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Avaria alla centrale nucleare di Krsko

da Il Piccolo del 13 ottobre 2013

Scoperta avaria alla centrale nucleare di Krsko

Non ci sarebbero state contaminazioni. L’impianto sloveno, a 100 km da Trieste, è fermo dal primo ottobre per lavori di manutenzione

Avaria alla centrale nucleare slovena di Krsko. È emersa durante le operazioni di manutenzione dell’impianto connesse all’esame delle condizioni di tre elementi del combustibile nucleare della centrale. Gli esperti – secondo quanto è stato diffuso questa sera dall’emittente televisiva Telecapodistria – hanno rinvenuto guasti meccanici alle barre radioattive della cui esistenza sospettavano già da tre mesi durante le regolari misurazioni che avevano effettuato per controllarne la stabilità atomica. L’inconveniente non ha causato la fuoriuscita di materiale radioattivo dal ciclo secondario della centrale e, da questo, nell’ambiente. La centrale di Krsko è ferma dal primo ottobre per lavori di manutenzione straordinaria che dureranno tutto il mese, cioè il tempo necessario per revisionare l’intero impianto e il suo sistema di sicurezza. Il costo degli interventi – hanno precisato i responsabili – si aggira sui 30 milioni di euro. Ai lavori vi partecipano i 620 dipendenti della centrale nucleare e i 1.500 tecnici esterni specializzati.

 

Pagina 10 – Attualità

LA SLOVENIA SMORZA L’allarme

Danni superiori al previsto nella centrale di Krsko

Problemi inaspettati o maggiori del previsto, ma nessun pericolo né per l’impianto, né per l’ambiente e la popolazione che vive attorno alla centrale. Malgrado le rassicurazioni, ha comunque fatto preoccupare molti, tra Lubiana e Zagabria, l’annuncio dato ieri dalla direzione della centrale nucleare slovena di Krsko – inattiva da inizio ottobre per lavori di manutenzione programmata – dell’individuazione di «danni» di natura meccanica a tre elementi di combustibile del reattore. In una nota, la Nuklearna Elektrarna Krsko ha specificato che la scoperta è avvenuta «nell’ambito delle operazioni pianificate di manutenzione» all’impianto. Dopo «l’ispezione degli elementi combustibili» rimossi dal reattore, 121 in totale, sono stati accertati «danni di natura meccanica» alle «barre di combustibile di tre» di essi, ha specificato il comunicato. Comunicato che ha inoltre aggiunto che «le cause» del danno «possono essere differenti» e che «al momento sono in corso verifiche con ultrasuoni» sugli elementi in questione per individuare la ragione del danneggiamento e per evitare simili problemi in futuro. Problemi che, ha specificato Rtv, la tv pubblica slovena in un articolo online significativamente intitolato «riparazioni minori necessarie a Krsko», erano stati evidenziati già «nei mesi scorsi» da alcuni tecnici dell’impianto, che avevano «notato una specifica attività delle particelle radioattive nel liquido di raffreddamento», ma dato che «le particelle erano molto al di sotto dei livelli permessi», le verifiche erano state rinviate fino al «checkup programmato». In ogni caso, ha informato l’agenzia di stampa croata Hina, il numero uno della centrale, Stane Rozman, ha assicurato che da una parte i danni rilevati sono stati superiori al previsto, ma al tempo stesso che non ci sono motivi di allarme, non essendo state registrate fughe radioattive né all’interno della centrale, né all’esterno. Rozman ha aggiunto che i test e le verifiche strutturali all’impianto continueranno fino alla scoperta delle cause specifiche del danno e che il periodo di manutenzione pianificata, che doveva durare 35 giorni, potrebbe essere leggermente prolungato. Centrale che, ricordiamo, dal primo ottobre è stata spenta per permettere di revisionare l’impianto e i suoi sistemi di sicurezza, di sostituire gli elementi di combustibile esauriti, 56 su 121 per la precisione, il ricambio del combustibile e l’ispezione completa di tutti gli impianti meccanici ed elettrici, questi ultimi da potenziare. Ai lavori, che costeranno circa 30 milioni di euro, stanno partecipando i 620 dipendenti di Krsko, centrale in funzione da trent’anni che produce quasi il 40% dell’energia elettrica in Slovenia, insieme a 1.500 tecnici esterni specializzati.

 

da Il Piccolo del 1 ottobre 2013

Manutenzione straordinaria: stop di un mese alla centrale di Krsko

L’impianto nucleare sloveno verrà riacceso il 5 novembre. In questi 35 giorni in programma importanti lavori di revisione e di messa a punto del sistema di sicurezza

Nuovo stop per la centrale nucleare slovena di Krsko. È stata spenta per lavori di manutenzione già programmati e rimarrà inattiva per poco più di un mese il tempo necessario cioè per revisionare l’intero impianto e il suo sistema di sicurezza.

Il fermo è in atto dalla notte scorsa e il reattore verrà riacceso il 5 di novembre. In questi 35 giorni – assicura la direzione dell’impianto – verranno effettuate tutte le operazioni di revisione e manutenzione in particolare sul sistema di sicurezza. Verranno anche sostituite le barre di uranio esaurite, 56 delle complessive 121 e si procederà al ricambio del combustibile, alla revisione degli impianti meccanici, dei sistemi elettrici e di tutte le componenti che costituiscono la struttura della centrale.

«Apporteremo migliorie al sistema di misurazione della temperatura, ammoderneremo l’impianto di aerazione e cambieremo uno dei convertitori di energia potenziando la funzionalità dell’impianto elettrico» ha confermato il direttore della centrale Stane Rozman. Con questo intervento ordinario si chiude un ciclo decennale di revisione della centrale nucleare. Il costo degli interventi si aggira sui 30 milioni di euro. Ai lavori vi partecipano i 620 dipendenti della centrale nucleare e i 1.500 tecnici esterni specializzati. Nell’ultimo ciclo di combustibile, Krsko ha prodotto otto milioni di megawattore di corrente elettrica, quasi il 40 per cento del fabbisogno nazionale. La centrale slovena, che dista da Trieste 140 chilometri, è in funzione da 30 anni.

