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Marzo 17th, 2017 — Carbone, General
da Il Piccolo del 23 agosto 2013 Pagina 37 – Gorizia-Monfalcone
«A2A costretta a rinviare il Piano»
«Il rinvio della presentazione al ministero del progetto di riconversione della centrale termoelettrica è un evidente segnale di riflessione da parte di A2A a fronte delle richieste del Comune e del territorio». Lo afferma il sindaco di Monfalcone Silvia Altran che, quindi, non si strappa le vesti dopola conferma, da parte della società, dello slittamento dei tempi per la presentazione al ministero dello Sviluppo economico e dell’Ambiente del nuovo progetto a carbone per l’impianto monfalconese. Tutt’altro, anche per il sindaco, come pure per il Comitato del rione Enel e i sostenitori del “No al carbone” questa è una mezza vittoria. «L’amministrazione comunale – ha dichiarato ieri il sindaco Silvia Altran – ha più volte ribadito la propria avversione all’ipotesi del ricorso al carbone, e ha già annunciato di volersi dotare di un gruppo di lavoro atto ad esaminare tutta la documentazione che A2A intendesse presentare. E lo faremo, come abbiamo peraltro comunicato nel recente incontro con il Comitato “No carbone”, col Wwf e con Legambiente, dotandoci di un pool di esperti che ci possa supportare nell’analisi dei dati, in modo da poter giudicare, nel più corretto dei modi, quali saranno le soluzioni che meglio tutelano la cittadinanza. «Disporre delle migliori professionalità – continua il sindaco Altran – ci darà la garanzia di essere un interlocutore di cui A2A dovrà tenere assolutamente conto. Il nostro metodo di lavoro è sempre stato improntato alla massima serietà, alla volontà di dialogare con tutti gli interessati, ma senza cedere all’emotività del momento, poiché il percorso potrebbe essere lungo ed articolato. Al momento rileviamo l’aspetto positivo della richiesta presentata da A2A per la costruzione del denitrificatore che sicuramente assicurerà una riduzione degli inquinanti prodotti dalla centrale nel suo assetto attuale. I primi risultati si sono già visti ma, come ho già detto di recente, ciò non farà venire meno l’attenzione che abbiamo sempre avuto per il benessere del nostro territorio». C’è da vedere se davvero la decisione di A2A di rinviare la presentazione del piano a fine anno, con tre mesi di ritardo quindi rispetto alla data annunciata, sia tale da lasciar intravvedere un’ulteriore riflessione da parte dell’azienda che, da parte sua, ha già compiuto alcuni passi, come il deposito al ministero dell’Ambiente dell’istanza per ottenere l’autorizzazione a procedere con l’ambientalizzazione dei gruppi 1 e 2 a carbone, previsto nell’Aia. La stessa A2A, nel confermare lo slittamento dei tempi per il suo Piano carbone, ha spiegato che ciò è dovuto al fatto che, dallo stesso ministero, sono state chieste ulteriori integrazioni, «tali da prevedere tempi aggiuntivi. Il nostro progetto – ha ribadito A2A – non cambia, le procedure andranno avanti come reso noto in più occasioni».
da Il Piccolo del 20 agosto 2013
A2A rinvia il piano-carbone Il fronte del no: una vittoria
Gherghetta: «Rispetto del territorio». Moretti (Pd): «Non intendiamo mollare» Bernardel (Rione Enel): «Voglio augurarmi che sia un modo per riflettere»
Slittano i tempi per la presentazione al ministero dello Sviluppo economico e dell’Ambiente del nuovo progetto a carbone per la centrale termoelettrica. Rispetto al mese di settembre, secondo l’ultima indicazione fornita da A2A, il piano sarà depositato entro la fine dell’anno. È questo il dato riferito dall’azienda, che ha invece già presentato al ministero dell’Ambiente l’istanza per ottenere l’autorizzazione a procedere con l’intervento di ambientalizzazione riguardante i gruppi 1 e 2 a carbone, previsto nell’Aia dell’impianto.
Si tratta in questo caso del completamento della procedura attraverso l’avvio dell’iter legato alla realizzazione del “denox”, un impianto di denitrificazione che, mediante un processo chimico, abbatte sensibilmente le emissioni di ossido di azoto nell’aria. Per questo passaggio autorizzatorio, si apre la fase di assoggettabilità del nuovo impianto alla Valutazione di impatto ambientale.
Per quanto riguarda, invece, il nuovo piano a carbone, si parla dunque di un allungamento dei tempi. Una dilatazione di fatto tecnica, hanno spiegato dall’azienda, alla quale dallo stesso ministero hanno richiesto ulteriori integrazioni al piano, comportando pertanto tempi aggiuntivi. Il progetto sostanzialmente, è stato ribadito, non cambia, le procedure andranno avanti come reso noto in più occasioni. Ma è necessario che il piano abbia tutti i crismi per poter essere autorizzato. L’azienda ha ribadito comunque una valutazione e un approccio globale a questo importante intervento, assicurando la contestuale attenzione nel ridurre al massimo gli impatti sul territorio.
La notizia dello slittamento, intanto, è stata raccolta con favore dal “fronte del no” al “tutto carbone” per la centrale. Interpretata anche come una sorta di “riflessione”, a fronte delle prese di posizione sollevate dal territorio.
Il presidente dell’associazione Rione Enel, Adriano Bernardel, ha commentato: «Se effettivamente la presentazione del progetto a carbone slitterà nel tempo, avremo modo di poter ragionarci sopra e confrontarci. Voglio augurarmi che le resistenze provenienti dal territorio, non solo cittadino ma mandamentale, inducano l’azienda a riflettere sul futuro della centrale. I motivi possono essere diversi, tuttavia, potrebbe essere un’occasione per giungere a qualche ripensamento. Del resto – ha aggiunto Bernardel -, ci siamo sempre battuti affinchè non si persegua la via del carbone, optando piuttosto per il gas oppure per le fonti alternative. Non possiamo ora che attendere lo sviluppo degli eventi».
Il presidente della Provincia, Enrico Gherghetta, da parte sua, ha osservato: «Credo che A2A abbia assunto un atteggiamento di rispetto nei confronti del territorio. Del resto, hanno già avviato il processo per la realizzazione del “denox”. Mi sembra una scelta giusta procedere un passo alla volta, prima di concentrarsi sul futuro della centrale, anche se ritengo che un ripensamento da parte dell’azienda sarebbe opportuno».
Il consigliere regionale Diego Moretti ha argomentato: «Non ho elementi ufficiali circa questo slittamento dei tempi. La sensazione, come mi auguro, è quella che l’azienda possa riflettere sulle proprie intenzioni. Certo è che non intendiamo demordere, rimaniamo comunque contrari al progetto “tutto carbone” per la centrale».
Marzo 17th, 2017 — General, No OGM
BIODIVERSITA’ PER LA SOVRANITA’ ALIMENTARE
STATO E REGIONE CI STANNO INGANNANDO!!
