CIE di Gradisca/ Rivolta continua

MV online 3 novembre 2013

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Incendio e proteste, nuova rivolta al Cie

di Christian Seu

Gradisca, fiamme nelle camerate rimaste ancora agibili. Disposto il rafforzamento della vigilanza dentro la struttura
 
 

GRADISCA D’ISONZO. Ancora tensioni al Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca. Che, dopo i tumulti di mercoledì scorso, ha vissuto nella tarda serata di venerdì ulteriori episodi di intolleranza da parte di un gruppo di ospiti, che hanno dato fuoco a materassi e suppellettili, rendendo inagibili le ultime tre stanze ancora utilizzabili. Per arginare le proteste dei clandestini, che hanno intanto proclamato lo sciopero della fame per contestare le condizioni di detenzione all’interno del centro, la Prefettura ha disposto che gli operatori della struttura e gli agenti della Questura vengano affiancati da personale del Comando provinciale dei Carabinieri di Gorizia, in attesa di ulteriori rinforzi che dovrebbero giungere dal Veneto non prima di domani.

La rivolta

Venerdì il centro ha vissuto l’ennesima serata ad alta tensione. Dopo la cena, un gruppo di immigrati – anche con l’obiettivo (non andato a segno) di tentare la fuga – ha dato fuoco alle ultime quattro camerate ancora agibili all’interno della struttura dopo i roghi di mercoledì notte, costringendo gli operatori ad ammassare gli ospiti negli spazi all’aperto. Due immigrati, rimasti intossicati, sono stati condotti per accertamenti al Pronto soccorso dell’ospedale di Monfalcone. Gli altri, dopo le operazioni di bonifica, sono stati accompagnati nelle camere meno danneggiate.

Per domare le fiamme sono intervenuti i Vigili del Fuoco di Gorizia. Ieri, nel fare la conta dei danni, la Prefettura ha confermato che tutte le otto camerate a disposizione nell’area rossa (le zone blu e verde, già danneggiate nelle rivolte agostane, restano inservibili perché interessate dai lavori di ripristino) risultavano inagibili dopo l’ennesimo episodio di intolleranza. Nella notte tra mercoledì e giovedì tre clandestini avevano rotto i vetri e divelto le recinzioni, portandosi ancora una volta sul tetto della struttura di via Udine; un altro gruppo aveva dato alle fiamme alcuni materassi, rendendo inservibili quattro stanze.

Alloggi temporanei

Dopo l’ennesima azione di protesta, gli addetti incaricati dalla Prefettura hanno immediatamente avviato le opere per tentare di recuperare almeno una parte degli spazi, per consentire ai 66 immigrati attualmente detenuti nel centro di riposare in condizioni quantomeno decenti: gli immigrati sono al momento ospitati in alloggi temporanei sempre all’interno del perimetro dell’ex caserma Polonio. I motivi dell’ennesima rivolta sono gli stessi che hanno scatenato le precedenti sommosse.

Gli immigrati protestano per le condizioni di permanenza all’interno del Cie gradiscano, per le supposte precarie condizioni igienico-sanitarie e per l’asprezza delle leggi italiane in materia di immigrazione clandestina. Non solo. «La ragione del tentativo di fuga è sostanzialmente da attribuirsi alla volontà da parte degli stranieri di sottrarsi agli ineludibili provvedimenti di rimpatrio verso i rispettivi Paesi di origine», ha fatto sapere ieri pomeriggio la Questura, attraverso una nota, confermando che sono in corso indagini per risalire all’identità degli autori dei danneggiamenti.

I rinforzi

Dopo i reiterati episodi di protesta, anche violenta, andati in scena tra luglio e agosto, dunque, il Cie di Gradisca torna a preoccupare. Tanto che è stato disposto un rafforzamento della vigilanza all’interno del Centro, con gli operatori civili e gli agenti della Questura che sono da un paio di giorni affiancati dai Carabinieri del Comando provinciale di Gorizia. Non solo: da domani dovrebbero arrivare gli agenti del Reparto Mobile di Padova, impegnati in queste ore nei servizi di vigilanza negli stadi in cui si disputano le gare dei campionati professionistici.

 


ansa.it, 2 novembre 2013

Cie Gradisca, nuovo incendio stanze

Interpellanza Manconi ad Alfano, chiudere struttura

(ANSA) – GORIZIA, 2 NOV – Un nuovo episodio di protesta è avvenuto nella serata di ieri nel Cie di Gradisca d’Isonzo (Gorizia). Gli immigrati hanno dato fuoco alle stanze risparmiate dal rogo di mercoledì, rendendo di fatto completamente inagibili gli spazi. Due immigrati sono rimasti lievemente intossicati. Il presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, Luigi Manconi, ha presentato un’interpellanza urgente al ministro dell’Interno in cui chiede che la struttura venga chiusa al più presto.
 

Cie di Gradisca fuori uso. Distrutte tutte le camerate

da Radio BlackOut – 3 novembre 2013

Rivolta e repressione a Gradisca – parlano i reclusi

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In diretta su Radio Blackout i prigionieri del CIE di Gradisca d’Isonzo raccontano che dopo le due notti di rivolta e incendio del 30 e 31 ottobre il centro è pressochè totalmente inagibile. I reclusi ancora presenti, tra i 50 e i 70, sono sistemati in locali di fortuna, e dormono nei corridoi con i vestiti bagnati dalla pioggia.

Ieri sera la polizia è venuta per cercare di individuare chi avesse appiccato il fuoco ma non ottenendo ciò che voleva ha dato il via a un pestaggio indiscriminato; in particolare a un giovane senegalese è stato fratturato un braccio ma come cura ha ricevuto solo un sonnifero, e ora sta soffrendo molto, come anche altri detenuti, alcuni di età avanzata.

Sempre ieri due o tre reclusi sono stati liberati, mentre questa mattina cinque sono stati trasferiti, forse con destinazione Milano e Torino.

I reclusi chiedono che dall’esterno qualcuno venga a vedere la loro situazione e di far arrivare il più lontano possibile la loro voce.

Ascolta le due dirette effettuate nella mattinata:

http://radioblackout.org/wp-content/uploads/2013/11/ciegradisca1.mp3
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da Il Piccolo del 4 novembre 2013 – Pagina 11 – Gorizia-Monfalcone

Cie di Gradisca fuori uso Distrutte tutte le camerate

Nuovi incendi nella notte. Immigrati accampati nei corridoi delle parti comuni La paura degli operatori: «Qui è una guerra, stanno incenerendo la struttura»