 

da AGI

Nucleare: ferma per un mese centrale slovena Krsko

22:12 01 OTT 2013

(AGI) – Trieste, 1 ott. – Nuovo stop per la centrale nucleare slovena di Krsko. E’ stata spenta per lavori di manutenzione gia’ programmati e rimarra’ inattiva per poco piu’ di un mese il tempo necessario cioe’ per revisionare l’intero impianto e il suo sistema di sicurezza. Il fermo e’ in atto dalla notte scorsa e il reattore verra’ riacceso il 5 di novembre. In questi 35 giorni – assicura la direzione dell’impianto – verranno effettuate tutte le operazioni di revisione e manutenzione in particolare sul sistema di sicurezza. Verranno anche sostituite le barre di uranio esaurite, 56 delle complessive 121 e si procedera’ al ricambio del combustibile, alla revisione degli impianti meccanici, dei sistemi elettrici e di tutte le componenti che costituiscono la struttura della centrale. .

Monfalcone: USI AIT sulla centrale si rispettino gli accordi

ilpiccolo2-11-013da Il Piccolo del 2 novembre 2013

Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

USI-AIT

«Centrale a “tutto gas” Si rispettino gli accordi»

Il sindacato di base Usi-Ait chiede «un’indagine seria e imparziale sulle emissioni della centrale A2A a tutela di lavoratori e cittadinanza che faccia chiarezza su sessant’anni di informazioni contrastanti e di parte e il blocco del progetto “tutto carbone” estendendo la riconversione a gas anche agli attuali gruppi 1 e 2 come previsto dal Protocollo d’intesa per la centrale a carbone del 2004 con il mantenimento degli attuali livelli occupazionali».

«Quanto accaduto all’Ilva di Taranto, a Servola con la Ferriera – scrive l’Usi-Ait – ora succede alla centrale di Monfalcone: ancora una volta i sindacati di regime vogliono farci accettare come ineluttabile l’alternativa tra lavoro e salute. Accettando acriticamente i dati forniti dall’Arpa, in uno studio su cui sussistono dubbi di imparzialità, i sindacati di categoria di Cgil, Cisl e Uil si schierano ancora una volta a favore della multinazionale A2A appoggiandone il piano industriale che vuole riconvertire a carbone la centrale di Monfalcone.

In questa indagine dell’Arpa – continua il sindacato – l’accumulo di metalli nei terreni, nell’acqua e nelle persone non sono dati significativi e la diossina non compare fra i potenziali inquinanti. È inammissibile che la misurazione della diossina sia stata effettuata una sola volta in sessant’anni anni a Monfalcone».

 


 

Qui il comunicato integrale

Petrolio/ Esplode raffineria in Venezuela 26 morti tra cui un bambino

Esplode raffineria in Venezuela
26 morti tra cui un bambino

Oltre 50 i feriti. L’incidente forse provocato dall’esplosione di un serbatorio della benzina. La Amuay, che produce 645mila barili di greggio al giorno, è parte del Paraguana Refining Center, uno dei complessi di raffinazione più grandi al mondo

PARAGUANA (Venezuela) – Almeno 24 morti e 53 feriti. Questo il bilancio dell’esplosione avvenuta all’1 di mattina ora locale (le 6 in Italia) in una raffineria di petrolio, una delle più grandi del Venezuela, la Amuay refinery, nell’ovest del Paese. Tra le vittime anche un bambino di 10 anni e 17 poliziotti.

Il governatore locale dello Stato di Falcón, Stella Lugo, ha riferito alla tv nazionale che l’incidente potrebbe essere stato provocato dall’esplosione di un serbatoio della benzina, a sua volta innescata da una fuga di gas.

Lo scoppio ha provocato danni alla struttura e alle abitazioni vicine, ferendo e uccidendo chi abita nei paraggi. “Il gas – ha spiegato il ministro del Petrolio, Rafael Ramirez – ha generato una nube che in un secondo momento è esplosa e ha scatenato fiamme in almeno due cisterne della raffineria e nelle aree circostanti. L’onda dell’esplosione è stata di grandezza significativa”.

Starà ora agli esperti determinare la causa che ha innescato il tutto. In seguito all’incidente, le forniture di carburante sono state fermate nella parte dell’impianto ancora in fiamme. “Le colonne di fuoco – ha aggiunto il governatore – sono molto alte perchè stanno bruciando gli idrocarburi”.

I servizi di emergenza sono all’opera cercando di domare le fiamme con della schiuma. Il governatore però ha garantito che, pur essendoci ancora un grosso incendio nella raffineria, la situazione è sotto controllo e non ci sono rischi di altre esplosioni.


La raffineria di Amuay, che si trova a 350 chilometri da Caracas, produce 645mila barili di greggio al giorno ed è parte del Paraguana Refining Center, uno dei complessi di raffinerie più grandi al mondo, con una capacità complessiva di 955 mila barili al giorno.

Monfalcone/ solo carbone per la centrale A2a

da Il Piccolo del 27 agosto 2012 –Pagina 14 – Gorizia-Monfalcone

A2A studia un futuro legato al carbone Costerà 800 milioni

Si deciderà in autunno. Sopralluoghi per la nuova ferrovia Si punta anche ai rifiuti trattati. Tecnologie anti-inquinanti
CENTRALE»PROGETTI E INVESTIMENTI

 