Mentre la maggior parte della società civile (8 italiani su 10) si dichiara contraria agli organismi geneticamente modificati (OGM),
il governo italiano e la regione FVG, dichiarandosi falsamente contrari, hanno adottato dei provvedimenti che, di fatto, apriranno le porte alle coltivazioni transgeniche sul territorio nazionale e regionale.
Il governo ha emanato un decreto di natura provvisoria e precaria che impedirà per qualche mese la coltivazione del solo mais ogm Mon810, lasciando poi alle regioni il compito di applicare le norme per la coesistenza tra le coltivazioni transgeniche, biologiche e tradizionali. Nel frattempo, Monsanto ha pronte per la commercializzazione sementi brevettate con altri marchi aggirando di fatto il decreto.
La regione, per prima, ha già modificato la legge regionale che vietava la coltivazione degli OGM, togliendo il divieto ed introducendo le clausole per la coesistenza tra le colture.
Queste scelte, estremamente pericolose per la salute di tutti i viventi e l’ecosistema, vanno subito contrastate!!
E’ urgente promuovere un sistema agroalimentare rispettoso delle risorse ambientali, destinato ai reali bisogni del genere umano e non ai profitti delle multinazionali, sulla base del principio della sovranità alimentare e della tutela della biodiversità.
Di conseguenza le colture transgeniche coltivate illegalmente sul territorio friulano e lasciate impunemente maturare come tre anni fa, sono lesive dell’ambiente e del diritto alla salute e, pertanto, ne chiediamo la loro immediata distruzione.
PER QUESTI MOTIVI DOMENICA 1 SETTEMBRE ALLE ORE 10,00 VIENE INDETTO UN PRESIDIO PRESSO L’AREA CIRCOSTANTE IL CAMPO COLTIVATO A MAIS OGM A VIVARO (PN) IN CUI:
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PROMUOVEREMO LA NECESSITÀ DI UN NUOVO MODELLO AGRICOLO;
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CHIEDEREMO CHE LE COLTURE TRANSGENICHE PRESENTI SUL TERRITORIO FRIULANO SIANO IMMEDIATAMENTE DISTRUTTE (se le istituzioni preposte non interverranno, dovrà pensarci la società civile stessa?)
il COORDINAMENTO PER LA TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ
Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
Dalla Tenda per la Pace e i diritti
24 agosto
Arriviamo questa mattina con dei familiari del ragazzo che da due settimane è in come, dopo esser caduto dal tetto del CIE.
Uno dei due è un cugino di primo grado, l’unico familiare stretto in Italia. La famiglia, dal marocco, gli ha chiesto di precipitarsi qui per avere le notizie precise che continuano a mancare.
Ma il medico responsabile della terapia intensiva dice no: c’è un ordine della direzione sanitaria in accordo con la questura per il quale le uniche notizie vengono date attraverso la polizia.
Ci fornisce un numero: quello dell’ “ispettore del CIE”. Un capolavoro.
Invece non può esser così.
Il cugino ha il diritto di sapere. Lo stabilisce la circolare interministeriale (Min. Int e Min. Semplificazione) del 12/4/2012 stabilisce che un cittadino straniero regolarmente soggiornante può autocertificare il proprio gradi di parentela.
A questo punto la ripsosta è che si tratta “solo” di un cugino.
Ma l’art. 82 del codice sulla privacy stabilisce che non fa differenza, che l’ospedale ha l’obbligo di cercare il contatto, e dare notizie, anche a “famigliari” quando i parenti stretti non siano disponibili.
Minacciamo una denuncia ai carabinieri, cominciamo a chiamare Il Piccolo.
Alla fine dopo varie pressioni il cugino ad avere le informazioni sullo stato di salute del ragazzo.
Dal piccolo del 25/08/13
Gherghetta attacca sul Cie: «Non decida solo lo Stato»
di Luigi Murciano GRADISCA «Un’eventuale commissione di controllo sul Cie non dovrà essere composta soltanto da funzionari dello Stato». E’ chiara la posizione della Provincia di Gorizia in merito alle prossime mosse da compiere nella battaglia per il superamento o la chiusura del centro di identificazione ed espulsione di Gradisca. L’ente presieduto da Enrico Gherghetta ha partecipato all’incontro istituzionale di venerdi al municipio di Gradisca con la vicepresidente Mara Cernic e l’assessore Federico Portelli, sposando in toto la linea pro-chiusura del governo Serracchiani. «Se, come già avvenne con i governi Monti e Amato, dovesse giungere a un approfondito esame delle problematiche del Cie di Gradisca attraverso una commissione governativa – ha esordito Cernic – non sarebbe corretto che questa fosse formata esclusivamente da funzionari statali come avvenuto con la commissione istituita dall’allora ministro Cancellieri. Si dia spazio alle rappresentanze politiche, a quanti lavorano nei centri e alle realtà che conoscono la realtà dell’immigrazione. Bisogna restituire centralità – ha proseguito Cernic – alle persone ospitate in queste strutture, garantire loro il rispetto di diritti universali. Dopodichè è giusto diversificare risposte e tempistiche: l’immigrato che ha avuto un ruolo nella nostra società, e magari si è visto perdere il lavoro o scadere un documento, non puo’ essere assimilato a quello che ha avuto dei precedenti penali e attende il rimpatrio». Intanto nel dibattito sul futuro del Cie interviene anche l’on.Savino (Pdl), contraria a qualunque superamento della legge Bossi-Fini sull’immigrazione. «Sarebbe un atto irresponsabile, che non farebbe altro che aggravare una situazione già adesso d’emergenza: l’aumento degli sbarchi sulle nostre coste unita alla crisi generalizzata rischia di fare da innesco ad un clima di conflittualità sociale di cui l’Italia non ha bisogno. Per non parlare della sicurezza. Approfittare di quanto sta accadendo a Gradisca per rilanciare un approccio buonista all’immigrazione non mi pare una scelta particolarmente lungimirante». Torna a farsi sentire anche il Sap, sindacato autonomo di polizia, che in una nota esorta gli amministratori a prendere posizione: «Se non piace la legge, si studi una diversa soluzione. Colpisce che dal confronto politico di Gradisca sia uscita principalmente una richiesta di chiusura del Cie – è il parere del segretario provinciale Angelo Obit – e non una richiesta di efficienza. Gli immigrati protestano per i lunghi tempi di trattenimeno nei Cie? Hanno ragione. Ma la soluzione non può che essere un intervento con le autorità consolari, svolgendo i colloqui a Gradisca e facendo pressioni perchè le procedure di idenficazione siano celeri».
