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CIE: Clandestini, giro di vite Chiusi nei Cie per 18 mesi

dal Messaggero Veneto del 16/05/11

Clandestini, giro di vite Chiusi nei Cie per 18 mesi

 

ROMA Reclusi nei Cie anche per un anno e mezzo. Dietro le sbarre perché clandestini, in attesa di essere rispediti in patria. Con un provvedimento stritolato dalle polemiche pochi minuti dopo essere stato approvato, il governo decide il giro di vite sull’immigrazione clandestina. Il periodo di permanenza nei Centri di identificazione e di espulsione, già portato da 2 a 6 mesi nel 2009, viene prolungato fino a 18 mesi «in attuazione della direttiva 2008/115 sui rimpatri». E’ ripristinata la procedura di espulsione coattiva per gli extracomunitari irregolari se pericolosi per l’ordine pubblico, a rischio di fuga o già espulsi. Viene introdotta la possibilità di espellere un cittadino comunitario per motivi di ordine pubblico. Al termine di un consiglio dei ministri in cui il premier Silvio Berlusconi dichiara per il 28 giugno firmerà come promesso il rogito per comprare la villa a Lampedusa e il ministro Stefania Prestigiacomo annuncia lo stanziamento di 26 milioni di euro per l’isola, il ministro dell’Interno Roberto Maroni si affretta a chiarire che il trattenimento nei Cie avverrà «attraverso una procedura di garanzia che passa dal giudice di pace»: «Il termine di 18 mesi serve per consentire l’identificazione o l’effettiva espulsione, cioé l’ottenimento del visto d’ingresso da parte del Paese d’origine» spiega, mentre il provvedimento che ripristina le espulsioni dirette – rigettate da Corte di giustizia europea e Consulta – «è coerente con le norme europee». Il Pd, con Anna Finocchiaro, parla di «pericoloso populismo in sala leghista: si vede – dice – che mancano tre giorni a Pontida». «Riemerge l’anima xenofoba», afferma Paolo Ferrero, segretario di Rifondazione, mentre la Lega esulta: «Evviva, arrivano le prime risposte concrete ai problemi che abbiamo posto» dice ministro Roberto Calderoli. Le associazioni sono in rivolta: «Allungare i tempi è una forma di carcerazione in luoghi in cui non c’è tutela ed è indice di incapacità politica nell’affrontare il problema» accusa monsignor Giancarlo Perego, della Fondazione Migrantes. «E’ assurdo, un modo di esasperare le persone», sostiene padre Gianni La Manna, che guida il Centro Astalli. «Vergognoso», commenta Filippo Miraglia, Arci, mentre il direttore del Consiglio italiano rifugiati Christopher Han spiega: «La Ue in casi estremi ammette il trattenimento fino a 18 mesi, ma ci deve essere una verifica che il prolungamento dia la possibilità di eseguire l’espulsione: non può essere una punizione». Intanto la Comunità di Sant’Egidio dedica una veglia ai 2500 morti nei viaggi verso l’Europa e chiede l’apertura di canali umanitari per fermare la strage.(m.r.t.)

CIE DI GRADISCA: slitta ancora il cambio di gestione

Il Piccolo del 12/07/11

Gestione del Cie, nuova proroga

 

GRADISCA Non si riesce a sciogliere il nodo-gestione, Cie e Cara navigano a vista. Ennesima proroga, ormai la quinta, nella gestione della struttura per migranti isontina: il mandato della coop trapanese Connecting People è stato esteso fino a fine luglio dopo i già avvenuti prolungamenti da dicembre a febbraio, poi sino a fine aprile. Da allora di fatto la convenzione con il gestore uscente viene prolungata di mese in mese. Ma come mai non si arriva al cambio della guardia sancito nei mesi scorsi dalla gara d’appalto? Pare vi siano degli intoppi nell’affidamento al consorzio temporaneo d’impresa fra la francese Gepsa e tre soggetti italiani (Cofely Italia e le coop Acuarinto di Agrigento e Synergasia di Roma). Uno dei soggetti che compongono la cordata, infatti, sarebbe oggetto di indagini e potrebbe dunque non avere i requisiti per la gestione. Qualora saltasse l’affidamento, subentrerebbe la seconda in graduatoria, la stessa Connecting People, mentre la goriziana Minerva, terza classificata, sarebbe pronta a presentare ricorso. Intanto il Cie ospita appena una sessantina di migranti. Ovvero praticamente il massimo consentito dall’attuale capienza. Dopo i gravi danneggiamenti di febbraio e marzo l’unica ala pienamente agibile è la cosiddetta zona verde, che ospita gli immigrati, mentre nella zona blu è agibile una sola camerata. Sono invece in corso i lavori di ripristino della zona verde. Nel frattempo nei confronti dei Cie in tutto il Paese si sta rifacendo forte l’ondata di dissenso. Il 25 luglio vi sarà una giornata di mobilitazione in tutta Italia per protestare contro il divieto imposto ai giornalisti di entrare nei Cie e nei Cara. Si tratta di un’iniziativa congiunta di parlamentari italiani, Ordine dei giornalisti e Federazione nazionale della stampa. Nei giorni scorsi invece si è concretizzata davanti alla ex Polonio una tappa di Centodonnecentobici, un cicloviaggio al femminile alla scoperta dei territori militarizzati italiani. Una quindicina di donne si sono serrate la bocca con il nastro adesivo a simboleggiare il silenzio che permea quanto avviene all’interno della struttura. Le manifestanti hanno invocato trasparenza e un trattamento più umano dei migranti trattenuti al Cie di Gradisca, che – “persone non colpevoli di alcun reato” – smettono di essere persone “per diventare solo dei numeri”. (l.m.)

