e alle formalità imposte dalla burocrazia questurina.
Il reato contestato è quello di “manifestazione non autorizzata”, imputazione relativamente “leggera”, ma che dimostra la logica del potere di non lasciare impunita la volontà e la determinazione di coloro che da tempo denunciano e si oppongono all’assurdità di un’opera che produce solo debito pubblico, arricchimento di pochi, devastazione del territorio e delle comunità che lo abitano. Da troppo fastidio all’apparato politico-economico la lotta ormai decennale della Val di Susa, una lotta che include soggettività e pratiche anche diverse tra loro ma con un obiettivo chiaro e condiviso, che è stata capace di inceppare i meccanismi di realizzazione dell’opera.
Le ragioni di questa lotta hanno raccolto intorno a sé ampi margini di consenso allargando la solidarietà a livello nazionale ed anche europeo, come le mobilitazioni suddette stanno a testimoniare.
Il Comitato NOTAV di Trieste e del Carso, riaffermando il proprio impegno nella lotta ed a sostegno dei denunciati, invita tutta la cittadinanza ed in particolare coloro che hanno già partecipato, anche saltuariamente, alle mobilitazioni del comitato, a mantenere il loro impegno informandosi e partecipando alle prossime iniziative di sostegno agli inquisiti, affinché le ragioni e gli sforzi di tutto il movimento siano definitivamente vincenti.
Comitato NOTAV di Trieste e del Carso
Odbor NOTAV iz Trsta in s Krasa