24/08/13
La Regione accelera sulla chiusura del Cie
di Stefano Bizzi GRADISCA «È tempo di ripensare il sistema di identificazione e questi luoghi di transizione». Una lettera congiunta firmata da Regione e Comune di Gradisca sarà inviata nei prossimi giorni al governo Letta per segnalare a Roma la necessità di un intervento importante e di un’approfondita revisione del Cie di Gradisca che vada in direzione della sua chiusura. Ieri mattina ospite a Palazzo Torriani del sindaco Franco Tommasini insieme alla sua giunta e ai parlamentari del Friuli Venezia Giulia (oltre ai consiglieri regionali e ai rappresentanti della Povincia di Gorizia), la presidente Debora Serracchiani ha ribadito la sua posizione di netta contrarietà alla struttura di via Udine. Sposando l’appello lanciato nei giorni scorsi da un operatore del centro immigrati isontino – esasperato per quanto sta accadendo all’interno del Cie -, la governatrice ha chiesto alle forze politiche di tutti i colori e di tutti i livelli di superare le ideologie di parte e lasciare perdere le strumentalizzazioni. La questione immigrazione va risolta alla radice. Non può più essere solo un terreno di scontro fertile per ogni tipo di battaglia. «Avremo valutazioni politiche diverse, ma è il momento di rivedere la legge sull’immigrazione adeguandola all’Europa», ha detto Serracchiani parlando di “cortocircuiti” del sistema. «Il Cie – ha ribadito – colpisce le persone per quello che sono, non per quello che fanno». Al loro interno vengono trattenuti individui con storie di immigrazione diverse: lavoratori stranieri che, per la crisi, hanno perso il lavoro e non hanno più potuto rinnovare il permesso di soggiorno dividono gli spazi con criminali veri e propri. «Tutti in un’unica realtà: è ovvio che la situazione difficilmente diventa gestibile. La Regione e il Comune di Gradisca scriveranno al governo in maniera congiunta». L’obiettivo finale è la chiusura della struttura ricavata all’interno dell’ex caserma Polonio. «L’esecutivo deve tenere contatti con gli enti territoriali. A questo sito si deve prestare attenzione particolare. Le nostre richieste devono coprire tutte le ipotesi. Anche la chiusura». Posizione differente invece per quanto riguarda il Cara, l’attiguo centro immigrati dove trovano ospitalità i richiedenti asilo. Quello sposa la filosofia del Friuli Venezia Giulia: l’accoglienza. La governatrice ha assicurato d’essere in contatto con il sottosegretario agli Interni con delega all’Immigrazione Domenico Manzione. «Ho parlato con lui e l’ho informato chiedendogli un intervento. Mi ha chiesto un approfondimento. Ho già acquisito diverse informazioni e nei prossimi giorni ci risentiremo». Nel corso del vertice di Gradisca, ai parlamentari del Fvg la presidente Serracchiani ha quindi chiesto di fare da mediatori e coinvolgere il governo su un tema nei confronti del quale «è necessario tenere alto il livello d’attenzione». Del fronte comune non farà sicuramente parte la Lega Nord. Il governatore veneto Luca Zaia, nelle stesso giorno in cui ha ribadito la totale intesa con la collega del Fvg sul progetto della Tav, ha piazzato un secco altolà alla chiusura del Cie di Gradisca. Premettendo di non voler «interferire in alcun modo con l’azione della vicina Regione», l’ex ministro del Carroccio ha confermato che la legge Bossi-Fini non è da modificare. Duro anche Massimiliano Fedriga, responsabile del dipartimento Welfare della Lega Nord: «Il Cie di Gradisca non va chiuso, ma reso sicuro e più controllato per non permettere a nessuno di poter anche solo pensare di scappare»
«La nostra parte l’abbiamo fatta Ora tocca ad altri dare risposte»
di Luigi Murciano GRADISCA «Umanizzazione immediata del Cie», «superamento o revisione della Bossi-Fini». Ma anche la consapevolezza che con l’attuale scenario politico la partita non sarà affatto semplice. Non si fanno troppe illusioni i parlamentari e i consiglieri regionali convenuti a Gradisca per il vertice Debora Serracchiani fortemente voluto dal sindaco della cittadina isontina già prima delle tensioni delle ultime due settimane. Sindaco che, nell’amministrazione regionale, ha trovato un alleato. «Credo che, rispetto al passato, il dibattito sul Cie parta finalmente da una posizione diversa – afferma Franco Tommasini -. Tutti i soggetti coinvolti hanno riconosciuto la necessità di agire per arrivare a un superamento di queste strutture. Per noi l’obbiettivo rimane la chiusura, anche se illusioni non ce ne facciamo più. Di certo la comunità di Gradisca ha dato molto in termini di assunzione di responsabilità nei confronti dello Stato e i suoi cittadini hanno pagato cara questa generosità sotto il profilo della percezione della sicurezza. Ma stiamo dando molto anche sotto l’aspetto dell’integrazione – ha rivendicato -. Proprio per questo la nostra cittadina non può più essere lasciata da sola». Un messaggio rivolto chiaramente ai tanti politici riuniti a Palazzo Torriani. Nessun parlamentare del Pdl e della Lega(a rappresentare il centrodestra solo il consigliere regionale Ziberna), tocca quindi a Pd e Sel dettare i tempi del vertice, mentre i 5 Stelle si limitano ad ascoltare e prendere nota. Fra i parlamentari è il senatore Carlo Pegorer (Pd) a rompere il ghiaccio: «Il Cie di Gradisca- dice – è la prova oggettiva del fallimento della Bossi-Fini. Non si può affrontare il problema dell’immigrazione soltanto sotto il profilo della sicurezza». Critico verso la norma, ma consapevole delle difficoltà di modificarla presto, anche il deputato Gian Luigi Gigli di Scelta Civica: «In questo momento il superamento della Bossi-Fini mi pare quantomeno poco realistico. Dobbiamo concentrarci sull’umanizzazione del centro». Per Gianna Malisani del Pd «questa politica sull’immigrazione non ha prodotto alcun beneficio. Assurda, poi, la difformità di regolamenti fra i diversi Cie italiani». Al democratico Giorgio Brandolin è toccato il compito di ricostruire la storia del Cie isontino. «Anche se avrebbe potuto rifiutarsi, come già aveva fatto il Comune di Gorizia, la comunità gradiscana aveva dato la propria disponibilità a un altro tipo di centro, deputato alla sola prima accoglienza. Poi le carte in tavola sono cambiate. Da allora sindaci, prefetti e questori che si sono alternati in questi 13 anni sono stati lasciati soli. Non dimentichiamo – ha scandito Brandolin – che il 90% degli ospiti del Cie nulla ha a che fare con i disperati che sbarcano a Lampedusa. Là dentro non ci sono ancelle della gioventù». «In 13 anni – afferma Rodolfo Ziberna – non un solo episodio di intolleranza si è verificato a Gradisca. Ma non ci si illuda che chiudendo un Cie il problema-immigrazione svanisca. Dobbiamo imporci con l’Ue per avere delle garanzie a livello finanziario e legislativo». «Ciò che ho visto – spiega Francesco Russo del Pd, che la situazione al Cie l’ha vista dall’interno – mi spinge a dire che bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare a una soluzione che ponga fine alle difficoltà sia del personale che lavora all’interno del Centro sia degli immigrati senza pregiudicare la sicurezza della comunità e il controllo dell’immigrazione clandestina». Quindi le esponenti del Sel: per l’assessore Loredana Panariti «le condizioni di trattenimento del Cie sono inumane a prescindere dagli eventuali precedenti degli ospiti», mentre secondo la parlamentare Serena Pellegrino «Regione e Provincia devono essere vigili sul territorio e effettuare un lavoro di pressione nei confronti del governo. Il Cie è peggio di un carcere». Pellegrino ha ringraziato le associazioni che da anni monitorano le condizioni di vita all’interno dei centri. Associazioni che avrebbero voluto prendere la parola ma sono state invitate da Serracchiani a rispettare «il carattere meramente istituzionale» del vertice, con la promessa di un successivo incontro.
