VALROSANDRA: Ciriani e altri 4 a giudizio per la devastazione

Dal Piccolo del GIOVEDÌ, 21 MARZO 2013

Val Rosandra devastata, Ciriani a giudizio

Citazione diretta per l’assessore regionale , il direttore della Protezione civile Berlasso e tre funzionari

IL CASO » CHIUSA L’INCHIESTA

Le perizie: «Deturpato il paesaggio»

FULVIA PREMOLIN Il pm Miggiani ha chiesto l’archiviazione per il sindaco di San Dorligo e per il suo vice Ghersinich e per il titolare della ditta

COSA RISCHIANO Per questo genere di reati il codice penale prevede fino a 18 mesi di arresto o nella migliore delle ipotesi una pesante sanzione

«Se il taglio degli alberi avesse riguardato un terreno privato credo, che con quello che è successo, sarebbe già stata sequestrata l’area. Il danno è grave come hanno rilevato esperti di chiara fama come Dario Gasparo, Livio Poldini e Nicola Bressi. Addirittura è stato sbagliato anche il periodo per effettuare quel tipo di intervento», aveva dichiarato subito dopo l’operazione Alvei Puliti l’avvocato Alessandro Giadrossi, presidente del Wwf di Trieste che aveva presebntato l’esposto. Aveva aggiunto «L’intervento della Protezione civile regionale è stato ingiustificato ed errato. È avvenuta la distruzione della vegetazione ripariale con deturpamento dei suoi valori paesaggistici e alterazione ambientale di un’area tutelata naturalisticamente e paesaggisticamente. Sono stati tagliati molti alberi anche di grandi dimensioni ed è stato compromesso l’habitat della “foresta a galleria” che garantiva ombreggiamento e ossigenazione alle specie ivi presenti, con disturbo all’avifauna quale picchio rosso maggiore, picchio verde, ballerina bianca e gialla, merlo acquaiolo». Nella foto l’assessore Ciriani.

di Corrado Barbacini L’assessore regionale alla sanità Luca Ciriani (candidato del Pdl nella circoscrizione di Pordenone alle regionali), il direttore regionale della Protezione civile Guglielmo Berlasso, i funzionari Cristina Trocca e Adriano Morettin e Mitja Lovriha, caposervizio dell’area ambiente e lavori pubblici di San Dorligo, compariranno davanti al giudice per rispondere dello scempio della Val Rosandra compiuto tra il 24 e il 25 marzo dello scorso anno. Lo ha disposto il pm Antonio Miggiani che li ha citati direttamente chiedendo al giudice la fissazione dell’udienza al più presto possibile. Lo stesso pm ha indicato al gip Luigi Dainotti che vanno archiviate le posizioni di Fulvia Premolin e Antonio Ghersinich, rispettivamente sindaco e vice di San Dorligo e di Luca Bombardier, titolare della ditta specializzata i cui dipendenti, in forza di un contratto con la Protezione civile, hanno raso al suolo una delle tra le zone ecologicamente protette della provincia di Trieste. Ma – è bene chiarirlo – il giudice Dainotti non si è ancora espresso e ha chiesto al pm l’intero fascicolo sulla devastazione del sito protetto. Secondo il pm Miggiani, Premolin e Ghersinich sarebbero stati presi in contropiede dalla Regione e dalla Protezione civile e non avrebbero avuto nemmeno il potere di fermare quella che ironicamente era stata chiamata la calata degli Unni su San Dorligo. Una calata avvenuta alla presenza dell’assessore Ciriani (allora aveva la delega all’ambiente) giunto in elicottero per vedere dall’alto l’effetto della motosega selvaggia. Siamo dunque all’ultimo atto istruttorio dell’inchiesta innescata da un esposto del Wwf nazionale in cui si parlava di danni ambientali irreparabili provocati con la scusa dell’urgenza. Le proteste avevano invaso il web e gli “esposti” presentati alla Procura anche dai vertici regionali di Lega Ambiente e da numerose persone indignate per la devastazione, avevano avuto il merito di richiamare l’attenzione degli inquirenti su quanto era accaduto in quell’area protetta. Erano state anche chieste le dimissioni di Luca Ciriani che oltre alla carica di vicepresidente della Regione aveva anche il ruolo di assessore all’Ambiente. Ai cinque indagati (che dopo la notifica del decreto di fissazione assumeranno la veste di imputati) il pm contesta due ipotesi di reato definite dagli articoli 733 e 734 del codice penale. La prima – per chi distrugge un habitat all’interno di un sito protetto o lo deteriora compromettendone lo stato di conservazione – prevede la pena dell’arresto fino a 18 mesi e un’ammenda non inferiore a tremila euro. La seconda ipotesi di reato contestata dalla Procura di Trieste ai politici, agli amministratori e ai tecnici che hanno agito in Val Rosandra prevede come sanzione solo una pena pecuniaria peraltro piuttosto “salata” per chi ha distrutto o deturpato le “bellezze naturali” di luoghi protetti. In testa alla lista, come detto, c’è il nome dell’assessore Ciriani. Che firmando il decreto del 16 marzo 2012 aveva autorizzato l’operazione “alvei puliti”, facendolo secondo l’accusa «in mancanza di urgenza e dello stato di emergenza e pertanto utilizzando impropriamente e illegittimamente i poteri della Protezione civile». «Normale manutenzione», aveva infatti dichiarato Ciriani durante un’ intervista al Tg3 regionale. A definire il quadro dell’accusa erano state le perizie del biologo Dario Gasparo e del professor Ezio Todini, docente di idrologia e costruzioni dell’Università di Bologna. I due consulenti del pm avevano parlato di danno ambientale importante perché ha riguardato un ambiente comunitario. L’intervento era stato effettuato – a seguito di una serie di sopralluoghi promossi dal Comune, dalla Protezione civile e dalla Comunella – per pulire l’alveo del torrente. Scopo dichiarato, mettere in sicurezza in caso di piene o di eventuali inondazioni, le vite e i beni del residenti. In totale si erano riversati nella valle 200 “volontari” da tutta la regione. E alla fine era rimasta solo desolazione.