di Giulio Garau Niente più gruppi ad olio, potrebbero essere dismessi definitivamente e il passaggio degli impianti, dopo una profonda e sofisticata ristrutturazione con nuove tecnologie, all’alimentazione al carbone “pulito” di tipo fossile e forse a una nuova tipologia di “scarti” che si ottengono con un trattamento sperimentale di certi rifiuti riciclabili. Tramonta del tutto, almeno per ora, la possibilità di alimentazione con il gas. Per ora si tratta soltanto di ipotesi per la centrale elettrica A2A di Monfalcone, ma la decisione per questo futuro è molto vicina, sarà presa in autunno e questo progetto di rilancio, o meglio di re-vamping della vecchia centrale vale almeno 800 milioni di euro di investimento. «Non è stato deciso ancora nulla, si tratta ancora di ipotesi, bisogna attendere l’approvazione dei vertici», fanno sapere da A2A anche se sul fronte monfalconese il gruppo energetico si è già mosso con valutazioni tecniche approfondite che riguardano l’approvvigionamento della centrale con il carbone. Lo conferma lo stesso Consorzio industriale di Monfalcone. «A2A sta valutando la possibilità di recuperare la vecchia ferrovia che collega la centrale e che in parte è stata dismessa togliendo alcuni binari – fa sapere il direttore, Gianpaolo Fontana -. I tecnici hanno eseguito un sopralluogo per recuperare il tratto che dalla centrale finisce al bivio di via Solvay per garantire l’approvvigionamento di carbone alla centrale sia via mare che via terra con carri merci dedicati». Si tratta di un binario lungo circa un chilometro e su cui dovranno essere fatti investimenti e bisognerà anche stringere accordi commerciali con le Ferrovie sui treni blocco, sempre che non scoppi la guerra tra i Consorzi e le Fs sulla gestione sempre più onerosa dei raccordi collegati alla rete ferroviaria nazionale. Dismissione completa dei vecchi gruppi a olio e passaggio, completo, al carbone fossile di vario tipo e soprattutto di diverse miscelature e diverso valore energetico. Questo a quanto si sa il futuro della centrale elettrica di Monfalcone che dovrebbe essere ristrutturata con un forte investimento (800 milioni appunto) per garantire all’impianto di poter avere un bassissimo impatto ambientale. È il famoso “carbone pulito” di cui si parla, una risorsa fossile presente in abbondanza nel mondo e che garantisce alle centrali di non sottostare alle politiche di “cartello” dei vari giganti del petrolio, ma anche del gas. Fin qui la parte tradizionale, ma c’è anche una seconda parte. Per Monfalcone si starebbe studiando di applicare una avanzatissima tecnologia, su cui sta lavorando con approfondite ricerche A2A, che prevede di utilizzare una particolarte tipologia di rifiuti già trattati che derivano dalla raccolta differenziata e che vengono tramutati in una materia che non più un rifiuto. Una ricerca che va sulla scia di quella che riguarda gli impianti sperimentali per trasformare in sale le ceneri dell’incenertitore che brucia i rifiuti. L’idea (riguarda per ora Buffalora nel Bresciano) è quella di tentare di trattare le ceneri in casa piuttosto che in Germania dove vengono mandate ma la cui trasformazione costa ben 130 euro a tonnellata.

SCORIE NUCLEARI A TRIESTE?(agg.01/09)

Dal Piccolo del 01/09

Legambiente: «Tondo non vuole transiti ma era pronto a ospitare centrali nucleari»

«La vera notizia non è il passaggio di scorie nucleari in Friuli e a Trieste, ma la reazione della Giunta regionale che ha dato parere negativo al Governo». Lo afferma Legambiente Fvg che sottolinea «la profonda distanza fra le affermazioni di due anni fa, quando il presidente Tondo candidava la Regione a ospitare una nuova centrale nucleare, e le reazioni attuali. C’è un abisso fra le certezze filonucleari di Tondo – prosegue Legambiente -, naufragate con il referendum del giugno 2011, e la reazione dell’assessore Savino, pronta peraltro, nella più limpida logica del “dovunque ma non nel mio giardino”, a scaricare il transito su altre regioni e porti». Al Wwf, che aveva definito “più pericolosi” eventuali metalli radioattivi alla Ferriera, risponde la Lucchini: «Il rischio di rottame radioattivo, peraltro mai verificatosi in passato, ha cessato di sussistere da luglio 2002, da quando nello stabilimento è stato chiuso il reparto acciaieria».

Cosolini: le scorie? nessun pericolo

di Gabriella Ziani «Nessuna decisione è stata ancora presa sul trasporto delle scorie radioattive, il ministero dello Sviluppo economico è in attesa di tutti i pareri richiesti, ovviamente gli uffici tecnici continueranno ad agire nel pieno rispetto delle procedure vigenti, tutelando al massimo la sicurezza ambientale». Il ministero ribadisce la propria posizione sul prospettato transito per il porto di Trieste di due carichi di scorie radioattive statunitensi destinate a rimpatrio, sottolineando che non vi è alcun contrasto con la Regione. Che ha formulato comunque parere negativo. Un “no” che non trova sponda nel Comune, direttamente interessato al transito speciale. «Non ci sta bene. Non possiamo essere scavalcati nelle decisioni. Monti va a Seul e sponsorizza un transito di scorie radioattive, ma il territorio dov’è? Politicamente le cose vanno condivise. Dunque il “no” della Regione resta “no”, ed è un “no” politico. Alla domanda “perché dire no?” io rispondo piuttosto: “Perché dire sì?”». Così punta i piedi Sandra Savino, il neoassessore all’Ambiente che ha trovato condivisione nella Giunta Tondo, mentre le parti tecniche (e perfino gli ambientalisti) si dimostrano possibilisti e ragionevolmente tranquilli circa i rischi connessi all’operazione. Nello specifico, come il ministero dello Sviluppo economico ha illustrato chiedendo il parere consultivo, si tratta di un ricongiungimento a Trieste di combustibile nucleare esausto proveniente dall’Austria (via Capodistria) e dal Piemonte (via autostrada), da imbarcare con destinazione Usa nell’ambito di un programma statunitense di rimpatrio di materiale nucleare strategico. Che il Governo approva: «Questo ci consente di liberare il territorio da rifiuti tossici». Roberto Cosolini, il sindaco della città che dovrebbe far da base all’imbarco e alla partenza delle scorie radioattive, detta un’altra linea. Tecnica, e anche politica. «Se si applicano le giuste procedure – afferma – non vedo un grande rischio, non percepisco grande allarme sociale. Se la posizione della Regione è dettata dal fatto che manca un Piano regionale di gestione delle emergenze, vi ponga essa stessa rimedio. Questa è pur sempre l’amministrazione regionale che, con Tondo, si è sempre espressa a favore della centrale nucleare slovena di Krsko, del suo raddoppio, perfino offrendo la compartecipazione (peraltro non richiesta) del Fvg». Ma se il “no” regionale è privo di basi tecniche (l’Arpa ha dato il proprio nulla osta), resta in campo il “no politico”. Che Savino ancor di più esplicita: «Perché i materiali che arrivano a Capodistria non ripartono per gli Usa proprio da Capodistria, e le scorie piemontesi non vengono imbarcate in porti più vicini? Le modalità di scelta dei territori non sono chiare». Cosolini dissente: «Se tutti i luoghi prendono una simile posizione politica di indisponibilità, la gestione dei problemi complessi diventa impossibile». Il ministero deve raccogliere i pareri consultivi del ministero del Lavoro, del ministero della Salute, dell’Ispra per gli aspetti relativi alla sicurezza, e della Regione. E se non dovesse accogliere il suo parere negativo? «Lo vedremo in seguito – dice Savino -, facciamo una cosa alla volta».