Marzo 17th, 2017 — General, Gruppo Ecologia Sociale
Tepee in Tal Parco 2013 ( Vonde Ploje. L’an cal ven o turnin a fa le fieste il mes di lui !!)
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Marzo 17th, 2017 — General, Tracciati FVG
Il Piccolo 28 agosto 2013
Del Bello: «Opzione zero per la Tav»
«Tav: opzione zero. Vincente l’ipotesi di potenziamento della linea esistente, comprensiva di previsioni di adeguamenti locali (Bivio di San Polo, curvone di Latisana, risagomatura gallerie carsiche) ove tale linea sia palesemente insufficiente».
Ad affermarlo è monfalconese Fabio Del Bello, consigliere provinciale nelle fila del Pd. Secondo Del Bello va riparametrata l’analisi multicreri inserendo inserendo tra i criteri la valutazione della frammentazione ecologica, territoriale e idraulica, rivedendo il criterio del valore percentuale dei tratti di interferenza rapportato alla lunghezza totale e rivalutando la media pesata con parametri più aderenti ai tipi di habitat (soprattutto il Carso) e al loro grado di fragilità.
Del Bello: «Ritengo la battaglia contro il progetto preliminare della nuova linea ad alva velocità e capacita ferroviaria Venezia-Trieste sostenuto dai bigpolitici degli opposti schieramenti(Illy-Sonego, Tondo-Riccardi, Serracchiani-D’Alema), vinta! Se dalla attuale Giunta regionale dovessero residuare ancora tardive speranze e soprattutto se si dovesse ancora fantasticare sul tratto ipogeo Monfalcone-Trieste, chiederò alla presidente della Regione Serracchiani un pubblico confronto a Monfalcone dove i danni della Tav sarebbero immani».
Nel frattempo nella Commissione provinciale Trasporti/Logistica, presideuta dallo stesso del Bello, ai primi di settembre saranno depositati due elaborati volti a comporre un disegno logistico di Area vasta finalizzato a dare adeguate e ragionevoli risposte al traffico passeggeri e soprattutto all’Alta capacità ferroviaria per i porti (con particolare riferimento a quello di Monfalcone considerato la principale leva di sviluppo dell’intero Isontino).
Marzo 17th, 2017 — General, No OGM
Dal Messaggero Veneto del 28/08/13
Mais transgenico In Friuli altri campi seminati a Ogm
La denuncia arriva dalle associazioni ambientaliste E intanto spunta anche la grana dei costi per le analisi
Sopralluogo ai terreni di Vivaro
Domani alle 12 l’eurodeputato Andrea Zanoni del Gruppo Alde effettuerà un sopralluogo al campo di mais Ogm a Vivaro. Ha scritto alla presidente regionale, Debora Serracchiani affinché le coltivazioni di mais Mon 810 presenti in regione siano distrutte: «Devono essere anche attivate tutte le autorità al fine di controllare e monitorare eventuali e potenziali contaminazioni in atto e future – dichiara Zanoni – causate da queste coltivazioni tramite polline ma anche tramite i tessuti vegetali che rimarranno nel terreno». (m.m.)
Sono molto più di tre i terreni seminati a mais transgenico in Friuli Venezia Giulia. La denuncia arriva dalle associazioni ambientaliste (Aiab-Fvg, Aprobio, Isde, Legambiente e Wwf) che, con una lettera inviata al vicepresidente della Regione Sergio Bolzonello, non solo dichiarano che sono avvenute semine di Mon 810 ad aprile oltre che a giugno, ma segnalano anomalie nella tenuta del pubblico registro delle notifiche di semina di mais Mon810: «La normativa prevede che l’albo delle notifiche sia pubblico e abbia la massima divulgazione – precisa Emilio Gottardo di Legambiente – in modo da permettere agli agricoltori della zona di semina di tentare di minimizzare le contaminazioni». «Invece – continua Roberto Pizzutti di Wwf – solo ora, dopo aver fatto richiesta di accesso al registro pubblico, siamo venuti a conoscenza di semine Ogm effettuate già ad aprile (oltre a quelle più note di giugno), verso le quali ormai non si può mettere in pratica nessuna misura di tutela». L’attenzione si sposta sull’associazione Futuragra, che non nega ma nemmeno conferma. «Sicuramente ci sono molti agricoltori che sono in regola con le direttive europee e non da oggi – dice il vicepresidente dell’associazione di Vivaro, Silvano Dalla Libera -. Di più non posso dire, è prematuro». Ma di più non serve: chi semina, in base alle direttive, deve denunciare la semina al registro. «Quello che speriamo è che quest’anno possa essere davvero l’anno di svolta per gli agricoltori – auspica il vicepresidente di Futuragra – ma anche per molti scienziati, altrimenti tanta gente chiuderà l’azienda e se ne andrà all’estero. Nessun Paese ha, come l’Italia, un ministero per la distruzione dell’agricoltura. Ad eccezione di De Castro, e in parte di Galan, gli altri ministri non hanno fatto altro che aumentare burocrazia e divieti». Dalla Libera è convinto che quest’anno ci sarà la svolta «anche perché avremo per la prima volta i risultati scientifici». Ciò vuol dire – non lo dice Dalla Libera ma è implicito – che non è stato solo Giorgio Fidenato a sperimentare le colture. I raccolti non Ogm secondo le associazioni sono a rischio, perché i centri di raccolta non vogliono correre rischi. «Chi si farà carico di questi costi di analisi, separazione partite e perdita di valore commerciale? – chiede Sergio Pascolo di Aprobio – Qui le autorità debbono rendersi garanti di tutti i produttori e far coprire i costi dell’operazione a chi ne ha comportato le cause». Le associazioni sollecitano la Regione «affinchè non si lasci imbrigliare dai lacciuoli giuridici paventati dai pro-Ogm, nè sia impaurita dalla loro aggressività, ma faccia tutto ciò che serve, ed in tempi utili, affinché la regione rimanga davvero libera da Ogm». Martina Milia
Coltivazioni Ogm, ambientalisti all’attacco
Dal Piccolo del 28/08/13
«Seminato in gran segreto ad aprile altro mais geneticamente modificato». Oggi presidio a Vivaro”
TRIESTE Semine di mais Mon 810 Ogm sono state effettuate in Friuli Venezia Giulia nel mese di aprile, oltre a quelle già note del mese di giugno. La denuncia arriva dalle associazioni ambientaliste Aiab, Aprobio, Legambiente, Isde e Wwf, che lamentano anomalie nella tenuta del registro pubblico delle notifiche di semina. «La normativa prevede che l’albo delle notifiche sia pubblico e abbia la massima divulgazione – precisa Emilio Gottardo di Legambiente – in modo da permettere agli agricoltori della zona di semina di tentare di minimizzare le contaminazioni». «Invece – continua Roberto Pizzutti del Wwf – solo ora, dopo aver fatto richiesta di accesso al registro pubblico, siamo venuti a conoscenza di semine Ogm effettuate già ad aprile, verso le quali ormai non si può mettere in pratica nessuna misura di tutela». A ciò, affermano ancora le associazioni ambientaliste, si aggiunge il fatto che stanno iniziando le raccolte di tutti i produttori della zona di Vivaro e di Mereto di Tomba che vogliono qualificare le proprie produzioni come “non-Ogm” (non solo i biologici quindi ma anche chi conferisce a