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Gorizia, il processo amianto rischia di dover ripartire da zero

La giustizia non passa nelle aule dei tribunali.

L’avevamo detto ieri sera alla presentazione del libro di Alberto Prunetti “Amianto una storia operaia” e la cosa si è dimostrata quasi profetica.

Oggi con una scusa pretestuosa la difesa dei dirigenti Fincantieri è riuscita a far prorogare ulteriormente la data della sentenza chiedendo anche la remissione del processo dal tribunale di Gorizia.
Noi saremo sempre accanto agli esposti amianto e alle loro famiglie e come abbiamo scritto nel volantino distribuito anche oggi: ni olvido ni perdono la lucha sigue!

 

da Il Piccolo

Gorizia, il processo amianto rischia di dover ripartire da zero

Il giudizio sulla morte di 85 cantierini di Monfalcone. Sollevata la questione di una presunta legittima suspicione per incompatibilità ambientale. Il vicesindaco Omar Greco: “Beffata l’aspettativa di giustizia di tanti cittadini”

Rischia di dover ripartire da zero, e in altro Tribunale rispetto a quello di Gorizia, il primo maxi-processo per i cantierini di Monfalcone morti d’amianto (85 decessi, 45 imputati di omicidio colposo).

Nell’udienza al termine della quale era attesa la sentenza, uno dei difensori, Alessandro Cassiani, ha sollevato istanza di quella che un tempo si chiamava legittima suspicione. Ovvero, ha ritenuto che il clima in aula non garantisse la giusta serenità al giudice Matteo Trotta chiamato a emettere la sentenza.

Di qui il rinvio alla Cassazione disposto, dopo due ore di camera di consiglio, dello stesso Trotta.

Già fissata la nuova ultima udienza: il 23 luglio. Entro quella data sarà arrivato il parere della Cassazione. Se fosse accolta l’istanza del legale il processo ricomincerebbe dal principio. In caso contrario il 23 luglio si andrà a sentenza.

Attonite le tante vedove e i rappresentanti delle associazioni presenti in aula. Si sono sentiti dare, in pratica, la patente di persone potenzialmente in grado di porre in essere comportamenti intimidatori nei confronti delle parti impegnate nel processo.

Una beffa che si aggiunge all’attesa di giusitizia che si protrae almeno da cinque anni.

 


 

da Il Piccolo  mercoledì, 26 giugno 2013 – Pagina 16 – Gorizia-Monfalcone

Processo amianto a rischio trasferimento

Richiesta a sorpresa avanzata da uno dei difensori degli imputati. Il giudice Trotta affida la decisione alla Cassazione

GORIZIA Poteva essere la giornata della sentenza, quella che chiudeva un maxi-processo durato tre anni ed era attesa da centinaia di familiari di vittime dell’amianto. Imputate di omicidio colposo 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. Invece ci si è trovati dinanzi a un nuovo rinvio deciso dal giudice Matteo Trotta dopo che l’avvocato Alessandro Cassiani – difensore di Giorgio Tupini – ha chiesto la rimessione del processo alla Corte di Cassazione per “legittima suspicione”. Un rinvio di un mese – la prossima udienza si terrà il 23 luglio – che ha comunque indispettito il pubblico presente, quasi tutti appartenenti all’Associazione esposti amianto. Il colpo di scena è avvenuto all’inizio dell’udienza. Prima che il giudice desse la parola al pubblico ministero per la replica, si è alzato l’avvocato Alessandro Cassiani per annunciare che stava depositando alla cancelleria penale la richiesta di rimessione del processo sostenendo che il tribunale non era nelle condizioni di pronunciare una sentenza in modo sereno ed equilibrato. E adduceva come motivo le pressioni esercitate in questi giorni, gli articoli dei giornali e la richiesta, poi respinta, del Procuratore capo della Repubblica di autorizzare riprese in video-conferenza tra l’aula del Tribunale e la sala conferenze dell’ospedale di San Polo anche per evitare problemi di ordine pubblico che sarebbero potuti sorgere dalla presenza di un numero consistente di persone. Persone considerate alla stregua di fomentatori di violenze o disordini. Ieri in tribunale a Gorizia nello spazio dedicato al pubblico c’erano si e no 50 persone, molto tranquille, come tranquille sono state le altre 91 udienze, celebrate per la stragrande maggioranza dinanzi a un pubblico che si contava sulle dita di una mano e caratterizzate anche dalle molteplici assenze dell’avvocato Cassiani che si è visto in aula praticamente solo durante la discussione. È stato lo stesso giudice Trotta ad ammettere ieri che le udienze si sono svolto fino ad ora “senza alcun tipo di problema” legato a gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo come prevede l’art. 45 del Codice di procedura penale. Contro la richiesta di Cassiani si sono espressi sia il pubblico ministero Valentina Bossi che gli avvocati che tutelano le parte civili, ma la decisione presa da Trotta, dopo 2 ore e 35 minuti di camera di consiglio, è stata sostanzialmente obbligata: secondo la giurisprudenza corrente dinanzi a una richiesta di rimessione, il giudice deve limitarsi a trasmetterla immediatamente alla Corte di Cassazione astenendosi dall’emettere la sentenza fino alla decisione che sarà presa dalla Suprema corte. Corte che deve esprimersi entro 30 giorni. Lo farà? Tutti se lo auspicano anche perché il giudice Trotta, come da lui stesso ricordato ieri, sta per lasciare il tribunale di Gorizia destinato a quello di Trieste. Ci sono poi ragioni di economia processuale che spingono a favore di una decisione in tempi brevi, cioè prima della pausa feriale. A dire il vero Trotta avrebbe potuto completare il processo e arrivare alla sentenza con il rischio poi che, se la Cassazione avesse annullato tutto, si sarebbe ripartiti da zero. Come si ripartirà da zero se la Suprema corte accoglierà la richiesta di Cassiani e trasferirà il processo in un’altra sede, fuori della regione, e con un altro giudice. Novantun udienze buttate a mare, più di 500 testimonianze inutilizzabili, il rischio incombente della prescrizione. Insomma una bella pagina di malagiustizia.

 

Il legittimo sospetto incombe sull’aula

L’AVVOCATO Cassiai La serenità di giudizio ai magistrati non viene garantita

GORIZIA Il maxi-processo per morti da amianto frena in dirittura d’arrivo sotto i colpi della “legittima suspicione”. Per l’avvocato Alessandro Cassiani del foro di Roma, legale di Giorgio Tupini, 92 anni, già presidente di Italcantieri, uno dei 35 imputati per la morte di 85 lavoratori dello stabilimento di Monfalcone, il “clima” che aleggia intorno ai giudici chiamati a decidere la sentenza è di forte tensione emotiva alla luce delle chiamate alla mobilitazione degli esposti all’amianto e della richiesta del Comitato provinciale per la sicurezza di “parare” possibili problemi di ordine pubblico. Tale quindi, secondo il legale, da non garantire ai giudici “serenità di giudizio”. Quindi processo da rifare in altra sede. L’istanza di Cassiani è stata il vero colpo di scena dell’udienza che si sarebbe dovuta concludere oggi con la sentenza di primo grado. Le repliche dei difensori di parte civile sono state univoche. «Questa è un’eccezione – ha commentato poi Rossella Genovese, legale della Fiom-Cgil, costituitasi parte civile nel processo – palesemente infondata nel merito, fuori termine, non giustificata da elementi formali. È chiaro l’intento di dilatare i tempi di un processo già a rischio di prescrizione». Parzialmente concorde Riccardo Cattarini, legale di due imputati: «Un prolungamento del processo si poteva evitare visto che ci sono tante persone in attesa di avere giustizia». Alcuni legali contestano l’estremo ritardo con cui è stata presentata l’istanza di “rimessione del processo” dall’avvocato Cassiani («Ci sono state 91 udienze: ci fosse stato davvero un clima di tensione, l’istanza doveva arrivare assai prima»). Altri legali rilevano come «in gran parte delle udienze l’aula del Tribunale sia rimasta praticamente vuota. Altrochè tensioni». L’avvocato Cassiani, dal canto suo, smentisce che il suo sia stato un colpo di scena o tantomeno “di coda”: «La nostra istanza – commenta – non è mossa da spirito ostruzionistico, piuttosto da puro scrupolo: si basa su documenti documentati che lasciano trasparire una situazione ambientale di tensione e mobilitazione attorno a questa sentenza. La decisione del presidente Trotta di affidare la decisione alla Suprema Corte era l’unica possibile, imposta dal Codice. E non mi si dica – ha concluso – che ho trascurato i risvolti sociali di questa vicenda: il compito del difensore è moralmente e professionalmente quello di tutelare il proprio assistito». Ma perchè questa carta sia stata giocata solo in extremis? Non è escluso che sia stata in qualche modo “ispirata” dalla richiesta – rigettata dal presidente del Tribunale Trotta – di effettuare in aula riprese video e trasmetterle nella sala conferenze dell’ospedale di San Polo, avanzata il 2 maggio scorso dal procuratore capo della Repubblica Caterina Ajello, adducendo proprio ragioni di ordine pubblico.(f.m.)

 

Disorientamento tra i familiari delle vittime

«La nostra rabbia diventa sempre più frustrazione». «È un tormento che sembra non finire mai»

wGORIZIA Attoniti, disorientati i familiari dei morti per amianto dopo aver appreso dell’istanza presentata dall’avvocato Cassiani e del rinvio del processo. «Eravamo convinti di portare a casa un risultato, di metterci una pietra sopra: speravamo che le vedove, e non solo loro, potessero finalmente avere giustizia. Così non è stato, questa decisione non è davvero una bella cosa», commenta con amarezza Renzo Tripodi, esposto all’amianto. «Una delusione che ti fa capire quanto devi combattere per arrivare alla verità: una verità che non deve essere interpretata come volontà di vendetta ma di giustizia», dicono Annamaria e Raffaella, rispettivamente moglie e figlia di Enzo Bottegaro, scomparso 17 anni fa «rapidamente e dolorosamente», ricordano. «La nostra rabbia diventa sempre più frustrazione» continuano. «Certo, la speranza è l’ultima a morire ma l’impressione è che noi siamo troppo deboli per combattere ancora. E l’inevitabile esasperazione vorrebbe farci smettere di lottare». «Speravo si arrivasse a una conclusione. Invece, è un tormento che non sembra voler finire», chiosa un’altra vedova, Raffaella. «Il problema – aggiunge – è che nel 2013 non solo non si conosce la pericolosità dell’amianto ma di amianto ce n’è ancora: sembra che non possiamo liberarcene. Ma ciò non sembra interessare: i morti son morti, morti, tuttavia, che non dovevano morire. Mio marito, 13 anni fa, mi è stato rubato dopo aver molto sofferto per quello che lui definiva “un fuoco dentro”». Qualche reazione di sorpresa è giunta già mentre Cassiani presentava l’istanza. «Non è una questione morale? Deve essere una questione morale!», vociferava qualcuno mentre prendeva sempre più corpo il colpo di scena. Poi, appunto stupite, disorientate, le reazioni non si sono fatte attendere. Ma, più che di parlare, sembrava che i parenti dei morti di amianto avessero voglia di piangere, di restarsene soli col loro dolore, lasciarlo decantare. Un dolore che se il tempo non è riuscito a spazzare via è stato spazzato via dalla giustizia e dalle sue pieghe. «In fondo, a questa giustizia siamo ormai abituati» è un altro commento, subito ripreso: «No, non ci si abitua mai». Evidentemente, quel fuoco brucia ancora dentro. A spegnerlo non sono riuscite nemmeno le lacrime versate dalle mogli e dai figli dei canterini.

 

In tre anni sono state celebrate 92 udienze con più di cinquecento testimoni

Quella di ieri era la 92.a udienza del maxi-processo per l’amianto iniziato il 24 aprile 2010 quando sono stati riuniti due filoni dell’inchiesta che nel 2008 era stata avocata dalla Procura generale di Trieste. Gli imputati all’origine erano 41, scesi a 35 per la morte nel frattempo di sei di loro. I testimoni ascoltati sono stati 538, di questi 453 indicati dai pubblici ministeri e 85 dalla difesa e parti civili; 19 i consulenti tecnici proposti dalle due parti. Gli avvocati dei 35 imputati sono 21, 11 i legali che tutelano le parti civili rappresentate da familiari delle vittime, enti istituzionali (Regione, Provincia, Comune di Monfalcone, Inail)e sodalizi (Associazione esposti amianto, Fiom Cgil, Codacons Fvg). Corposa la documentazione prodotta dai pm: 140 faldoni, qualcosa come 270mila fogli. Documentazione che è stata prodotta anche on line grazie a un pool di 10 persone costituito dai pm Luigi Leghissa e Valentina Bossi, 6 appartenenti alle forze dell’ordine, 2 dirigenti del servizio prevenzione e sicurezza dell’Ass.