 

TAV: Torviscosa dice no

Dal Piccolo del 21/03/13

“No” del Consiglio al tracciato della Tav minoranza contraria

TORVISCOSA L’amministrazione comunale di Torviscosa dà parere negativo al progetto preliminare del tracciato della Tav presentato nel 2010, e si propone di perseguire in tutte le sedi istituzionali il potenziamento e l’ammodernamento della linea storica. L’ordine del giorno, che sarà inviato alla Direzione regionale infrastrutture, è stato presentato in Consiglio comunale dove è stato infatti approvato con i soli voti della maggioranza; la minoranza ha votato contro. Il sindaco Roberto Fasan ha introdotto l’argomento soffermandosi sul lavoro fatto dai sindaci assieme all’ingegner Debernardi, tecnico dell’assemblea permanente dei sindaci della Bassa friulana. E’ poi intervenuto il consigliere (ex sindaco) Roberto Duz che ha difeso le scelte della sua amministrazione e il suo operato. Per la maggioranza sono intervenuti l’assessore Turco, e i consiglieri Scapolo e Bressan, quest’ultimo molto duro nei confronti di Duz. A nome dell’opposizione ha parlato Vetrano, chiedendo il ritiro del documento per rielaborarlo assieme a un esperto da nominare assieme. Dopo una serrata discussione, l’odg è stato approvato con i voti della sola maggioranza. Il documento impegna il sindaco a continuare il lavoro svolto nell’assemblea permanente, e a rendersi attivo con tutti i soggetti istituzionali affinchè il progetto venga rifatto in termini più consoni alla realtà attuale e alle reali necessità, come peraltro sostenuto dal commissario di governo Bortolo Mainardi. (f.a.)

Dal Messaggero veneto del 21/03/13

Odg in Comune: va rivisto il progetto dell?alta velocità

TORVISCOSA L’amministrazione comunale di Torviscosa dà parere negativo al progetto preliminare del tracciato della Tav, presentato nel 2010, e si propone di perseguire in tutte le sedi istituzionali il potenziamento e l’ammodernamento della linea storica. L’ordine del giorno, da inviare alla Direzione regionale infrastrutture, è stato presentato in consiglio comunale dov’è stato approvato con i soli voti della maggioranza. Il sindaco, Roberto Fasan, ha introdotto l’argomento soffermandosi sul lavoro svolto dai sindaci assieme all’ingegner Debernardi, tecnico dell’assemblea permanente dei sindaci della Bassa friulana. È poi intervenuto il consigliere, ed ex sindaco, Roberto Duz, che ha difeso le scelte della sua amministrazione. Il vicesindaco Settimo, dopo aver polemizzato con lui, ha ripercorso la storia del progetto. Per la maggioranza sono intervenuti l’assessore Turco e i consiglieri Scapolo e Bressan (durissimo nei confronti di Duz). A nome dell’opposizione ha parlato Vetrano, chiedendo il ritiro del documento per rielaborarlo assieme ad un esperto. Nel documento si impegna il sindaco a continuare il lavoro svolto nell’assemblea permanente e a rendersi attivo con tutti i soggetti istituzionali affinchè il progetto venga rielaborato in termini più consoni alla realtà attuale e alle reali necessità, come peraltro sostenuto dal commissario di governo, Bortolo Mainardi. Si evidenziano inoltre la visura del progetto preliminare di Italferr per la nuova linea Venezia-Trieste, tratta Portogruaro-Trieste, e le soluzioni alternative di analoga funzionalità legate al potenziamento della linea storica, che comporterebbero minori costi economici e soprattutto ambientali. Resta comunque il rischio che venga imposto il tracciato progettato nel 2010 in coerenza con il documento approvato dal Cipe. (f.a.)

 

CIE di Gradisca/ Associazione a delinquere per truffa

MV 23 marzo

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Cie di Gradisca, l’accusa è associazione a delinquere per truffa

di Luana de Francisco

È quanto ipotizza la Procura di Gorizia nel capo d’imputazione trasmesso, ieri, alle 13 persone finite sul registro degli indagati, nell’inchiesta sugli appalti della struttura

 

di Luana de Francisco

GORIZIA. Un’associazione a delinquere finalizzata alla frode nelle pubbliche forniture e alla truffa. E cioè a ottenere somme ben più alte rispetto a quelle contrattualmente pattuite, lucrando sulla gestione degli immigrati clandestini e a tutto danno della Prefettura e, ancora più a monte, delle casse ministeriali. È quanto ipotizza la Procura di Gorizia, nelle 17 pagine del capo d’imputazione trasmesso, ieri, alle 13 persone finite sul registro degli indagati, nell’ambito dell’inchiesta sugli appalti al Cie e al Cara di Gradisca d’Isonzo.

Chiuso il cerchio dopo oltre un anno di attività investigativa, il procuratore capo, Caterina Ajello, e i sostituti Enrico Pavone e Michele Martorelli hanno notificato l’avviso di conclusione indagini preliminari, ribadendo buona parte delle contestazioni inizialmente formulate, con la sola eccezione delle responsabilità ipotizzate a carico del vice prefetto vicario di Gorizia, Gloria Sandra Allegretto, di Udine.

Cadute le ipotesi di peculato, corruzione e frode in pubbliche forniture, il numero due della Prefettura dovrà rispondere della sola accusa di falsità materiale e ideologica in atti pubblici. Identica contestazione per Telesio Colafati, di Gorizia, che della Prefettura è invece il capo Ragioneria.

Secondo l’accusa, avrebbero peccato entrambi nel controllo sulla regolarità delle fatture emesse dal consorzio “Connecting people” di Trapani, gestore delle due strutture e a sua volta indagato, insieme al direttore Vittorio Isoldi, residente a Gorizia, al presidente Giuseppe Scozzari, di Castelvetrano, e al resto del Cda.