mangimifici con filiere dedicate). I raccolti sono a rischio, perchè i centri di raccolta comprensibilmente non vogliono correre rischi. «Chi si farà carico di questi costi di analisi, separazione partite e perdita di valore commerciale? – chiede Sergio Pascolo di AproBio -. Qui le autorità devono farsi garanti di tutti i produttori e far coprire i costi dell’operazione a chi ne ha comportato le cause». Di qui, dunque, il pressing sulla Regione affinchè «non si lasci imbrigliare dai lacciuoli giuridici paventati dai pro-Ogm, ma faccia tutto ciò che serve, ed in tempi utili, affinchè il Fvg sia davvero “Ogm free”». Un’identica richiesta arriva anche dall’eurodeputato Andrea Zanoni (Democratici liberali), che ha scritto alla presidente Debora Serracchiani, per chiedere di adottare un provvedimento affinché le coltivazioni di mais Ogm Mon 810 presenti in Friuli Venezia Giulia vengano immediatamente distrutte. Lo comunica lo stesso europarlamentare, che proprio oggi sarà a Vivaro, dove il coltivatore Giorgio Fidenato ha seminato mais Ogm. «Una scelta – aggiunge Zanoni – che viola la legge per cui è necessario provvedere rapidamente alla distruzione dei campi contaminati».
Dal Piccolo del 27/08/13
Domenica una protesta contro gli ogm
UDINE Domenica primo settembre alle 10 a Vivaro di Pordenone ci sarà un presidio vicino al campo coltivato a mais Ogm, organizzato dal coordinamento sorto a tutela della bidiversita in Friuli Venezia Giulia. La manifestazione è volta ad «applicare la legge regionale e per la distruzione immediata di ogni coltura transgeniche coltivate illegalmente sul territorio friulano e lasciata impunemente maturare come tre anni fa». La coltivazione ogm è ritenuta «lesiva dell’ambiente e del diritto alla salute» e pertanto, ne viene chiesta l’immediata distruzione. Gli esponenti del coordinamento domenica chiederanno che il territorio friulano venga «definito ogm-free, come previsto dai regolamenti comunitari: che le colture trasgeniche presenti sul territorio di tutto il Friuli siano immediatamente distrutte». (m.c.)
Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
AGGIORNAMENTO DEL 02 SETTEMBRE dalla Tenda per la pace e i diritti:
Venerdì notte siamo state davanti al CIE perchè c’era una minaccia di uso della forza per tirarli giù dal tetto, dopo le fughe del giorno stesso.
Alla fine i migranti sono scesi e sono stati chiusi nelle camere. Da quel giorno le forze dell’ordine si trovano in maniera fissa nei corridoi antistanti le gabbie e camere (ricordiamo che l’accesso di polizia&co nella parte dove si trovano recluse le persone è consentita solo su chiamata per “emergenza” da parte degli operatori)
Evidentemente anche qui la Prefettura ha messo lo zampino per definire la situazione stabilmente emergenziale.
La presenza costante delle forze dell’ordine ha innescato un’escalation di provocazioni da una e dell’altra parte… che porterà a breve a far risaltare la situazione…
I migranti all’interno denunciano che 4 delle 10 persone fuggite sabato, sono state riprese e picchiate.
Dal Piccolo del 01/09/13
Evasione bis dal Cie, spariti due immigrati
di Luigi Murciano Ancora evasioni dal Cie di Gradisca. L’altra sera dodici immigrati, tra i principali attori dei danneggiamenti delle scorse settimane, hanno tentato di fuggire dall’ex caserma Polonio, in cui continua l’occupazione a oltranza dei tetti. Sei hanno abbandonato presto il disegno originale, rientrando rapidamente al centro, altri sei invece sono riusciti a riguadagnare la libertà. Soltanto due di loro, però, hanno centrato realmente l’obiettivo, allontanandosi e facendo perdere le proprie tracce. Gli altri sono stati intercettati poco dopo nelle vicinanze. Dei quattro immigrati riportati dentro i cancelli del Cie, due hanno accettato, seppur controvoglia, di far rientro nelle rispettive camerate, mentre altri due hanno dato letteralmente in escandescenze, dando vita a scontri con la polizia. Scontri nei quali sono rimasti lievemente contusi due agenti. I responsabili dell’aggressione sono già stati arrestati: si tratta di due cittadini marocchini, accusati di per resistenza e violenze. Uno avrebbe alle spalle gravi precedenti per rapina. I clandestini sono riusciti a fuggire ancora una volta dal lato confinante con il vicino Cara, approfittando del clima di confusione che regna nel centro, sempre interessato dalla “protesta dei tetti”. Una forma di mobilitazione che dura ormai da tre settimane e che, nelle ultime ore, ha registrato un picco di tensione legato alla proroga del trattenimento di alcuni ospiti dell’ex caserma. Durissimo il giudizio delle forze dell’ordine sui nuovi disordini. «Ci dicano a chi consegnare le chiavi – afferma ironicamente Angelo Obit, segretario provinciale del Sap -. Era evidente fin dall’inizio che non sistemare la rete di ferro lungo il tunnel centrale sul quale si aprono le vasche (è da li che gli immigrati salgono sui tetti nrd) si sarebbe rivelato un errore». Il problema individuato più volte dagli operatori di polizia è l’uscita in massa dalle zone comuni all’aperto, subito all’esterno delle camere. «Per questo era stata suggerita l’installazione di tornelli che, come noto, sono sistemi di controllo che permettono il passaggio di una persona per volta: ma è stata brutalmente scartata». E dire che è stato rinforzato il perimetro della struttura, fatta eccezione proprio per la parte confinante con il Cara, raggiunto il quale è un gioco da ragazzi dileguarsi. Soluzioni e punti deboli a quanto pare conosciuti benissimo dagli immigrati. «Eppure – conclude Obit – non si sono adottati rimedi: si va avanti con soluzioni tampone con l’unica disposizione di gestire l’ordine evitando soluzioni di forza. A questo punto chiediamo davvero a chi dobbiamo consegnare le chiavi. Converrebbe evidentemente – conclude il segretario del Sap – occuparsi della sicurezza dei cittadini della provincia e fare prevenzione sul territorio piuttosto che della vigilanza di una struttura che, per come è congegnata ed organizzata, non consente un controllo efficace. Qualcuno grida allo scandalo tirando in ballo la presunta, e in realtà del tutto infondata, “violazione dei diritti umani”. Ma il vero scandalo è il fatto che il Cie sia un territorio franco dove è consentito violare le leggi». Sul caso Gradisca tornano a farsi sentire anche gli esponenti regionali di Sel, pronti ad attaccare in particolare le posizioni “pro Cie” del Pdl. «La linea del partito di Berlusconi è sempre la stessa: deboli con i forti e forti con i deboli – attacca Giulio Lauri -. Ai consiglieri Pdl ricordo però i pregiudicati rappresentano solo una piccola percentuale dei migranti trattenuti nei Cie. Se uno straniero arriva lì, infatti, è perchè i propri conti con la giustizia, contrariamente ad altri che in Italia commettono i reati e non vanno in carcere, li hanno già saldati».