 

 

Dal Piccolo del 31/08/12

«Quelle scorie devono passare per Trieste»

 

Scorie radioattive, anche se la Regione si oppone, il ministro Passera è fermo: «Esiste un accordo e va rispettato. Le scorie transiteranno per Trieste»

E in Comune che cosa si pensa della questione, un’altra “tegola” ambientale dopo quella, rovente, della Ferriera? Il sindaco scarica la tensione con una battuta: «Per carità, sono io stesso già così radioattivo…». Umberto Laureni, assessore all’Ambiente, dice invece che «dopo tante sollecitazioni, finalmente in Prefettura si sta elaborando un piano sulle emergenze nucleari civili. Io in generale penso – aggiunge – che sia un problema da approfondire, ma non drammatico. Insomma, il trasporto mi sembra fattibile».

A reagire è invece Alessandro Capuzzo del Tavolo della pace Fvg: «La Regione anziché fare le “barricate” farebbe bene a predisporre il piano di emergenza in caso di incidente nucleare. Piani dovuti, per legge e in base alle direttive europee, ma di cui nulla si sa, mentre il transito di scorie nucleari e rifiuti radioattivi costituisce lavoro portuale abitudinario a Trieste come a Capodistria». di Gabriella Ziani Scorie radioattive, Regione contro Stato. La Giunta regionale ieri ha confermato il “no” al passaggio dello speciale carico statunitense nel porto di Trieste, su proposta dall’assessore all’Ambiente Sandra Savino. Ma il ministro alle Infrastrutture e allo sviluppo economico Corrado Passera, che ha richiesto il parere (solo consultivo), controbatte: «Non solo tali trasferimenti sono normati dall’Unione europea, ma esiste in materia un trattato internazionale tra Italia e Usa. Noi al contrario leggiamo positivamente il fatto che gli Stati Uniti abbiano chiesto di riavere combustibile nucleare esaurito. Questo ci consente di liberare il territorio nazionale di materiali tossici».

La partita è aperta. Oggi scade il termine dei 30 giorni entro i quali il ministero deve ricevere i pareri che la norma impone di raccogliere: dai ministeri del Lavoro e della Salute, dall’Ispra (l’Arpa nazionale che ha diretta competenza tecnica in materia, ndr) e appunto dalla Regione. A ieri sera tutti i documenti erano ancora da acquisire. Savino, definendo “irricevibile” la proposta, aveva sottolineato che «se la domanda si fa ai politici e non ai tecnici, la risposta è politica».

Infatti l’Arpa ha dato il proprio nulla osta, anche se, come specifica il suo direttore tecnico-scientifico Fulvio Daris, il transito di scorie ha una particolarità per questo territorio. «È la prima volta – dice Daris – che materiale di natura radioattiviva è oggetto di confezionamento e non solo di passaggio in regione e nel porto di Trieste. Serve non solo il piano di sicurezza lungo tutto il percorso che i materiali faranno in territorio italiano, ma anche un piano per il trasbordo». A Trieste dovrebbero confluire due carichi provenienti da diverse zone di partenza. Il primo dall’Austria, che via Slovenia raggiungerà il porto di Capodistria dove sarà imbarcato in direzione porto di Trieste. Il secondo dovrebbe arrivare dal deposito Avogadro di Saluggia in provincia di Vercelli, per via autostradale. Il materiale riunito andrebbe caricato su una nave in partenza per Usa.

Presumibilmente dal Molo VII. Il combustibile nucleare esaurito inoltre è tutto di proprietà americana: lo specifica il ministero. La Regione aveva invece inteso che, dal Piemonte, arrivassero scorie italiane. Invitando altri porti più vicini (Genova, Livorno) a prendersele senza mandarle fin qui. Il materiale viene messo in viaggio in base al progetto americano di rimpatrio di materie nucleari strategiche di origine Usa. Un progetto, aveva ricordato la stessa Savino, «appoggiato dal presidente del Consiglio Monti al vertice di Seul». Si tratta di 275 chilogrammi di massa netta di combustibile nucleare su un totale di 25.677 chilogrammi lordi, mentre da Saluggia il materiale sensibile sarebbe di circa 5 chilogrammmi. Per Daris i motivi del “nulla osta tecnico” sono semplici: «C’è evidentemente un piano di sicurezza elaborato secondo i requisiti internazionali, nei prossimi giorni ci sarà un incontro in Prefettura per elaborare il dettaglio del piano locale. Quando materiale radioattivo è in transito – aggiunge il direttore dell’Arpa – ogni Prefettura, di ogni città toccata dal viaggio, ha obbligo di predisporre il proprio singolo piano della sicurezza, che coinvolge vigili del fuoco, medici, vigili urbani, e polizia stradale disponibile a servizio di scorta».

 

 

Da Il piccolo del 30/08/12

Scorie radioattive in arrivo a Trieste. La Regione prepara le barricate

 

Richiesta dal Ministero per il passaggio sul territorio di combustibile nucleare proveniente dall’Austria e da Vercelli. In partenza per gli Usa dopo lo stoccaggio

 

Combustibile nucleare esaurito pronto a partire verso il porto di Trieste. E da lì, completati lo stoccaggio e le operazioni di imbarco su una nave il cui nome è tenuto top secret, a salpare in direzione Stati Uniti d’America. Scorie radioattive che viaggeranno da due punti di partenza diversi: un carico dall’Austria con tappa in Slovenia, allo scalo di Capodistria, per giungere da lì già via mare a Trieste, e l’altro dalla provincia di Vercelli – precisamente dal Deposito Avogadro di Saluggia – attraverso la rete autostradale, sistemato in un container sopra a un Tir. Destinazione, sempre il porto triestino: precisamente il Molo VII.