GRADISCA Al Cie di Gradisca non c’è più neppure una stanza agibile. Le violente proteste degli immigrati in attesa di espulsione hanno sostanzialmente distrutto anche le ultime due camerate ancora utilizzabili. Nuovi tumulti, infatti, si sono verificati nella notte fra sabato e domenica, con altri incendi appiccati dando fuoco ai materassi e alle coperte. La conseguenza è che gli ospiti trascorreranno la notte sul pavimento dei corridoi nella zona dei centralini, che di fatto risulta interamente occupata dai clandestini. Al momento non è stato ancora autorizzata dalla Prefettura la parziale riapertura della “zona blu”, mentre nelle prossime ore per alcuni stranieri potrebbero essere accelerate le operazioni di rimpatrio in modo da alleggerire la situazione. I disordini sono continuati anche nella mattinata di ieri («qui è una guerra», «stanno incenerendo il Cie», alcuni degli sms provenienti dall’interno) e la situazione è ritornata all’apparente normalità solamente nel primo pomeriggio. Le forze dell’ordine negano sia stata usata la forza per ricondurre a più miti consigli i rivoltosi dell’ex Polonio. Tensione e paura per gli operatori della Connecting People, già prostrati dai ritardi nel pagamento degli stipendi (martedi faranno conoscere la propria posizione): i dipendenti hanno lasciato la zona occupata dagli ospiti e lavorano in una sezione adiacente, pronti a stemperare eventuali tentativi di evasione di massa assieme a poliziotti, militari e carabinieri. Il contingente di vigilanza sarà rinforzato solamente oggi perchè molti uomini erano impegnati nell’ordine pubblico negli stadi. Intanto il dibattito politico attorno alla struttura di Gradisca rimane serrato. Secondo Giulio Lauri, capogruppo Sel in Consiglio regionale, «il governo non può continuare a ignorare l’escalation di tensione al Cie: si decida finalmente a chiuderlo: per quanto si pensa di potere continuare questo braccio di ferro sulle condizioni di vita e sui tempi di trattenimento senza che nessuno si faccia di nuovo male? Come si fa ad ignorare un appello come quello del Presidente della Commissione parlamentare Manconi secondo cui i diritti umani lì non sono garantiti? La Regione – ricorda Lauri – si è espressa chiaramente: se a Gradisca i diritti umani non vengono garantiti il centro va chiuso, anche a legislazione vigente». Di ben altro parere Massimiliano Fedriga (Lega Nord) che chiede «maggiore rigore» all’interno del Cie. «Il centro di Gradisca ha la funzione di una struttura detentiva, non è un resort – premette il parlamentare del Carroccio -: e se considerassimo anche che gli ospiti sono persone che hanno commesso dei reati, riusciremmo ad analizzare la questione con obiettività. Purtroppo però la sinistra, Serracchiani in testa, sta facendo di tutto per promuovere una visione assolutamente distorta secondo cui gli ospiti vivrebbero in condizioni disumane e subirebbero violenze da parte delle forze dell’ordine. Rinnovo l’invito a fornire prove a queste gravi affermazioni, lesive della dignità di uomini e donne che svolgono un compito delicatissimo e pericoloso. Altrimenti – attacca Fedriga – è solo propaganda che alimenta irresponsabilmente la tensione». Condivide il sindacato di polizia Sap. »L’azione politica per la chiusura dei Cie non dovrebbe essere una conseguenza delle azioni violente di pochi, ma una volontà democraticamente sviluppata e destinata ad individuare soluzioni diverse per rimpatriare i clandestini – argomenta il segretario provinciale Angelo Obit -. Affrancare chi ha avuto un passato carcerario a seguito di condanne per furti, rapine, violenze sessuali, reati di spaccio di stupefacenti è pericoloso per i cittadini onesti, quelli che non usano la violenza come metodo di discussione». Secondo i dati del Sap «il Cie di Gradisca ha di gran lunga i migliori risultati in termine rimpatri. Lo Stato dovrebbe essere forte e dettare regole chiare sulla detenzione più che sul trattenimento, ripristinando intanto le sezioni del Cie chiuse da tempo. La Polizia ha bisogno di certezze operative e non di soluzioni-tampone».

 

dal Messaggero Veneto del 4 novembre 2013

Pagina 1 – Prima Pagina

Cie, situazione fuori controllo

Tumulti a Gradisca: Centro devastato. Gli operatori: «Qui è una guerra»

Il Cie di Gradisca è completamente devastato: è il risultato di giorni e giorni di rivolte, incendi, vandalismi. Gli immigrati rinchiusi nel Centro si scatenano e accusano la polizia, gli agenti non sanno più come fermarli.

 

Pagina 11 – Regione

Cie di Gradisca fuori uso Distrutte tutte le camerate

Nuovi incendi nella notte. Immigrati accampati nei corridoi delle parti comuni La paura degli operatori: «Qui è una guerra, stanno incenerendo la struttura»

GRADISCA Al Cie di Gradisca non c’è più neppure una stanza agibile. Le violente proteste degli immigrati in attesa di espulsione hanno sostanzialmente distrutto anche le ultime due camerate ancora utilizzabili. Nuovi tumulti, infatti, si sono verificati nella notte fra sabato e domenica, con altri incendi appiccati dando fuoco ai materassi e alle coperte. La conseguenza è che gli ospiti trascorreranno la notte sul pavimento dei corridoi nella zona dei centralini, che di fatto risulta interamente occupata dai clandestini. Al momento non è stato ancora autorizzata dalla Prefettura la parziale riapertura della “zona blu”, mentre nelle prossime ore per alcuni stranieri potrebbero essere accelerate le operazioni di rimpatrio in modo da alleggerire la situazione. I disordini sono continuati anche nella mattinata di ieri («qui è una guerra», «stanno incenerendo il Cie», alcuni degli sms provenienti dall’interno) e la situazione è ritornata all’apparente normalità solamente nel primo pomeriggio. Le forze dell’ordine negano sia stata usata la forza per ricondurre a più miti consigli i rivoltosi dell’ex Polonio. Tensione e paura per gli operatori della Connecting People, già prostrati dai ritardi nel pagamento degli stipendi (martedi faranno conoscere la propria posizione): i dipendenti hanno lasciato la zona occupata dagli ospiti e lavorano in una sezione adiacente, pronti a stemperare eventuali tentativi di evasione di massa assieme a poliziotti, militari e carabinieri. Il contingente di vigilanza sarà rinforzato solamente oggi perchè molti uomini erano impegnati nell’ordine pubblico negli stadi. Intanto il dibattito politico attorno alla struttura di Gradisca rimane serrato. Secondo Giulio Lauri, capogruppo Sel in Consiglio regionale, «il governo non può continuare a ignorare l’escalation di tensione al Cie: si decida finalmente a chiuderlo: per quanto si pensa di potere continuare questo braccio di ferro sulle condizioni di vita e sui tempi di trattenimento senza che nessuno si faccia di nuovo male? Come si fa ad ignorare un appello come quello del Presidente della Commissione parlamentare Manconi secondo cui i diritti umani lì non sono garantiti? La Regione – ricorda Lauri – si è espressa chiaramente: se a Gradisca i diritti umani non vengono garantiti il centro va chiuso, anche a legislazione vigente». Di ben altro parere Massimiliano Fedriga (Lega Nord) che chiede «maggiore rigore» all’interno del Cie. «Il centro di Gradisca ha la funzione di una struttura detentiva, non è un resort – premette il parlamentare del Carroccio -: e se considerassimo anche che gli ospiti sono persone che hanno commesso dei reati, riusciremmo ad analizzare la questione con obiettività. Purtroppo però la sinistra, Serracchiani in testa, sta facendo di tutto per promuovere una visione assolutamente distorta secondo cui gli ospiti vivrebbero in condizioni disumane e subirebbero violenze da parte delle forze dell’ordine. Rinnovo l’invito a fornire prove a queste gravi affermazioni, lesive della dignità di uomini e donne che svolgono un compito delicatissimo e pericoloso. Altrimenti – attacca Fedriga – è solo propaganda che alimenta irresponsabilmente la tensione». Condivide il sindacato di polizia Sap. »L’azione politica per la chiusura dei Cie non dovrebbe essere una conseguenza delle azioni violente di pochi, ma una volontà democraticamente sviluppata e destinata ad individuare soluzioni diverse per rimpatriare i clandestini – argomenta il segretario provinciale Angelo Obit -. Affrancare chi ha avuto un passato carcerario a seguito di condanne per furti, rapine, violenze sessuali, reati di spaccio di stupefacenti è pericoloso per i cittadini onesti, quelli che non usano la violenza come metodo di discussione». Secondo i dati del Sap «il Cie di Gradisca ha di gran lunga i migliori risultati in termine rimpatri. Lo Stato dovrebbe essere forte e dettare regole chiare sulla detenzione più che sul trattenimento, ripristinando intanto le sezioni del Cie chiuse da tempo. La Polizia ha bisogno di certezze operative e non di soluzioni-tampone».