Colafati, attestando, con il proprio timbro, di avere verificato la congruità di quanto dichiarato in fattura sul numero degli ospiti presenti e sulla regolare prestazione di lavoro, la Allegretto autorizzando il pagamento degli importi fatturati che le erano stati trasmessi, non avendo chiesto nè acquisito la documentazione necessaria all’espletamento delle verifiche, come espressamente disposto dal prefetto, a partire dal novembre 2009, con ordine al questore.

Una questione di valenza prettamente giuridica, secondo l’avvocato Giuseppe Campeis, che la difende. «Tutto sta a chiarire il significato del visto – ha detto -. Il compito di verificare le fatture non spettava al vice prefetto, ma ai suoi uffici».

Dal travestimento al travisamento: la breccia della nuova destra

Come imparare a riconoscere i fascisti e lottare senza inganni

L’accelerazione di alcuni fenomeni fa una certa impressione. Fino a 10 anni fa, nonostante la fatica di dover puntualizzare e mostrare i pericoli d’infiltrazione e mistificazione della destra, era difficile ritrovare testi di questo o quell’altro fascista usati come fonte di analisi o strumenti di lotta.
Certamente a fare da filtro c’erano rapporti basati ancora su una frequentazione reale o quantomeno, se virtuali, mediati da una conoscenza indiretta di quel “mondo” concreto fatto di produzioni di testi, analisi e contenuti.

La frenesia con cui “la rete” si è allargata e il suo carattere fortunatamente libertario, perché rizomatico, contiene in nuce il pericolo dell’inconsistenza delle fonti, della mancanza di memoria condivisa e in ultimo, e decisivo, lo scollamento da quel “mondo” reale e dalla sua produzione culturale.

Dai network sociali alla rete di blog personali, fino alla creazione di veri e propri “portali” di comunicazione e “informazione”, assistiamo da qualche anno alla clonazione, amplificazione e travisamento di pezzi di storia accostati, o meglio accatastati, a fianco di improbabili fatti “accaduti” o in via di accadimento. Come replicanti che, generazione dopo generazione, assumono tratti sempre più “umani”, anche le notizie, spesso assurte a “teorie”, assomigliano sempre più a una qualche illuminante verità: non tale perché riscontrabile e verificabile ma in quanto accettabile, auspicabile o semplicemente comprensibile.
Ma se queste sono le conseguenze, gli effetti di un fenomeno, è bene andare a soffermarci sulle cause e sui motivi che stanno alla base di questa “fortuna” per le nuove maschere destrorse, senza cadere in facili complotti, ormai così chiari agli occhi di tutti che non si capisce come possano poi essere tali.

DALLA CONTROINFORMAZIONE AL COMPLOTTISMO

Chomsky, per citare un esponente del radicalismo americano che tra i primi ha analizzato i mutamenti della propaganda con l’insorgere della società massmediatica[1] per eccellenza, quella statunitense, ha spiegato bene come dalla censura si sia passati non tanto alla libertà d’espressione, bensì alla sovrapproduzione d’informazione.
Se rispetto ad un fatto, specifico e complesso, non abbiamo più a disposizione 2 o 3 interpretazioni ma ne abbiamo 10, 20 o 100, è evidente che chiunque non abbia dimestichezza con quanto trattato si ritrovi a dover discernere fra verità così differenti da trovarsi poi in forte difficoltà.
Quando si sostiene tutto e il contrario di tutto, l’atteggiamento più naturale consiste nell’estraniarsi: se non posso capire, o avere quantomeno un opinione di riferimento, meglio non occuparsene oppure aderire a quella più accettata. A meno che non si abbia il tempo e la possibilità di affrontare quel fatto in prima persona: un’opzione per pochi in una società che, oltre il lavoro e la necessità di un reddito, non lascia grandi spazi.

Se la censura assumeva già negli anni ’70 una dimensione inaccettabile per i regimi democratici e liberali, l’unico modo per poter tentare d’influenzare le masse rimaneva quello di creare una sostanziale disaffezione, parcellizzando quindi le notizie (sempre più specialistiche) e creando “luoghi” di controllo autorevoli dei flussi delle informazioni come le televisioni e le redazioni di giornali, veri e propri centri di potere (grazie ai finanziamenti stratosferici di corporazioni interessate).
L’obiettivo era, ed è, quello di trasformare ciò che doveva essere censurato in ciò che si doveva ignorare e rappresentare invece le uniche possibilità in campo, selezionandole, ad uso delle classi privilegiate e a consumo della fantomatica società civile.

Il business e allo stesso tempo il privilegio di appartenere all’elite dell’”informazione” di massa spiega come, aldilà dei casi di corruzione e di manovre oscure, non ci sia in realtà migliore “servo” del “servo volontario”. Se credi a quello che dici risolvi il problema etico rispetto alla correttezza dell’informazione e non metti a rischio il tuo ambìto posto di lavoro. Una psicologia che possiamo riscontrare ovunque e che non scomoda presunte sette per tramare ordini su vasta scala, come d’altronde non sarebbe possibile: al massimo puoi tentare una mossa ma risulta impossibile gestire matematicamente la complessità delle interazioni che questa comporterà strada facendo.

Va da sé che tutta la controinformazione dal basso e di movimento che dagli anni ’70 ai primi anni ’90 del secolo scorso, era frutto di inchieste atte a demistificare questi meccanismi e a veicolare fonti più attendibili, ma ignorate dai media mainstream: basti pensare, ad esempio, a tutto il lavoro sull’ingerenza statunitense, il supporto e la pianificazione sia delle dittature che dei governi liberaleggianti in Sud America. A distanza di 30/40 anni la desecretazione degli atti e documenti di carattere interno agli USA ha, in gran parte, confermato il lavoro portato avanti dai movimenti di controinformazione. Oppure, per restare in Italia, le contro-inchieste sulle stragi di stato o il malaffare tra politica e mafia hanno costretto la magistratura a revisionare i processi-farsa e i depistaggi messi in atto.