 

Quando? A novembre, ma al momento una data precisa non c’è. L’operazione A delineare l’operazione è in primis una richiesta di consenso al passaggio della spedizione che prenderà il via in Austria, inviata dal Ministero dello Sviluppo economico alla Regione, in base alla direttiva 117 Euratom del 2006 del Consiglio dell’Unione europea, relativa alla sorveglianza e al controllo delle spedizioni di rifiuti radioattivi e di combustibile nucleare esaurito. Il dicastero del ministro Corrado Passera ha dato così seguito all’appoggio manifestato al presidente Usa Barack Obama nel marzo scorso a Seul, durante il vertice sulla sicurezza nucleare ospitato in Corea del Sud, dal premier italiano Mario Monti al progetto americano di rimpatrio di materie nucleari strategiche di origine statunitense. Un programma battezzato “Global Threat Reduction Initiative” (Gtri), gestito dalla Nnsa (National nuclear security administration), costola del Dipartimento dell’Energia degli Usa che si occupa della sicurezza nazionale per quanto concerne il nucleare.

 

La Regione Friuli Venezia Giulia – come riferiamo nell’articolo qui a fianco – però è pronta a dare parere negativo alla richiesta del governo e a fare tutto il possibile per evitare il passaggio sul proprio territorio. Dopo alcuni approfondimenti, è emerso peraltro che il combustibile nucleare esaurito arriverà al porto di Trieste non solo dall’Austria via Slovenia con trasporto per mare, ma anche via gomma dall’Italia, dal Piemonte. «Irricevibile»: così l’assessore regionale all’Ambiente, Sandra Savino, ha definito ieri il contenuto di quanto prospettato da Roma. I due punti di partenza Nel documento arrivato pochi giorni fa in Regione viene specificato che una quantità di combustibile nucleare esaurito pari a 275 chilogrammi di massa netta (su un totale lordo di 25.677 chili) dovrebbe arrivare al porto di Trieste già imbarcata, dopo la tappa a Capodistria. Si tratta del carico proveniente dall’Austria. Altri cinque chili, invece, sono pronti a partire dal Deposito Avogadro di Saluggia: questi sì, dopo il viaggio in autostrada in un container a bordo di un Tir con transito anche attraverso le province di Udine e di Gorizia oltre che di Trieste, da spostare a bordo della nave. Che poi dal Molo VII – stando alle informazioni fornite dal Ministero dello Sviluppo economico alla Regione – dovrebbe prendere il largo dirigendosi fino agli States. Perché da Trieste?

 

Pare che il ministero abbia risposto alla Regione solo che la motivazione è da ricondurre sostanzialmente all’abbinamento finale fra le due spedizioni. Proprio da questa risposta, l’ente regionale è venuto a conoscenza della seconda parte dell’operazione, quella che avviene interamente in territorio italiano. Il parere Gli uffici regionali stanno approfondendo il tema delle osservazioni da inoltrare a Roma sulla questione, come previsto dalla legge. In pratica il Servizio disciplina e gestione rifiuti e siti inquinati vuole capire se il valore della risposta della Regione si limiti ad essere consultivo o possa in qualche modo pesare di più. Cioè tanto da poter anche bloccare un’operazione che politicamente la giunta del presidente Renzo Tondo si appresta a bocciare in maniera netta nella riunione odierna. L’Arpa L’agenzia regionale per l’ambiente (Arpa), contattata dal Servizio disciplina gestione rifiuti e siti inquinati della Regione, si è già espressa sul transito a Trieste – o meglio sulla toccata nell’area portuale triestina della nave che lo avrà a bordo – del materiale in partenza dall’Austria, fornendo un parere tecnico-ambientale in base al quale «nulla osta» per quanto di competenza dell’Arpa stessa.

 

Nucleare, incidente “con feriti” nella centrale di Fessenheim

da La Repubblica

Nucleare, incidente “con feriti” nella centrale di Fessenheim

L’impianto è il più vecchio nel Paese. Due persone ustionate alle mani, per altre sei lievi ferite. La società Edf spiega che c’è stata una fuoriuscita di vapore durante un’operazione di manutenzione di routine, ora sotto controllo

Nucleare, incidente L’impianto nucleare a Fessenheim dove si è verificato l’incidente (ansa)

 

 

 

 

 

 

 

 

 

PARIGI – Solo feriti e nessun allarme per l’incidente alla centrale nucleare di Fessenheim, nell’est della Francia. Una reazione chimica, subito messa sotto controllo, ha ustionato due dipendenti alle mani, e altre sei persone sono state ferite lievemente.

In un primo momento la tv Bfm aveva riferito di un “principio di incendio di natura chimica” che ha provocato il ferimento di “diverse persone”, poi si è chiarito che non c’è stato alcun rogo. Sul suo account twitter EdF, il gigante dell’energia francese che gestisce l’impianto, ha spiegato che si è verificata una perdita di vapore di acqua ossigenata durante un’operazione di manutenzione di routine.

Charlotte Mijeon, dell’organizzazione antinucleare ‘Sortir du nucleare’, ha commentato che c’è stata una fuoruscita di vapore che “in sé non è grave” ma che potrebbe essere il sintomo di un incidente serio.

L’impianto si trova in Alsazia, a un chilometro e mezzo dal confine con la Germania e a una sessantina di chilometri dalla frontiera con la Svizzera. Ha due reattori ed è la più vecchia infrastruttura nucleare della Francia (fu attivata nel 1977). Da tempo è al centro di una dura polemica e durante la campagna elettorale il presidente François Hollande aveva promesso la sua chiusura entro il 2017.
(05 settembre 2012)

SCORIE NUCLEARI A TRIESTE?(agg.14/09)

da Il Piccolo del 14/09/12

Un piano per gestire il trasporto radioattivo

 