 

La Slovenia torna in piazza

Da Il Piccolo del 31 ottobre 2013

La “rivoluzione dei fiori” torna nelle piazze slovene

di Mauro Manzin TRIESTE La Slovenia si arrabbia di nuovo. E torna in piazza. A protestare contro il malgoverno, la crisi, i politici ladri e le lobby finanziarie. Ma, stavolta, anche contro Bruxelles, contro la supposta liason tra la cancelliera Angela Merkel e la premier Alenka Bratušek, contro la tassa sugli immobili. L’insurrezione popolare degli “arrabbiati”, o, forse meglio, la “rivoluzione dei fiori” è ricomparsa esattamente un anno dopo la sua nascita. Stessi slogan, stessa rabbia, ma molte meno persone a urlare la propria ira. A Lubiana circa 500 davanti al Parlamento (lo scorso anno erano in 20mila), altrettante a Maribor dove la protesta era nata sotto l’impulso della rabbia popolare per gli autovelox collocati in città dall’allora amministrazione municipale poi decapitata proprio dalla rivolta di piazza. Solo 10 persone in piazza Tito a Capodistria, piazza che peraltro non è stata mai eccessivamente “calda” neppure un anno fa. Cos’è cambiato? Innanzitutto Janez Janša, leader del centrodestra sloveno, non è più primo ministro e gran parte della prima rivolta aveva come bersaglio proprio lui, il premier inquisito. La forza di mobilitazione delle sinistre era stata il jolly giocato lungo le vie e le strade della Slovenia. Oggi è al governo la sinistra, o meglio, un’icona un po’ blasfema della vera socialdemocrazia, impersonificata da quella Slovenia positiva voluta dal sindaco tycoon di Lubiana Zoran Jankovi„ per garantirsi sopravvivenza politica. Un partito un po’ frettolosamente “beatificato” dai grandi vecchi della sinistra slovena come l’ex presidente Milan Ku›an che, comunque, nel populismo socialista di Jankovi„ hanno visto, e da questo punto di vista sono stati lungimiranti, il grimaldello per scassinare la cassaforte conservatrice custodita da Janša. E così, un anno dopo, si ritrovano in 500 a protestare davanti al Parlamento della capitale quando, a stretto rigor di logica, avrebbero dovuto essere almeno in 50mila visto che le condizioni economiche e sociali del Paese sono di gran lunga peggiori rispetto a 365 giorni or sono, visto che la Slovenia è oramai nell’anticamera che aspetta di chiedere gli aiuti all’Unione europea, con un sistema creditizio praticamente in fallimento e un governo che ha appesantito la croce fiscale che grava sulla schiena dei contribuenti. C’erano gli anarchici, gli “arrabbiati”, quelli cioè che non trovano lavoro, che non arrivano alla fine del mese e che non hanno una casa, qualche studente sensibile alle mobilitazioni popolari ma, grande assente, era il popolo della sinistra. Va detto, inoltre, che la rivolta popolare slovena sorta e organizzatasi attorno i socialnetwork, Facebook su tutti, ha avuto, e ha ancora, la tentazione di trasformarsi in partito per potersi presentare alle prossime elezioni, vuoi politiche, vuoi europee. Una tentazioni che da molti è stata letta come una sorta di sacrilegio, di peccato mortale che lede lo spirito stesso che ha fin qui alimentato la “rivoluzione dei fiori”. E poi nel mare magnum dei movimenti che costellano la “rivolta” non c’è un Walesa in grado di catalizzare i consensi e offrire una leadership forte e credibile da spendere anche sul fronte politico del confronto. Così due giovani che si baciano davanti al Parlamento di Lubiana tenendo in mano un cartello su cui sta scritto «il governo cadrà, ora basta. Autore: il popolo» che campeggia in prima pagina del quotidiano Delo di ieri è forse l’icona più rappresentativa della rabbia popolare slovena di questo autunno del 2013. Un mix tra “fate l’amore e non la guerra” e quello rigorosamente sessantottino di “fantasia al potere”. Insomma più una rabbia da bar esplicitata in piazza che una vera e propria insurrezione popolare come viene proposta dagli artefici. Dalla “rivoluzione dei fiori” alla “rivolta dei baci”. Chissà, per la Slovenia, forse, un’occasione mancata.

RIGASSIFICATORE: la Altran possibilista

Da Il Piccolo del 04 novembre 2013 – Pagina 16 – Gorizia-Monfalcone

Altran possibilista su un rigassificatore

 

Il sindaco Silvia Altran non dice “no” all’ipotesi che il territorio ospiti un rigassificatore, in grado di rifornire di gas la centrale termoelettrica. «E’ un’idea interessante – ha detto, rispondendo alla nuova sollecitazione del capogruppo della Lega Nord Federico Razzini nell’ultima seduta del Consiglio – come tutti i suggerimenti che potrebbero aiutare a risolvere il problema della centrale che da decenni sta devastando il nostro territorio». Il sindaco ha comunque voluto ricordare come, dopo il referendum del 1996 che vide vincere i “no” al progetto della Snam, il Consiglio comunale bocciò nel 2006 un’ipotesi analoga. «Da parte mia sono comunque assolutamente aperta a qualsiasi tipo di soluzione – ha ribadito il sindaco -. La scorsa settimana ho incontrato il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, con cui ho parlato della situazione della centrale termoelettrica che già conosce. Spero si possa arrivare a una soluzione con l’aiuto di tutti». Razzini si è detto soddisfatto della risposta del sindaco, giunta forse inattesa. «Il quadro nel 1996 era del tutto diverso – ha osservato il capogruppo della Lega Nord -. Credo si possa e si debba aprire un serio ragionamento sulle opportunità che questo tipo di investimento potrebbe rappresentare per il nostro territorio, dove la questione occupazionale non è, in questo momento, di secondaria importanza». Razzini ha avanzato a più riprese, nel corso dell’anno, la proposta di «aprire dei tavoli e individuare i percorsi corretti per cercare magari di collocare a Monfalcone il rigassificatore che altrove è stato bocciato». Già a gennaio l’allora consigliere regionale aveva suggerito una candidatura di Monfalcone come possibile sito per l’insediamento del terminale di rigassificazione che Gas Natural intendeva realizzare a Trieste. «Le opzioni sul tappeto sono del resto tre – aveva detto Razzini a gennaio – perché o ci si oppone in modo fermo alla proposta, legittima e comunque migliorativa di A2A, di creare una nuova sezione a carbone, o la si appoggia. Si possono però anche perseguire tutte le strade per cercare di metanizzare questa centrale termoelettrica». Nell’ultima seduta del Consiglio il sindaco ha dato comunque il via libera a una seduta “monfalconese” del Consiglio provinciale, che si riunisca in città per discutere proprio di questioni relative all’ambiente, come l’impatto della centrale e l’inquinamento del golfo. A chiedere se ci fosse la disponibilità dell’amministrazione, posta come pregiudiziale dal presidente della Provincia Enrico Gherghetta, è stato il capogruppo del Pdl Giuseppe Nicoli, che è anche consigliere provinciale. (l.b.)