 

 

dal Messaggero Veneto del 26 giugno 2013

Processo amianto, decide la Cassazione FOTO

Slitta l’attesa sentenza per le morti ai cantieri di Monfalcone. Il tribunale ammette l’istanza di legittima suspicione

GORIZIA. Poteva essere la giornata della sentenza, quella che chiudeva un maxi-processo durato tre anni e che era attesa da centinaia di familiari di vittime dell’amianto. Imputati di omicidio colposo 35 persone tra vertici dell’ex Italcantieri e rappresentanti delle ditte appaltanti per la morte di 85 lavoratori dei cantieri.

Invece ci si è trovati dinanzi a un nuovo rinvio deciso dal giudice Matteo Trotta dopo che l’avvocato Alessandro Cassiani ha chiesto la rimessione del processo alla Corte di Cassazione per “legittima suspicione”. Un rinvio di un mese – la prossima udienza si terrà il 23 luglio – che ha comunque indispettito il pubblico presente, quasi tutti appartenenti all’Associazione esposti amianto.

Il colpo di scena è avvenuto all’inizio dell’udienza. Prima che il giudice desse la parola al pubblico ministero per la replica, si è alzato l’avvocato Alessandro Cassiani – difensore di Giorgio Tupini – per annunciare che stava depositando alla cancelleria penale la richiesta di rimessione del processo sostenendo che il tribunale non era nelle condizioni di pronunciare una sentenza in modo sereno ed equilibrato.

E adduceva come motivo le pressioni esercitate in questi giorni, gli articoli dei giornali e la richiesta, poi respinta, del Procuratore capo della Repubblica di autorizzare delle riprese in video-conferenza tra l’aula del Tribunale e la sala conferenze dell’ospedale di San Polo anche per evitare problemi di ordine pubblico che sarebbero potuti sorgere dalla presenza di un numero consistente di persone. Persone considerate alla stregua di fomentatori di violenze o disordini.

Ieri in tribunale a Gorizia nello spazio dedicato al pubblico c’erano si e no 50 persone, molto tranquille, come tranquille sono state le altre 91 udienze, celebrate per la stragrande maggioranza dinanzi a un pubblico che si contava sulle dita di una mano e caratterizzate anche dalle molteplici assenze dell’avvocato Cassiani che si è visto in aula praticamente solo durante la discussione.

È stato lo stesso giudice Trotta ad ammettere ieri che il processo si è svolto fino ad ora “senza alcun tipo di problema” legato a gravi situazioni locali tali da turbare lo svolgimento del processo come prevede l’art. 45 del Codice di procedura penale.

Contro la richiesta di Cassiani si sono espressi sia il pubblico ministero Valentina Bossi che gli avvocati che tutelano le parte civili, ma la decisione presa da Trotta, dopo 2 ore e 35 minuti di camera di consiglio, è stata sostanzialmente obbligata: secondo la giurisprudenza corrente dinanzi a una richiesta di rimessione, il giudice deve limitarsi a trasmetterla immediatamente alla Corte di Cassazione astenendosi dall’emettere la sentenza fino alla decisione che sarà presa dalla Suprema corte.

Corte che deve esprimersi entro 30 giorni. Lo farà? Tutti se lo auspicano anche perché il giudice Trotta, come da lui stesso ricordato ieri, sta per lasciare il tribunale di Gorizia destinato a quello di Trieste. Ci sono poi ragioni di economia processuale che spingono per una decisione in tempi brevi, cioè prima della pausa feriale.

A dire il vero Trotta avrebbe potuto completare il processo e arrivare alla sentenza con il rischio poi che, se la Cassazione avesse annullato tutto,si sarebbe ripartiti da zero. Come si ripartirà da zero se la Suprema corte accoglierà la richiesta di Cassiani e trasferirà il processo in un’altra sede, fuori della regione, e con un altro giudice. Novantun udienze buttate a mare, più di 500 testimonianze inutilizzabili, il rischio incombente della prescrizione. Insomma una bella pagina di malagiustizia.

 

 

Processo amianto ai cantieri altro rinvio. Parola alla Cassazione

La corte a Roma dovrà decidere sull’istanza di rimessione presentata da uno degli avvocati difensori di destinare il processo ad altra sede per legittima suspecione. La rabbia dei familiari delle vittime

GORIZIA. Processo per la morte nei cantieri di Monfalcone di 85 persone a causa dell’amianto. Dopo due ore di camera di consiglio il giudice del Tribunale di Gorizia Matteo Trotta ha disposto il rinvio dell’udienza finale al 23 luglio.

Nel frattempo la Cassazione dovrà esprimersi sull’istanza di rimessione presentata da uno degli avvocati difensori, Alessandro Cassiani, di destinare il processo ad altra sede per legittima suspicione, non ritenendo il clima per un giudizio sereno.

Attoniti alla lettura della decisione le tante vedove dei cantierini morti d’amianto che erano presenti, in silenzio, in aula. Per il vicesindaco Omar Greco “beffata ancora una volta la richiesta di giustizia di tanti monfalconesi”.

Al processo sono 39 (all’inizio erano 41 ma nelle more del processo due sono deceduti) gli imputati di omicidio colposo per la morte di 85 lavoratori dei cantieri di Monfalcone deceduti per malattie professionali legate all’esposizione all’amianto. La gran parte delle famiglie delle vittime costituitesi parte civile è uscita dal processo perché ha ottenuto il risarcimento-danni. Ma molti familiari, questa mattina, sono presenti in aula. Sino ad oggi nei tre anni di durata del processo si sono tenute 85 udienze, sentiti 538 testimoni, 19 i consulenti tecnici indicati dalle parti.

Sistiana: protesta degli operai a Portopiccolo

da Il Piccolo del 9 luglio 2013

 

Operai senza paga, ricevono assicurazione e scendono dalla gru a Portopiccolo

La Rizzani De Eccher disponibile ad anticipare loro il salario che avrebbero dovuto ricevere dalla GR Costruzioni

Sono scesi nel pomeriggio dalla gru del cantiere di Portopiccolo, a Sistiana, i tre operai che da stamani avevano messo in atto il gesto di protesta contro il mancato pagamento dello stipendio da parte della ditta «GR Costruzioni». Dopo una serie di sollecitazioni, anche da parte dei sindacati di categoria, l’azienda appaltatrice del complesso in via di costruzione, la Rizzani De Eccher, si è detta disponibile ad anticipare loro il salario, senza il quale gli operai (un cittadino senegalese e 11 egiziani) non riuscivano nemmeno a sostenere le spese di permanenza nel cantiere.

«Proprio a seguito delle irregolarità riscontrate a carico del subappaltatore, già nelle scorse settimane la Rizzani de Eccher aveva interrotto ogni rapporto con la società G.R. Costruzioni S.r.l.». Lo specifica la Rizzani, sottolineando di essersi assunta tra l’altro «l’onere di accertare ed eventualmente sanare le pendenze di quest’ultima nei confronti del personale che aveva svolto la propria attività presso il cantiere. Non si comprende pertanto quali siano le reali ragioni che hanno portato uno sparuto gruppo di lavoratori ad azioni di un tal tenore, volte a recare nocumento all’andamento dei lavori e all’immagine della Rizzani de Eccher», conclude la nota.

 

Monfalcone: Caso amianto il processo rischia lo stop

da Il Manifesto del 17 luglio 2013
http://www.ilmanifesto.it/area-abbonati/in-edicola/manip2n1/20130717/manip2pg/07/manip2pz/343239/

AMIANTO – PER GLI AVVOCATI DI FINCANTIERI IL PROCESSO VA SPOSTATO: I GIUDICI NON SONO SERENI

Nuovo rinvio per la fibra killer

Negli stabilimenti il colore della pelle e la nazionalità assegnano il posto di lavoro In alto gli italiani, a seguire gli altri. Gli ultimi sono bengalesi. Tutti a rischio di tumore
Monfalcone è sul mare ma il litorale se l’è mangiato il cantiere. Non ci arrivi a toccare le onde, ti tocca prendere l’auto e spostarti di qualche chilometro. Per vedere il mare devo salire sulla terrazza della sede dell’Anpi, che era un tempo il dopolavoro operaio dello stabilimento della Solvay. Ma anche da lì, gli occhi cadono prima su un supermercato e poi sulla ciminiera della centrale a carbone dell’Enel, infine sulle gru enormi della Fincantieri. Il mare è lontano, a Monfalcone, quanto la giustizia. Sembra a portata di mano, eppure c’è sempre qualche grande stabilimento a mettersi di mezzo.
Provo a avvicinarmi a piedi.
Cammino per il quartiere operaio di Panzano, a fianco del cantiere navale che ha visto morire per tumori correlati all’amianto così tanti operai. Tra i coibentatori, su 120 ne sono sopravvissuti solo quattro. Mi stupiscono i cocci di vetri rotti che sormontano il muro perimetrale. Mi chiedo se in passato quei cocci rotti siano bastati a impedire alle fibre killer di scavalcare il muro. Come il vetro tagliente, i mattoni dividono il cantiere dalle casette ordinate di chi ci lavora dentro: il rione Panzano è un esempio di villaggio operaio all’interno di una company town, la piccola città di un grande cantiere. Luca, la mia guida dell’Unione Sindacale Italiana, mi porta a visitare il monumento alle vittime dell’amianto, che sorge in una piazzetta nel cuore di Panzano. Riporta una frase emblematica di Massimo Carlotto: «Costruirono le stelle del mare/ li uccise la polvere/ li tradì il profitto». Carlotto e altri scrittori, artisti e intellettuali hanno sostenuto la lotta degli esposti e dei familiari delle vittime dell’amianto, ma rimane tanto da fare perché il nemico è ovunque: basta alzare gli occhi dal monumento e subito dietro vedo spuntare, irridente, una lastra di eternit. L’assassino è ancora sul luogo del delitto e va al funerale delle vittime. Sorrido amareggiato. Attraverso la strada, provo a visitare il museo della cantieristica monfalconese, ma a quell’ora è chiuso. Mi infilo allora in un bar di operai e condivido con alcuni compagni uno spritz, che da queste parti non è altro che un leggero vinello bianco allungato con l’acqua minerale fresca. Sfoglio i giornali locali mentre il gestore pela le patate col sigaro in bocca.
Un articolo riporta un commento, alla vigilia della sentenza Italcantieri, della signora Romana, la presidente dell’Afeva di Casale Monferrato. È anche lei parte di questa terra perché è nata a Salona d’Isonzo e si è trasferita a Casale solo perché con i nuovi confini, nel dopoguerra, lo stabilimento Eternit dove lavorava suo padre era rimasto in Jugoslavia. Non è un caso che in Slovenia, a Nova Gorica, ci sia un sindacato specifico che tutela gli esposti all’amianto. Sono tantissimi in quel paese.
Suona la sirena, è finito il turno. Esco immediatamente per vedere aprirsi i cancelli dello stabilimento. Per strada spuntano una miriade di operai in bicicletta e a piedi. Ci sono colori diversi, sia per la pelle che per le tute. I due elementi tra loro sono correlati: una miriade di subappalti con ditte private, ognuna con una sua tuta, e la presenza di una divisione del lavoro in termini di classe. Una scala che pone una classifica degli sfruttati dove la divisione non è solo di classe: sotto gli italiani, a fare i lavori più nocivi, ci sono gli istriani e in fondo a tutti i bengalesi.
La sera ci troviamo per parlare d’amianto e fare il punto della situazione con Chiara Paternoster dell’Associazione Esposti. Ci diamo appuntamento alle 8 del mattino di martedì 25 giugno. Arriviamo a Gorizia da Monfalcone in pulman. Purtroppo siamo in pochi e le poltroncine sono in gran parte vuote. Altre persone sono comunque già arrivate con i loro mezzi. Ci ritroviamo nella parte del tribunale che ospita il pubblico. Cinquanta persone, in gran parte anziani, molte vedove, qualche nipote che forse non ha mai conosciuto il nonno. Con qualche minuto di ritardo l’udienza si apre. Il giudice fa l’appello, gli imputati, perlopiù dirigenti della vecchia Italcantieri, che gestiva i cantieri navali prima della Fincantieri, sono tutti liberi e contumaci. L’avvocato di uno dei vertici dell’azienda prende subito parola mettendo le mani avanti. Comprende il dolore dei familiari ma… Attendo il colpo e non ci mette troppo ad arrivare. Le associazioni con i volantini, gli articoli, e i sit-in avrebbero creato un clima poco sereno che non metterebbe i giudici in grado di giudicare con tranquillità. Un clima che preoccupa e che può creare problemi di ordine pubblico, sostiene. Nel pubblico ci guardiamo allibiti. Io fisso quelle vedove, quei vecchi ammalati, quei nipotini tenuti in collo. Sono loro il problema d’ordine pubblico? L’avvocato va avanti. Chiede pertanto una remissione del processo. Una sorta di eccezione procedurale. Vale a dire spostare tutto armi e bagagli da un’altra parte, per ripartire da zero, per annullare la domanda di verità e giustizia di queste vedove e di questi bambini. A me sembra assurdo, mi vengono in mente quelle situazioni infantili, quando giocavamo a pallone: tu segnavi un gol ma te lo annullavano perché il pallone era sgonfio. Penso che i padroni sono come i bambini prepotenti: fanno le regole durante il gioco e le cambiano quando stanno per perdere.
I giudici si ritirano in aula di consiglio e non escono più. Passano due ore. Tanto, troppo tempo. Sono preoccupato. Telefono a mia madre, che vuole essere aggiornata: è stupita che nel telegiornale stavolta non abbiano detto nulla, al contrario del processo Eternit. Ma stavolta non si processano dei cattivi magnati stranieri, stavolta i padroni sono italiani, e sarà tutto più difficile, lei dico. Poi le racconto quel che è successo, le parole dell’avvocato sulla presunta lesione della serenità dei giudici. Lei mi stupisce con una riflessione perfetta nella sua semplicità: «i giudici non sarebbero sereni? Chissà quanto sono sereni i familiari degli operai!» Ha ragione la casalinga più del togato, anche stavolta. Che dovevamo fare? «Scusate se vi turbiamo col nostro malessere. Anche noi non siamo sereni». Andrebbe scritto in uno striscione e appeso in ogni balcone tra Monfalcone e Gorizia. Scusiate se siamo venuti al tribunale, ma non siamo riusciti ad andare al mare, perché a Monfalcone il mare è lontano.
Intanto andiamo a prenderci un caffè, parlo con un operaio dei cantieri navali in cassa integrazione. La legge Fornero l’ha fregato. Avrebbe dovuto già essere in pensione ma adesso servono più anni di contributi. Ha chiesto il prepensionamento anticipato per il lavoro a contatto con l’amianto ma per ora le cose non si sono messe bene. Scambio due parole con un altro attivista. Lui non è un operaio, ma il figlio di un operaio dei cantieri navali. E i cantieri gli hanno portato via il fratello, morto in un incidente. Altri operai mi raccontano che ai saldatori e ai coibentatori che lavoravano a contatto con la fibra assassina, l’impresa regalava mezzo litro di latte, «per digerire l’amianto». Il latte serviva solo per andare più spesso al cesso, all’amianto gli faceva un baffo.
Torniamo in tribunale appena in tempo. Rientra il giudice, annuncia l’aggiornamento dell’udienza al prossimo 23 luglio. Niente sentenza, per ora. Si attende anzi che la cassazione si pronunci per capire se il processo sarà spostato e quindi, di fatto, annullato. Ce ne andiamo con un senso di frustrazione: a Monfalcone il mare è lontano e la giustizia ha messo sul piatto della bilancia mezzo litro di latte. Non so se basterà a digerire questa giornata ingiusta.