Con internet e la sua diffusione assistiamo però ad una maggiore frammentazione di questo lavoro d’inchiesta e demistificazione, che si accompagna ad una “solitudine” sociale dove il confronto fra coloro che operano in questo senso viene a mancare e le fonti da cui si attinge sono spesso inattendibili o, peggio, inesistenti. E questo è solo il primo dei problemi.
Si è passati quindi da un lavoro di vera inchiesta, atta a verificare le fonti governative per confutarle, ad affermazioni vere e proprie di teorie che spiegherebbero tutto o quasi, basate a volte su incongruenze delle versioni ufficiali, ma più spesso sulla mole di affermazioni, notizie e fatti riportati, copiaincollati, rimbalzati o “condivisi” da altri. Chi sono questi altri? Non ha importanza, importa il j’accuse, importa l’analisi nella sua “logica interna” dannatamente lineare seppur indimostrabile. Dell’attendibilità delle fonti, dell’autorevolezza degli autori, del significato dei contenuti o di una parte di essi se ne può fare a meno. E questo è il secondo e fondamentale problema.

LINGUAGGI, CONTENUTI E OBIETTIVI DELLA “NUOVA” DESTRA

I primi vagiti dell’antiglobalizzazione di metà anni ’90 e che da Seattle ha permesso una diffusione dell’opposizione al neoliberismo e alle nuove forme del capitalismo, hanno visto proprio internet come veicolo e in modo “originale” anche come piattaforma organizzativa della protesta.
Nel frattempo da destra la contrarietà al “mondialismo” (che è poi il termine con cui gli eredi del terzoposizionismo nelle varie salse e ancor più i fautori della nuova “geopolitica” chiamano la globalizzazione), seppur più lentamente, si è fatta strada usando questi nuovi mezzi di comunicazione e, a partire dalla fine degli anni ’90, ha cominciato a diffondere in rete i propri contenuti: analisi antimperialiste a senso unico (il male sono solo gli USA e chi ci va dietro) e teorie complottiste di ogni genere, dalle più spinte come l’autoattentato alle Torri Gemelle fino al signoraggio delle lobby dei banchieri, la sovranità monetaria e la nazionalizzazione dell’economia industriale.

Quasi mai in queste teorie si fa riferimento all’anticapitalismo, mai che si mettano in discussione le forme con cui il potere si autoalimenta e non c’è nessuna critica alla gerarchia, come se bastasse l’uomo buono o della provvidenza per cambiare le cose. Mai che si faccia riferimento poi alla diseguaglianza sociale e quindi al conflitto di classe: i termini più gettonati sono “la gente”, “il popolo”, la “nazione”.

Questo linguaggio dovrebbe essere immediatamente associato a idee che di “nuovo” non hanno nulla e che si rifanno invece ad una sorta di epoca perduta, un presunto passato glorioso, una nostalgia del “si stava meglio quando si stava peggio” in cui la “natura” gioca sempre un ruolo fondamentale, così come l’identità nazionale o europea o ancora euroasiatica.
Un linguaggio caro proprio al fascismo che cominciò a diffondersi nelle sue maschere nazional-rivoluzionarie già nelle prime diaspore del socialismo del primo Novecento, sia in Italia che in Germania allo stesso modo di oggi, cooptando i più suggestionabili, i meno coscienti e facendo leva sul disorientamento che una grave crisi economica reca nelle classi più deboli. Per non contare l’opportunità che il capitalismo intravede, rispetto ad un’alternativa effettivamente rivoluzionaria che sovverta cioè profondamente il potere e gli strumenti che gli sono propri, quando va bene sovvenzionando la reazione, quando va peggio lasciando fare.

Queste teorie, ma anche solo parte di esse, sono poi riprese e inserite in “prodotti” più targhettizzati dove al loro interno si mischiano fatti reali con altri indimostrabili, notizie vere assieme ad altre fasulle, creando un miscuglio inestricabile di informazioni tenute assieme da una grande teoria di fondo: c’è chi ordisce e chi subisce inconsapevolmente, in una sorta di “matrix”.

Centinaia e centinaia di operazioni, blog, video, portali (in certi casi amatoriali, in altri apertamente commerciali) che spaziano dal finto atterraggio sulla luna alla vera genesi del mondo imputabile ai “rettiliani” passando per gli “Illuminati” che tramano da secoli fino al finto Bin Laden o alla finta morte di Gheddafi. In Italia, come esempio, c’è l’imbarazzante docu-film “Zero” di Giulietto Chiesa sugli attentati dell’11 settembre 2001.
Il più riuscito fra questi prodotti è certamente “Zeitgeist” (2007), nato come web-film di Peter Joseph e divenuto “movimento” con tanto di adepti, prendendo inizialmente spunto dal modello (RBE) realizzato dal sociologo e futurista Jacque Fresco (che però dal movimento stesso ha preso le distanze nel 2011).