NO OGM: rassegna stampa del 31 ottobre

dal messaggero veneto del 31/10/13

No agli Ogm, pressing sul governo

 

PORDENONE La guerra di religione sulle colture Ogm riparte dal consiglio regionale. Se l’aula oggi pomeriggio cercherà di mettere una “pezza” alle maglie larghe della normativa nazionale – attraverso la discussione della mozione di Sel, alla quale è abbinata la proposta di voto al Governo e alle Camere del gruppo 5 stelle, per spingere l’adozione della clausola di salvaguardia –, Futuragra ieri ha lanciato la controffensiva. L’associazione, che riunisce gli agricoltori che vogliono poter seminare mais, soia e colture arboree biotech in Friuli Venezia Giulia, ha avviato una petizione rivolta al presidente del Consiglio regionale per chiedere che la Regione si adegui alla sentenza della Corte di Giustizia europea in materia di coltivazione di mais transgenico. Il fronte dei contrari agli Ogm, però, è compatto. Sempre ieri Coldiretti regionale, Aiab e Legambiente hanno a loro volta messo a punto delle proposte per la Regione. La palla ora alla politica. Dopo le contestate trebbiature avvenute a Vivaro a inizio ottobre (sui campi di Silvano Dalla Libera e di Giorgio Fidenato, agricoltori che si sono visti riconoscere il diritto alla semina dai tribunali e quello alla trebbiatura dalla Regione stessa, che non ha potuto fare altro che imporre delle prescrizioni per la fase di raccolta del mais), il tema approda in consiglio regionale. A riportare l’attenzione, cercando di colmare i vuoti del decreto interministeriale dello scorso luglio, saranno Sel e M5S. Con la mozione promossa da Giulio Lauri e Alessio Gratton, si impegna la giunta regionale (oltre allo smaltimento del mais trebbiato come rifiuto speciale) a emanare in fretta il regolamento alla legge 5/2011 (come emendata lo scorso anno), a dare corso alla regione Ogm free e a fare pressing sul governo per promuovere la clausola di salvaguardia. Su questo specifico punto i consiglieri 5 stelle hanno elaborato una proposta di voto al Governo e alle Camere che presentano al consiglio. E proprio il pressing sul governo e un maggior coordinamento tra istituzioni (leggasi Stato e Regione in primis) è quello che si attendono Coldiretti, Legambiente e Aiab. Contrarie alla coesistenza tra colture tradizionali e Ogm, le organizzazioni chiedono alla Regione di: predisporre il regolamento e inviarlo alla Unione europea, rendere pubblico il registro delle semine, incentivare le filiere Ogm free attraverso il nuovo piano di sviluppo rurale. Ma Futuragra, con la raccolta firme, viaggia in direzione opposta: «Vogliamo ricordare alla Regione che nelle nostre campagne – annuncia il presidente Duilio Campagnolo – esiste una prassi ormai consolidata di coltivazioni diversificate che hanno permesso la coesistenza senza commistioni e senza che si sia mai creato nessun contenzioso giudiziario tra gli imprenditori che perseguono diversi obiettivi economici. Chiediamo quindi che vengano rispettate le sentenze europee e che l’ignoranza colpevole della politica non ostacoli più i diritti degli agricoltori che si rifiutano di restare ancorati al Medioevo agricolo». Martina Milia

CIE DI GRADISCA: iniziato lo svuotamento!

da Il Piccolo on line del 5 novembre 2013

Al Cie di Gradisca non sarà sgombero totale

Secondo la Questura sono ancora agibili 18 posti letto, Intanto 36 immigrati vengono trasferiti a Trapani

È iniziato lo svuotamento del Cie di Gradisca con il trasferimento a Trapani di 36 immigrati. Ma al momento non è previsto lo sgombero totale perchè all’interno della struttura dovrebbero rimanere una decina di ospiti. Secondo la Questura di Gorizia restano infatti agibili complessivamente 18 posti letto. Aria di fermento anche tra i dipendenti della Connecting people, la cooperativa che gestisce il centro immigrati, che da mesi attendono di essere pagati. Hanno convocato un’assemblea per decidere iniziative da intraprendere per arrivare a una soluzione del loro problema.

 

 

Scatta lo sgombero del Cie di Gradisca

 

Roma dispone il trasferimento degli immigrati: i primi 38 partiranno oggi per Trapani. Il Sap: «Lo Stato si arrende»

di Luigi Murciano

 

GRADISCA. Il Cie di Gradisca, ormai in ginocchio, sarà svuotato. Da subito. La clamorosa decisione è stata presa ieri dal Ministero dell’Interno ed è trapelata nel tardo pomeriggio: per disposizione del Dipartimento per le Libertà civili e l’Immigrazione del Viminale sarà attuato un maxi-trasferimento di ospiti al Cie di Trapani. Secondo alcune indiscrezioni, potrebbe essere il primo passo verso una temporanea chiusura del centro in attesa che sia ripristinata la sua completa funzionalità dopo i tumulti degli ultimi mesi che lo hanno praticamente distrutto.

Scatola vuota

Il provvedimento preso ieri riguarda ben 38 clandestini che questa mattina alle 11.30 partiranno alla volta della Sicilia. A questi vanno sommati i 12 stranieri irregolari per i quali in queste ore sono state accelerate le operazioni di rimpatrio o di allontanamento dall’ex Polonio. Altri potrebbero avere la stessa sorte nelle prossime ore. Di fatto, dunque, da oggi l’ex Polonio – che ospitava poco più di una sessantina di persone – diventa una scatola praticamente vuota. È invece pienamente operativo il vicino Cara-Cda, che ospita profughi e richiedenti asilo e non presenta profili di criticità.

Il giallo della chiusura

Un provvedimento talmente forte che in serata si sono diffuse voci – non confermate – sul fatto che tale provvedimento del Viminale possa costituire il preludio ad una possibile chiusura temporanea dell’ex caserma Polonio. Provvedimento a lungo invocato dal centrosinistra (sia a livello nazionale che locale, in primis dal governatore Serracchiani), ma che sarebbe tutt’al più finalizzato al completamento dei lavori di ripristino delle sezioni letteralmente devastate dai migranti nel corso degli ultimi tre anni. L’impressione è che la situazione sia molto fluida, al punto che neppure Prefettura e Questura hanno confermato o smentito qualsivoglia scenario.