 

da Il Piccolo del 15 luglio 2013

Pagina 1 – Gorizia-Monfalcone

Caso amianto Il processo rischia lo stop

La Cassazione non ha ancora deciso sull’annullamento per legittimo sospetto. Tutto potrebbe slittare all’autunno.

 

Pagina 15 – Gorizia-Monfalcone

Il processo amianto rischia un altro stop

La Cassazione non ha ancora deciso sull’annullamento per legittimo sospetto. Tutto potrebbe slittare all’autunno

Rischia di slittare ancora il processo per amianto che vede imputati di omicidio colposo 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti, per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. A 9 giorni dalla nuova udienza fissata dal giudice Matteo Trotta, non s’è ancora pronunciata la Cassazione in merito alla “legittima suspicione” sollevata il 24 giugno dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, che ha richiesto la rimessione del processo. È un passaggio decisivo, poichè la Suprema Corte dovrà stabilire se il procedimento potrà continuare, e quindi approdare a sentenza, oppure, invece, verrà annullato, dovendo ripartire da zero con il trasferimento in altra sede, fuori dalla regione, e con altro giudice. Secondo l’avvocato Cassiani, il Tribunale di Gorizia non sarebbe nelle condizioni di pronunciare la sentenza in modo sereno ed equilibrato. L’attesa si carica di interrogativi. Ad oggi non risulta sia ancora giunta la notifica da parte della Cassazione in merito all’udienza che dovrà sancire il trasferimento o meno del processo. Gli atti dovranno poi venire ritrasmessi al Tribunale goriziano. Entro il 24 luglio. Ci si chiede se bastino 9 giorni per sapere come andrà a finire. Il rischio è quello di veder slittare tutto dopo la pausa estiva, con un rinvio a settembre dell’udienza in Cassazione. L’eventuale sentenza finale del processo potrebbe quindi sortire solo in autunno. Semprechè il procedimento goriziano venga “salvato” da quel legittimo sospetto consentito dalla legge agli imputati per la ricusazione dei giudici. E semprechè Trotta, peraltro, non venga prima trasferito, come ha ricordato nell’ultima udienza. Ce n’è abbastanza per non dare nulla per scontato. Intanto incombe lo spettro del rifacimento del processo. Novantun udienze cancellate, più di 500 testimonianze inutilizzabili e il rischio-prescrizione. Un prezzo alto da pagare, a carico del cittadino. Ma soprattutto un prezzo morale e affettivo difficile da sostenere da parte dei famigliari delle vittime dell’amianto, per i quali la richiesta di giustizia sembra scontare le logiche di un sistema lontano dal diritto di avere risposte in tempi ragionevolmente congrui. L’avvocato Riccardo Cattarini, che difende uno degli imputati, ha osservato: «Ritardare la sentenza di un processo non serve mai a nessuno. Oltre alle persone offese che attendono giustizia, ci sono anche gli accusati, per i quali la stessa Procura ha chiesto l’assoluzione, che attendono con ansia». L’istanza di rimessione del processo era piombata all’improvviso. Annunciata a inizio udienza dall’avvocato Cassiani, che aveva spiegato come le pressioni esercitate nei giorni precedenti, gli articoli dei giornali e la richiesta, poi respinta, del Procuratore capo della Repubblica di autorizzare riprese in video-conferenza tra l’aula del Tribunale e la sala conferenze del San Polo, per evitare eventuali problemi di ordine pubblico, non garantivano ai giudici serenità di giudizio. Contro la richiesta del legale s’erano espressi il pm Valentina Bossi e gli avvocati delle parti civili. Il giudice Trotta, dopo 2 ore e mezza di camera di consiglio, s’era limitato a trasmettere tutto alla Cassazione, secondo la giurisprudenza corrente.

 

Amianto: nuovo stop per il processo.

da Il Piccolo del 24 luglio 2013 Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

Morti di amianto, udienza-lampo La sentenza slitta al 15 ottobre

La data subordinata al rigetto da parte della Cassazione del ricorso per “legittimo sospetto” Il procedimento sarà comunque concluso dal presidente Matteo Trotta, a breve trasferito a Trieste

MAXI-PROCESSO»SI ALLUNGANO I TEMPI

La sentenza del maxi-processo per le morti da amianto potrebbe essere emessa il prossimo 15 ottobre. È questa la data fissata dal giudice monocratico Matteo Trotta per riprendere il processo bloccatosi lo scorso 25 giugno per la richiesta di legittimo sospetto avanzata dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, ex dirigente dell’Italcantieri e uno dei principali imputati. Lo ha deciso ieri mattina il dottor Trotta nel corso di una breve udienza e dinanzi a una sala semivuota. Pochi gli avvocati presenti tra i quali Corrado Cassiani, Riccardo Cattarini, Francesco Donolato, Roberto Maniacco, Elisa Moratti e Mariarosa Platania; assente invece Cassiani. La data indicata dal giudice, per sua ammissione, è la più vicina possibile a quella del 24 settembre, giorno in cui la Corte di Cassazione deciderà sul legittimo sospetto. Trotta è stato chiarissimo e ha quasi tolto la parola all’avvocato Platania – tutela alcune famiglie di lavoratori morti e costituitesi parte civile – che chiedeva di anticipare l’udienza. «Lo dico chiaramente per tutti – ha detto Trotta quasi scandendo le parole – il 15 ottobre è la data più stretta possibile. Nell’ipotesi che il legittimo sospetto venisse accolto è necessario un determinato tempo per le le comunicazioni e le notifica della decisione alle parti, giudice compreso. In questo caso il processo sarebbe azzerato e riprendere daccapo in altra sede. Se la Suprema corte dovesse respingere invece la richiesta si procederà il 15 ottobre con le incombenze già fissate il 25 giugno scorso e cioè le repliche delle parti e la decisione del giudice». Come più volte detto un accoglimento del ricorso significherebbe azzerare tutto. È quasi certo – negli ambienti di Palazzo di giustizia lo danno per scontato – che nonostante il trasferimento a Trieste, il dottor Trotta sarà autorizzato a concludere il processo ormai giunto a un passo dal traguardo finale dopo ben 95 udienze. Anche sul legittimo impedimento, chiesto dall’avvocato Cassiani a nome del suo cliente, c’è un opinione diffusa tra gli addetti ai lavori che la Suprema corte rigetti il ricorso anche perché non appaiono valide le motivazioni adottate dal legale di Tupini. Chi ha seguito l’intero processo, snodatosi per oltre tre anni, ha potuto cogliere nel dibattimento tra le parti un clima sereno e tranquillo anche perché la quasi totalità delle udienze sono state seguite da pochissime persone. Solamente nella prima udienza e nell’ultima la sala riservata al pubblico era affollata ma si è trattato di non più di 50 persone che non hanno certo creato problemi di ordine pubblico. Il maxiprocesso, iniziato nell’aprile di tre anni fa, vede imputate 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti. Tutti devono rispondere di omicidio colposo per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. La Procura della Repubblica ha chiesto la condanna per i soli dirigenti dell’Italcantieri e l’assoluzione per gli altri, compresi gli addetti alla sicurezza. Nell’udienza del 15 ottobre l’accusa sarà rappresentata in aula dal solo pm Valentina Bossi perché l’altro pm, Luigi Leghissa, il 7 ottobre prenderà servizio alla Procura di Caltanisetta.

 

da Il Manifesto del 24 luglio 2013

Il processo sull’amianto rinviato a ottobre

La notizia è caduta come un macigno sui familiari delle vittime dell’amianto dei cantieri navali di Monfalcone. Lo scorso 24 giugno attendevano nel tribunale di Gorizia una sentenza che condannasse i vertici industriali per la morte di ottantacinque operai, ma l’avvocato Cassiani, difensore di un dirigente dell’ex Italcantieri, ha tentato una mossa d’arrocco in extremis presentando un’istanza di trasferimento del processo per legittima suspicione. Il giudice Matteo Trotta aveva fissato una nuova udienza per ieri, il 23 luglio, in attesa del parere della Cassazione, nella speranza di arrivare a sentenza visto il suo imminente trasferimento al tribunale di Trieste. Un nuovo colpo di scena è arrivato però pochi giorni fa, quando gli avvocati dei familiari degli operai hanno appreso che la Cassazione si esprimerà solo il prossimo 24 settembre. Nell’udienza di ieri al giudice non è rimasto altro che aggiornare al 15 ottobre, la prima data disponibile dopo il parere della Cassazione. Se la Corte Suprema dovesse spostare il processo, questo ripartirebbe da zero, con la possibilità che il reato cada in prescrizione. Una beffa, dopo novantuno udienze in tre anni, che si prenderebbe gioco della domanda di giustizia delle vedove e dei familiari degli operai uccisi dall’amianto, usato per coibentare le navi nei cantieri monfalconesi. Chiara Paternoster, portavoce dell’Associazione Esposti, non usa mezzi termini: «I familiari sono ormai sfiniti, in quindici anni hanno dovuto organizzare sit-in, chiedere l’intervento del Presidente Napolitano e dell’allora Procuratore generale presso la Corte d’Appello di Trieste, dott. Beniamino Deidda, per riuscire a veder celebrato questo processo». Come le Madri di Plaza de Mayo, i familiari degli operai hanno dovuto sfilare per mille giovedì davanti alla procura di Gorizia. E adesso la mossa della difesa degli imputati rischia di far cadere una pietra tombale sulle loro pretese di giustizia: «Confidiamo che venga riconosciuta l’assoluta infondatezza dell’eccezione di controparte, che il processo si chiuda presto e che giustizia sia fatta», aggiunge Paternoster. Quello dei familiari dei coibentatori esposti all’amianto, come ha scritto Enrico Bullian nel saggio Il mal e che non scompare , è stato un vero «calvario». I processi aprono delle ferite e senza una sentenza è difficile arrivare a elaborare il lutto. La speranza è che il processo rimanga a Gorizia e che il Csm rinvii il trasferimento del giudice titolare del processo o ne disponga l’applicazione a Gorizia nel tempo necessario per arrivare a sentenza. Per sapere come finiranno le storie giudiziarie di ottantacinque metalmeccanici di Monfalcone, uccisi da tumori correlati all’amianto, bisognerà aspettare con paziente tenacia il prossimo 24 settembre, tenendo ben presente, come gridano le Madri di Plaza de Mayo, che «l’unica battaglia che si perde è quella che si abbandona».