Dal Piccolo del 31/08/13
Immigrati sui tetti, al Cie protesta a oltranza
di Luigi Murciano GRADISCA Prosegue a oltranza la protesta dei clandestini al Cie di Gradisca. Gli immigrati continuano ad alternarsi a turno nell’occupazione del tetto della struttura, che erano riusciti nuovamente a raggiungere nella serata di mercoledi. Sono una quindicina i nordafricani più determinati nella protesta. Ha raccolto le loro istanze la deputata del Sel, Serena Pellegrino, che giovedi sera ha visitato l’ex caserma Polonio: «Di scendere dal tetto non se ne parla. Il coro è unanime: non più di sei mesi di trattenimento» riferisce la parlamentare. Gli immigrati sono risaliti sul tetto, dopo che uno degli ospiti, da 16 mesi rinchiuso al Cie, si è visto prorogare di ulteriori 60 giorni la sua permanenza. Secondo Pellegrino «i consolati e le ambasciate non fanno quanto potrebbero. Forse – aggiunge – se dopo 14 mesi non sono riusciti a “riconoscere” un proprio cittadino, il problema è che non lo vogliono riconoscere». Intanto arriva la conferma della visita alla struttura, il 9 settembre, da parte del senatore Luigi Manconi, presidente della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani. Altri consiglieri regionali, in una delegazione capeggiata da Giulio Lauri (Sel) avrebbero dovuto visitare il Cie nei giorni scorsi, ma per un vizio burocratico il sopralluogo è stato rinviato. «È poco condivisibile – commenta Lauri – che un consigliere regionale del territorio o i giornalisti non possano visitare il Cie e rendersi conto con i propri occhi di ciò che avviene all’interno. La normativa va cambiata e, per come sono concepiti, i centri vanno chiusi, a partire da Gradisca. E non parlerei sensazionalisticamente di “rivolta” degli ospiti, ma di una ferma e condivisibile protesta contro questo sistema inaccettabile». Prosegue anche il dibattito sulle condizioni di sicurezza della struttura: «L’occupazione di massa dei tetti poteva essere evitata con il semplice utilizzo di tornelli – è il parere del Sap espressso dal segretario provinciale Angelo Obit -. Agli agenti fa male sentir dire che all’interno del Cie non vengono rispettati i diritti umani. Le forze dell’ordine si limitano ad applicare, spesso con enorme buonsenso, una normativa democraticamente approvata dalla politica. La stessa politica che oggi soffia sul fuoco della tensione adesso dovrebbe, se lo ritiene, cambiare quelle normative alla luce delle criticità emerse. Ma non si accusi in maniera ideologica chi serve e rappresenta lo Stato». Attualmente il normale dispositivo di sicurezza prevede 4 uomini della Questura – tra cui l’ispettore di turno -, altri 4 del reparto mobile di Padova o carabinieri, 2 finanzieri e 20 militari. Solo nei momenti di difficoltà ad ogni turno vengono aggiunti 10 operatori del Reparto Mobile. Per fare un paragone, al Cie di Torino il dispositivo prevede mediamente ben 50 uomini in più, nonostante le presenze siano le medesime.
30 agosto ore 16.00
I migranti sono tutt’ora sul tetto e intenzionati a resistere.
La questione su cui puntano l’attenzione in questo momento è il giudice di pace, in particolare chiedono che se ne vada il giudice che ha fatto le ultime 4 convalide…
Ieri sono entrate l’on. Pellegrino e la nuova assessore all’immigrazione della Provincia di Gorizia (Ilaria Cecot) niente di rilevante da segnalare tranne che i migranti hanno fatto capire la loro determinazione.
Sono scappati dal lato confinante con il vicino Cara approfittando del clima di confusione
GRADISCA Ancora evasioni dal Cie di Gradisca. Nel pomeriggio di venerdi 30 agosto quattro clandestini, tra gli autori dei danneggiamenti delle scorse settimane, hanno fatto perdere le proprie tracce dall’ex caserma Polonio, di cui i “trattenuti” stanno occupando a oltranza i tetti con una nuova protesta. I clandestini sono riusciti a fuggire ancora una volta dal lato confinante con il vicino Cara, approfittando del clima di confusione di queste ore. Durissimo il giudizio delle forze dell’ordine sull’episodio. «Ci dicano a chi consegnare le chiavi».(l.m.