Il realismo del sindaco

Senza conferme ufficiali da parte delle istituzioni statali, il sindaco della cittadina isontina Franco Tommasini non pare volersi fare troppe illusioni. Ma è convinto che il momento per chiedere a gran voce la chiusura del Cie è non era mai stato piu’ propizio. «La chiusura mi sembrerebbe in questo momento un passaggio logico – afferma senza mezze misure -. Sappiamo perfettamente in che situazione si trovi la struttura in questo momento. Presenta condizioni precarie per la sicurezza e la dignità sia dei trattenuti sia di chi vi lavora, operatori e forze dell’ordine su tutti. Non c’erano mai state sinora condizioni più adatte di queste per chiedere la chiusura del Cie. Auspico – conclude – che ora la politica possa fare sentire la sua voce in questa fase di transizione. Ma non mi faccio illusioni, e non voglio che se ne facciano i miei concittadini».

La reazione dei poliziotti

«A quanto pare quella presa a Roma è una decisione politica, non operativa – commenta Angelo Obit, segretario provinciale del Sindacato Autonomo di Polizia/Sap -. Di fatto lo Stato si arrende a chi ha devastato il centro. Persone, lo ricordo, in attesa di espulsione e rimpatrio perchè provenienti dal circuito carcerario e ritenute pericolose. Persone che con i disperati di Lampedusa o i richiedenti asilo del Cara non c’entrano nulla. Il messaggio che passa con questo provvedimento – conclude amaro – è che con la violenza si può ottenere tutto, persino la sospensione di regole democraticamente votate e alle quali la politica non è sinora stata capace di proporre delle alternative».

La situazione oltre le sbarre

Anche ieri, intanto, si sono registrati momenti di tensione. Gli ospiti hanno trascorso la giornata ammassati nell’unica camerata ritenuta agibile e sul pavimento del corridoio che conduce al centralino. Due immigrati hanno compiuto atti di autolesionismo: uno ha ingoiato diversi oggetti tra cui mollette, chiavi e pezzi di plastica. Un secondo si è ferito alla testa sbattendosela nelle sbarre. Sullo sfondo, altre tre situazioni arroventano il caso-Cie: oggi i dipendenti denunceranno gli ennesimi ritardi nell’erogazione dei salari; sabato la galassia di movimenti e associazioni anti-centro protesterà davanti alla struttura; domenica invece è annunciato a Gradisca il segretario del Carroccio Matteo Salvini.

 

da Il Piccolo del 05 novembre 2013

 

«La politica dica basta una volta per tutte»

GRADISCA «Bisogna avere una volta per tutte il coraggio di dichiarare che questa struttura è completamente inagibile». Serena Pellegrino sulla possibile svolta nel caso Cie è stata quasi profetica. La parlamentare del Sel ieri mattina si era recata in visita all’ex Polonio per verificare di persona la situazione dopo le rivolte che hanno messo in ginocchio il centro di Gradisca. L’impressione è che il pressing della deputata friulana, così come la precedente interpellanza urgente del senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani, nelle ultime ore abbiano giocato un ruolo chiave nel giungere alla clamorosa decisione del maxi trasferimento di immigrati irregolari a Trapani. Al termine del suo sopralluogo Pellegrino aveva descritto la situazione al centro dopo i disordini e gli incendi delle scorse notti, sollecitando per l’ennesima volta la chiusura. «Ho voluto entrare al Cie per verificare di persona il contesto in cui si trovano gli immigrati – ha affermato -. Non servono le mie competenze tecniche di architetto per affermare che la struttura va chiusa: è inagibile nella sua interezza visto che le stanze si trovano in assoluto stato di degrado e che le persone sono trattenute in condizioni igienico sanitarie indescrivibili. Nelle prossime ore intendo verificare concretamente questa vergognosa situazione». A fine mattinata, la Pellegrino aveva chiamato le istituzioni alle loro responsabilità: «Il mio intervento politico pone una domanda di evidente gravità: chi si assume la responsabilità del fatto che il Cie di Gradisca è rimasto comunque operativo, nonostante le ripetute specifiche denunce e le richieste di chiusura, e nonostante il ministro dell’Interno abbia formalmente riconosciuto che il meccanismo nel suo complesso va rivisto e che in tutti i centri le modalità di gestione debbano assicurare alle persone il rispetto della dignità umana e garantire normali condizioni igienico sanitarie? Mi è stato riferito – ha proseguito Pellegrino – che dopo i disordini di questi giorni si sono succedute con significativa rapidità le espulsioni dall’Italia e lo spostamento di diverse persone in altri Cie italiani. Ritengo che questo processo possa proseguire scongiurando l’accadere di nuovi incidenti e di ulteriori manifestazioni». (l.m.)

CHIUSO IL LAGER DI GRADISCA!

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FOTO E RASSEGNA STAMPA DEL CORTEO

 

Sabato 16 corteo CIEmaipiù

Rassegna stampa 14 novembre

 

Foto e report del presidio
 

SABATO 9 NOVEMBRE ALLE 17.00 SOTTO IL CARCERE DI GORIZIA PRESIDIO SOLIDALE COI RECLUSI INCARCERATI

DOPO LE RIVOLTE NEL CIE

Aggiornamenti 9 novembre
 

Aggiornamento 7 novembre:il CIE è ufficialmente chiuso. Ora inizia la battaglia affinchè non riapra mai più.
Aggiornamento 6 novembre ore 15.00:

è ormai ufficiale il CIE chiuderà entro oggi pare per almeno sei mesi.

Aggiornamento 6 novembre ore 10.25: gli ultimi detenuti dovrebbero essere usciti tutti nelle prime ore del mattino di oggi. Due persone avevano fatto richiesta di asilo, hanno fatto la commissione di urgenza ieri pomeriggio e sono in questo momento in volo verso Trapani. Gli altri, tutti algerini, sembra avessero i documenti per essere rimpatriati e che abbiano fatto richiesta di rimpatrio volontario (erano al CIE da “poco” tempo). Non abbiamo notizie se i rimpatri sono già avvenuti…

 

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Monfalcone: altro processo per le morti da amianto

da Il Piccolo del 5 novembre 2013

Maxi-processo bis per 30 morti di amianto

In aula a Gorizia 21 fra dirigenti dell’ex Fincantieri, responsabili della sicurezza e titolari di ditte esterne

GORIZIA. Si ricomincia. Non è passato neppure un mese dalla sentenza del maxiprocesso per l’amianto, che questa mattina al tribunale di Gorizia si torna a parlare di asbestosi in quello che viene definito il processo bis per le morti da amianto.

Oggi è a ruolo il processo che vede imputati di omicidio colposo 21 tra dirigenti dell’ex Italcantieri, responsabili della sicurezza nei cantieri e titolari delle ditte esterne, che lavoravano all’interno dello stabilimento di Panzano. Questo secondo troncone dell’inchiesta giudiziaria, riguarda 30 decessi di dipendenti che lavoravano in cantiere. L’udienza odierna – il processo è affidato al giudice monocratico Russo – sarà comunque interlocutoria perché l’intenzione del tribunale è di riunire il procedimento a quello a ruolo per il 17 dicembre prossimo che riguarda invece la morte di 41 lavoratori causata secondo il capo di imputazione da carcinoma polmonare correlato all’asbestosi. Secondo la Procura – l’inchiesta è stata condotta dai sostituti procuratori Luigi Leghissa e Valentina Bossi, ma in udienza ci sarà solo la Bossi – il tumore polmonare sarebbe stato provocato proprio dalla presenza della fibra killer, ma sarà comunque il dibattimento processuale, nel quale avranno un ruolo importante le consulenze medico-legali che saranno portate dalle parti in causa, ad accertare le vere cause.