 

da Il Piccolo del 23 luglio 2013 Pagina 24 – Gorizia-Monfalcone

Amianto, udienza “apri e chiudi”

Garanzie affinchè il giudice Trotta, vicino al trasferimento a Trieste, possa concludere il maxi-processo

Un’udienza-lampo, apri e chiudi, limitandosi a fissare il rinvio dopo il 24 settembre. È quanto succederà questa mattina, al Tribunale di Gorizia, per il processo amianto che vede imputati di omicidio colposo 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti, per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. Risulta, infatti, ben difficile prevedere scenari diversi, considerata la rimessione degli atti da parte del presidente Matteo Trotta, alla Cassazione, in virtù dell’istanza per “legittima suspicione” sollevata dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, e motivata dal fatto che il Tribunale di Gorizia non sarebbe in grado di esprimere un giudizio sereno ed equilibrato. La Suprema Corte ha già stabilito la data del 24 settembre per decidere in merito all’accoglimento o meno dell’istanza di rimessione, decretando pertanto se andare ad un nuovo procedimento con il trasferimento di sede e altri giudici, oppure invece permettere al processo goriziano di concludersi con l’attesa sentenza. È evidente, pertanto, che il rinvio dell’odierna udienza, al Tribunale di Gorizia, non potrà che essere fissato oltre la data del 24 settembre. Tenendo conto dei passaggi di rito, come le notifiche, si potrebbe ipotizzare che la successiva udienza possa essere stabilita tra fine settembre e il mese di ottobre. Intanto, sembra che il Consiglio superiore della magistratura potrà autorizzare l’applicazione del presidente Matteo Trotta a Gorizia, al fine di completare, in un modo o nell’altro, il procedimento. Si tratta di un aspetto molto importante, proprio in vista del prossimo trasferimento del magistrato a Trieste, evitanto pertanto comunque un eventuale azzeramento del processo. La richiesta di rimessione per “legittimo sospetto” era stata avanzata dall’avvocato Alessandro Cassiani, durante l’ultima udienza del 24 giugno scorso, all’apertura del processo, per il quale veniva ormai dato per scontato il pronunciamento della sentenza. Il legale aveva quindi sostenuto che le pressioni esercitate nei giorni precedenti, gli articoli dei giornali e la richiesta, poi respinta, del Procuratore capo della Repubblica di autorizzare riprese in video-conferenza tra l’aula del Tribunale e la sala conferenze del San Polo, per evitare eventuali problemi di ordine pubblico, non garantivano ai giudici serenità di giudizio. Contro la richiesta del legale s’erano espressi il pm Valentina Bossi e gli avvocati delle parti civili. Il giudice Trotta, dopo 2 ore e mezza di camera di consiglio, s’era limitato a trasmettere tutto alla Cassazione, secondo la giurisprudenza corrente.

 

L’avvocato Cattarini: «Non ci sono elementi per paventare il legittimo sospetto»

L’avvocato Riccardo Cattarini, difensore di alcuni imputati, non condivide lo scenario alla base della richiesta di spostamento del maxi-processo amianto per “legittimo sospetto”. «La situazione è grave – afferma – perché se la richiesta di rimessione della questione ad altro giudice fosse accolta il processo dovrebbe essere rifatto, questa volta a Bologna. A me non pare che di questi problemi ce ne siano. La civilissima popolazione del nostro territorio non usa disturbare le udienze ed è rispettosissima delle istituzioni. Anche nelle udienze più combattute in Tribunale non c’è mai stato nulla che potesse far pensare a pressioni del pubblico sul giudice. Dubitare della regolarità del processo sin qui, e dell’imparzialità del Tribunale, è davvero opinione che non si può condividere. C’è invece una forte domanda di giustizia, sia dagli ammalati che da coloro che hanno perduto i loro cari sia da coloro che sono stati trascinati in una vicenda processuale durissima ritenendosi innocenti. La Cassazione ha comunicato che solo il 24 settembre deciderà se il processo si sia svolto in modo regolare o se dovrà essere ricelebrato daccapo. Quindi nessuna sentenza oggi a Gorizia, tutti dovranno attendere».

 

 

da Il Piccolo del 20 luglio 2013

 

Maxi-processo amianto, si teme l’azzeramento

Forte preoccupazione a Monfalcone per lo slittamento al 24 settembre della pronuncia della Cassazione che ha già causato il rinvio della sentenza

 

MONFALCONE È forte la preoccupazione per il rischio di veder saltare il processo-amianto, procedimento-pilota per il quale sono imputate 35 persone dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. La Cassazione deciderà solo il 24 settembre sul “legittimo sospetto”. E a complicare tutto il prossimo trasferimento del presidente Matteo Trotta. C’è delusione nel Monfalconese e nell’Isontino. La vicenda è già stata paragonata ad un secondo “caso Ilva”. Non manca il grande senso di incertezza, espresso dagli amministratori del Comune di Monfalcone, dai sindacati e dall’Associazione esposti amianto, costituitisi parte civile al processo.

Perchè è evidente la paura di ritrovarsi con «un pugno di mosche», ora che la Suprema Corte ha fissato l’udienza al 24 settembre per decidere in merito alla rimessione del processo in virtù della “legittima suspicione” richiesta dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, nell’ultima udienza, il 24 giugno. Secondo il legale, il Tribunale di Gorizia non sarebbe nelle condizioni di pronunciare un giudizio sereno ed equilibrato.

Intanto il presidente Matteo Trotta è in procinto di lasciare Gorizia. Si teme che, qualora non intervenga una sorta di “proroga” o un “distaccamento” del magistrato, si debba comunque ricominciare da capo, con un altro giudice. Cgil e Aea lanciano un appello alla magistratura, affinchè Trotta possa portare a termine il suo compito. Il segretario provinciale della Cgil, Paolo Liva, spiega: «Uno dei nostri legali che ci rappresenta ha prospettato scenari pesanti. Per come stanno le cose, tutte le prospettive sono aperte. Può succedere di tutto. Tra l’attesa del pronunciamento della Cassazione, che avverrà solo il 24 settembre, il trasferimento del presidente Trotta e le inevitabili dilazioni dei tempi, c’è da temere che diventi impossibile arrivare alla sentenza del procedimento. Sembra di assistere a un secondo “caso Ilva”. È inammissibile ritardare la giustizia – continua il sindacalista – su una questione così rilevante come le morti di amianto. Beniamino Deidda, nel 2008, in qualità di procuratore generale presso la Corte d’Appello di Trieste, avviò la “corsia preferenziale” costituendo un pool di magistrati. In gioco c’è il diritto alla giustizia per i famigliari delle vittime, ma anche la necessità di un riconoscimento delle responsabilità di fronte a un territorio duramente colpito. È una questione sociale, per la quale una giustizia lenta diventa pericolosa, poichè finisce per normalizzare responsabilità che invece sono molto gravi».

Liva chiede quantomeno che il presidente Trotta «prenda in mano la situazione anche in qualità di presidente del Tribunale di Trieste». Il segretario della Cgil aggiunge: «Con i nostri uffici vertenze, anticipando i tempi avevamo intrapreso il percorso extragiudiziale per il riconoscimento del danno differenziale, un percorso più rapido, utile anche a raccogliere elementi probanti e spendibili per il processo penale. A questo punto, rischia di diventare l’unica forma di giustizia per i famigliari delle vittime e per il territorio». Chiara Paternoster, dell’Associazione esposti amianto, da parte sua osserva: «Esprimiamo forte preoccupazione per la decisione della Cassazione di fissare l’udienza in merito al “legittimo sospetto” solo il 24 settembre. Lo riteniamo molto grave, anche perchè ora il problema è che il presidente Trotta verrà trasferito. Qualora la Cassazione, come ci auguriamo, non accoglierà la rimessione del processo, resta il rischio, vista la dilatazione dei tempi, di un azzeramento del procedimento, dovendo nominare un altro giudice». Quindi aggiunge: «C’è da sperare che il Csm, o l’organismo preposto, comprenda la necessità di chiudere questo processo, per garantire la certezza del diritto alla giustizia». Paternoster confida, inoltre, che la Suprema Corte «dichiari infondata la paradossale eccezione sollevata in ordine al “legittimo sospetto”, avvenuta alla 91.a udienza, in un contesto di assoluta serenità, a fronte solo di una richiesta di giustizia da parte dei famigliari delle vittime. Famigliari che hanno sempre manifestato grande dignità e pazienza, considerati i meccanismi del sistema giudiziario».

Il vicesindaco Omar Greco esprime stupore e sgomento: «Il legittimo sospetto a mio avviso è palesemente infondato, è solo un modo per dilatare i tempi. È piuttosto squallido lo spettacolo al quale stiamo assistendo, di fronte alla portata della questione-amianto nel nostro territorio. Mi auguro che la Suprema Corte rigetti la richiesta di rimessione, poichè è impensabile il trasferimento del processo in altra sede. C’è poi il trasferimento del presidente Trotta ed il rischio che la sentenza possa slittare oltremodo, altro aspetto che mi irrita molto. Voglio sperare che venga, invece, data al più presto una risposta di giustizia».

 

 

da Il Piccolo del 19 luglio 2013

Amianto, nuovo stop per il processo

La Cassazione deciderà sul legittimo sospetto il 24 settembre. L’udienza fissata a Gorizia per martedì slitterà all’autunno

Nuovo rinvio per il processo-amianto. Imputati di omicidio colposo 35 persone tra i vertici dell’ex Italcantieri e i rappresentanti delle ditte appaltanti, per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. Ieri la Cassazione ha fissato nella giornata del 24 settembre l’udienza per decidere in merito alla “legittima suspicione” sollevata il 24 giugno dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, che aveva richiesto la rimessione del procedimento. La Suprema Corte dovrà stabilire se il processo potrà continuare, e quindi approdare a sentenza, oppure, invece, verrà annullato, con il trasferimento in altra sede, fuori dalla regione, e con altro giudice. Secondo Cassiani, il Tribunale di Gorizia non sarebbe nelle condizioni di pronunciare la sentenza in modo sereno ed equilibrato. La data del 24 settembre stabilita dalla Cassazione costringerà giocoforza a rinviare anche l’udienza fissata dal giudice Matteo Trotta per martedì. Il tutto in attesa di conoscere l’esito della Suprema Corte sulle sorti del procedimento che lo scorso 24 giugno sembrava ormai avviato alla sentenza. A questo punto, i tempi si dilatano. Quantomeno la successiva udienza al Tribunale isontino dovrà essere calendarizzata dopo il 24 settembre. Tenendo conto delle relative notifiche, tutto potrebbe slittare tra fine settembre e ottobre, se non oltre. Semprechè il procedimento goriziano venga “salvato” dal legittimo sospetto consentito dalla legge agli imputati per la ricusazione dei giudici. Intanto il giudice Trotta si prepara al trasferimento, previsto a fine mese. È possibile, tuttavia, che sortisca una “proroga” permettendo al magistrato di concludere il procedimento al momento ancora sub judice.

Intanto resta la spada di Damocle del rifacimento del processo qualora la Cassazione decida di accogliere l’istanza sollevata dall’avvocato Cassiani. Novantun udienze e oltre 500 testimonianze finite nel nulla, con il rischio-prescrizione. La richiesta di rimessione del processo era stata annunciata a inizio udienza, il 24 giugno, dal legale che aveva spiegato come le pressioni esercitate nei giorni precedenti, gli articoli dei giornali e la richiesta, poi respinta, del Procuratore capo della Repubblica di autorizzare riprese in video-conferenza tra l’aula del Tribunale e la sala conferenze del San Polo, per evitare eventuali problemi di ordine pubblico, non garantivano ai giudici serenità di giudizio. Contro l’istanza s’erano espressi il pm Valentina Bossi e gli avvocati delle parti civili. Trotta s’era limitato a trasmettere gli atti alla Cassazione, come da prassi procedurale.