Ma se queste teorie trovano facili consumatori fra giovani e giovanissimi, a tentare di convincere il palato di scettici più maturi, magari in un periodo di disorientamento ideologico, ci pensano i cosiddetti pensatori della “nuova” destra.
Nuova per modo di dire, se si accetta acriticamente l’autodefinizione che gli stessi si sono dati nell’evoluzione delle analisi che dall’euroasiatismo alla vocazione imperiale europea, dal differenzialismo all’ecologia profonda, sostanziano i contenuti “altermondialisti”, quindi apparentemente comuni all’antiglobalizzazione, contingenti rispetto ad alcuni attori odiosi delle politiche nazionali e internazionali come le “banche”, le “guerre”, le “lobby” finanziarie ecc.
Apparentemente comuni, appunto, perché in realtà se da queste analisi, che partono spesso da presupposti condivisibili, si prova a seguirli nel loro sviluppo fino alle proposte finali, ecco che l’operazione ideologica ci appare per quello che è: la riproposizione di un mito passato da ripristinare, di un sistema di relazioni dove la gerarchia non è un male (in quanto “naturale”), dove l’idea del capo spirituale (a volte declinato come aggregato etnico, altre come impero piuttosto che come “comunitarismo” identitario) risolverebbe i conflitti. Se ognuno, come comunità identitaria con un passato (autocostruito) e una “vocazione” futura, restasse fedele a se stesso; se le tradizioni, gli usi e i costumi non si contaminassero, aggregandosi semmai per territori uniformi in “spirito” e geografia, ecco che il razzismo non avrebbe più bisogno di avere un nome: sarebbe di per sé applicato.
E ancora la “nazione” ritornata “comunità” in spirito e in tradizione potrebbe prosperare con la propria Banca, con il proprio “leader”, con il proprio popolo unito, padroni e subalterni assieme, in un industrialismo ecologico quanto basta affinché le “leggi di natura” regolino i rapporti sociali. Questi sopra i presupposti di un “oltrismo” astorico e aclassista.

Dicevamo di questi odiosi attori, questi centri di potere: attori lo sono certamente, ma non possono essere certo fautori né creatori di un sistema ben più complesso in cui gli interessi sono, a volte apertamente altre volte sottotraccia, in conflitto fra di loro.
Conflitti tra stati e “imperi”, fra gruppi di pressione sia politici che economici dove il gioco delle identità, i nazionalismi e le religioni sono strumentali alla contesa di questi interessi.
Può però un complotto mondiale reggere senza un “grande fratello” mondiale? Certamente no, alcuni allora usano il sempreverde ebraismo declinato a volte in sionismo altre in Israelofobia ma sempre come lobby transazionale. Altri preferiscono rifarsi ad americanismo totalitario, qualcuno in un complotto capital-marxistico (i finti nemici d’un tempo).
Ma non avevamo già condannato il “capitalismo di stato” ovvero il socialismo reale o di caserma? Pare che la “nazionalizzazione” e la “sovranità monetaria” non destino la stessa diffidenza, infatti assomigliano molto ai tentativi nazifascisti dove, invece di un ipotetico “sol dell’avvenir”, ci si accontenta di un mite ma confortevole “focolaio” nazionale.

AUTORI, SITI E GRUPPI ORGANIZZATI

Tra gli autori più affermati di questo nuovismo reazionario c’è Alain de Benoist, che fra gli italiani ha come cassa di risonanza un Massimo Fini o un Marco Tarchi, entrambi facilmente inquadrabili.
Il primo, Fini, è un “antimodernista” difensore anche del fondamentalismo, se autoctono e non troppo bellicoso, oltre che fervido antifemminista (celebre l’articolo uscito sul Fatto Quotidiano dove scrisse, a proposito di due ragazze stuprate da un pastore macedone, che se l’erano cercata, dovendosi successivamente scusare pubblicamente). Creatore del Movimento Zero, aggregato politico propugnatore delle “piccole patrie”, contro la globalizzazione anche dei diritti, noto è uno dei loro striscioni che recitava “Noi stiamo con i Talebani” contro la Guerra in Afghanistan.
Il secondo, Tarchi, già noto vicesegretario del Fronte della Gioventù fascista, fuoriuscito dall’MSI e coniatore di quel “italiani esuli in patria” con cui classificò il neofascismo “oltre la destra e la sinistra” e che oggi, docente universitario, gira l’Italia proponendo corsi di geopolitica.

Così come tradotto e citato è il russo Aleksandr Dugin, ispiratore e organizzatore del Partito Nazional Bolscevico nel 1992 e di altre successive formazioni di carattere nazionalista o meglio sarebbe dire nazional-socialista come il Fronte Nazionale Bolscevico e il Partito Eurasia.
In realtà, pur ispirandosi ad alcuni pensatori dell’eurasiatismo russo come Nikolaj Trubeckoj, Pëtr Savickij e Georgij Florovskij, Dugin rispolvera un filone già collaudato (come ben documentato nell’ottimo libro “I fantasmi di Weimar – Origini e maschere della destra rivoluzionaria” di Marco Rossi) proprio dai nazionalbolscevichi tedeschi negli anni Trenta e come venne teorizzato nel dopoguerra da Jean Thiriart col movimento di Jeune Europe.

Si tratta di idee vecchie, di raggruppamenti chiaramente fascisti, se non apertamente nazisti, da cui trassero spunto negli anni ’70 molti gruppi nazifascisti del cosiddetto “spontaneismo armato” e dell’area che gli gravitava attorno sul piano culturale.

Il ciarpame, che negli ultimi anni s’è accumulato e diffuso e di cui in parte trattiamo in questo articolo, non è per forza direttamente o dichiaratamente proveniente da questi autori, idee o ideologie. A volte i riferimenti sono indiretti, spesso però il linguaggio e i contenuti sono gli stessi e per la gran parte dei casi avviene quello che avevo già accennato e cioè un rimescolamento confuso di concetti e fatti anche condivisibili, messi assieme a proposte e teorie di fondo destrorse e reazionarie.

Fare una disamina e un indice di tutti i siti, i portali, i blog che pescano in parte da questi contenuti, da questi autori o da altri loro scopiazzatori in salsa nostrana è compito arduo.
Si possono citare “Stato & Potenza”, “Lo Sai?”, “Comedonchisciotte”, “Luogocomune”, “InformareXresistere”, “Iconicon” e davvero molti altri.
Si posso trovare testi di A. de Benoist o di Massimo Fini, altri di Dugin o di autori che riprendono gli stessi assunti aggiornandoli con fatti accaduti o presunti tali e più in generale si ritrova di tutto come in un minestrone politico, in modo che ognuno possa riconoscere qualcosa che confermi le proprie “verità” non curandosi delle contraddizioni logiche e dell’assenza delle fonti, tanto meno dei riferimenti a cui sono legati.