Il CIE non paga!

Mentre sul Carso sono state fermate 13 persone di origine afghana di cui 6 bambini e giornalisti, associazioni e parlamentari protestano per reclamare il diritto agli operatori dell’informazione di entrare per far conoscere le condizioni di vita in queste strutture i lavoratori del CIE-CARA di Gradisca sono di nuovo senza stipendio.

 

da bora.la

Cie e Cara di Gradisca: lavoratori senza stipendio

“Situazione insostenibile al Cie e Cara di Gradisca, con i lavoratori ancora una volta senza stipendio, come già accaduto nei mesi scorsi”.

La denuncia arriva dalla Fisascat Cisl isontina: “Non è possibile – tuona la segretaria, Elisa Minai – che ogni volta i dipendenti debbano subire questa incertezza. I pagamenti sono in ritardo e i lavoratori non sanno quando vedranno i loro soldi”.
E a nulla – si legge in una nota della categoria – è valsa la richiesta mossa alla ditta di comunicare una data possibile.
“Questa condizioni sono inaccettabili – rincara Miani – soprattutto considerando che i dipendenti lavorano per un appalto pubblico e una delle regole per le ditte che vincono questo tipo di gare è proprio la garanzia del credito”.

Ma a peggiorare la già incerta situazione si aggiunge anche, come una “spada di Damocle”, la questione del cambio di appalto, ancora da definire. “Ad oggi – spiega la segretaria della Fisascat – ci è dato solo sapere che l’attuale gestore ha la proroga fino alla fine del mese”. “Siamo di fronte – aggiunge – a molte difficoltà e se intanto la ditta non provvederà a saldare il dovuto, come Fisascat penseremo ad azioni di lotta”. Per Miani, l’obiettivo non è di certo lo sciopero, ma garantire le condizioni di lavoro ai dipendenti. “Non possiamo più accettare delle non risposte” – conclude la sindacalista. “Ovviamente terremo anche conto della particolare situazione interna al Cie e al Cara, che devono garantire il servizio agli ospiti, ma ci batteremo perchè vengano garantiti anche i diritti dei lavoratori”.

 

da Il Piccolo

GRADISCA I lavoratori del Cie e del Cara sono ancora senza stipendio. A denunciare per l’ennesima volta la “situazione insostenibile” che si è creata nella struttura di via Udine è la Cisl Fvg. «Lavoratori ancora una volta senza stipendio, come già accaduto nei mesi scorsi – scrive la Fisascat Cisl isontina in una nota. «Non è possibile – tuona la segretaria, Elisa Miani – che ogni volta i dipendenti debbano subire questa incertezza. I pagamenti sono in ritardo e i lavoratori non sanno quando vedranno i loro soldi». «A nulla – si legge nella nota della categoria – è valsa la richiesta mossa alla ditta di comunicare una data possibile. «Questa condizioni sono inaccettabili – rincara Miani – soprattutto considerando che i dipendenti lavorano per un appalto pubblico e una delle regole per le ditte che vincono questo tipo di gare è proprio la garanzia del credito». Secondo il sindacato, a peggiorare la già incerta situazione dei lavoratori si aggiunge anche, come una “spada di Damocle”, la questione del cambio di appalto, ancora da definire. «Ad oggi – spiega la segretaria della Fisascat – ci è dato solo sapere che l’attuale gestore ha la proroga fino alla fine del mese. Siamo di fronte a molte difficoltà e se intanto la ditta non provvederà a saldare il dovuto, come Fisascat penseremo ad azioni di lotta». Per Elisa Miani, l’obiettivo non è di certo lo sciopero, ma garantire le condizioni di lavoro ai dipendenti. «Non possiamo più accettare delle non risposte – conclude la sindacalista -. Ovviamente terremo anche conto della particolare situazione interna al Cie e al Cara, che devono garantire il servizio agli ospiti, ma ci batteremo perché vengano garantiti anche i diritti dei lavoratori».

CIE/ Quell’imbecille, falsa e ipocrita, di Livia Turco

Robe da non credere. La Turco e Napolitano hanno inventato i CPT!

Filmato

http://tv.repubblica.it/edizione/roma/i-parlamentari-nei-cie-chiudeteli-e-cambiamo-la-bossi-fini/73346/71637?pagefrom=1

liviaturco

I parlamentari nei Cie: ”Chiudeteli e cambiamo la Bossi-Fini”

(25 luglio 2011)

stella votostella votostella votostella votostella voto

Sono peggiori delle carceri e dentro ci sono persone che non hanno fatto niente di male. Dunque vanno chiusi e va rimossa la censura imposta su tutti i centri per migranti dal ministro dell’Interno Roberto Maroni che li ha vietati alla stampa. E’ questo il messaggio che arriva dalla mobilitazione “LasciateCIEntrare 1″con manifestazioni davanti a 13 centri in tutt’Italia, di cui la maggior parte sono luoghi di detenzione ma ci sono anche Cara e centri di prima accoglienza. A Roma, al Cie di Ponte Galeria, c’era l’on. Livia Turco