Dal Piccolo del 30/08/13
Proteste senza fine al Cie, altri due feriti
di Luigi Murciano GRADISCA Clandestini nuovamente sui tetti, è ancora bagarre al Cie di Gradisca. L’allarme è scattato mercoledì sera, quando un gruppo di una ventina di trattenuti all’ex Polonio ha forzato le barriere, riuscendo ad uscire dalle vasche di contenimento e a salire nella zona già teatro delle proteste dei giorni scorsi. Almeno in due hanno tentato senza successo la fuga: uno di loro si è ferito in maniera non grave cadendo a terra nel tentativo di raggiungere il muro di cinta aggrappato ad una sorta di fune rudimentale che ha cercato di agganciare alle sbarre. L’uomo non ha voluto desistere dal suo proposito (con gli agenti che avevano piazzato una scala per farlo scendere) quando la corda improvvisata ha ceduto facendogli compiere un volo di 4 metri. E’ stato soccorso dagli uomini del 118 e ricoverato al nosocomio di Gorizia, dal quale è stato dimesso facendo ritorno al Cie già durante la notte. Rovinosa caduta anche per un secondo straniero che non è riuscito a scavalcare le barriere per questione di centimetri. Non vi sono stati comunque scontri fra gli “ospiti” e le forze dell’ordine. Fonti interne alla polizia smentiscono con decisione, fra l’altro, la notizia secondo cui anche gli agenti sarebbero saliti sui tetti nel tentativo di riportare nelle camerate i “rivoltosi”. L’ordine della Questura al contrario è quello di controllare la situazione evitando il contatto fisico. I trattenuti, quattordici, hanno continuato ad occupare il tetto per tutta la giornata, dichiarando di volervi rimanere ad oltranza. Il “casus belli” della nuova protesta sono state le convalide di fermo per altri due mesi comminate dal giudice di pace nei confronti di 4 delle persone trattenute al Cie, una delle quali si trova all’ex Polonio da ormai 14 mesi. Altre persone colpite dal provvedimento hanno moglie e figli nel nostro Paese. Altri due avrebbero inoltrato senza successo richiesta di rimpatrio . Torna quindi d’attualità il tema dei tempi di “detenzione” nei Cie, tempi che sono acuiti anche dalla lentezza e a volte negligenza con cui i Paesi d’origine di queste persone colpite da decreto di espulsione avviano le procedure di rimpatrio. «Non abbiamo prospettive», «La vita qui non conta più niente», «Siamo come cani, molto meglio il carcere». Altri ospiti hanno persino chiesto il trasferimento in altri Cie. Nel frattempo il trattenuto agerino che aveva spaccato il naso ad un operatore con un pugno al volto è stato processato per direttissima e condannato a sei mesi di reclusione. E’ stato tradotto a Gorizia, nella casa circondariale via Barzellini. Ieri sera l’on. Serena Pellegrino (Sel) ha svolto una nuova visita al Cie per proporre eventuali mediazioni. La nuova protesta è andata in scena proprio quando a Roma si è svolto un incontro fra i funzionari del Dipartimento per le Libertà Civili e l’Immigrazione e le Questure il cui territorio ospita un Cie. Sul tavolo le criticità di questi giorni e le possibili soluzioni operative.
Il Pdl: «A Gradisca delinquenti comuni»
Sul caso del Cie di Gradisca e sulla sua eventuale chiusura si muove anche la politica. In una lettera al presidente della Regione Serracchiani, i consiglieri del Pdl Ziberna, Novelli, Colautti, Cargnelutti, Ciriani e Riccardi esprimono la loro «perplessità». «Noi riteniamo – scrivono – che su problemi di questa portata, che si ripercuotono in diversi quanto delicati ambiti (dalla sicurezza degli ospiti a quella della popolazione, alle condizioni di vita all’interno delle strutture ed a quelle degli operatori di polizia, sino alle relazioni internazionali), si debba abbandonare quella demagogia con cui questa Giunta ha prevalentemente operato. Chi oggi chiede tout court la chiusura dei Cie in Italia – continuano i berluscones – è come se chiedesse la chiusura delle carceri e la conseguente messa in libertà dei detenuti. Perché chi fa questa proposta deve avere il coraggio di dire ai cittadini che la maggior parte dei clandestini stanno scontando pene detentive per stupro, rapina, spaccio di stupefacenti, violenza».
Dal Piccolo on line del 29/08/13
Immigrati di nuovo sul tetto del Cie di Gradisca: un ferito
Venti ospiti del Cie sono saliti attorno alle 23 sul tetto della struttura, scandendo lo slogan “Libertà! Libertà!”
Nuova rivolta al Cie di Gradisca. Venti ospiti della struttura per immigrati, sono saliti sui tetti attorno alle 23. Non si hanno notizie di feriti anche se sul posto è intervenuta l’ambulanza del 118. Al contrario delle altre volte, non sono stati allertati i vigili del fuoco. Sui tetti gli immigrati scandiscono lo slogan “libertà!libertà”. Un immigrato è caduto dal tetto ed è stato portato con l’ambulanza all’ospedale di Gorizia.
Dal Piccolo del 29/08/13
Immigrato aggredisce un operatore del Cie
di Luigi Murciano GRADISCA Con un cazzotto rompe il naso a un operatore del Cie di Gradisca: «Meglio andare in carcere che stare in questo inferno». È stato accontentato: prima con l’arresto, poi con il processo per direttissima. Protagonista dell’ennesimo episodio di tensione dentro le mure del centro isontino, un cittadino algerino, 38enne, di cui non sono state rese note le generalità. I dettagli dell’accaduto sono piuttosto frammentari, ma raccontano di una vera e propria aggressione che il nordafricano avrebbe perpetrato nei confronti di un dipendente della Connecting People, il consorzio siciliano che gestisce la struttura. L’aggredito sarebbe anch’esso del Nord Africa: un uomo di nazionalità marocchina, ma residente da tempo a Gradisca dove abita con la famiglia. Non è chiaro se il gesto sia scaturito da precedenti dissapori fra i due nordafricani o se piuttosto sia stato causato da un improvviso diverbio. Di certo l’algerino secondo la testimonianza di alcuni operatori avrebbe affermato in quei momenti “caldi” di non avere niente da perdere e di preferire di gran lunga una detenzione in carcere alla permanenza a tempo indeterminato nel Cie. «È un messaggio molto pericoloso – confida un operatore – perchè rischia di ingenerare altri episodi violenti. Siamo abituati alle continue minacce ma in questi giorni in molti hanno soffiato sul fuoco della tensione e la situazione all’interno è ancora molto delicata. Il Cie è peggio di un penitenziario? Vero o falso che sia – aggiunge -, se fra gli ospiti passasse il concetto che aggredire gli operatori vale un trasferimento in carcere qui dentro diventerebbe ancor di più un incubo». Nei mesi scorsi una dipendente era stata colpita alla testa con un lucchetto da un trattenuto al Cie di Gradisca. Intanto trapela anche la notizia che a Ferragosto ai dipendenti sono stati pagati gli stipendi di maggio. Sono quindi sempre tre le mensilità arretrate per dei lavoratori che continuano ad operare in condizioni estremamente complesse. Il Sap, sindacato autonomo di polizia, ha recentemente auspicato che gli operatori possano essere formati professionalmente per gestire situazioni di questo tipo anzichè essere mandati allo sbaraglio. Forze dell’ordine e militari come noto presidiano il perimetro esterno dell’ex Polonio e intervengono soltanto in caso di emergenze.
Marzo 17th, 2017 — General, No OGM
Domenica 1 settembre a Vivaro si terrà un presidio contro la semina di mais OGM. Sarà anche il luogo simbolico dove si scontreranno due modi diversi di intendere il proprio rapporto con la terra e con il cibo: ad un modello di agricoltura industriale estensiva, fondato sulla monocoltura e su rapporti monopolistici e di tipo privatistico contrapponiamo un modello agricolo costruito dal basso, fatto di relazioni umane e sociali, condiviso ed autonomo, favorevole alla biodiversità e fondato sul principio della sovranità alimentare.