Si ritorna quindi all’idea chomskiana della sovrapproduzione d’informazione, funzionale all’oblio della memoria (considerata ormai una zavorra) e al fantomatico superamento di destra e sinistra come se fossimo davvero attori di un film di fantascienza dove è possibile montare e rimontare, tagliare e rimaneggiare, pezzo per pezzo, quello che si è costruito in termini di relazioni sociali, politiche ed economiche nel tempo che ci ha preceduto.
La differenza rispetto al passato è che prima a contendersi questo monopolio erano i vari governi, mentre oggi avviene tutto in modo molto più caotico senza un preciso disegno: è di fatto una lotta tutti contro tutti.

SOCIALIZZARE I SAPERI

La globalizzazione non è che la forma odierna del capitalismo: la necessità di lasciare briglie sciolte al flusso di capitale e al profitto pone in essere il bisogno di ripensare gli stati. Lo stato nazionale, finzione post giacobina, non è più utile nella sua funzione liberale di gendarme.
I diritti, concessi dopo genocidi, guerre, restaurazioni e rivoluzioni, in Occidente diventano onerosi mentre possono essere usati come cavallo di troia in quelle vaste aree del pianeta dove le risorse fanno gola ma la mancanza di una “rappresentanza” o “governance” risulta indigesta.
Al contrario, in altri casi le dittature paiono meglio funzionare nelle relazioni diplomatiche e pertanto possono essere ignorate. Dietro a queste dinamiche macroeconomiche sussistono contraddizioni e quindi conflitti interimperialistici dove USA, Gran Bretagna o Cina o Russia si contendono egemonie territoriali e neocolonialiste a colpi di guerre finanziarie o di conflitti combattuti per ora tramite stati satelliti o sotto protettorato, un giorno forse in maniera diretta facendo ripiombare in un nuovo conflitto mondiale la cosiddetta culla della civiltà.

Nell’opporci a queste politiche, abbiamo bisogno di tutto tranne di chi a un impero ne contrappone un altro, al progresso contrappone primitivismi più o meno passati e ancora meno abbiamo bisogno di affratellarci secondo il motto “il nemico del mio nemico è mio amico” con nazional-qualsiasi-cosa di volta in volta amici di dittatori come Gheddafi, Assad, Ahmadinejad o Lukashenko in una sorta di abbraccio antimperialista cioè antiamericanista come se Cina, Russia, Libia o Iran abbiano meno ambizioni imperiali, se non in virtù della loro contingente capacità offensiva in tal senso, grande per alcuni, modesta per altri. E che riservano però con generosità ai propri cittadini.

Quest’idea se applicata al passato ci avrebbe portati a sostenere l’alleanza nazifascista nella seconda Guerra Mondiale contro quella angloamericana, o a parteggiare per lo stalinismo contro i paesi non-allineati negli anni ‘60.
A chi comoda tutto ciò se non a chi a quella eredità fa riferimento? O comunque nella terza-posizione indica la via in un particolarismo contro l’internazionalismo?

Gli anarchici pur trovandosi a scegliere i peggiori dei nemici, i nazifascisti, non accettarono certo l’idea che l’unica alternativa fosse quella degli stati buoni contro quelli cattivi, convinti com’erano che alla fine, scelto il male minore, la guerra avrebbe avvantaggiato sempre i padroni tra i vinti come tra i vincitori che usarono operai, contadini e internati come carne da macello.

E come finì la scelta antisovietica della Jugoslavia e la schiera dei paesi non-allineati? La bontà dell’idea di fuoriuscita dai due blocchi contrapposti USA-URSS che animò questo tentativo naufragò di li a pochi anni quando quegli stessi stati si rivelarono per quello che erano e cioè portatori d’interessi delle classi privilegiate: l’India andò contro il Pakistan, il Pakistan contro il Bangladesh, la Cina contro l’India, il Vietnam contro la Cina, la Cambogia contro il Vietnam, la Libia contro il Ciad, il Marocco contro la Libia, la Giordania contro l’OLP, il Kenya contro l’Uganda, l’Iraq contro l’Iran ecc.

Le uniche alleanze possibili e accettabili sono tra i proletari, fra gli sfruttati ovunque essi siano, senza frontiere e senza stati. Così facendo non si corre il rischio di ritrovarsi fascisti e autoritari fra i coglioni.
Imparare a riconoscerli è fondamentale.
Cominciando magari col non averceli fra i testi e le notizie che leggiamo e divulghiamo.

An Arres

[1] Edward S. Herman, Noam Chomsky, Manufacturing Consent: The Political Economy of the Mass Media, New York, Pantheon Books, 2004.

“La Tav non si farà mai”. Il corridoio tra Lisbona e Kiev è Binario Morto

da affaritaliani.it

“La Tav non si farà mai”. Il corridoio tra Lisbona e Kiev è Binario Morto

Venerdì, 22 marzo 2013 – 13:29:00
Manifestazione No Tav Lion5

Di Anna Gaudenzi

Un viaggio da Lisbona a Kiev per scoprire e verificare di persona a che punto sono i lavori per la realizzazione della linea ferroviaria che, nei piani dell’Unione Europea, dovrebbe unire l’Europa occidentale con quella orientale. In Italia si discute tanto di Tav tra detrattori e promotori. Si dice che l’opera sia necessaria per non escludere l’Italia dal resto dell’Europa, per non rimanere ai margini. Ma nessuno aveva ancora pensato di andare a vedere come fosse la situazione negli altri paesi che saranno attraversati dal Corridoio 5. A compiere questo viaggio, durato 11 giorni sono due giornalisti Luca Rastello e Andrea De Benedetti che hanno poi raccontato quanto visto nel libro Binario Morto edito da Chiarelettere. Andrea De Benedetti spiega ad Affaritaliani.it quello che hanno scoperto.

Andrea De Benedetti, perché avete deciso di fare questo viaggio?