CIE DI GRADISCA: rassegna stampa del 26 e 24 luglio

Il piccolo

26/07/11

Presidio al Cie di Gradisca Monai: il mio cane vive meglio

 

di Luigi Marciano wGRADISCA Naviga a vista il Cie di Gradisca d’Isonzo. La struttura isontina ospita 59 migranti, un quarto della sua capienza potenziale, ma 7 in più rispetto a quella massima attuale, ridotta a 52 posti. Tornerà a regime, forse, entro dicembre, quando saranno completati i lavori di ristrutturazione. Dopo i gravi danneggiamenti di febbraio e marzo la struttura per migranti ospitata nell’ex caserma Polonio è a dir poco ridimensionata: l’unica ala pienamente agibile è la zona verde che ospita gli immigrati mentre la zona blu “offre” una sola camerata. In corso i lavori di ripristino della zona rossa. Non è l’unico problema. Non vi sono notizie precise sul cambio della guardia nella gestione fra il consorzio trapanese Connecting People e la cordata franco-italiana capeggiata dalla transalpina Gepsa. La gestione attuale, scaduta già in dicembre, viene prorogata di mese in mese. Nel frattempo gli operatori del centro lamentano continui ritardi nel pagamento degli stipendi e le forze dell’ordine denunciano da sempre carenze di organico e la necessità di dispositivi di sicurezza più moderni ed efficaci. Cosa sta succedendo, dunque, nel “supercarcere” per migranti costato 17 milioni? Hanno provato a capirlo anche politici e giornalisti che ieri mattina hanno aderito all’iniziativa nazionale “LasciateCientrare” promossa da Federazione nazionale stampa italiana, Assostampa, Ordine dei giornalisti e alcuni parlamentari. A Gradisca c’erano il deputato Carlo Monai (Idv), il segretario regionale di Assostampa Gianni Martellozzo, il consigliere regionale Antonaz (Prc) e quelli provinciali di Trieste Morena e Bergamini (Sel). Agli operatori dell’informazione l’accesso è stato negato e solo Monai ha dunque varcato, dopo aver atteso il nullaosta della Prefettura goriziana, la soglia del Cie. La sua visita è durata un’ora. Monai ha consegnato agli ospiti una lettera di associazioni che si occupano di offrire assistenza culturale, legale ed informativa ai migranti. «Le condizioni delle carceri, ma anche quelle del mio cane – ha affermato il deputato – sono certamente migliori del trattamento riservato a queste persone, molte delle quali non hanno commesso reati. Qui non esiste l’ora d’aria, al massimo pochi minuti in una gabbia esterna, si dorme praticamente senza materassi, i migranti non possono interagire con i propri legali e i contatti sono limitati esclusivamente ai familiari e ad una telefonata ogni due settimane»

 

Il Piccolo 24/06/11

Assostampa, manifestazione per il Cie di Gradisca

 

TRIESTE L’Assostampa Fvg aderisce e invita giornalisti e cittadini a partecipare alla manifestazione che si terrà domani alle 11 dinanzi al “Cie” (Centro di identificazione) di Gradisca, in provincia di Gorizia. “Cie” e “Cara” (Centri di accoglienza per richiedenti asilo) sono da tempo off limits per l’informazione, luoghi interdetti alla società civile e in cui soltanto alcune organizzazioni umanitarie riescono ad entrare. Una circolare del ministro dell’Interno, la n.1305 emanata il 1 aprile 2011, ha reso ancora più inaccessibili tali luoghi, fino a data da destinarsi, in nome dell’emergenza nordafricana. Giornalisti, sindacati, esponenti di associazionismo antirazzista umanitario, presenti nel territorio in cui sono ubicati, sono considerati secondo questa circolare “un intralcio” all’operato degli enti gestori e per questo tenuti fuori. Nel comitato promotore ci sono fra gli altri Fnsi, Ordine nazionale dei giornalisti, Articolo 21, e i parlamentari Jean Leonard Touadi, Rosa Villecco Calipari, Savino Pezzotta , Livia Turco, Fabio Granata, Giuseppe Giulietti, Furio Colombo, Francesco Pardi. A Gradisca sono previsti gli interventi dei parlamentari Monai (IdV) e Strizzolo (Pd).

 

 

Messaggero Veneto del 26/07/11

Visita di Monai al Cie «Si vive meglio in carcere»

 