 

 

Alberto Prunetti su Il Manifesto del 17 luglio 2013

 

AMIANTO – Per gli avvocati di Fincantieri il processo va spostato: i giudici non sono sereni

Nuovo rinvio per la fibra killer

Negli stabilimenti il colore della pelle e la nazionalità assegnano il posto di lavoro In alto gli italiani, a seguire gli altri. Gli ultimi sono bengalesi. Tutti a rischio di tumore

Monfalcone è sul mare ma il litorale se l’è mangiato il cantiere. Non ci arrivi a toccare le onde, ti tocca prendere l’auto e spostarti di qualche chilometro. Per vedere il mare devo salire sulla terrazza della sede dell’Anpi, che era un tempo il dopolavoro operaio dello stabilimento della Solvay. Ma anche da lì, gli occhi cadono prima su un supermercato e poi sulla ciminiera della centrale a carbone dell’Enel, infine sulle gru enormi della Fincantieri. Il mare è lontano, a Monfalcone, quanto la giustizia. Sembra a portata di mano, eppure c’è sempre qualche grande stabilimento a mettersi di mezzo.
Provo a avvicinarmi a piedi.
Cammino per il quartiere operaio di Panzano, a fianco del cantiere navale che ha visto morire per tumori correlati all’amianto così tanti operai. Tra i coibentatori, su 120 ne sono sopravvissuti solo quattro. Mi stupiscono i cocci di vetri rotti che sormontano il muro perimetrale. Mi chiedo se in passato quei cocci rotti siano bastati a impedire alle fibre killer di scavalcare il muro. Come il vetro tagliente, i mattoni dividono il cantiere dalle casette ordinate di chi ci lavora dentro: il rione Panzano è un esempio di villaggio operaio all’interno di una company town, la piccola città di un grande cantiere. Luca, la mia guida dell’Unione Sindacale Italiana, mi porta a visitare il monumento alle vittime dell’amianto, che sorge in una piazzetta nel cuore di Panzano. Riporta una frase emblematica di Massimo Carlotto: «Costruirono le stelle del mare/ li uccise la polvere/ li tradì il profitto». Carlotto e altri scrittori, artisti e intellettuali hanno sostenuto la lotta degli esposti e dei familiari delle vittime dell’amianto, ma rimane tanto da fare perché il nemico è ovunque: basta alzare gli occhi dal monumento e subito dietro vedo spuntare, irridente, una lastra di eternit. L’assassino è ancora sul luogo del delitto e va al funerale delle vittime. Sorrido amareggiato. Attraverso la strada, provo a visitare il museo della cantieristica monfalconese, ma a quell’ora è chiuso. Mi infilo allora in un bar di operai e condivido con alcuni compagni uno spritz, che da queste parti non è altro che un leggero vinello bianco allungato con l’acqua minerale fresca. Sfoglio i giornali locali mentre il gestore pela le patate col sigaro in bocca.
Un articolo riporta un commento, alla vigilia della sentenza Italcantieri, della signora Romana, la presidente dell’Afeva di Casale Monferrato. È anche lei parte di questa terra perché è nata a Salona d’Isonzo e si è trasferita a Casale solo perché con i nuovi confini, nel dopoguerra, lo stabilimento Eternit dove lavorava suo padre era rimasto in Jugoslavia. Non è un caso che in Slovenia, a Nova Gorica, ci sia un sindacato specifico che tutela gli esposti all’amianto. Sono tantissimi in quel paese.
Suona la sirena, è finito il turno. Esco immediatamente per vedere aprirsi i cancelli dello stabilimento. Per strada spuntano una miriade di operai in bicicletta e a piedi. Ci sono colori diversi, sia per la pelle che per le tute. I due elementi tra loro sono correlati: una miriade di subappalti con ditte private, ognuna con una sua tuta, e la presenza di una divisione del lavoro in termini di classe. Una scala che pone una classifica degli sfruttati dove la divisione non è solo di classe: sotto gli italiani, a fare i lavori più nocivi, ci sono gli istriani e in fondo a tutti i bengalesi.
La sera ci troviamo per parlare d’amianto e fare il punto della situazione con Chiara Paternoster dell’Associazione Esposti. Ci diamo appuntamento alle 8 del mattino di martedì 25 giugno. Arriviamo a Gorizia da Monfalcone in pulman. Purtroppo siamo in pochi e le poltroncine sono in gran parte vuote. Altre persone sono comunque già arrivate con i loro mezzi. Ci ritroviamo nella parte del tribunale che ospita il pubblico. Cinquanta persone, in gran parte anziani, molte vedove, qualche nipote che forse non ha mai conosciuto il nonno. Con qualche minuto di ritardo l’udienza si apre. Il giudice fa l’appello, gli imputati, perlopiù dirigenti della vecchia Italcantieri, che gestiva i cantieri navali prima della Fincantieri, sono tutti liberi e contumaci. L’avvocato di uno dei vertici dell’azienda prende subito parola mettendo le mani avanti. Comprende il dolore dei familiari ma… Attendo il colpo e non ci mette troppo ad arrivare. Le associazioni con i volantini, gli articoli, e i sit-in avrebbero creato un clima poco sereno che non metterebbe i giudici in grado di giudicare con tranquillità. Un clima che preoccupa e che può creare problemi di ordine pubblico, sostiene. Nel pubblico ci guardiamo allibiti. Io fisso quelle vedove, quei vecchi ammalati, quei nipotini tenuti in collo. Sono loro il problema d’ordine pubblico? L’avvocato va avanti. Chiede pertanto una remissione del processo. Una sorta di eccezione procedurale. Vale a dire spostare tutto armi e bagagli da un’altra parte, per ripartire da zero, per annullare la domanda di verità e giustizia di queste vedove e di questi bambini. A me sembra assurdo, mi vengono in mente quelle situazioni infantili, quando giocavamo a pallone: tu segnavi un gol ma te lo annullavano perché il pallone era sgonfio. Penso che i padroni sono come i bambini prepotenti: fanno le regole durante il gioco e le cambiano quando stanno per perdere.
I giudici si ritirano in aula di consiglio e non escono più. Passano due ore. Tanto, troppo tempo. Sono preoccupato. Telefono a mia madre, che vuole essere aggiornata: è stupita che nel telegiornale stavolta non abbiano detto nulla, al contrario del processo Eternit. Ma stavolta non si processano dei cattivi magnati stranieri, stavolta i padroni sono italiani, e sarà tutto più difficile, lei dico. Poi le racconto quel che è successo, le parole dell’avvocato sulla presunta lesione della serenità dei giudici. Lei mi stupisce con una riflessione perfetta nella sua semplicità: «i giudici non sarebbero sereni? Chissà quanto sono sereni i familiari degli operai!» Ha ragione la casalinga più del togato, anche stavolta. Che dovevamo fare? «Scusate se vi turbiamo col nostro malessere. Anche noi non siamo sereni». Andrebbe scritto in uno striscione e appeso in ogni balcone tra Monfalcone e Gorizia. Scusiate se siamo venuti al tribunale, ma non siamo riusciti ad andare al mare, perché a Monfalcone il mare è lontano.
Intanto andiamo a prenderci un caffè, parlo con un operaio dei cantieri navali in cassa integrazione. La legge Fornero l’ha fregato. Avrebbe dovuto già essere in pensione ma adesso servono più anni di contributi. Ha chiesto il prepensionamento anticipato per il lavoro a contatto con l’amianto ma per ora le cose non si sono messe bene. Scambio due parole con un altro attivista. Lui non è un operaio, ma il figlio di un operaio dei cantieri navali. E i cantieri gli hanno portato via il fratello, morto in un incidente. Altri operai mi raccontano che ai saldatori e ai coibentatori che lavoravano a contatto con la fibra assassina, l’impresa regalava mezzo litro di latte, «per digerire l’amianto». Il latte serviva solo per andare più spesso al cesso, all’amianto gli faceva un baffo.
Torniamo in tribunale appena in tempo. Rientra il giudice, annuncia l’aggiornamento dell’udienza al prossimo 23 luglio. Niente sentenza, per ora. Si attende anzi che la cassazione si pronunci per capire se il processo sarà spostato e quindi, di fatto, annullato. Ce ne andiamo con un senso di frustrazione: a Monfalcone il mare è lontano e la giustizia ha messo sul piatto della bilancia mezzo litro di latte. Non so se basterà a digerire questa giornata ingiusta.

Monfalcone: salvo il maxi-processo amianto

da Il Piccolo GIOVEDÌ, 26 SETTEMBRE 2013, Pagina 26 – Gorizia-Monfalcone

Ricorso respinto, salvo il maxi-processo

Il dibattimento potrà concludersi il 15 ottobre in tribunale a Gorizia. L’imputato Tupini condannato alle spese di giudizio

AMIANTO»LA CASSAZIONE DICE NO ALLA LEGITTIMA SUSPICIONE

Il maxi-processo all’amianto resta a Gorizia. La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso dell’imputato Giorgio Tupini, 91 anni, primo presidente dell’Italcantieri, che chiedeva il trasferimento del processo ad altra sede per legittimo sospetto. Bisognerà attendere il deposito per capire le motivazioni dell’ordinanza, deposito che potrebbe avvenire entro l’udienza del 15 ottobre. Ma già dal dispositivo, depositato ieri mattina alle 10 alla cancelleria del “Palazzaccio” di piazza Cavour, si può intuire che la Suprema Corte ha ritenuto infondati i motivi adotti dall’imputato, difeso dall’avvocato Alessandro Cassiani, e che non c’è alcun tipo di problema legato a situazioni locali che possano alterare un giudizio sereno ed equilibrato come aveva invece sostenuto il legale nell’udienza del 25 giugno scorso quando aveva annunciato la richiesta di rimessione del processo per “legittima suspicione”. La Cassazione ha poi condannato Tupini al pagamento delle spese di giudizio. La decisione della Cassazione ha fatto tirare un sospiro di sollievo a quanti – dal Tribunale alla Procura, alle parti civili – temevano che un accoglimento del ricorso avrebbe azzerato un lavoro giudiziario di oltre tre anni ma soprattutto impedito di dare una risposta a una domanda di giustizia che da anni viene sollevata dai familiari degli esposti all’amianto e dalla società civile. C’era poi un forte rischio che con il maxi-processo anche gli altri procedimenti legati all’esposizione all’amianto, già incardinati al tribunale di Gorizia, venissero bloccati ponendo praticamente fine a un’inchiesta che la Procura goriziana porta avanti da alcuni anni. «Mi pare che la Cassazione abbia trovato una soluzione giusta – ha detto l’avvocato Riccardo Cattarini -. Non si trattava solo, come diceva qualcuno, di salvare un processo, ma di fornire una soluzione giudiziaria a un problema che ha attanagliato il nostro territorio. Spero solo – ha aggiunto il legale – che domani, assieme alla soluzione giudiziaria, arrivino anche le soluzioni reali del problema». Soddisfazione è stata espressa anche dall’avvocato Francesco Donolato, che tutela la Provincia costituitasi parte civile: «Conforta anche anche la Cassazione ha convenuto che il tessuto sociale dell’Isontino non ha creato nessun problema. La convenzione c’era prima e oggi ha trovato confronto anche nella decisione della Suprema Corte». Dunque, il maxi-processo riprenderà il prossimo 15 ottobre dal punto in cui si era bloccato nell’udienza di giugno. Il giudice monocratico renderà noto le decisioni delle Cassazione e si passerà poi alle possibili repliche del pubblico ministero – la parte dell’accusa sarà rappresentata solo da Valentina Bossi dopo il trasferimento di Luigi Leghissa a Caltanissetta – e degli avvocati difensori e di parte civile sempre che i legali degli imputati non sollevino qualche altri inghippo procedurale. E possibile che non ci siano repliche ed è quasi certo comunque che in giornata il giudice Matteo Trotta entri in camera di consiglio per emettere la sentenza. Ricordiamo che i pm avevano chiesto la condanna per complessivi 70 anni di 13 dirigenti dell’ex Italcantieri accusati di omicidio colposo per la morte di 85 lavoratori dei cantieri. L’assoluzione perché il fatto non sussiste è stata richiesta invece per i rappresentanti delle ditte appaltanti e per i dipendenti dei cantieri responsabili della sicurezza.

 

«È STATA SCONGIURATA UN’INGIUSTIZIA»

Il presidente Aea, Cuscunà: «Anche i morti si sarebbero ribellati a una decisione diversa»

«Fosse arrivata una decisione diversa dalla Cassazione, ci sarebbe stato il terremoto in cimitero. Anche i morti si sarebbero ribellati». Per Carmelo Cuscunà, novant’anni, presidente dell’Associazione esposti all’amianto, esposto lui stesso per decenni in cantiere, quella di ieri è stata una mattina di sollievo. «Ciò che è accaduto in tribunale a fine giugno (il ricorso per legittimo sospetto, ndr) – aggiunge – è stata solo una speculazione per allungare i tempi del processo e sperare così nella prescrizione. E per questo si è tentato di farci passare per terroristi. La nostra è stata una battaglia lunga e difficile, per troppo tempo inutile. Ci hanno snobbato la Regione, l’Azienda sanitaria, molte istituzioni. Voglio qui ringraziare il presidente Napolitano che è riuscito a smuovere delle acque che si stavano intorpidendo». Ora però il processo potrà proseguire. Anzi, se Dio vuole, il 15 ottobre potrebbe anche concludersi, dopo 91 udienze. Anche per Chiara Paternoster, avvocato ma in questa vicenda «semplicemente volontaria dell’Aea», quella giunta ieri da Roma è stata una «bella notizia in cui tutti speravamo». «Il ricorso dell’avvocato Cassiani – afferma – è stato una iniziativa pretestuosa. Un’eccezione comprensibile solo se si considera il ruolo del difensore, ma moralmente inaccettabile. La nostra associazione ma anche tutti gli altri soggetti coinvolti nella vicenda amianto – spiega – hanno sempre agito nel rispetto delle regole, mai sopra le righe o istigando alla violenza. Non si poteva far passare per “forti condizionamenti della serenità di giudizio del giudice” iniziative civili, valutazioni sacrosante o preoccupazioni del tutto comprensibili. Ora finalmente andremo alla sentenza, forse già il 15 ottobre. Io confido che in quella giornata le richieste del pm siano accolte in pieno dal giudice. E confido, lanciando un invito, che nell’occasione in tribunale ci possa essere una folta presenza di cittadini, sindaci, istituzioni, per far sentire a tutti che quella sentenza non appartiene solo alle vittime e alle loro famiglie ma a tutta la comunità monfalconese».