Sembrerebbe, secondo il dibattito che si è sviluppato intorno alla Tav in Italia, che l’Europa stia aspettando solo noi per finire il Corridoio 5. Ma nessuno aveva mai pensato di andare a verificare a che punto sono effettivamente i lavori negli altri Paesi che saranno attraversati dalla linea ferroviaria. Il Corridoio dovrebbe collegare, almeno sulla carta, Lisbona con Kiev. Abbiamo verificato che non è così. Non lo sarà mai e non per colpa del tratto che dovrebbe congiungere Torino a Lione.

In che senso non ci sarà mai una linea di Alta velocità che attraversi l’Europa?

BINARIO MORTO

ALLA SCOPERTA DEL CORRIDOIO 5 E DELL’ALTA VELOCITA’ CHE NON C’E’

BInario morto De Benedetti Rastello

Un treno che porti da Lisbona a Kiev non esiste e non esisterà mai. Alcuni lunghi tratti del Corridoio 5 non verranno mai costruiti. Il Portogallo ha rinunciato. Alla Spagna interessa solo l’alta velocità per i passeggeri, non per il trasposto merci. Abbiamo scoperto che, nel tratto che congiunge Algeciras a Ronda, è stato approvato un progetto per il trasporto merci che prevede un solo binario, mentre nel tratto Lione-Torino, ne sono previsti quattro.

Dunque l’alta velocità riguarderà solo il tratto che congiunge Italia e Spagna?

Sì, il progetto è stato drasticamente modificato. L’unico tratto che sembra interessare è quello che collega la Spagna con l’Italia. Dopo Trieste il Corridoio scompare anche perché sono venuti meno gli accordi con la Slovenia. Nel nostro viaggio, che è durato undici giorni, abbiamo dovuto utilizzare molti mezzi di trasporto e per ancora molti anni sarà così.

Quanto tempo ci vorrà perché il tratto Lione–Torino venga realizzato?

Ci vorranno moltissimi anni. Nel rapporto sul’analisi costi-benefici dell’Osservatorio Torino-Lione si legge che i lavori inizieranno nel 2014, finiranno nel 2034 e cominceranno a produrre benefici nel 2073. Tra più di sessant’anni. Inoltre i costi saranno elevatissimi e costerà moltissimo gestire l’intera linea che si dividerà tra trasporto passeggeri e trasporto merci.

Come si potrà conciliare il trasporto delle merci con quello dei passeggeri?

Sarà molto difficile. Anche perché non bisogna dimenticare che le merci non possono viaggiare a più di 80 km all’ora. E’ un’illusione anche pensare che vi saranno benefici in termini di velocità per i passeggeri che viaggeranno sulla tratta. Infatti vi saranno, lungo tutto il percorso, semafori che fermeranno i treni passeggeri per far passare quelli carichi di merci. Non sarà quindi per niente conveniente andare in treno da Torino a Lione. Senza contare che tra sessant’anni tutto potrebbe essere molto diverso da adesso. Sessant’anni fa chi avrebbe mai pensato al computer, ad internet, al cellulare?

Quando siete partiti vi aspettavate di trovare quanto avete riscontrato?

No, io in particolare sono partito senza alcun pregiudizio nei confronti dell’Alta velocità. Non me n’ero mai occupato e credevo che effettivamente l’Europa stesse aspettando solo noi per completare il progetto. Luca Rastello, al contrario, si era già occupato in altre inchieste dell’argomento e aveva già un’opinione al riguardo. In ogni caso ci aspettavamo una situazione decisamente diversa. Credevamo di trovare binari in costruzione e cantieri pieni di operai al lavoro. Ma non è stato così. Pensavamo che l’Europa stesse aspettando solo noi e invece i ritardi sono ovunque e nessuno ha fretta di completare i lavori. Ci siamo resi conto che l’alta velocità interessa a pochi e non per la sua portata globale ma per le ricadute a breve termine sull’economia locale.

Che cosa ne pensa del movimento no Tav in Italia? Riusciranno ad evitare che partano i lavori?

Ora i No tav sono supportati dal Movimento 5 Stelle che sta tenendo in scacco l’intero Paese. Non so se riusciranno a bloccare il progetto definitivamente. Sicuramente riusciranno a rallentarlo. I lavori saranno ritardati. Non credo che il progetto della costruzione dell’Alta velocità tra Torino e Lione sarà una priorità del prossimo governo.

UDINE/ Rassegna stampa sul 23 marzo

In piazza contro la vivisezione
forte tensione e scontri verbali
LE FOTO

di Michela Zanutto

Gli esponenti di CasaPound protestano a Udine per chiedere la chiusura della multinazionale Harlan. Contromanifestazione del Movimento studentesco. Agenti e carabinieri in azione per evitare incidenti

 

Messaggero Veneto DOMENICA, 24 MARZO 2013 Pagina 27 – Cronache
 
In piazza contro la vivisezione forte tensione e scontri verbali
 
Gli esponenti di CasaPound protestano per chiedere la chiusura della multinazionale Harlan Contromanifestazione del Movimento studentesco. Agenti e carabinieri in azione per evitare incidenti
 