La semina di mais OGM a Vivaro ha come obiettivo quello di fare da apripista per altri coltivatori e di forzare la mano di modo che i governi locali e nazionali possano legittimare l’uso di OGM prima in forma sperimentale, per poi lasciare le briglie sciolte quando oramai la diffusione e la contaminazione è irreversibile.
In questo senso va la modifica della legge regionale (5/2011) che vietava tali coltivazioni, motivando tale atto come un recepimento delle normative europee, con l’introduzione della clausola di “coesistenza” che di fatto apre la strada alle coltivazioni OGM. Allo stesso modo, anche la recente quanto tardiva pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale del D.L.187 del 10 agosto 2013 che vieta la coltivazione di mais MON810 e che, non essendo retroattivo, non permette la bonifica dei campi coltivati con OGM presenti nel nostro territorio. Continue reading →
Marzo 17th, 2017 — General, No OGM
COMUNICATO DI INIZIATIVA LIBERTARIA
RASSEGNA STAMPA
Foto della manifestazione (circa 200 persone) di Vivaro del 1 settembre 2013
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Il mais malato di Fidenato
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Marzo 17th, 2017 — General, Tracciati FVG
A breve uscirà un comunicato del Comitato NOTAV di Trieste e del Carso.
Dal Piccolo del 01/09/13
La Tav? Né sì né no La giunta decide di tirare il freno
Non sventra la Val Rosandra, come a suo tempo in tanti avevano temuto, ma il Carso triestino lo buca lo stesso, nella sua parte alta, occidentale, dalle porte di Duino fino alla “pancia” di Villa Giulia, nella zona di via Cantù, dove la futura Tav è destinata ad essere allacciata senza uscire allo scoperto direttamente alla circonvallazione sotterranea esistente, la cosiddetta “linea di cintura” che punta verso la linea portuale che ha il suo “terminal” nella stazione di Campo Marzio. L’ultimo progetto preliminare della Ronchi-Trieste sostitutivo del piano originario del 2003 – redatto a fine 2010 in scia ai dettami del Cipe in base ai quali la tratta è stata inserita nell’«elenco delle opere ed interventi strategici» individuati dal Governo nel 2006 – prevede in effetti per la Tav una lunghezza di oltre 23 chilometri su e in suolo provinciale sui 36 e mezzo dell’intera Ronchi-Trieste. Di questi, quasi 22 sono sotterranei. L’opera dovrebbe riemergere per un chilometro e poco più solo in prossimità dello snodo di Aurisina. Il resto è progettato che corra sotto Ceroglie, Malchina, Slivia e poi Santa Croce, Campo Sacro, Prosecco, Piscianzi fino, per l’appunto, a Villa Giulia. (pi.ra.) di Piero Rauber Un anno fa obiettava, fabbricava domande, ma professava fede. Ora s’è irrigidito. È diventato – ufficialmente, causa «mancata o incompleta risposta ad alcune prescrizioni» – agnostico. Il Comune – in scia alla recentissima e non dissimile decisione assunta dalla Provincia – tira il freno a mano lungo l’iter burocratico che dovrebbe portare, entro il 2040, alla realizzazione della Ronchi-Trieste, la tratta locale della Tav. La giunta Cosolini è fresca di delibera nella quale – «seppur ribadendo il valore strategico di un sistema infrastrutturale di trasporto e di comunicazione adeguato alla funzione logistica e portuale, alla collocazione europea», con tanto di richiesta all’amministrazione Serracchiani di «un intervento nei confronti di Governo e Ferrovie per un pronto confronto che sciolga i nodi aperti» – ha stabilito di «non esprimere parere» sulla versione del progetto preliminare della Ronchi-Trieste aggiornata con le ultime integrazioni ambientali. Una versione che Italferr ha spedito alla Regione, in risposta alle condizioni e alle prescrizioni che la stessa Regione aveva raccolto da tutti gli enti locali, sintetizzato e inviato al Ministero dell’Ambiente nell’ambito della procedura di Via. La delibera – il cui valore non è vincolante per Regione e Governo ma ha comunque un forte sapore simbolico – ora sta transitando nelle circoscrizioni, poi tornerà in giunta, quindi si avvierà all’ultima parola del Consiglio comunale, la cui discussione con voto decisivo dovrebbe essere calendarizzata entro un paio di settimane. La conclusione alla quale arriva però il provvedimento è già preda di polemiche, con la maggioranza (si legga sotto, ndr) accusata dalle opposizioni di aver deciso di non decidere per evitare pubbliche spaccature come quando, nell’estate del 2012, il centrodestra venne in soccorso al Pd per far passare il parere favorevole condizionato proprio sulla Tav, osteggiato dall’ala sinistra della maggioranza stessa. L’ultimo documento, dopotutto, è entrato in giunta – portato da Umberto Laureni, l’assessore all’Ambiente in quota Sel – con un parere originariamente contrario stilato dagli uffici tecnici. È uscito appunto senza più parere. Eppure la delibera – 25 pagine dense di citazioni della storia dell’iter avviato ancora nel 2003 – è piuttosto convincente: gli uffici tecnici certificano, e qui la politica conta fino a un certo punto, che Italferr non ha esaudito ben 11 prescrizioni delle 24 cui il Comune l’anno scorso aveva condizionato il proprio parere favorevole. Si va dall’assenza di allegati che individuino fin d’ora le connessioni triestine – tra lo sbocco del tragitto carsico in galleria in prossimità di via Cantù e le stazioni di piazza Libertà, Campo Marzio e Opicina – alla carenza di studi sullo smaltimento degli inerti e sull’incidenza del traffico pesante legato al cantiere di imbocco galleria che Italferr localizza in via Marziale, sopra via Commerciale. Ma le due condizioni più pesanti che l’amministrazione Cosolini ritiene oggi non soddisfatte riguardano due sostanziali royalty. Una è «la necessità di prevedere un adeguamento delle infrastrutture ferroviarie più direttamente connesse al Porto» per raddoppiare la lunghezza dei treni-merci, l’altra è «la progettazione preliminare che preveda il collegamento del tracciato oltre il Porto fino a Capodistria». «Alcune delle nostre prescrizioni – spiega Laureni – non hanno avuto risposta, e altre non sono state trovate nei corposi documenti di Italferr, ma la mancanza di un parere negativo finale deriva dal fatto che abbiamo inteso riconoscere anche una indubbia difficoltà di interpretazione e mediazione dal momento che Italferr ha risposto a una serie di quesiti che prima la Regione e poi il Ministero hanno sintetizzato partendo da una miriade di osservazioni fatte da tutti gli enti chiamati a esprimersi, non solo dal Comune di Trieste». @PierRaub