 

Greco: riconosciuta la civiltà della nostra gente

«Ora confidiamo nella sentenza». Francovig: «Vittoria parziale. Il dramma va affrontato alla radice»

«Questo ostacolo è stato superato, ora aspettiamo la sentenza del 15 ottobre. Certo saremo tutti lì a sostenere la richiesta di giustizia che ci viene da tutta la cittadinanza». Il vicesindaco e segretario provinciale del Pd Omar Greco non nasconde la sua soddisfazione per la decisione della Cassazione di respingere il ricorso per “legittimo sospetto” presentato dall’avvocato Cassiani. «Quel ricorso – spiega Greco – era palesemente infondato e fuori luogo. Aveva messo ingiustificatamente in dubbio la civiltà delle famiglie così colpite e della nostra gente che hanno invece sempre affrontato il dramma amianto e le fasi del maxi-processo con compostezza, dignità e rispetto della giustizia. Ora attendiamo tutti con fiducia la sentenza, sperando che venga fatta giusizia». «Sollievo sì. Soddisfazione anche, ma solo in parte. Ci sarebbe mancato altro che la Cassazione avesse accolto il ricorso…». Luigino Francovig, uno dei testi-chiave nel maxi-processo amianto, non si lascia troppo incantare dalla decisione della Corte. «Che il processo possa concludersi con una giusta sentenza – dice Francovig – certo è un fatto positivo ma parziale. Da qui deve assolutamente partire un progetto complessivo che porti alla scomparsa dell’amianto dai nostri territori, a un piano per lo smaltimento, alla creazione di centri specializzati per la cura degli ammalati, a strutture di ricerca. Senza un progetto complessivo nessuna sentenza può dirsi decisiva. Come non lo sarebbero nemmeno i risarcimenti alle famiglie delle vittime e agli ammalati, peraltro doverosi. Non è così che l’Italia si dimostra un Paese civile. Da una ricerca, illustrata dal professor Veronesi, risulta che, in condizioni normali, chi ha placche da amianto ha il 6% di probabilità di ritrovarsi con un mesotelioma. Probabilità che aumentano al 59% in un ambiente inquinato, come il nostro a Monfalcone. Qui sta il problema: l’amianto è uno degli aspetti, il più terribile, dell’inquinamento prodotto dalle industrie. Ecco perchè andrebbe costituita una Fondazione sovvenzionata dalle aziende inquinanti con cui risarcire vittime e ammalati, ma anche sostenere la ricerca e il risamento ambientale».

 

TGR ore 19.30 del 25 settembre 2013  su facebook

 

da Il Piccolo del MERCOLEDÌ, 25 SETTEMBRE 2013 Pagina 26 – Gorizia-Monfalcone

Amianto, oggi la decisione della Corte

Chiesto dal procuratore generale il rigetto del ricorso per “legittima suspicione”. In tarda mattinata sarà nota l’ordinanza

CASSAZIONE»DISCUSSIONE FINO A TARDA SERA

Bisognerà attendere questa mattina per conoscere le decisioni della Corte di Cassazione sulla legittima suspicione chiesta per il maxiprocesso sull’amianto che si sta celebrando al tribunale di Gorizia e che è giunto alle battute finali. A tarda sera era ancora in corso la discussione nel Palazzaccio di piazza Cavour, a Roma, e i giudici hanno fatto sapere che l’ordinanza con le decisione prese sarà depositata in cancelleria questa mattina. Ordinanza che respingerà il ricorso oppure, accogliendolo, fisserà una nuova sede per il processo che dovrà ricominciare ex novo buttando a mare quanto fatto finora dal tribunale goriziano. Il ricorso presentato dall’avvocato Alessandro Cassiani, difensore di Giorgio Tupini, ex presidente dell’Italcantieri e uno dei principali imputati nel processo, era all’ultimo posto nella scaletta dell’udienza di ieri e quindi il suo esame è iniziato solo nel tardo pomeriggio. Si sa solo che il procuratore generale al termine di una requisitoria ampia nella quale ha esaminato l’intera questione ha chiesto che il ricorso venga rigettato e che il processo rimanga incardinato al tribunale goriziano. Cassiani aveva sollevato la legittima suspicione dinanzi al giudice monocratico Matteo Trotta nell’udienza dello scorso 25 giugno, quella che avrebbe potuto essere la conclusiva dopo che il dibattimento e la discussione si erano protratti per oltre tre anni -la prima udienza si era tenuta nell’aprile 2010 – con l’escussione di oltre 500 tra testimoni e consulenti. La sola requisitoria dei due pubblici ministeri Luigi Leghissa e Valentina Bossi, aveva occupato ben sei udienze e si era conclusa con la richiesta di 13 condanne per i vertici dell’ex Italcantieri per un pena complessiva di 70 anni. Cassiani, alla quale si erano poi accodati altri difensori, aveva chiesto la rimessione del processo alla Suprema Corte sostenendo che il tribunale di Gorizia non era nelle condizioni di pronunciare una sentenza in modo sereno ed equilibrato. Il legale paventava problemi di ordine pubblico e una certa pressione esercitata in quei giorni anche dai media. Ai più la mossa di Cassiani, che ben poche volte si è visto nell’aula dove si celebrava il processo, è apparsa come un ultimo tentativo di allungare i tempi di un procedimento e arrivare, in caso di accoglimento della legittima suspicione, alla prescrizione. Perché le 91 udienze si sono svolte in un clima sereno e tranquillo, seguito da poche persone tra il pubblico, e i toni salivano solamente per alcuni scontri verbali tra avvocati e pm, che fanno parte tra l’altro di quel gioco delle parti che spesso avviene in un processo. Il giudice Trotta, pur sottolineando proprio che il processo si è svolto senza alcun tipo di problema, non aveva potuto altro che prendere atto della rimessione chiesta dall’avvocato Cassiani e trasmettere, secondo quanto prevede l’articolo 45 del Codice di procedura penale, gli atti alla Corte di Cassazione. A dire il vero avrebbe, in attesa di conoscere la decisione della Suprema corte, potuto continuare il processo arrivando alla sentenza – mancavano solo le eventuali repliche prima della camera di consiglio – ma con il rischio di veder annullati tutti gli atti nel caso di accoglimento del ricorso. Un rischio che il giudice non ha voluto correre. Dove potrebbe finire il processo se la Cassazione darà ragione a Cassiani? Una delle sedi prescelte potrebbe essere Bologna; da escludere sono tribunali come quelli di Venezia e Palermo dove già ci sono svolti processi per morti causate dall’assunzione di amianto terminate con dure condanne. Oppure sedi come Napoli, Genova o Ancona dove è presente la Fincantieri con propri cantieri navali. Ma sono ipotesi che a Monfalcone nessuno vuole considerare.

Processo amianto: padroni assassini! Tutti condannati.

da Il Piccolo del 16 ottobre 2013

Pagina 1 – Prima Pagina

Amianto, 13 condanne per 85 morti

Sentenza a Gorizia: la pena più alta (oltre 7 anni) agli ex direttori di Italcantieri

I vertici dell’ex Italcantieri sono responsabili della morte di 85 lavoratori del cantiere di Monfalcone deceduti per le malattie professionali legate all’esposizione all’amianto. Lo afferma la sentenza che ieri pomeriggio è stata emessa dal Tribunale di Gorizia dal giudice monocratico Matteo Trotta dopo una camera di consiglio durata sei ore e mezza. Alla lettura della sentenza erano presenti numerosi familiari delle vittime. Tredici le condanne per omicidio colposo per una pena complessiva di 55 anni e 8 mesi. Di questi, 7 anni e mezzo (la pena maggiore) sono andati ai due ex direttori del cantiere, Vittorio Fanfani e Manlio Lippi. Riconosciuti anche dal giudice i risarcimenti a tutte le parti civili. Soddisfatta l’Associazione esposti amianto.

 

REAZIONI

Le vedove: «Ora tutti sanno chi ha ucciso i nostri cari»

 

Pagina 18 – Regione

Tredici condanne per l’amianto killer

Emessa la sentenza del processo per la morte di 85 cantierini: 55 anni e 8 mesi ai vertici Italcantieri per omicidio colposo

GORIZIA I vertici dell’ex Italcantieri sono responsabili della morte dei lavoratori del cantiere di Panzano deceduti per le malattie professionali legate all’esposizione all’amianto. Lo afferma la sentenza che ieri pomeriggio è stata emessa al tribunale di Gorizia dal giudice monocratico Matteo Trotta dopo una camera di consiglio durata sei ore e mezza, dalle 10 alle 16.30. Tredici le condanne per omicidio colposo per una pena complessiva di 55 anni e 8 mesi. A Vittorio Fanfani, 93 anni, e Manlio Lippi, 90 anni, al vertice dell’Italcantieri, le condanne più pesanti, 7 anni e mezzo di carcere; seguono poi Giorgio Tupini, 90 anni, ex presidente dell’Italcantieri, 6 anni e 6 mesi; Enrico Bocchini, 90, già presidente del Cda, 6 anni e 6 mesi; Mario Abbona, 90 anni, responsabile aziendale della sicurezza, 4 anni e mezzo; Corrado Antonini, 79 anni, ex direttore generale, 4 anni e 4 mesi; Antonio Zappi, 77 anni, vice direttore, 4 anni e 6 mesi; Aldo La Gioia, 85 anni, responsabile della produzione, 3 anni e 4 mesi; Roberto Schivi, 74 anni, direttore generale del personale, 2 anni e 8 mesi; Cesare Casini, 85 anni, vice direttore generale 2 anni e 6 mesi; due anni di reclusione sono stati infine comminati a Glauco Noulian, 89 anni, dirigente della sede centrale, a Italo Massenti, 84 anni, responsabile del settore acquisti e a Livio Minozzi, 67 anni, dirigente dell’ufficio personale. Questi ultimi tre sono i soli a beneficiare della sospensione condizionale della pena. Tutti gli imputati condannati sono stati interdetti temporaneamente dagli uffici direttivi delle imprese per la durata della pena. Ventidue le assoluzioni. Come richiesto dai pm il giudice ha assolto per non aver commesso il fatto gli addetti alla sicurezza Marino Visintin e Mario Bilucaglia. Assolti anche altri cinque dipendenti dell’Italcantieri – Giancarlo Testa, Roberto Picci, Peppino Maffioli, Saverio Di Macco e Vittorio Carratù – pure per non aver commesso il fatto perché privi di alcun potere decisionale o perché la loro permanenza ai vertici dell’Italcantieri è stata talmente breve da non poter imputare loro alcuna responsabilità nella morte dei cantierini. Assolti per non aver commesso il fatto (in un paio di casi per intervenuta prescrizione) i titolari delle ditte esterne: Amedeo Lia, Curzio Tossut, Carlo Viganò, Attilio Dall’Osso, Roy Rhode, Ronald Rhode, Mario Pagliani, Ervino Lenardon, Omero Blazei, Liana Colamaria, Lino Crevatin, Renzo Meneghin, Gino Caron, Gianni Poggi e Giorgio Vanni. La sentenza conferma l’impianto accusatorio della pubblica accusa – il pm Valentina Bossi al termine dell’udienza si è detta molto soddisfatta della sentenza – anche se le pene sono lievemente inferiori alle richieste. Siamo certamente al processo di 1° grado, sono attesi altri due giudici (Appello e Cassazione), ma la sentenza del tribunale di Gorizia si può definire storica, perché è la prima in regione in materia di esposizione all’amianto e perché fa chiarezza sulle responsabilità di chi ha permesso che nel cantiere di Panzano venisse usato fino ai primi anni Ottanta l’amianto nella costruzione delle navi quando già si conosceva la sua pericolosità per la salute dei lavoratori. Una sentenza che era attesa da 15 anni, da quando a Monfalcone era sorta l’associazione degli esposti che aveva chiesto a gran voce che si facesse giustizia e si desse una risposta alle centinaia di vedove che avevano visto morire i loro cari per asbestosi o tumori provocati dall’amianto. Bisognerà ora attendere la motivazione della sentenza – sarà depositata entro 90 giorni – per capire meglio come e quali sono le responsabilità che vengono addossate ai dirigenti dell’Italcantieri. Ma si può già affermare, anche leggendo le 12 pagine del dispositivo, che non è una sentenza generica che colpisce nel mucchio e fa di tutta l’erba un fascio. Anzi il giudice Trotta, come d’altra parte avevano fatto i pubblici ministeri, ha esaminato minuziosamente le posizioni degli imputati relativi agli 85 morti di cui al lungo capo di imputazione. E per alcuni decessi ed anche per le lesioni di alcune parti offese, il giudice ha dichiarato l’assoluzione di tutti gli imputati per non aver commesso il fatto oppure il non doversi procedere perché il reato è prescritto.