GRADISCA «Francamente vivono in condizioni migliori il mio cane e anche i carcerati». La battuta che il parlamentare Carlo Monai regala ai giornalisti al termine della sua visita al Cie è eloquente. Il deputato dell’Italia dei Valori ha fatto il suo ingresso nella struttura governativa di via Udine in occasione della manifestazione nazionale (coinvolti anche i centri per immigrati di Roma, Modena, Torino, Milano, Bari e Trapani) “LasciateCIEntrare”, promossa contro il divieto di ingresso nei centri immigrati ai rappresentanti della stampa e delle associazioni, da Federazione nazionale della stampa (Fnsi), Ordine dei giornalisti, Articolo 21, Asgi, Primo marzo, Open Society Foundation, European Alternatives e dai parlamentari Jean Leonard Touadi, Rosa Villecco Calipari, Savino Pezzotta, Livia Turco, Fabio Granata, Giuseppe Giulietti, Furio Colombo, Francesco Pardi. L’onorevole Monai ha fatto il suo ingresso al Cie alle 11.40, dopo un’attesa dell’ok da parte della Prefettura durata oltre mezz’ora. «Non mi aspettavo di trovare condizioni così disastrate – ha raccontato Monai ai giornalisti al termine della visita –. Gli immigrati che si trovano all’interno del Cie dormono per terra, senza neppure un materasso, in ambienti asfittici. La loro ora d’aria si riduce a dieci minuti di libertà per due volte al giorno in spazi di pochi metri quadrati, dove è consentito loro di fumare due sigarette al mattino e altrettante alla sera. Una sola stanza è stata ritenuta agibile dai Vigili del Fuoco dell’ala interessata negli ultimi scontri, ospita dieci persone». Il parlamentare ha illustrato la situazione attuale all’interno del Cie: 59 gli immigrati trattenuti nel centro, tutti arrivati nel corso del 2011, a fronte di una capienza di 52 persone. La maggioranza è di nazionalità tunisina, ma vi sono anche un uomo proveniente dal Bangladesh e uno proveniente dall’Iraq. «Si tratta di persone che non c’entrano nulla con le contestazioni – ha aggiunto Monai – e meriterebbero un minimo di decoro, a cominciare da materassi ignifughi su cui dormire». «Ritengo che servirebbe un’operazione trasparenza – ha concluso il parlamentare dell’Italia dei Valori – per far vedere a tutti i cittadini italiani come viene gestita l’emergenza immigrazione dal punto di vista amministrativo». Giuseppe Pisano

CIE DI GRADISCA: cambio di gestione e condanne

Messaggero Veneto del 06/04/11

Cie e Cara gestiti dai francesi Ogni immigrato ospitato costerà 34 euro al giorno

 

GRADISCA Gestione francese per il Cie e il Cara di Gradisca. E’ di ieri, infatti, la notizia che la Prefettura di Gorizia ha affidato in via provvisoria i servizi interni alle due strutture per immigrati di via Udine al consorzio temporaneo d’ impresa guidato dalla transalpina Gepsa (con sede a Parigi) in associazione con Cofely Italia e le coop italiane Acuarinto di Agrigento e Synergasia di Roma. Riammessa dopo l”iniziale esclusione per carenza documentale al pari del gestore attuale Connecting People, la cordata di imprese si è aggiudicata l’appalto con un leggero ribasso: 14 milioni 882mila euro l’offerta, di poco inferiore ai 15 milioni fissati come base d’asta. Gepsa ha preceduto in graduatoria l’attuale gestore , il consorzio cooperativistico trapanese Connecting People, la cooperativa goriziana Minerva (primo gestore del centro dal marzo 2006 al febbraio 2008) e la cooperativa Ghirlandina di Modena. Nel frattempo la Prefettura ultimerà le necessarie verifiche sulle autocertificazioni presentate dagli altri sei soggetti in gara. Un ulteriore passaggio che dovrebbe richiedere non più di una decina di giorni, tanto da rendere plausibile l’avvio della nuova gestione già dalla data del 1° maggio. Il metodo di valutazione per la stesura della graduatoria si basa su due criteri portanti: la valutazione tecnica, nella quale l’attuale ente gestore Connecting People aveva ottenuto il punteggio massimo, e la valutazione economica che vedeva proprio la cordata franco-italiana guidata da Gepsa al primo posto. In base all’offerta economica presentata, Gepsa ha indicato in poco più di 34 euro il costo giornaliero per ogni immigrato ospitato nelle due strutture. Il gestore uscente Connecting People, per contro, aveva presentato un “preventivo” da 40 euro pro die e pro capite, di poco inferiore ai costi di gestione attuali (42) per Cie e Cara. Minerva e Ghirlandina, rispettivamente al terzo e quarto posto con un’offerta di circa 18 milioni di euro, hanno presentato una proposta economica da poco più di 42 euro giornalieri ad ospite. (m.c.)

 

Messaggero Veneto del 05/04/11

Rivolta al Cie condanne per otto tunisini

 

 

GORIZIA Sono stati processati ieri gli otto immigrati tunisini arrestati il 20 marzo al termine di una rivolta al Cie di Gradisca. Sette erano finiti in carcere per violenza e resistenza a pubblico ufficiale, mentre l’ altro era stato arrestato per aver sottratto con la forza a uno degli operatori le chiavi delle porte interne della struttura. I sette hanno patteggiato una pena di 6 mesi e hanno potuto lasciare il carcere mentre l’ottavo tunisino arrestato è stato condannato con il rito abbreviato a 2 anni di reclusione.