Per ora solo un paio di briefing tecnici. Ma a breve partiranno le riunioni operative al Palazzo del governo. Non appena – fa sapere la prefettura di Trieste – saranno arrivate in piazza Unità le specifiche dell’Ispra sulle valutazioni degli eventuali rischi collegati al passaggio lungo il territorio triestino del trasporto su camion di scorie radioattive partite dal deposito Avogadro di Saluggia, in provincia di Vercelli. La spedizione di cinque chili di materiale radioattivo – combustibile nucleare esaurito – è in programma all’inizio di novembre (la data precisa ancora non è stata ufficializzata), come previsto dal Ministero dello Sviluppo economico. Dal Piemonte il carico giungerà via autostrada sino al porto di Trieste, da dove sarà imbarcato su una nave diretta infine negli Stati Uniti. Il materiale rientra infatti nel piano americano di rimpatrio di materie nucleari strategiche di origine statunitense. Pare inoltre che il carico verrà spostato a bordo della stessa nave partita da Capodistria, con altre scorie radioattive già sistematevi sopra in Slovenia e provenienti dall’Austria. Anche a Trieste la prefettura ha dunque avviato l’iter di organizzazione della parte locale (e conclusiva) del trasporto su gomma. Proprio dal Palazzo del governo giungono rassicurazioni per i cittadini: non vi sono pericoli per la popolazione – spiega la prefettura -, perché si tratta di materiali che viaggiano schermati e garantiti da sistemi di provata sicurezza. Certo, tutte le precauzioni del caso saranno comunque prese: a proposito, in termini di viabilità si profila la soluzione della chiusura temporanea al traffico dei tratti stradali in cui transiterà il Tir, ma solo per i minuti strettamente necessari al passaggio. Il tutto per evitare stazionamenti del carico. Dunque, i disagi alla circolazione dovrebbero essere molto limitati. La prefettura coordinerà anche l’arrivo della nave dallo scalo di Capodistria, per quanto concerne le operazioni nel porto triestino. Del percorso in mare si occuperanno l’armatore e le capitanerie di porto. Sembra insomma che il «no» della Regione al transito sul territorio del Friuli Venezia Giulia di scorie radioattive non abbia incrinato di una virgola le intenzioni del governo, che fa riferimento ad accordi internazionali. D’altronde anche lo stesso ministro Corrado Passera aveva confermato nelle scorse settimane che il programma sarebbe andato avanti comunque. Il Comune, dal canto suo, in attesa di comunicazioni formali dalla prefettura ribadisce la linea già espressa dal sindaco Roberto Cosolini, questa volta per voce dell’assessore all’Ambiente Umberto Laureni: «Per la manipolazione e il trasporto di radioisotopi c’è una legislazione tutta speciale con regole iperstringenti, che riteniamo saranno strettamente rispettate. Abbiamo piena fiducia nel sistema: non c’è nessun rischio». (m.u.)

Monfalcone/ Il Collettivo difesa litorale carsico contro il sindaco

da Il Piccolo del 15 ottobre 2012

«Il sindaco tace su A2A»

Collettivo del Litorale carsico va all’attacco dell’Altran

«Il Collettivo per la Difesa del Litorale Carsico aspetta da fine luglio di incontrare il sindaco per un confronto sul futuro della centrale termoelettrica A2A di Monfalcone. Abbiamo sollecitato l’incontro per aver lumi sull’accordo firmato ad agosto dal sindaco e dall’amministratore delegato di A2A. Dopo una serie di rinvii si era stabilito un incontro per il 17 di ottobre, purtroppo impegni improrogabili del sindaco hanno fatto slittare nuovamente l’incontro a data da destinarsi» Durissima la critica dell’associazione nei confronti del sindaco di Monfalcone, Silvia Altran. Anche perchè, spiegano in una nota, sono «tante le domande senza risposta che si sono acuite dopo le dichiarazioni e le interviste televisive del sindaco».

«Da quanto è dato sapere – dice la nota in tono caustico- la signora che governa Monfalcone ha sottoscritto un accordo che rende carta straccia l’impegno a metanizzare i gruppi ad olio combustibile della centrale e dà implicitamente il beneplacito ad A2A per la riconversione a carbone. Perchè? A chi giova?»

Dalle notizie apparse sulla stampa, ricorda la nota, sembra che le peculiarità del piano aziendale saranno la riconversione a carbone dei gruppi ad olio combustibile e l’istallazione di un inceneritore travestito da “sperimentazione per rifiuti differenziati”. «Dopo aver letto queste novità il sindaco, con quella che benevolmente definiamo “ingenuità disarmante” – insiste il Comitato – si domanda se è vero che esiste il carbone pulito e che personalmente, è contraria alle centrali a carbone. Che dire? Parafrasando eminenti scienziati si potrebbe rispondere al sindaco che il carbone pulito si può paragonare all’acqua asciutta: non esiste».

La nota spiega che si potrebbe ricordare al sindaco che il ministro dell’ambiente ha parlato di decarbonizzazione del Paese e che l’anidride carbonica è la principale responsabile dell’innalzamento della temperatura del pianeta.

Uranio, predisposto il piano per il trasferimento in porto

da Il Piccolo del 31 ottobre 2012 Pagina 23 – Cronaca Trieste

Uranio, predisposto il piano per il trasferimento in porto

Il carico viaggerà di notte in autostrada da Saluggia fino a Trieste, ma la data potrebbe variare. Imponente servizio di sicurezza e misure precauzionali