Gli imputati di questo processo sono sostanzialmente quelli del procedimento odierno, anche se con posizioni processuali diverse. Al momento, oltre a una trentina di familiari dei deceduti, non si sono costituiti parte civili enti o associazioni anche se lo potranno ancora fare nel corso della prima udienza. L’udienza di oggi sarà interlocutoria. Il giudice provvederà a rinviare il processo al prossimo dicembre per riunire i due fascicolo e dare vita a un secondo maxiprocesso. Solo allora il procedimento, dopo aver svolto la parte preliminare con l’ammissione dei testi e delle prove, potrà avviarsi con l’audizione delle prime testimonianze. Sarà un processo che non si prolungherà oltre tre anni come il primo, ma certamente durerà non meno di un anno. La sentenza quindi potrebbe arrivare ai primi mesi del 2015.

Il primo maxiprocesso si era lo scorso 15 ottobre con la condanna di 13 tra gli amministratori e i dirigenti dell’ex Italcantieri e l’assoluzione dei titolari delle imprese che avevano i subappalti all’interno del cantiere di Monfalcone. Il giudice monocratico Matteo Trotta, che nel frattempo ha assunto l’incarico i presidente del tribunale di Trieste, ha inflitto complessivamente 55 anni e 8 mesi di reclusione. Entro il 15 gennaio sarà depositata la motivazione della sentenza. Da quel momento difensori e procura hanno tempo 45 giorni per presentare appello.

 

CIE DI GRADISCA: rassegna stampa del 06-7-8/11

Dal Piccolo del 08/11/13

 

Il Viminale “dimentica” il Cie di Gradisca

Nessuna comunicazione ufficiale sui lavori di ristrutturazione. Gli immigrati trasferiti in Sicilia innescano nuove proteste

di Luigi Murciano

GRADISCA. Non esiste una data per l’inizio dei lavori di ristrutturazione del Cie di Gradisca. E non è chiaro neppure se l’eventuale riapertura dell’ex Polonio sarà progressiva o bisognerà attendere che siano recuperate in blocco tutte e tre le sezioni rese inagibili dalle rivolte degli ospiti degli ultimi tre anni. L’impressione è che, dopo averne azzerato le presenze, sulla struttura di Gradisca il Viminale voglia quasi prendersi una pausa di riflessione. A confermare come da Roma non vi siano novità sostanziali è Giuseppe Donadio, capo di gabinetto della Prefettura di Gorizia. «Ad oggi non abbiamo comunicazioni ufficiali sull’inizio dei lavori e sulla loro durata – spiega – nè sappiamo se l’eventuale riapertura avverrà a blocchi o bisognerà attendere che tutte e tre le sezioni siano ripristinate». Una situazione di incertezza che ricorda da vicino quella di altri Cie italiani: nei mesi scorsi a chiudere temporaneamente i cancelli erano stati i centri di Brindisi, Bologna, Modena e Crotone, mentre le altre 8 strutture ancora operative registrano ogni giorno la chiusura di alcuni padiglioni a causa delle rivolte degli ospiti.

Un’altra certezza su Gradisca però c’è: ed è che per disposizione del Ministero dell’Interno i giornalisti non potranno visitare ciò che rimane dell’ex caserma. Disposizione che, però, non riguarda i consiglieri regionali. Oggi gli esponenti di Sel e Pd Giulio Lauri, Silvana Cremaschi, Diego Moretti e Stefano Pustetto visiteranno il Centro di identificazione ed espulsione.

Intanto dalla Sicilia rimbalza la notizia che i 36 immigrati trasferiti da Gradisca al Cie di Milo hanno dato vita a una veemente protesta non appena sistemati nel centro trapanese, salendo sui tetti e urlando la propria rabbia sino a sfiorare il contatto con le forze dell’ordine. In una situazione di stallo ed enorme incertezza, la dialettica politica non cessa di arroventarsi. Per il presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, Luigi Manconi, il provvedimento di chiusura temporanea «deve diventare presto una chiusura definitiva. Quegli spazi vengano utilizzati per ampliare il centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara-Cda ndr) situato a pochi metri». Per la consigliere del M5S Ilaria Del Zovo le condizioni di trattenimento degli immigrati al Cie erano ormai «oscene». «Questo non per colpa degli operatori e delle forze dell’ordine – precisa – che anzi hanno operato in condizioni difficili e alle quali va la nostra solidarietà. Ma è giunto il tempo di una totale revisione della normativa sull’immigrazione». Il deputato della Lega Nord Massimiliano Fedriga punta l’indice sulle dichiarazioni rilasciate dal centrosinistra: «Le parole di Serracchiani, Gherghetta e del sindaco Tommasini lasciano esterrefatti. Chiudere la struttura significherebbe alzare le mani e ufficializzare la sconfitta dello Stato di fronte alla violenza di un manipolo di clandestini. Razzismo il nostro? No – conclude Fedriga – razzista è chi non tutela i cittadini di questa regione». Duro anche il Pdl: «La sinistra – attacca il Pdl Rodolfo Ziberna – non ha mai condannato l’inaudita violenza dei protagonisti e, anzi, ha solidarizzato con loro». Anche il Gruppo Abele di don Luigi Ciotti, infine, aderisce all’appello di Melting Pot per la chiusura del Cie di Gradisca che culminerà in una mobilitazione della galassia antirazzista sabato 16 novembre.

 

 

Dal Piccolo del 07/11/13

Cie di Gradisca chiuso per almeno 6 mesi

La struttura devastata, dopo la partenza degli ultimi nove ospiti, attende i lavori di bonifica. Bagarre politica sulla riapertura
Gli addetti del centro accusano Pellegrino: «Sposta il problema e ci lascia senza lavoro»