Sbarchi: “Oltre 400 immigrati fra Trieste e il Friuli”

da Il Piccolo

 

Sbarchi: “Oltre 400 immigrati fra Trieste e il Friuli”

Spuntano le cifre della ripartizione fra le regioni italiane. La Seganti: “È solo il tetto massimo se ne arrivano 50mila”

 

di Gianpaolo Sarti

TRIESTE Ora sono 400 o forse oltre 500. Almeno per la stampa nazionale e per le stime calcolate sui censimenti dell’Istat che attribuiscono al Friuli Venezia Giulia una quota precisa di immigrati da accogliere nelle strutture del territorio. È “Repubblica” a rendere nota per prima la ripartizione regione per regione, così come previsto dall’accordo siglato nei vertici delle scorse settimane a Roma tra Stato ed enti locali. Un patto per la “condivisione dell’emergenza” che, stando all’analisi del quotidiano, il ministero dell’Interno dovrà riabilitare dopo lo stop di Bruxelles alle richieste italiane. Il governo, infatti, aveva proposto di rendere esecutiva la direttiva 55 del 2001 targata Unione Europea che consente agli immigrati di muoversi nei Paesi del continente. Roma aveva varato poi un provvedimento, subito criticato dall’Unione, per concedere permessi di soggiorno temporanei. La bocciatura alla norma Ue costringerebbe il Viminale a bussare di nuovo alle porte delle Regioni.

Dopo giorni di voci e smentite ecco farsi largo, per il Friuli Venezia Giulia, quella che ora appare più di un’ipotesi. È il Palazzo stesso a confermare. Dice l’assessore Federica Seganti: «Questo è quanto avevamo negoziato fin da subito con il Viminale ed effettivamente sì, adesso potrebbe essere questa la situazione a cui dovremmo far fronte». L’assessore leghista, mette le mani avanti: «Attenzione, dobbiamo vedere come evolve l’emergenza, ci troveremmo a ospitare immigrati se il quadro peggiorerà». E precisa: «Noi accoglieremo 400 o 500 di questi nel caso si dovesse arrivare a quota 50 mila in Italia, ma per ora non siamo a livelli del genere».

Seganti, quindi, ammette che «dobbiamo navigare a vista e seguire passo dopo passo gli sviluppi. In ogni caso – chiarisce – non ci sono richieste per mamme e bambini, nessuno ci ha chiesto disponibilità in questo senso, il problema è che ci troviamo davanti sono gli sbarchi dei tunisini». L’assessore però non molla l’indirizzo stabilito dalla giunta e su cui il Carroccio si era battuto fin da subito e ribadisce che «dovranno essere prima le altre Regioni a muoversi, noi abbiamo già 700 immigrati».

19.360 le persone, tra clandestini e profughi, da ridistribuire in tutta Italia: 5 mila provengono dalla Libia. 14.360 invece sono giunti dalla Tunisia e otterranno il permesso temporaneo. Il piano del Viminale che “Repubblica” ha pubblicato elenca nel dettaglio il numero previsto per ogni singola regione; la tabella fissa in una proporzione di 1 migrante ogni 1000 abitanti la soglia massima di accoglienza. Alla Lombardia spetta la percentuale più elevata, il 16% del totale, vale a dire 3.240 persone. Alla Campania 1.920 e al Lazio 1.880. Il Friuli Venezia Giulia si troverebbe con una quota dell’1-2%, 400 appunto. O un centinaio in più, stando alle agenzie di ieri sera. In ogni caso la Regione è chiamata a fare concretamente la propria parte per la gestione dell’emergenza, quella che il ministro Roberto Maroni non aveva esitato a definire «uno tsunami umano». «Un esodo biblico» aveva detto invece il presidente del Veneto Luca Zaia, definendo «quello che sta accadendo» un fenomeno «mai visto».

E per il Friuli Venezia Giulia, stando ai programmi di palazzo Chigi, non si parla più dunque di «qualche decina di richiedente asilo» e neppure di «mamme e bambini». Per il momento, perché la situazione in corso a Lampedusa è in continua evoluzione e potrebbe riservare altri cambiamenti di rotta nei prossimi giorni, alimentando anche le tensioni politiche all’interno della maggioranza di centrodestra.

CIE DI GRADISCA: nuovi arrivi da Lampedusa

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Messaggero Veneto del 04/05/11

Venti profughi arrivati al Cie di Gradisca

 

GRADISCA D’ISONZO Continua l’arrivo di immigrati in Friuli Venezia Giulia. La seconda ondata di trasferimenti dall’isola di Lampedusa (circa 1500 gli immigrati che hanno lasciato l’isola siciliana solo ieri), come ha annunciato lunedì il capo della Protezione civile nazionale, Franco Gabrielli, ha interessato anche il Cie (centro di identificazione ed espulsione) di Gradisca d’Isonzo, dove ieri appunto sono stati trasferiti una ventina di clandestini, tutti tunisini. Un numero di ingressi necessariamente ridotto quello che ha interessato la struttura isontina, dove sono ancora in corso i lavori di adeguamento e messa in sicurezza partiti a seguito delle rivolte e degli incendi dello scorso febbraio. Al momento attuale, infatti, il complesso di via Udine vanta una disponibilità limitata a soli 85 posti (a fronte di una capienza massima di 248 posti) e sole 7 stanze agibili sulle 27 totali. Ad autorizzare il trasferimento, in realtà, sono state le partenze registrate al Cie di Gradisca negli ultimi giorni, da dove sono stati dimessi una quindicina di immigrati per decorrenza dei termini di trattenimento amministrativo (6 mesi), con l’obbligo cioè di abbandonare con mezzi propri il Paese entro 5 giorni. Nessuno di loro, tuttavia, ha ottenuto il permesso di soggiorno temporaneo (riconosciuto, invece, a 49 immigrati tunisini a metà aprile, al pari di una quarantina di altri ospiti della struttura gradiscana, tutti con precedenti penali). Una decina, invece, i clandestini per i quali la Prefettura di Gorizia, dopo essere riuscita a ricostruirne l’identità, è in attesa dei lasciapassare dei consolati di competenza per procedere all’espulsione. Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca dove, nonostante le nuove partenze e i nuovi arrivi registrati in questi giorni, la situazione continua a restare sotto controllo, senza registrare particolari tensioni. Intanto, Regioni, a eccezione dell’Abruzzo, dovranno prevedere una disponibilità totale fino a diecimila posti per l’accoglienza dei profughi. È quanto ha chiesto il capo del Dipartimento della Protezione Civile Franco Gabrielli nel corso di una riunione che si è tenuta a Roma e alla quale hanno partecipato i soggetti attuatori nominati dai presidenti delle regioni e delle province autonome per la gestione dell’accoglienza sul territorio dei migranti. Nel corso della riunione, in cui è stato fatto il punto sui modelli di accoglienza messi in campo dagli enti locali, Gabrielli ha anche spiegato come verranno ripartiti tra le Regioni i primi cinque milioni, destinati alla copertura delle spese di accoglienza sostenute a livello locale. Marco Ceci