 

«Ora tutti sanno chi ha ucciso i nostri cari»

Lo sfogo delle vedove. Rita Nardi: «Spero che d’ora in avanti i colpevoli trascorrano notti di dolore»

un composto silenzio Non c’è stato un applauso liberatorio alla lettura del verdetto l’amaro sfogo Ma i sindacati dov’erano quando gli operai si ammalavano?

GORIZIA È durata 31 minuti la lettura della sentenza da parte del giudice monocratico Matteo Trotta: una sequenza zeppa di riferimenti tecnico-giuridici da cui si coglievano ogni tanto i nomi delle vittime e degli imputati. Quasi un tragico rosario in cui ogni grana corrispondeva un morto da amianto. Trentuno minuti di alta tensione emotiva, in un’aula zeppa come mai nelle precedenti 93 udienze, tensione che non si è sciolta nemmeno nell’ultima parte della lettura, la più chiara a tutti, quando Trotta ha sciorinato i nomi dei condannati e l’entità della pena per ciascuno. Ci si aspettava un applauso liberatorio alla fine di tutto, che però non c’è stato. Non un cenno di approvazione e tantomeno di dissenso. Solo un composto silenzio. È stata la risposta a chi riteneva che il clima creatosi attorno a questo processo potesse impedire al giudice una decisione serena e per questo era ricorso al principio della legittima suspicione. «Vede? Questi sarebbero i terroristi che volevano vendetta», dice un esposto. In fondo, a sinistra, nell’aula di giustizia avevano trovato posto le vedove dell’amianto, le prime ad arrivare, un quarto d’ora prima dell’ora fissata per la sentenza, alcune con le magliette di “Amianto mai più”. C’era Rita Nardi, l’ex presidente dell’Aea, con lei Rita Sgorbissa, Anna Maria Pizzignacco, Nevia Pacco, Vanda Michelin, Laura Meneghetti, Anna Maria Declich, e altre. Aspettando, si erano quasi strette l’una all’altra per darsi coraggio. «Ho il cuore in gola», ha confessato Rita Nardi prima dell’ingresso del giudice. All’inizio della lettura le vedove si sono alzate in piedi per vedere e sentire meglio: sono rimaste quasi incredule quanto il dottor Trotta ha sciorinato una lunga serie di assoluzioni per prescrizione, atti peraltro dovuti, previsti anche nelle richieste del pubblico ministero («Queste assoluzioni sono il frutto dei ritardi accumulatisi prima che il presidente Napolitano si facesse sentire», ha rilevato Chiara Paternoster dell’Aea), ma in quel momento assai preoccupanti per chi stava aspettando giustizia dopo anni di dolore, sofferenza e carte bollate. La tensione si è in parte sciolta quando Trotta ha elencato le condanne. Rita Nardi, in piedi sulla panca, ha alzato le braccia al cielo ma dalla sua bocca non è uscito neanche un sussurro. «A me non interessano le entità delle condanne – ha mormorato -, mi basta sapere che la legge li ha riconosciuti colpevoli, che sono loro ad aver causato la morte dei nostri cari. Spero che d’ora in avanti trascorrano notti di sofferenza e dolore come siamo state costrette a trascorrere noi». Qualche moto di dissenso, ma a denti stretti e sottovoce da parte di alcune vedove nel momento in cui il giudice ha elencato le provvisionali a favore delle parti civili mal sopportando la presenza dei sindacati («Ma dove erano quando i nostri si ammalavano?»). Alla fine della lettura, non è volata una mosca, solo qualche lacrima e abbracci liberatori. Non un applauso, non un grido o una contestazione. «Finalmente questa tortura è finita – afferma Rita Nardi. Ma non sono contenta». «Non riesco a provare alcuna sensazione, se non la soddisfazione di avere avuto giustizia. Ora possiamo finalmente sapere quale è la verità, chi ha permesso che i nostri cari morissero come topi in quel cantiere».

 

Il presidente dell’Associazione esposti: «È solo una goccia di giustizia»

Corrado Antonini L’ex leader della Fincantieri al tempo dei fatti contestatigli era direttore generale di Italcantieri: è stato condannato a 4 anni e 4 mesi
Matteo Trotta Il giudice monocratico del Tribunale di Gorizia mentre legge la sentenza che condanna tredici alti dirigenti dell’ex Italcantieri per omicidio colposo
Sara Vito L’assessore regionale all’Ambiente, presente in aula, ha proposto alla presidente Serracchiani di utilizzare la provvisionale per la lotta all’amianto
Carmelo Cuscunà Secondo il novantenne presidente dell’Associazione esposti all’amianto, la sentenza del Tribunale goriziano è «solo una goccia di giustizia».

 

 

da Il Piccolo

Processo amianto Monfalcone, 13 condanne per omicidio colposo

Dopo tre anni di processo scanditi da 94 udienze si è concluso al Tribunale di Gorizia il primo maxi-processo per la morte di 85 operai del cantiere navale di Monfalcone a causa dell’esposizione all’amianto.

Il giudice unico Matteo Trotta ha inflitto 13 condanne per omicidio colposo e altri reati correlati. Gli imputati erano 35.

Le condanne più pesanti riguardano gli ex direttori dell’Italcantieri Vittorio Fanfani (7 anni e sette mesi) e Manlio Lippi (sette anni e sei mesi).

Assolti i responsabili della sicurezza interna al cantiere e i titolari delle ditte che lavoravano in appalto.

Il giudice ha anche condannato gli imputati al risarcimento dei danni nei confronti di quattro vedove. Le altre avevano già ottenuto in separata sede un indennizzo da parte di Fincantieri.

Infine, condannati gli imputati al pagamento di quanto richiesto dalle parte civili (Regione, Provincia di Gorizia, Comune di Monfalcone, Associazione esposti amianto, Fiom, Inail, Codacons).

Al momento della sentenza, la cui lettura si è protratta per oltre trenta minuti, erano presenti in aula molte vedove, gli aderenti all’Aea e diversi amministratori pubblici del Monfalconese.

 

da Il Piccolo del 15 ottobre 2013 Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

Amianto, è il giorno della sentenza

Se non ci saranno altri rinvii, la 94.a udienza dovrebbe porre fine oggi alla richiesta di giustizia dei familiari di 85 operai

Siamo arrivati al giorno delle sentenza. Forse. Sì, perché questo maxi-processo all’amianto ci ha riservato nel passato non poche sorprese come quella del 25 giugno quando l’avvocato Alessandro Cassiani difensore di Giorgio Tupini ha chiesto, tra lo stupore e l’incredulità di gran parte dell’aula del tribunale, il trasferimento del processo ad altra sede per legittimo sospetto. E c’è chi teme che anche oggi dalla folta schiera dei legali non emerga qualche altra richiesta procedurale per frenare la conclusione di un processo, iniziato il 10 aprile di tre anni fa. Ma a palazzo di giustizia i bookmaker invitano a scommettere su una sentenza emessa nella giornata odierna dopo una camera di consiglio del giudice monocratico Matteo Trotta che non si presenta di breve durata, anche per il fascicolo procedurale e molto consistente: lo slittamento potrebbe essere tuttalpiù di 24 ore nell’ipotesi che alla replica del pubblico ministero Valentina Bossi – l’altro pm Luigi Leghissa il 7 ottobre scorso ha preso servizio alla Procura di Caltanisetta – seguano quelle degli avvocati di parte civile e della difesa. Si tratta di brevi interventi ma che, visto il numero elevato di legali, potrebbero occupare l’intera giornata. L’udienza di oggi, la 94.ma da quando è iniziato il processo, inizierà con la comunicazione del giudice Trotta del respingimento da parte della Corte di Cassazione del ricorso presentato dall’avvocato Cassiani e discusso a Roma nell’udienza dello scorso 24 settembre. Quindi la parola spetterebbe al pm per l’eventuale replica, ma se questa non ci fosse il giudice si ritirerebbe in camera di consiglio per emettere la sentenza. In questo processo devono rispondere di omicidio colposo 35 imputati -all’inizio erano 41 ma nel frattempo sei sono deceduti – tra vertici dell’ex Italcantieri, responsabili della sicurezza e titolari delle ditte esterne che lavoravano nel cantiere di Panzano per la morte 85 lavoratori deceduti per malattie professionali legate all’esposizione all’amianto. I pubblici ministeri al termine della loro lunga requisitoria avevano chiesto la condanna per 13 amministratori e dirigenti della Fincantieri per complessivi 70 anni. Le pene maggiori, 9 anni e mezzo, sono state avanzate per Vittorio Fanfani, 93 anni, e Manlio Lippi, 90 anni; 7 anni e 3 mesi per Enrico Bocchini; 3 anni e mezzo per Mario Abbona, 6 anni per Antonio Zappi, 5 anni e 4 mesi per Corrado Antonini, 4 anni e 4 mesi per Aldo La Gioia, 3 anni e mezzo per Roberto Schivi, 3 anni e 3 mesi per Cesare Casini, 3 anni per Livio Minozzi, 2 anni e 4 mesi per Glauco Noulian e Italo Massenti. Assoluzioni invece per i rappresentanti delle ditte appaltanti e per sei dipendenti dell’allora Italcantieri perché ritenuti dai pm privi di alcun potere decisionale all’interno dell’azienda. Assoluzioni sono state chieste invece dai difensori di tutti gli imputati. La gran parte delle famiglie delle vittime costituitesi parte civile è uscita dal processo perché ha ottenuto il risarcimento danni. Sono rimaste nel processo le parti civili istituzionali come la Regione, la Provincia, il Comune di Monfalcone, l’Inail, la Fiom Cgil, l’Associazione esposti amianto e le associazioni dei consumatori.

 

Sì all’appello di Aea: sindaci e sindacati saranno in aula

Aveva provocato una profonda ferita per l’Aea e i famigliari delle vittime dell’amianto il ricorso per “legittimo sospetto” da parte di una delle difese che aveva messo a rischio, dopo 93 udienze, la sentanza di primo grado del maxi-processo. Un sospetto di inquinamento del clima processuale che era stato respinto dall’associazione «viste la compostezza e la dignità con cui abbiamo sempre sostenuto la nostra rivendicazione di giustizia». Viene da qui l’appello lanciato dall’Aea «ai singoli cittadini, agli operai, alle associazioni di categoria e ai rappresentanti degli enti pubblici» a partecipare oggi alla lettura della sentenza da parte del giudice Matteo Trotta (almeno così si spera) in tribunale a Gorizia, «non per fare del processo uno spettacolo, ma per una più incisiva presa di coscienza di un’esperienza e di un dramma collettivo». Una chiamata a raccolta, quella di Aea, che non dovrebbe restare inascoltata, visto che nel maxi-processo si sono costituiti parti civili anche Regione, Provincia di Gorizia, Comune di Monfalcone, Inail e Cgil, oltre alla stessa Aea. A rispondere all’appello ci sarà sicuramente il sindaco di Monfalcone Silvia Altran con tanto di fascia tricolore: «Ci sarò – ha detto ieri -. Ritengo doveroso che tutte le persone coinvolte in questo dramma abbiano diritto di sentire una parola di giustizia dopo essere state maltrattate per troppi anni dalle istituzioni. Lo Stato è il grande assente in questa vicenda: non ha saputo dotarsi di una legge sull’amianto quando già si conosceva la pericolosità della fibra. Certo ci sono ancora passi da fare sul fronte dello smaltimento e del Centro di ricerca e cura delel malattie da amianto. Ma ciò che brucia oggi è soprattutto ciò che non è stato fatto». A rappresentare il Comune di Ronchi sarà in tribunale l’assessore Enrico Masarà in rappresentanza del sindaco Roberto Fontanot. «È scoraggiante commentare questo appuntamento – afferma Fontanot – di fronte a un clamoroso caso di giustizia negata a cittadini che hanno pagato sulla loro pelle il concetto che il profitto viene prima della salute». Ci sarà invece il sindaco di Staranzano Lorenzo Presot. «Sì, sarò in tribunale. Anche se, nella sostanza, questa sentenza ha un valore più simbolico che concreto per i malati e le famiglie delle vittime che potranno almeno vedere un risultato della loro battaglia. Ma ce ne sono altre da portare a termine: smaltimento, Centro amianto. È venuto il momento di muoversi, la Regione deve assumersi le sue responsabilità». Mancherà all’appuntamento invece l’onorevole Giorgio Brandolin, a Roma in Parlamento. «Seguirò questa giornata da lontano – dice -. Ho una storia personale di coinvolgimento diretto in questa vicenda che mi impone il silenzio. Certo non sono un giustizialista: da presidente della Provincia ho dato il mio contributo alla prevenzione delle malattie di amianto con progetti concreti sul territorio che però poi non sono stati sostenuti. Spero che questa sentenza possa almeno creare una nuova coesione e dare dei risultati». «Quella che tutti ci aspettiamo – afferma il presidente della Provincia Enrico Gherghetta, che conferma la sua presenza – sarà comunque una sentenza storica, un principio di giustizia che, spero, faccia capire a tutti che la salute viene prima del profitto. Ma è solo il primo atto, restano numerose questioni aperte. C’è la questione dello smaltimento, c’è quella del Centro di riferimento. È su queste che ci giochiamo il futuro. È una sentenza che lasciamo con speranza ai nostri figli». Oggi a Gorizia ci sarà pure la Cgil-Fiom con un suo striscione e con i suoi esponenti provinciali. A rappresentarla ci sarà sicuramente Moreno Luxich della Rsu-Fiom Fincantieri. «Spero di non assistere a un nuovo rinvio – afferma -. Questo è stato un processo troppo lungo e per certi versi strano: confido che almeno questo primo atto possa chiudersi con un segnale di giustizia. Ma non ci si dovrà fermare: ci sono ancora tanti morti da amianto e ci saranno per parecchio tempo. Bisogna sbrigarsi con l’istituzione di un Centro amianto, magari transfrontaliero».