Monta la preoccupazione dei lavoratori di Connecting People. Già provati dalla vicenda dei ritardi nell’erogazione degli stipendi – dalle 4 alle 6 mensilità arretrate – per i lavoratori della coop siciliana lo stop al Cie rischia di rappresentare il colpo di grazia. Il loro timore è che, a causa della chiusura, arrivino i tagli di organico. La preoccupazione serpeggia su Facebook contro la parlamentare Serena Pellegrino (Sel). «Da anni senza essere ascoltati ma dipinti come aguzzini abbiamo tentato di migliorare le condizioni di vita degli ospiti e nostre – uno dei commenti – lei in soli tre mesi riesce non solo a far chiudere la struttura spostando soltanto il problema in altre regioni, ma ad aumentare il mare di disoccupati che la chiusura comporterà». E un altro: «Da domani resterò a casa. Non prendo la paga da luglio ma ho sempre continuato a lavorare senza protestare platealmente. Ho visto invece persone contrarie al Cie sfasciare tutto, ottenere la chiusura del centro e addirittura la solidarietà di parlamentari. Devo forse sfasciare ed incendiare qualcosa anch’io?». Pellegrino ha cercato il dialogo: «Tenere in cattività delle persone perché generano posti di lavoro non è giustificabile». (l.m.)
di Luigi Murciano wGRADISCA Almeno sei mesi. Secondo indiscrezioni sarebbe questa la durata della chiusura temporanea del Cie di Gradisca decisa dal Ministero dell’Interno. Da ieri, completamente svuotata, l’ex caserma Polonio è a disposizione del Viminale. Uno stop per ora meramente tecnico e necessario ai lavori di ripristino (definiti «urgenti») della completa agibilità della struttura: in particolare nella “zona rossa” messa a ferro e fuoco dagli “ospiti” nel corso degli ultimi due mesi. Il prefetto di Gorizia Maria Augusta Marrosu ha confermato come proseguiranno i lavori di ripristino in altre due sezioni, la “zona verde” e la “zona blu” (quella più capiente con i suoi 136 posti). Quest’ultima sarebbe in realtà la più prossima ad ottenere l’agibilità, essendo i lavori di restauro praticamente conclusi. Eppure, per molti a sorpresa, ciò non ha indotto il Dipartimento per le Libertà civili e l’immigrazione del Viminale a tenere aperta la struttura, neppure a basso regime. Anche da questo elemento si evince come la decisione proveniente da Roma sia stata più politica che tecnica, per usare un’espressione circolata fra i bene informati. Quello che è certo è che l’azzeramento del Cie da ieri è completato. Anche l’ultimo manipolo di clandestini ha lasciato la struttura di via Udine: erano in tutto 9, principalmente di nazionalità algerina. Sono stati in parte trasferiti nelle strutture “gemelle” di Milano e Trapani (qui anche due immigrati che avevano richiesto la protezione internazionale e per i quali è stata convocata d’urgenza l’apposita commissione) e in parte espulsi con accompagnamento alla frontiera. Chiuso un capitolo, ne resta aperto un altro. Quello del dibattito politico sul destino della struttura. Se dal centrodestra si è parlato esplicitamente di «sconfitta dello Stato e delle regole» e si auspica una riapertura in tempi ragionevoli, sul versante opposto il “punto” messo a segno con lo svuotamento e azzeramento del Cie apre nuove prospettive. C’è chi intravede lo spazio per fare in modo che la chiusura da temporanea diventi definitiva e chi si accontenterebbe se la struttura diventasse solo un centro per richiedenti asilo politico. «Non dava più alcuna garanzia di sicurezza e di civiltà. Siamo pronti a un confronto con il governo per trovare delle alternative, mi pare sensato di risistemare gli spazi del Cie e allargare il Cara» dice la governatrice Debora Serracchiani. Se la Regione e il Comune di Gradisca si erano impegnati a chiederne la chiusura o l’«umanizzazione», il presidente della Provincia di Gorizia Enrico Gherghetta rincara: «Questo è il momento giusto per mettersi assieme e dare una definitiva spallata al Cie – dice – Scriveremo al ministero dell’Interno per la chiusura della struttura di Gradisca e inviteremo i venticinque comuni e la Regione a fare altrettanto». Giulio Lauri, presidente del gruppo Sel in consiglio regionale, di «umanizzazione» non vuole sentire parlare, ma soltanto di chiusura. All’orizzonte, ad arroventare ulteriormente il caldo autunno del Cie, due manifestazioni di segno opposto: sabato 16 quella della galassia di associazioni antirazziste, appena 24 ore dopo quella della Lega Nord (erano stati annunciati Calderoli, Salvini e Fedriga) inizialmente destinata a “ripulire” il muro dell’ex Polonio dalle scritte pro-libertà e chiusura del Cie da parte degli attivisti no-Cie (il muro è stato precauzionalmente fatto imbiancare dalla Prefettura). «La sinistra vuol far credere che queste persone siano costrette a subire trattamenti inumani da parte degli operatori e delle forze dell’ordine – dice il deputato leghista Massimiliano Fedriga – Oltre a ledere l’immagine di chi svolge il proprio lavoro, fornisce il pretesto alle organizzazioni criminali per intensificare i cosiddetti viaggi della speranza». L’impressione è che la partita sul centro immigrati di Gradisca sia ancora tutta da scrivere. Daccapo.

 

 

Dal piccolo on line del 06/11/13

Via gli ultimi nove ospiti. Poi il Cie chiude

 

Stop provvisorio per ripristinare l’agibilità della struttura. Già in giornata il probabile completamento dello sgombero

di Luigi Murciano

 

GRADISCA. L’«azzeramento» del Cie di Gradisca non si ferma. E anzi, probabilmente già oggi, l’ex Polonio potrebbe chiudere fino a data da destinarsi. Lo sgombero avviata a sorpresa dal Viminale ieri mattina ha vissuto, come anticipato dal Piccolo, la sua prima puntata: 36 ospiti sono stati trasferiti nel Centro di identificazione ed espulsione di Milo (Trapani) con un volo targato Poste Italiane partito dall’areoporto di Ronchi. Per altri 13 stranieri irregolari, invece, sono state disposte,e accelerate, le operazioni di rimpatrio nei paesi d’origine. Due immigrati avrebbero nel frattempo formalizzato richiesta di protezione umanitaria. Secondo quanto appreso, sino al tardo pomeriggio di ieri dietro le sbarre dell’ex caserma Polonio rimanevano solo nove immigrati, a fronte di una capienza di 248 posti. E già oggi, secondo alcune indiscrezioni, anche loro dovrebbero lasciare Gradisca per essere smistati tra i Cie di Milano, Torino e Trapani.

Per tutta la giornata di ieri, mentre il filo diretto Roma-Gorizia era evidentemente tanto serrato quanto riservato, si sono rincorse voci ed ipotesi su quale sarà ora il destino della struttura. Il Cie isontino, appare a questo punto scontato, verrà presto interessato da lavori di ristrutturazione e ripristino della sicurezza. Ma è chiaro che sotto il cielo della politica c’è chi – fra gli schieramenti contrari alle attuali norme sull’immigrazione – spera che la chiusura da provvisoria possa diventare definitiva. O auspica, come obiettivo minimo, che si arrivi ad una “umanizzazione” del centro. In attesa di conferme ufficiali sullo stop, seppur provvisorio, all’operatività del centro che tardano ad arrivare, la Questura di Gorizia si è limitata a precisare che nel centro sono attualmente agibili ancora 18 posti letto e che «al momento non è contemplata l’ipotesi di uno sgombero totale». A quanto risulta però, come detto, anche per i nove ospiti rimasti stanno per scattare – a seconda dei casi – o il trasferimento in altri Cie (nella fattispecie Milano, Torino e Trapani), oppure del rimpatrio, o infine dell’intimazione a lasciare il territorio italiano entro una settimana.

Uno scenario che porterebbe dunque al definitivo svuotamento della struttura. E che sarebbe avvalorato anche da un secondo retroscena: sarebbe infatti già pronta una disposizione della Questura destinata ad azzerare nei giorni a venire anche i dispositivi di vigilanza. «Provvedimento che avrebbe del clamoroso, se si pensa che la struttura è stata sorvegliata persino negli anni della sua costruzione quando non aveva neppure ospitato il primo clandestino», riflettono i sindacati di polizia, che continuano a parlare di «uno Stato che si è arreso» e respingono sdegnati al mittente le accuse di violenze e pestaggi sugli immigrati.

Sul destino della struttura sembra non avere dubbi invece il presidente della Commissione per la tutela dei diritti umani del Senato, Luigi Manconi. «Il Cie di Gradisca è stato svuotato e temporaneamente chiuso come ripetutamente chiesto al ministro Alfano negli ultimi mesi, anche da parte di parlamentari e amministratori del territorio. A questo punsto, propongo che si arrivi alla chiusura definitiva e che la struttura venga utilizzata, una volta ristrutturata, per ampliare il centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara-Cda) situato a pochi metri».