MINEO: Mineo. Il diritto alla fuga per salvarsi la vita

Mineo. Il diritto alla fuga per salvarsi la vita di Antonio Mazzeo

Nel “Villaggio della solidarietà” di Mineo, filo spinato, telecamere e forze armate hanno fatto capire ai rifugiati che non si trattava di una “villeggiatura” ma di una nuova forma di reclusione senza diritti. Che non favorisce l’integrazione, ma remunera molto bene privati e “cricca”.

Fuggono. Li vedi in fila indiana tra i campi e gli aranceti. Alcuni persino sulla carreggiata della trafficata superstrada Catania-Gela, in direzione nord. Una bottiglia d’acqua minerale e uno zainetto con qualche indumento e un pacco di biscotti. È tutto quello che portano con sé, ma vanno avanti con determinazione, dignità, speranza. Chi esercita il diritto alla fuga ha un progetto di vita chiaro. Raggiungere fratelli, cugini, amici, quella rete di solidarietà che sanno bene che in Italia gli sarà negata. Decine, forse centinaia di giovani. Richiedenti asilo di nazionalità curda, somala, eritrea, deportati manu militari dai centri di accoglienza sparsi in mezza Italia. E i tunisini scampati all’inferno di Lampedusa, dichiarati d’autorità “richiedenti asilo” per mascherare i trasferimenti forzati con le unità della Marina militare.

Il residence “a quattro stelle” di Mineo (Catania), abitato un paio di mesi fa dai militari USA di Sigonella, doveva essere la vetrina internazionale dell’accoglienza made in Italy, il progetto-pilota per rendere felici e invisibili rifugiati e migranti. Quattrocentoquattro villette indipendenti, uffici, mense, palestre, campi da tennis e football, sale per l’intrattenimento e le funzioni religiose e 12 ettari di spazi verdi. Un paradiso per chi ha conosciuto guerre e carceri nel continente africano, ma l’assedio di poliziotti, carabinieri e militari dell’esercito, le telecamere e le recinzioni sorte in ventiquattrore, lasciano presagire chissà quali nuove forme di detenzione. E allora è meglio andare, lasciarsi dietro il deserto ambientale, sociale e culturale del “villaggio della solidarietà” imposto da Berlusconi e Maroni per fare un favore ai legittimi proprietari della struttura, la Pizzarotti S.p.A. di Parma. Sì, perché alle origini dell’intera operazione di riconversione dell’ex villaggio USA nel mega-centro di accoglienza per richiedenti asilo c’è la ferma intenzione di continuare a spremere milioni di euro all’anno da una struttura che rischiava di restare per sempre abbandonata.

Quando alla Pizzarotti fu comunicata l’intenzione di Washington di non rinnovare il contratto d’affitto che sarebbe scaduto il 31 marzo 2011, i manager della società si affannarono ad individuare nuovi possibili locatari del villaggio. Dopo aver giocato inutilmente la carta del “sociale”, proponendo a destra e manca il suo utilizzo come “luogo di detenzione alternativo al carcere per le detenute madri” o come “centro accoglienza per immigrati e tossicodipendenti”, si tentò di rifilare la struttura all’Università di Catania per adibirla a polo di ricerca e cittadella dello studente. Alla Regione Siciliana e ai comuni del comprensorio fu presentato un progetto di “nucleo sociale polifunzionale” con case in affitto a canone agevolato e spazi per le attività sociali di enti pubblici e cooperative. Il programma di sviluppo immobiliare prevedeva pure la realizzazione di un centro commerciale e di sale cinematografiche, ma naufragò per lo scarso interesse degli operatori economici e dei politici locali. L’ultima spiaggia fu quella di proporre l’affitto direttamente alle famiglie dei militari USA, 900 euro al mese a villetta – 160 metri quadri di superficie più giardino – incluso l’uso gratuito degli spazi comuni e il trasporto in bus verso la base di Sigonella, parecchio distante. Saldi di fine stagione: quasi la metà di quanto il Dipartimento della difesa versava alla Pizzarotti, otto milioni e mezzo di dollari all’anno più le spese per la gestione dei servizi all’interno del villaggio. Fallito anche questo tentativo ci avrebbero pensato le rivolte per la libertà e il pane in nord Africa a fornire l’occasione per riaprire i cancelli del residence e consentire al governo di stiparvi oltre duemila tra richiedenti asilo, residenti da tempo in Italia, ed immigrati dell’ultima ora.