Ferriera di Trieste peggio dell’ILVA di Taranto

da Il Fatto Quotidiano

Ferriera di Trieste, gli operai: “Ecco le prove degli sversamenti inquinanti”

 

Una sostanza densa e di colore scuro, versata a terra da un addetto dell’impianto siderurgico di Trieste, la Ferriera. A parlare sono le immagini dei video che ilfattoquotidiano.it pubblica in esclusiva, e sul quale gli operai non hanno dubbi: “Quello è il catrame che esce dagli impianti. Sanno che non andrebbe fatto e fanno anche di peggio, da anni”. Immagini che mettono in allarme l’Agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, che decide di informare la procura di Trieste. Procedure delle quali la stessa proprietà si dichiara all’oscuro. Il sospetto di sversamenti contaminanti ricade su una fabbrica già sotto accusa, per l’impatto ambientale e i livelli delle sue emissioni. La centralina che l’Arpa ha installato nei pressi della fabbrica supera da anni i rilevamenti del Tamburi di Taranto per la concentrazione nell’aria di sostanze cancerogene come il benzo(a)pirene. Tra fumi, odori e rumori, chi abita a Servola, il rione popolare che ospita lo stabilimento, ha paura. E non sente più ragioni: “Chiudetelo”  di Franz Baraggino e Stefano Tieri

Amianto: si continua a morire a Monfalcone

da Il Piccolo del 31 ottobre 2013

Monfalcone, dall’inizio del 2013 già 58 morti per amianto

L’ha riferito il capo della Procura Caterina Ajello nel fare il punto dei processi in corso

Dall’inizio del 2013 sono già 58 gli ex cantierini di Monfalcone morti in conseguenza all’esposizione all’amianto.

L’ha riferito il procuratore della Repubblica di Gorizia, Caterina Ajello.

Sono stati oltre settecento i fascicoli esaminati negli ultimi mesi dal pool di inquirenti che indaga sulle morti legate all’esposizione all’amianto nei cantieri di Monfalcone.

Oltre al primo maxi-processo, conclusosi il 15 ottobre con la condanna di 13 imputati, i magistrati goriziani hanno concluso le indagini preliminari su 116 casi, al momento riuniti in tre diversi procedimenti, due dei quali già a giudizio, con udienze fissate per il 5 novembre e il 17 dicembre. Per un quarto filone sono in fase di definizione i rinvii a giudizio.


Sono 58 i decessi legati all’esposizione alla fibra d’amianto registrati dall’inizio dell’anno in provincia di Gorizia. Lo ha riferito ieri il procuratore capo di Gorizia, Caterina Ajello, illustrando il dettaglio delle indagini condotte dalla magistratura del capoluogo isontino. Si tratta prevalentemente di operai che hanno lavorato nel cantiere navalmeccanico di Monfalcone tra il 1960 e il 1980. «È un fenomeno ingravescente, che non accenna a diminuire – ha spiegato Ajello -. Le patologie asbesto-correlate, peraltro, sono latenti e si presentano nella loro gravità anche a distanza di trenta o quarant’anni». Il procuratore della Repubblica ha sottolineato come la vicenda «abbia gravi ricadute sociali sul territorio: è compito della magistratura fornire risposte puntuali a questa problematica». E infatti il 5 novembre partirà un nuovo processo. Sono stati oltre settecento i fascicoli esaminati negli ultimi mesi dal pool di inquirenti che indaga sulle morti legate all’esposizione all’amianto nel cantieri di Panzano, ha riferito ancora Caterina Ajello. Oltre al primo maxi-processo, conclusosi il 15 ottobre con la condanna per complessivi 55 anni e 8 mesi, oltre ai risarcimenti ai familiari delle vittime, di 13 imputati (i vertici dell’ex Italcantieri), accusati di omicidio colposo per la morte di 85 operai, i magistrati goriziani hanno concluso le indagini preliminari su 116 nuovi casi, al momento riuniti in tre diversi procedimenti, due dei quali già a giudizio, con udienze fissate per il 5 novembre e il 17 dicembre. Per un quarto filone sono invece tuttora in fase di definizione i rinvii a giudizio. Per circa trecento fascicoli risultano in corso le indagini preliminari, mentre altrettanti arriveranno sui tavoli dei sostituti procuratori dal Centro per l’amianto di Monfalcone. Il procuratore capo di Gorizia, Caterina Ajello, commentando il maxi-processo sulle morti legate all’esposizione all’amianto nella città dei cantieri, ha parlato di una sentenza che è «in questo territorio una tappa storica, un apripista a livello nazionale, che stigmatizza il riconoscimento della sofferenza di tante famiglie di cantierini morti a causa del minerale killer». Per quanto riguarda il maxi processo già concluso, le motivazione della sentenza saranno rese note entro 90 giorni dal giorno della sentenza, cioè entro metà gennaio 2014, ma si può già affermare, solo dalla lettura delle 12 pagine del dispositivo, che non è trattato di una sentenza generica che colpisce nel mucchio e fa di tutta un’erba fascio. I magistrati hanno agito scrupolsamente, una dilegenza che trova conferma nella decina di udienza e nelle perizie mediche e tecniche e nelle centinaia di testi ascoltati durante il dibattimento.

Monfalcone: altro processo per le morti da amianto

da Il Piccolo del 5 novembre 2013

Maxi-processo bis per 30 morti di amianto

In aula a Gorizia 21 fra dirigenti dell’ex Fincantieri, responsabili della sicurezza e titolari di ditte esterne

GORIZIA. Si ricomincia. Non è passato neppure un mese dalla sentenza del maxiprocesso per l’amianto, che questa mattina al tribunale di Gorizia si torna a parlare di asbestosi in quello che viene definito il processo bis per le morti da amianto.

Oggi è a ruolo il processo che vede imputati di omicidio colposo 21 tra dirigenti dell’ex Italcantieri, responsabili della sicurezza nei cantieri e titolari delle ditte esterne, che lavoravano all’interno dello stabilimento di Panzano. Questo secondo troncone dell’inchiesta giudiziaria, riguarda 30 decessi di dipendenti che lavoravano in cantiere. L’udienza odierna – il processo è affidato al giudice monocratico Russo – sarà comunque interlocutoria perché l’intenzione del tribunale è di riunire il procedimento a quello a ruolo per il 17 dicembre prossimo che riguarda invece la morte di 41 lavoratori causata secondo il capo di imputazione da carcinoma polmonare correlato all’asbestosi. Secondo la Procura – l’inchiesta è stata condotta dai sostituti procuratori Luigi Leghissa e Valentina Bossi, ma in udienza ci sarà solo la Bossi – il tumore polmonare sarebbe stato provocato proprio dalla presenza della fibra killer, ma sarà comunque il dibattimento processuale, nel quale avranno un ruolo importante le consulenze medico-legali che saranno portate dalle parti in causa, ad accertare le vere cause.

Gli imputati di questo processo sono sostanzialmente quelli del procedimento odierno, anche se con posizioni processuali diverse. Al momento, oltre a una trentina di familiari dei deceduti, non si sono costituiti parte civili enti o associazioni anche se lo potranno ancora fare nel corso della prima udienza. L’udienza di oggi sarà interlocutoria. Il giudice provvederà a rinviare il processo al prossimo dicembre per riunire i due fascicolo e dare vita a un secondo maxiprocesso. Solo allora il procedimento, dopo aver svolto la parte preliminare con l’ammissione dei testi e delle prove, potrà avviarsi con l’audizione delle prime testimonianze. Sarà un processo che non si prolungherà oltre tre anni come il primo, ma certamente durerà non meno di un anno. La sentenza quindi potrebbe arrivare ai primi mesi del 2015.

Il primo maxiprocesso si era lo scorso 15 ottobre con la condanna di 13 tra gli amministratori e i dirigenti dell’ex Italcantieri e l’assoluzione dei titolari delle imprese che avevano i subappalti all’interno del cantiere di Monfalcone. Il giudice monocratico Matteo Trotta, che nel frattempo ha assunto l’incarico i presidente del tribunale di Trieste, ha inflitto complessivamente 55 anni e 8 mesi di reclusione. Entro il 15 gennaio sarà depositata la motivazione della sentenza. Da quel momento difensori e procura hanno tempo 45 giorni per presentare appello.

 

Amianto a Monfalcone: l’olocausto continua mentre riprendono i processi

da Il Piccolo MERCOLEDÌ, 23 GENNAIO 2013 Pagina 18-19 – Gorizia-Monfalcone

Amianto, strage ignorata nell’Isontino

Nonostante le centinaia di vittime le istituzioni latitano nel far valere i diritti di una provincia pesantemente segnata

 

È come se l’aereo più grande al mondo, l’Airbus A380, con a bordo 853 passeggeri fosse precipitato sull’Isontino. Tutti morti. È come se nell’inerzia dell’impatto al suolo avesse seminato morte per altrettante persone. È come se da oggi al 2020 altri due, tre, quattro A380 fossero condannati a precipitare con il loro carico di vite umane. È la più grande tragedia che abbia colpito la provincia di Gorizia dopo le due guerre e dopoguerre. Questa tragedia si chiama amianto. Questo terribile minerale usato almeno dagli inizi del Novecento in diversi settori industriali, cantieristica soprattutto, provoca dei tumori al polmone che non danno scampo. E uccidono anche a distanza di trenta-quarant’anni dal “contagio”. Amianto significa cantiere navale di Monfalcone, ma non solo. Significa l’eternit che ci circonda, significa le patologie spietate che hanno attaccato anche centinaia di lavoratori di altre aziende. Eppure, sembra importare poco o nulla questa tragica realtà. Che dovrebbe essere affrontata come unica e vera priorità della sanità isontina. Non è solo una questione monfalconese. Invece, l’attenzione sembra essere concentrata esclusivamente sul Punto nascita, sulla trombolisi, sulle code del Pronto soccorso, sul “ci portano via questo o quello”. Argomenti legittimi, sia chiaro, ma infinitamente meno seri delle malattie asbesto-correlate. Del resto sui problemi seri della sanità isontina si registra puntuale il fuggi fuggi dei politici locali. Salvo rare eccezioni (Valenti, Brussa) chi ricorda un’iniziativa di consiglieri regionali o parlamentari sulla vergognosa vicenda dell’Ospizio marino? Chi ricorda un’interpellanza, una mozione, una banale interrogazione sul caso-amianto nella provincia di Gorizia che abbia avuto un effetto concreto? Chi ricorda un sit-in (a parte quelli delle vedove dei morti d’amianto per stimolare l’avvio dei processi) dei locali ecologisti, pacifisti e scioperifamisti su questa tragedia? Centinaia di vittime morte due volte. Dall’amianto e dal disinteresse delle istituzioni. La Provincia fa il suo con i contributi per la rimozione dell’eternit. Ma è poco. Nella provincia con una delle più alte concentrazioni di morti per amianto tutti assieme si dovrebbe lavorare per ottenere una sorta di risarcimento morale per il sacrificio sopportato. Ma non solo. Paradossalmente lo straordinario carico di lutti potrebbe essere speso, ci si consenta il paradosso, come valore aggiunto della nostra realtà sanitaria al tavolo della spartizione dei servizi. Invece, non c’è traccia del promesso centro unico dell’amianto che si dovrebbe realizzare al San Polo di Monfalcone. Lo stesso direttore dell’Ass isontina Bertoli ha ammesso che la sua istituzione appare assai remota stante la confusione degli interessati sui contenuti di questo centro. Non ci sono fondi pubblici sufficienti per stimolare la ricerca scientifica affinché si giunga a cure più efficaci. Il servizio di Medicina nucleare, interfaccia dei malati di amianto, è indebolito. Nonostante i progressi nell’assistenza, le famiglie colpite da questa tragedia sono spesso lasciate sole. Dovrebbe essere convocata una conferenza allargata a istituzioni, comunità scientifica, sindacati, associazioni nel tentativo di trovare una linea comune che porti all’assunzione della piena consapevolezza di cosa significa amianto nell’Isontino. E se nell’attesa gli specializzandi in Pediatria o i medici dell’Ordine dei medici della provincia di Udine volessero chiosare qualcosa sarebbero ben accetti. Continue reading →