 
CasaPound invade piazza Libertà per manifestare contro la vivisezione e scatena la risposta del Movimento studentesco. Ma ad accendere la miccia dello scontro, ieri pomeriggio, è stato un gruppetto di persone riconducibili all’Unione sindacati italiani che ha eluso il cordone di sicurezza passando da via Cavour fino ad arrivare sotto la loggia del Lionello. Una provocazione e niente più, considerate le forze in campo. Ma il gesto ha creato qualche grattacapo alla sessantina di agenti impegnati ad arginare una situazione potenzialmente esplosiva. Perché, schierate davanti alla loggia di San Giovanni, c’erano almeno 400 persone arrivate anche da Lazio, Piemonte, Lombardia e Veneto. Trincerati dietro allo striscione che chiedeva la chiusura della multinazionale Harlan (la cui sede legale italiana è ad Azzida di San Pietro al Natisone) gli esponenti del gruppo ecologista di CasaPound, “La foresta che avanza”. Sono da poco passate le 15.30 quando davanti alle bandiere sventolanti sfila lo striscione “Specie razzista per razza di scemi”. È un attimo. I ragazzi di CasaPound si avventano sullo sparuto gruppo che lo sorregge. Ma l’intervento di agenti e carabinieri limita lo scontro a una serie di offese reciproche. Il pomeriggio resta teso. Le vie d’accesso a piazza San Giacomo – dove si sta svolgendo la contromanifestazione della cinquantina di ragazzi del Movimento studentesco e dei No Tav – sono presidiate. Gli scudi di plastica sono pronti e pure i manganelli: evitare che le due anime della lotta alla vivisezione si incontrino è fondamentale. Per questo, agenti in borghese battono palmo a palmo la zona, procedendo pure a identificare i volti sospetti. «CasaPound non ha mai discriminato nessuno – assicura Alberto Mereu, responsabile nazionale de “La foresta che avanza” –. Siamo un gruppo variegato, pronto a collaborare con tutti pur di porre fine allo scempio della vivisezione. Non stiamo strumentalizzando la lotta all’Harlan». A dare manforte alla battaglia contro le sperimentazioni sugli animali c’era anche Gianluca Iannone, presidente nazionale di CasaPound. «Il nostro – dice – è un movimento culturale molto vivo che si autofinanzia pur di fare sapere a tutti che la vivisezione è un’inutile sofferenza». Dai cori da stadio contro l’Harlan alla musica punk del Movimento studentesco il passo è breve. Appena qualche decina di metri. «I fascisti stanno strumentalizzando la lotta animalista – spiegano quelli del Movimento –. Perché non sono scesi in piazza a settembre quando tutta Italia si è mobilitata contro l’Harlan?». E in effetti la stessa domanda rimbalza fra gli animalisti della Lav (in San Giacomo per una campagna di sensibilizzazione in vista della Pasqua). «Lo scopo è lo stesso, il fine pure, ma il metodo è diverso – spiega Mavi Pezzarini –. Siamo stupiti perché nessun gruppo di estrema destra aveva aderito prima alle nostre campagne». Michela Zanutto

UDINE/ Report e foto 23 marzo presido contro casapound e “la foresta che avanza”

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La foresta artificiale, fatta di alberi di plastica, se n’è ritornata a casa, sul territorio restiamo noi.

 antispecismo

Ripartiamo da 100.

Il colpo d’occhio non dava certamente l’idea di una Piazza piena, ma, complessivamente, oltre un centinaio di persone ha partecipato al presidio animalista, antifascista, ecologista e No Tav, di sabato 23 marzo in Piazza Matteotti, dalle 15.30 alle 19.30 circa.

 

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REPORT PORDENONE: affollatissima conferenza con A. Kersevan

302112 500588689989155 2082937687 nAlmeno 150 persone, molte costrette a stare in piedi, sono intervenute alla prima iniziativa del Coordinamento Antifascista Pordenonese, nato un mese fa sulla necessità di aggregare in modo unitario realtà e singoli per contrastare il riemergere del fascismo a Pordenone con Forza Nuova e Casa Pound in fermento. 

La conferenza con Alessandra Kersevan, storica che stampa per una piccola casa editrice (Kappa Vu ed.) nella collana “Resistenza Storica” diversi libri sulla questione del “confine orientale“, ha relazionato per oltre un’ora toccando un arco cronologico che va dal primo fascismo fino alla fine della seconda guerra mondiale. Aiutata da diverse immagini e fotografie durante l’esposizione ha fatto il punto sulllo stato dell’arte per quanto riguarda la documentazione (per altro ampia) su vari argomenti controversi come i confini, l’occupazione fascista della Jugoslavia, i campi di concentramento, la pulizia etnica, le foibe e l’esodo.

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TOLMEZZO: presidio sotto il carcere

30 marzo Udine

TAV: i deliri del comune di Porpetto

Dal Messaggero Veneto del 28/02/13

«Sì alla Tav per ottenere la bretella»

PORPETTO «L’amministrazione comunale di Porpetto, con una recente delibera, ha detto si alla Tav che attraversa il territorio comunale tra Pampaluna e Villalta, lambendo l’area protetta della Sgobitta». È l’amaro commento del consigliere comunale Andrea Dri, assai perplesso della decisione assunta dall’amministrazione comunale, giudicata miope e senza senso. «Mentre nella Bassa friulana molti Comuni criticano apertamente la grande opera infrastrutturale, di cui è sempre meno chiara l’utilità- dice -, Porpetto segue il percorso inverso e, dopo anni di opposizione al nuovo tracciato ferroviario, ha deciso di aderirvi senza riserve. In cambio dell’ok regionale all’obbrobrio urbanistico della bretella, il sindaco Pietro Dri ha piegato il capo al diktat del governatore Tondo, accettando senza fiatare quello che l’amministrazione precedente, con il consenso del consiglio comunale, aveva combattuto». Dri critica anche il metodo di tale decisione, a sui dire presa in sordina, senza alcun dibattito pubblico e in contrasto con una delibera consiliare dell’amministrazione di Cecilia Schiff che quasi all’unanimità (mancava solo il voto dell’allora assessore Pietro Dri) aveva detto no alla Tav. «Sorprende – prosegue Dri – che dalla maggioranza non si sia levata una voce di critica alla nuova linea voluta dal sindaco, a dimostrazione della sua scarsissima autonomia». La questione Tav ritorna in questi giorni prepotentemente alla ribalta nella Bassa Friulana, dove già l’amministrazione di Torviscosa con un documento del consiglio comunale dice no al tracciato della Tav rilanciando il potenziamento della esistente linea ferroviaria. Su questa linea anche l’amministrazione comunale di Muzzana. Intanto anche dalle file del Pd si è levata lo voce contraria di Maurizio Ionico. Francesca Artico