La portata finanziaria dell’affaire è top secret, ma è possibile spingersi in una stima di massima. Se venisse applicato il canone concordato con gli americani, per i 10 mesi dal decreto di “requisizione” (2 marzo 2011) del Commissario straordinario per l’emergenza immigrazione, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, il governo dovrebbe dare alla Pizzarotti non meno di 5 milioni e 500 mila euro. La legge parla chiaro: anche nel caso di espropri e requisizioni per pubblica utilità gli indennizzi non possono essere inferiori ai valori di mercato. Ma quello di Mineo non sarà un centro legato all’emergenza di questi mesi, e nei disegni di Berlusconi e Maroni dovrà avere vita illimitata. Il dottor Caruso ha ammesso che nei piani del governo e dei proprietari, c’è l’intenzione di sottoscrivere un contratto d’affitto per non meno di cinque anni. In questo modo verrebbero ad essere trasferiti altri 30 milioni di euro dalle casse dello stato al privato. Pensare che ad una quarantina di chilometri in linea d’area sorge l’ex base missilistica NATO di Comiso (Ragusa), la cui titolarità è passata in mano all’ente locale. Ospita centinaia di alloggi per oltre 7.000 persone, abbandonati all’incuria e ai saccheggi dei vandali. Accoglienza a costo zero, in una realtà che ha sperimentato in passato, con ovvie contraddizioni, il sostegno ai profughi del conflitto in ex Jugoslavia e Kosovo. Ma come per le grandi opere è la lobby del cemento a dettare le regole. Sulla pelle dei migranti e sulle tasche dei contribuenti.

Pizzarotti SPA: Grandi Opere militari/nucleari

La Pizzarotti è impegnata nella realizzazione di grandi opere infrastrutturali in Italia e all’estero. Alcune di esse hanno generato enormi impatti socio-ambientali: il deposito delle scorie radioattive di Caorso, la centrale nucleare di Montalto di Castro, la tratta ferroviaria ad alta velocità Milano-Bologna, due lotti dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. La società ha pure partecipato con poca fortuna alla gara per la progettazione ed esecuzione del Ponte sullo Stretto di Messina. In Sicilia ha però ottenuto dall’ANAS lo status di general contractor per i lavori dell’autostrada Catania-Siracusa, una commessa di 473,6 milioni di euro.

La Pizzarotti è inoltre una delle aziende di fiducia delle forze armate degli Stati Uniti d’America. Nell’ultimo decennio ha fatturato per conto del Dipartimento della difesa 134 milioni di dollari. Nel 1979 le era stata affidata la realizzazione a Sigonella del centro destinato alla Rapid Deployment Force, la Forza d’Intervento Rapido USA. A metà anni ‘80 la Pizzarotti partecipò pure alla costruzione di numerose infrastrutture nella base di Comiso. Quindici anni dopo, la società realizzò a Belpasso (Catania) il villaggio “Marinai” per i militari di Sigonella, 42 ettari d’estensione e 526 unità abitative, fratello maggiore del “Villaggio degli Aranci” di Mineo. Successivamente ha eseguito i lavori di ristrutturazione ed ampliamento delle banchine della base navale e sottomarini atomici di Santo Stefano (arcipelago de La Maddalena), e realizzato una piccola tratta ferroviaria ed alcuni depositi all’interno della base di Camp Darby (Livorno). Nell’aeroporto di Aviano (Pordenone), Pizzarotti ha ampliato i locali adibiti a servizi e casermaggio, mentre a Camp Ederle (Vicenza) ha costruito un complesso residenziale per 300 marines e il nuovo polo sanitario US Army. Non altrettanto bene è andata a Quinto Vicentino, dove nonostante un accordo con il Comando dell’esercito statunitense per la creazione di un residence con oltre 200 abitazioni per i militari della 173^ Brigata Aviotrasportata (valore stimato 50 milioni di dollari), gli amministratori locali hanno scelto d’imporre il veto al progetto.

La società di Parma ha stipulato un contratto con le ferrovie israeliane per la costruzione di un lotto della linea ad alta velocità Tel Aviv–Gerusalemme, relativo ad un tunnel che attraversa i villaggi di Beit Surik e Beit Iksa, all’interno dei territori della Cisgiordania occupati illegalmente da Israele nel 1967. Come denunciato da decine di associazioni internazionali attive nella difesa dei diritti umani, il progetto viola le norme della IV Convenzione di Ginevra, che vietano alla potenza occupante l’esproprio di proprietà private per la costruzione di infrastrutture permanenti inaccessibili alla popolazione locale.