di Laura Tonero Il materiale radioattivo, composto da dieci lamine, partirà dal deposito di Avogadro di Saluggia intorno alle 23. Per raggiungere Trieste più o meno alle 5 del mattino. All’alba, per passare inosservati. Il trasporto di uranio transiterà sull’autostrada A4 per poi raggiungere il Porto di Trieste attraverso la Grande viabilità. La data prevista era quella del 5 novembre. Ma l’operazione doveva restare segreta: dopo le ultime fughe di notizie è possibile che all’ultimo momento venga cambiata la data. Nelle prossime ore è previsto un ulteriore vertice in Prefettura. Ogni Prefettura, di ogni città toccata da questo speciale convoglio, ha l’obbligo di predisporre il proprio singolo piano della sicurezza, che coinvolge vigili del fuoco, medici, polizia, carabinieri e vigili urbani disponibili a servizio di scorta e un piano di comunicazione. La Prefettura di Novara, referente come punto di partenza delle scorie, ha già reso pubblico lo scorso 23 ottobre il suo piano con modalità di trasporto e previsioni di emergenza. Il piano è stato diffuso anche da tutti i Comuni del Piemonte il cui territorio è interessato dal passaggio del convoglio. A Trieste, punto di arrivo delle scorie radioattive e di conseguenza tratto più delicato del trasporto (anche per possibili blitz di gruppi no nukes), i piani restano top- secret. «Gli interventi di protezione – si legge nel piano disposto dalla Prefettura di Novara e che si rifà alle direttive standard e dunque da prendere in considerazione anche a Trieste – vanno predisposti nell’eventualità di condizioni di emergenza dovute ad incidente». Viene considerata “molto grave” l’ipotesi di collisione tra il mezzo di trasporto con a bordo l’uranio e un’autocisterna con liquido infiammabile, con conseguente sviluppo incendio. “Grave” invece la compromissione dell’ancoraggio e lo spostamento del contenitore con il materiale radioattivo, anche senza incendio. «Le valutazioni delle conseguenze radiologiche, in caso di incidente, – prevede il piano – suggeriscono l’opportunità di delimitazione di una zona di esclusione, con allontanamento delle persone, di raggio pari a 50 metri dal luogo dell’incidente». Il piano di emergenza prescrive rilevamenti su matrici ambientali e alimentari entro un raggio di un chilometro dal luogo dell’incidente, a supporto di eventuali decisioni circa l’adozione di restrizioni sul consumo di alimenti di produzione locale. «La popolazione effettivamente interessata dall’emergenza radiologica, in caso di incidente nel corso del trasporto, – si legge – viene immediatamente informata dal sindaco, d’intesa con la Prefettura, sul comportamento da adottare». In caso di emergenza il piano consiglia di rifugiarsi al chiuso, di non recarsi nelle zone interessate dall’incidente, di prestare attenzione ai messaggi dati da altoparlanti, megafoni o mezzi di informazione». La Prefettura di Novara sottolinea che il transito su strada del contenitore con l’uranio non configura alcuna situazione di pericolo. «Materiali e modalità di realizzazione del contenitore sono tali da garantire assenza di rischio sanitario». A Trieste, intanto, si sta predisponendo un imponente spiegamento di forze dell’ordine a fare da scudo da eventuali blitz e azioni di protesta da parte di movimenti ambientalisti. In Veneto la Rete Ambiente si sta mobilitando. Mentre l’uranio da Saluggi si muoverà alla volta di Trieste, un convoglio austriaco attraverserà la Slovenia per finire su una nave che da Capodistria raggiungerà Trieste per caricare anche quello proveniente dal Piemonte e, successivamente, fare rotta per gli Stati Uniti.

TERRITORIO/ Fermare le speculazioni sul biogas e le bio-masse

Questi impianti vengono costruitii solo perchè ci sono i contributi statali, da soli economicamente non si reggerebbero mai.

Inoltre,  per esempio, il bio-gas realizzato con il mais è semplicemente uno scandalo

Consigliamo anche di scaricare questo libro

The Biofuel Delusion

di Mario Giampietro and Kozo Mayumi

delusion

 

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Massaggero Veneto MARTEDÌ, 30 OTTOBRE 2012 Pagina 63 – Provincia

«Contro il biogas bastava ricorrere al Tar»

Torviscosa, gli ambientalisti replicano al Comune: macché mani legate, è già successo in Piemonte

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TORVISCOSA «Bastava ricorrere al Tar per bloccare le procedure per la centrale a biogas Torre Zuina di Torviscosa». L’ambientalista Paolo De Toni respinge le affermazioni dell’assessore Turco, il quale sosteneva che il Comune avesse le mani legate in merito e cita una sentenza del Tar del Piemonte del 21 dicembre 2011 che dava ragione al sindaco del comune di Luserba San Giovanni: l’ente aveva presentato ricorso nei confronti di un’Azienda agricola, chiedendo l’annullamento della determinazione con cui il Dirigente del Servizio qualità dell’aria e delle risorse energetiche della Provincia di Torino autorizzava l’Azienda agricola alla costruzione e all’esercizio di un impianto di cogenerazione alimentato da biomassa legnosa in quel comune. De Toni afferma infatti che «l’autorizzazione unica può variare la pianificazione urbanistica soltanto se c’è stata una ponderata valutazione della coerenza della valutazione con le esigenze della pianificazione, cioè che la realizzazione dell’impianto non può stravolgere le esigenze della pianificazione. Si dice inoltre che l’eventuale dissenso del Comune deve essere preso in adeguata considerazione, attentamente ponderato e eventualmente superato nella determinazione conclusiva, ma sempre sulla scorta di una motivazione adeguata che dia conto delle posizioni prevalenti emerse in seno alla conferenza e delle ragioni per cui l’insediamento è stato ritenuto, nel confronto tra i vari interessi pubblici, compatibile con le caratteristiche dell’area interessata». «l Tar del Piemonte – continua . concludeva la sentenza con alcune prescrizioni che riguardavano la riconvocazione della Conferenza di servizi e la conclusione della stessa con la determinazione conclusiva del responsabile del procedimento, dando conto delle posizioni prevalenti emerse in seno a tale conferenza. Quindi, con un ricorso al Tar, l’impianto di Torviscosa poteva essere bocciato e quanto meno il Tribunale amministrativo regionale avrebbe costretto a rifare la Conferenza dei servizi e quindi a prendere in considerazione il parere contrario della Soprintendenza arrivato in ritardo. È vero che l’articolo 12 del Dlgs 387/2003 prevede che l’autorizzazione unica “costituisce, ove occorra, variante allo strumento urbanistico» conclude De Toni, « ma tale norma va letta secondo canoni di ragionevolezza e alla luce dei principi di (mera) semplificazione procedimentale che la ispirano». Francesca Artico

 

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Paolo De Toni http://www.slowfood.it/sloweb/1b6c09c96611d443294f9e96d92be31b/sloweb

Il rischio è la speculazione sulla produzione per godere degli incentivi e risparmiare sulla costruzione.

Allarme mega-impianti di biogas: anche l’energia pulita può inquinare

09/05/2012Il rischio è la speculazione sulla produzione per godere degli incentivi e risparmiare sulla costruzione.

Il biogas, tra le fonti energetiche rinnovabili, sta cominciando a creare più problemi che vantaggi. Soprattutto da quando è diventato la nuova gallina dalle uova d’oro per l’agroindustria. La questione è spinosa, un’altra bella opportunità si sta sprecando nel nome delle speculazioni permesse dalla legge e incentivate con i soldi pubblici, i nostri.