Intanto, in una situazione a dir poco fumosa, la polizia ha individuato una parte dei responsabili dei disordini scoppiati all’interno del Cie tra mercoledì e sabato scorsi. Alcuni immigrati sono stati denunciati per danneggiamento; un cittadino nordafricano è accusato di lesioni per aver aggredito un altro ospite del centro, che si sarebbe rifiutato di gettare addosso agli operatori una bottiglia riempita con escrementi.

 

 

La giunta accelera sull’addio definitivo

Torrenti: «Il governo sposi la nostra linea». Pdl critico: «Lo Stato non ceda». Fedriga scrive ad Alfano

TRIESTE Gli sviluppi inattesi del caso Gradisca, hanno riacceso lo scontro politico sul destino del Cie. Se nel centrosinistra fiutano che il momento è propizio come non mai per insistere sulla chiusura dell’ex Polonio, nello schieramento opposto si parla senza mezze misure di «sconfitta del diritto». «Auspichiamo che le posizioni espresse da tempo dalla giunta regionale sul Cie di Gradisca siano fatte rapidamente proprie anche dal governo nazionale – afferma l’assessore Gianni Torrenti -. Il Cie era una struttura sorta con criticità intrinseche e ormai insostenibile già da tempo, da prima che cominciassero i recenti ed eclatanti episodi di rivolta». «Lo svuotamento della struttura in atto in queste ore – rincarano la dose Serena Pellegrino e Giulio Lauri di Sel – non rappresenta il punto d’arrivo, ma di partenza. Vorremmo il Cie chiuso per sempre, anche questo risultati oggi appare irrealistico». Pellegrino propone quindi che il Cie sia destinato – come i Cara – ad accogliere persone per tempi molto brevi, in condizioni abitative ed igieniche più adeguate e capaci di tutelare anche operatori e forze dell’ordine. Di altro tenore le argomentazioni di Rodolfo Ziberna. Pur ammettendo che la chiusura del Cie «non può essere messa in discussione a seguito dell’ormai totale inagibilità», il consigliere Pdl auspica che la struttura, una volta ristrutturata e riparata, venga riaperta. «È necessario – rileva – che i responsabili delle devastazioni di questi giorni, degli atti di inciviltà e dei danneggiamenti ad una struttura pagata con i soldi dei contribuenti, siano individuati e per questo perseguiti. A differenza di altri immigrati bisognosi di accoglienza, questi stranieri irregolari hanno deciso di far valere la loro ragione con la forza. La chiusura – è una sconfitta del diritto, delle regole democratiche ed assistenziali e della corretta accoglienza». Sulla stessa lunghezza d’onda il collega Roberto Novelli: «Che i detenuti al Cie siano trasferiti è una buona notizia per Gradisca, trattandosi nel 97% dei casi di persone con precedenti penali – riflette – Ma c’è anche l’altro lato della medaglia: non è ammissibile che lo Stato abbia ceduto alle pretese di alcuni immigrati che negli ultimi mesi non hanno fatto altro che alzare il livello dello scontro per scampare all’espulsione». Critico anche il deputato leghista Massimiliano Fedriga, che ha presentato un’interrogazione al Viminale: «È la stessa direttiva comunitaria sui rimpatri a prevedere la presenza sul suolo nazionale dei Cie, in quanto funzionali all’identificazione e all’espulsione dei clandestini – afferma -. Pertanto il ministero deve chiarire la propria posizione sul futuro del Centro di Gradisca, indicando con trasparenza le tempistiche dei lavori di ripristino al fine di riportarlo a una piena operatività, e rende noto il bilancio dei danni provocati durante le proteste». (l.m.)

 

LA PROTESTA

Operatori senza paga Pressing sul Viminale

pazienza al limite Scatteranno nuove forme di lotta se Roma non darà risposte

TRIESTE Un giovane algerino, da 12 anni regolarmente in Italia, che si vede sospendere il figlio dall’asilo perchè la famiglia non riusciva più a permettersi la retta. Una signora della zona che si vede offrire aiuto da una profuga: «Se ti servono soldi per mangiare, te li presto io». Forse bastano queste due istantanee per fotografare in maniera cruda ma reale la situazione dei dipendenti di Cie e Cara di Gradisca. Proprio nelle ore in cui il primo dei due centri immigrati di via Udine sta per chiudere, i lavoratori – che a questo punto temono anche seriamente di restare senza impiego – si sono riuniti in assemblea per denunciare i continui ritardi nell’erogazione degli stipendi. Non ce la fanno più. Non solo il loro lavoro è rischioso e usurante, ma molti dei dipendenti della Connecting People – il consorzio trapanese che gestisce le due strutture – non ricevono la paga da 4 mesi. E i liberi professionisti che prestano servizio a Cie e Cara (compresi medici e infermieri) sono fermi alla mensilità di aprile e in qualche situazione persino a gennaio. «Forse anche nel nostro caso i diritti umani vengono calpestati, ma i politici che ora fanno passerella ci hanno completamente dimenticato». In tutto i lavoratori del centro sono una settantina. E ora, ricucito lo strappo con i sindacati (all’assemblea di ieri erano presenti Luca Manià, Cgil Funzione Pubblica, e Michele Lampe per la Uil-Fpl di Gorizia) fanno sul serio. Presenteranno un documento ufficiale al Viminale e alla Prefettura di Gorizia per chiedere non solo quanto dovuto, ma che d’ora in poi sia proprio quest’ultimo ente ad erogare direttamente gli stipendi. «La procedura per arrivare a questo parta con effetto immediato. Questi lavoratori stanno servendo lo Stato e sono alla fame». Se il documento non sortirà effetti, altre iniziative sono allo studio per dare voce alla protesta. L’origine del problema è il palleggio di responsabilità fra la Prefettura di Gorizia, ente appaltante, e la Connecting People come ente gestore. Stando alle ricostruzioni di Manià e Lampe, la coop siciliana lamenta infatti che la carenza di liquidità sia dovuta alla Prefettura, che sbloccherebbe a rilento le risorse provenienti dal Viminale per la gestione del Cie. L’organo prefettizio scarica invece la responsabilità sul consorzio, posizione che convince maggiormente i sindacati. «Un accordo risalente a settembre – è stato spiegato – prevedeva che il denaro per i salari arretrati sarebbe stato “scongelato” solo se Connecting People avesse presentato i cedolini dimostrando il pagamento dei salari di giugno. Cosa che ad oggi non è avvenuta. Connecting è inadempiente. E il fatto che vi sia un processo in corso (quello per presunta truffa ai danni dello Stato, ndr) in cui sono rinviati a giudizio sia i vertici della coop sia i funzionari prefettizi, sicuramente non ha agevolato gli operatori». La presentazione dei cedolini consentirebbe se non altro ai dipendenti di avviare un decreto ingiuntivo nei confronti del datore di lavoro. In loro assenza, invece, l’unica strada è chiedere che sia la Prefettura ad erogare direttamente gli stipendi. Operazione, però, più complessa. (l.m.)

 

Ricordo di Federico Tavan

Circa 80 persone hanno partecipato alla commemorazione di Federico Tavan

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