Croce Rossa Italiana: Niente bando per favore

L’altro grande business di Mineo riguarda la gestione dell’“accoglienza” dei circa 2.000 richiedenti asilo presenti. Le organizzazioni siciliane antirazziste hanno già fatto le prime stime. Agli enti che gestiscono i CARA sparsi sul territorio nazionale, il governo versa un contributo che oscilla dai 40 ai 52 euro al giorno per persona. Conti alla mano a Mineo si spenderà mensilmente dai 2 milioni e 400 mila ai 3 milioni di euro. È la Croce Rossa Italiana l’ente individuato dalle autorità di governo senza l’indizione di un bando ad evidenza pubblica. “Sino al 30 giugno 2011, la CRI impiegherà fondi propri destinati alla gestione delle situazioni di emergenza”, ha precisato il prefetto Caruso. Per i restanti sei mesi coperti dal decreto anti-sbarchi ci penserà lo Stato. A fine anno la spesa potrebbe così toccare i 18 milioni di euro. L’accoglienza soft nei Comuni di mezza Italia, grazie alle reti solidali di enti e associazioni (il cosiddetto sistema Sprar), pesa invece per non più di 20-22 euro al giorno per rifugiato. Con il vantaggio che le esperienze hanno forti ricadute sull’economia e l’occupazione locale, come ad esempio accade a Riace, paesino della provincia di Reggio Calabria, uno dei modelli d’integrazione cittadini-migranti a livello internazionale.

Intanto, il presidente della Provincia di Catania e coordinatore regionale del Pdl, Giuseppe Castiglione, invita la Croce Rossa ad affidare alcuni servizi del centro di Mineo alle cooperative locali in buona parte riconducibili al potente consorzio Sol.Co. di Catania. Una piccola tassa in cambio del consenso dei politici e degli amministratori del luogo. Il ghetto per rifugiati e deportati nel cuore dell’isola è pronto a trasformarsi in una moderna fabbrica di soldi e di voti.


TRIESTE: volantino all’università su Croce Rossa e CIE

Questo è il testo del volantino distribuito e affisso ieri da alcuni compagni all’università centrale in occasione dell’iniziativa “univillage” che vedeva fra le associazioni aderenti e con banchetto anche i “Giovani della Croce Rossa”.

 

 

CROCE ROSSA:

 

ORGANIZZAZIONE

 

UMANITARIA?

Questa è l’immagine “rispettosa” di facciata che siamo abituati a vedere e che spesso è quella percepita dai possibili volontari.

Invece la vera natura della CRI spesso e volentieri non ha niente a che fare con la solidarietà e l’aiuto a chi ne ha bisogno: è un corpo paramilitare, interessato com’è ovvio più al denaro e al potere che al rispetto della vita umana.

Denaro e potere che ottiene ad esempio gestendo diversi CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) dove vengono rinchiusi immigrati senza documenti.

Veri campi di internamento che nulla hanno a che fare con il rispetto dei diritti umani e dove stupri, violenze, pestaggi, umiliazioni sono pane quotidiano.

I militi della Cri non si fanno nessuno scrupolo a lasciar morire di polmonite un immigrato rinchiuso in un Cie, come accaduto nel 2008 ad Hassan a Torino, essere complici e omertosi di un tentativo di stupro da parte di un ispettore di polizia, come accaduto a Joy nel Cie di Corelli a Milano, collaborare ai pestaggi della polizia e negare le cure alle vittime.

Esemplare anche il caso venuto fuori dal Cie di Torino tempo fa: durante un presidio di solidarietà davanti al centro, è arrivato un messaggio da un recluso, dove si vedeva che il farmaco per l’asma che gli veniva somministrato dal personale della C.R.I. aveva superato da più di due anni la data di scadenza.

NON RESTIAMO IN SILENZIO:

NESSUNA PACE A CHI COLLABORA COI C.I.E. E IL SISTEMA DELLE DEPORTAZIONI!

…SE SEI UN VOLONTARIO DELLA C.R.I. FAI PRESSIONE SUI TUOI SUPERIORI PER L’IMMEDIATO ABBANDONO DELLA GESTIONE DEI NUOVI CAMPI DI CONCENTRAMENTO

O NEGA SUBITO IL TUO APPOGGIO PER NON ESSERE COMPLICE.

 

CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE

Cosa sono I CIE sono luoghi di detenzione amministrativa, paradosso logico e giuridico, strutture in cui gli “ospiti” sono sottoposti di fatto ad un regime carcerario, ma senza permessi di uscita o di visita. Sono prigioni per persone che non hanno – o, sempre più spesso, non hanno più – i documenti in regola. Sono a decine sparsi per l’Italia, uno di questi a Gradisca d’Isonzo, a pochi chilometri da qui.

Come funzionano A volte, chi viene fermato senza permesso di soggiorno in regola, viene portato in uno di questi centri, ufficialmente in attesa di essere identificato ed espulso e può essere trattenuto fino a sei mesi. Possono essere clandestini appena arrivati, o fermati per strada, ma anche, ad esempio, persone uscite dal carcere (che quindi hanno già subito un processo, durante il quale la loro identità è stata accertata) o stranieri che per anni hanno soggiornato regolarmente e che poi perdendo il lavoro hanno anche perso il permesso di soggiorno…

La collettività paga a coloro che gestiscono questi centri (cooperative, strutture come la Misericordia, Croce Rossa…) un quota “ad ospite” che si aggira mediamente attorno ai 60-80 euro al giorno, senza contare i costi strutturali e la manutenzione straordinaria. Più “ospiti”, più soldi. Un business notevole, i cui conti restano ben poco trasparenti.

Come si curano

L’unica cura per questa “malattia democratica” è la chiusura immediata

di tutti i centri.

 

Per approfondire:

senzafrontiere.noblogs.org

info-action.net (sez.antirazzismo)

fortresseurope.blogspot.com