In due anni gli impianti si sono triplicati, e supereranno i mille a fine 2012. Sfruttano liquami e sottoprodotti agricoli, o anche prodotti appositamente coltivati, come il mais. Sono per lo più grandi, i più insostenibili, fatti per vendere energia. È in atto una vera e propria corsa al biogas agricolo, giustificata dall’inseguimento dei cosiddetti “certificati verdi”. Chi produce energia elettrica avrà diritto, se il suo impianto sarà messo a cantiere entro la fine del 2012 (nel 2013 si cambierà un poco), a vedersi riconosciuto un prezzo di 0,28 centesimi al kilowatt contro gli 0,07 del prezzo di mercato. Così i cittadini pagano due volte l’elettricità. Un impianto da 1 megawatt (il massimo ammissibile per ottenere i certificati verdi) è un investimento di circa 4 milioni di euro ammortizzabile in 3 o 4 anni, che poi darà una rendita netta di un milione di euro all’anno. Allettante per chi fa sempre più fatica a guadagnare con l’agricoltura o l’allevamento. Il nuovo decreto sulle rinnovabili, in vigore dal 2013, prevede tagli degli incentivi alle forme di energia “verde” per «allinearli a quelli europei», ma in realtà per il biogas non saranno consistenti, restando su una soglia variabile ma sempre molto conveniente. C’è dunque da presumere che la corsa non si fermerà dopo il 2012.

Chi viaggia attraverso Piemonte, Lombardia ed Emilia probabilmente avrà già visto a margine di alcuni campi due grandi cupole affiancate, spesso colorate di verde. Sono i “digestori” degli impianti, in cui s’immettono le biomasse (liquami zootecnici, letame, sfalci agricoli, scarti di produzione, ma anche insilati e coltivazioni) affinché siano trasformate dai batteri. Questi rilasciano metano, il quale serve a generare energia elettrica con un motore (che produce anche calore), e intanto avanzano un “digestato” che può essere utilizzato come ammendante o concime nei campi. In teoria il ciclo è perfetto: si usano scarti per produrre energia che può servire all’azienda stessa ed essere venduta se in eccedenza. E ciò che avanza si può ancora utilizzare. Sarebbe ottimo se l’impianto fosse piccolo, confinato all’interno del ciclo produttivo aziendale, ma visti i prezzi che spunta l’energia è diventato molto conveniente fare impianti grandi, da parte di consorzi (non sempre riconducibili ad agricoltori), che hanno lo scopo principale di speculare sulla sua produzione.

Per le singole aziende sarebbero sufficienti impianti da 20 o 50 kw ma gli impianti più grandi, dai 250 kw in su, si stanno diffondendo a macchia d’olio, non più soltanto al Nord. Le procedure per l’autorizzazione sono semplificate, seguono un iter molto veloce che i cittadini apprendono quando è già stato approvato dalla conferenza dei servizi. Non gli rimane poi tanto tempo per far valere le proprie ragioni. Ma perché opporsi?

L’assenza di norme più definite e restrittive e la discrezionalità delle Regioni non abbastanza sfruttata, fanno sì che si autorizzino impianti a fini speculativi, costruiti troppo vicini alle abitazioni o in siti sbagliati, che pongono seri problemi di sostenibilità e mettono in discussione la buona produzione agricola.

Gli impianti sono rumorosi, maleodoranti e alcuni studi cominciano ad evidenziare come non siano privi di emissioni nocive. Averli a pochi metri da casa può diventare un incubo. Poi c’è il problema della sostenibilità: questi grandi impianti incentivano i trasporti di “materia prima” da digerire con relative emissioni e traffico. C’è un forte impatto sul paesaggio e sul consumo di suolo agricolo per quanto ne occupa l’impianto stesso, ma più di tutto perché il problema di dover produrre energia per venderla e ammortizzare i costi di costruzione induce gli agricoltori a coltivare cibo per metterlo direttamente nei digestori. Questa forse è la cosa più grave di tutte. I grandi impianti prevedono un utilizzo di un 75% di liquami e di un 25% di materia solida per funzionare in maniera accettabile, per fare soldi. Il mais rende tantissimo come solido e la tentazione di sforare la quota del 25% è forte: già oggi ci sono impianti che consumano in prevalenza mais. È sbagliato da un punto di vista etico, ma anche ecologico. Un mais che non si mangia può ricorrere a un uso dissennato di chimica, fertilizzanti e antiparassitari, inquina e mina la fertilità, consuma uno sproposito d’acqua. Per 1 megawatt si devono sacrificare almeno 300 ettari. Non è difficile immaginare che così si finirà con il compromettere l’agricoltura, non  solo di qualità.

E stanno venendo fuori nuovi problemi. Pare che in Germania, leader in Europa per il biogas, affiorino delle perplessità. C’è anche chi ha ipotizzato che le contaminazioni da e.coli che hanno paralizzato il mercato dell’ortofrutta continentale l’anno scorso fossero state causate dalla diffusione di digestati da biogas non proprio “puliti”. Se gli scarti non rimangono nelle aziende e cominciano a viaggiare, controllarli diventa molto difficile. Per ora nessuno ha smentito queste tesi, ma basti dire che la Svezia, altro Paese all’avanguardia da anni, obbliga a pastorizzare i liquami in ingresso e i concimi in uscita dalle aziende per evitare contaminazioni. Forse non è nemmeno un caso che la Regione Emilia Romagna nelle sue linee guida abbia vietato gli impianti a biogas nei territori dove si produce il Parmigiano Reggiano. È un pericolo che andrà approfondito, ma non osiamo pensare cosa potrebbe succedere se s’inizieranno – come alcuni detrattori prevedono – a utilizzare senza controlli i rifiuti urbani umidi.

Oggi in Italia ci sono tantissimi comitati locali che si oppongono al biogas, o almeno lo chiedono fatto in maniera ragionata. Un fenomeno importante: si stanno riunendo in coordinamenti regionali e ne sta nascendo anche uno nazionale. Pretendono nuove regole, certe e più restrittive; incentivi soltanto laddove il biogas rappresenta una vera energia pulita che utilizza scarti veri (non cibo o rifiuti urbani); lo vogliono lontano dalle zone residenziali e fatto senza compromettere un’agricoltura che, occorre ricordarlo, prima di tutto serve a vendere cibo e non energia.

Di Carlo Petrini, da La Repubblica del 9 maggio 2012