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FORCONI/ Pertini si rivolta nella tomba!

Flop totale della manifestazione del 18 dicembre dei fascio-forconi a Roma.

 

I media dicono 3 mila, secondo la polizia mille, ma fossero stati anche 10 mila, sarebbe un flop in ogni caso. Inizialmente avevano annunciato 40 mila presenze cioè: “non molti”. Poi sono scesi a 15 mila; cioè: “poca roba” e alla fine si sono ritrovati in qualche migliaio; cioè: “ridicoli”.

 

 

fasci-a-roma

Per fare la valutazione vanno ricordati alcuni parametri di riferimento. 1) Roma è la Città più popolosa d’italia con 2 milioni 650 mila abitanti. 2) La manifestazione aveva carattere nazionale. 3) sono 10 giorni che si parla solo di loro.

Ulteriori valutazioni.

Il comizio di Danilo Calvani è stato di impronta fascistoide.

I cagapaund erano presenti ufficialmente, ben visibili e in massa (per modo di dire).

Contemporaneamente a Roma si svolgeva un corteo antagonista, meticcio ed antirazzista, per la casa, con 5 mila partecipanti!

Vediamo infine quelli partiti da Udine. Avevano proclamato  “A roma andremo in trecento” poi in realtà si sono ridotti a 70 persone; bravi però perché sono stati i primi ad arrivare e così sono stati intervistati dal Corriere della Sera. A parte l’ormai noto Alessandro Gallo (quello che fa rivoltare Pertini nella tomba) sarebbe interessante sapere chi è il primo degli intervistati, che esibisce un accento simil-romanesco.

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MONFALCONE/ Serrata padronale ed altre cose strane

Anche a Monfalcone abbiamo assistito alle “manifestazione dei forconi”. Qui hanno tolto le varie sigle che hanno firmato il manifesto di indizione a livello nazionale ma lo stesso si autodefiniscono così.

Dalla sera dell’8 dicembre commercianti e artigiani del centro sono tornati in piazza dopo l’iniziativa della sera prima organizzata dall’ASCOM in difesa del piccolo commercio dopo l’apertura del mega-centro commerciale “Tiare” di Villesse. Questa volta al presidio imbastito in piazza visibili accanto agli esercenti i soliti 4 fascisti di forza nuova. La mattina dopo circa 400 operai di ditte dell’indotto del cantiere sono scesi in piazza con slogan tipo “politici fuori dai coglioni”, esprimendo apprezzamento per la polizia analogamente a quanto accaduto in altre città d’Italia. Il 10 dicembre, seconda giornata di protesta, 2 o 300 operai di nuovo in piazza (i commercianti nonostante gli inviti e le indignazioni dei manifestanti NON hanno abbassato le serrande). 

A quanto emerge gran parte degli operai sono scesi in piazza in modo non del tutto indipendente. C’è chi ha parlato di serrata padronale cogliendo, secondo chi scrive, solo in parte la dinamica del fenomeno. Nella giornata di ieri e di oggi gruppi di persone hanno picchettato l’ingresso del cantiere blandendo o insultando gli operai delle ditte private affinché non entrassero al lavoro facendo leva anche sulla rabbia e insoddisfazione generale.

Ma chi sono questi “piqueteros”? Gli operai dicono di non conoscerli ed attorno a loro girano diverse teorie. Di certo si tratta di persone di origine meridionale (campani e calabresi). C’è chi li riconosce come militanti dell’estrema destra a giudicare perlomeno dagli insulti verso i migranti sentiti. Altri ritengono si tratti di “caporali” legati in qualche modo a ditte non lontane dalla criminalità organizzata che infesta il cantiere.

Noi non sappiamo di certo di chi si tratti. Di certo non si tratta di militanti di un movimento autonomo ed autorganizzato come qualcuno vuol far credere viste le migliaia di volantini patinati stampati fronte-retro, cosa che ci fa pensare che ci sia qualcuno che li sostenga perlomeno economicamente.

È difficile a caldo fare un’analisi lucida di quanto sta accadendo e anche per queste righe ci basiamo più che altro sugli umori della piazza che vanno presi con le precauzioni del caso. Ci pare di poter comunque dire che la carica sovversiva che alcuni hanno letto in questo movimento a livello nazionale, localmente pare già populismo bieco che rischia di sfociare in eversione. In una città in cui l’ultradestra ha sempre avuto difficoltà di radicamento e in cui il multiculturalismo è un fatto compiuto, si sta creando un fronte trasversale tra le forze socialmente e politicamente più retrograde e questo non può che preoccuparci.

La protesta continuerà per l’intera settimana e vedremo cosa accadrà in concomitanza con l’astensione dal lavoro indetto dai sindacati confederali per 8 ore giovedì 12 a cui diversi manifestanti di oggi pare vogliano opporsi.

Questa manifestazione falsamente spontanea sottolinea l’amara mancanza di partecipazione diretta, libera ed indipendente nei processi sociali delle persone che abitano questo territorio. 

Per cercare di contrastare questa tendenza alla delega sociale e politica e contro le derive populiste ci impegniamo ad organizzare una giornata di discussione sui temi localmente urgenti ed attuali: antirazzismo: no cie; ambiente: no tav, no carbone, no rigassificatore…

A breve novità…

 

Coordinamento Libertario Isontino

Anche a Pordenone alla rivoluzione su appuntamento “spuntano” i fascisti

Anche a Pordenone alla rivoluzione su appuntamento “spuntano” i fascisti

10 dicembre 2013 alle ore 19.37

Chi aveva seguito le sigle e i contenuti che avevano dato il via alla fantomatica “rivoluzione” del 9 dicembre già sapeva l’impronta nazionalista e fascista della protesta.
Bastava conoscere i referenti nazionali, regionali o provinciali di questo fenomeno e in particolare quello dei “Forconi” per scoprire che dietro c’era Forza Nuova con suoi uomini (che ha per altro aderito ufficialmente come partito) ma anche altri gruppi neofascisti, come quello di Casa Pound, han deciso di non farsi scippare il giocattolo. 
Nonostante questo e dopo essere stati smascherati a più riprese in molti han fatto di tutto per negare l’evidenza e far passare l’idea che non c’entrano destra e sinistra, soprattutto sapendo che una connotazione troppo ideologica avrebbe allontanato molti insofferenti.
In mezzo infatti c’erano diverse persone, organizzate e non, spinte da rivendicazioni corporative o populiste (bottegai, imprenditori, associazioni di categorie) ma quello che più interessava era far abboccare tante altre persone in buonafede tra l’esasperato e l’insofferente verso le “caste” e lo strozzinaggio economico. 
Purtroppo non è mai buona cosa affidarsi in modo qualunquista a iniziative che inneggiano a “rivoluzioni” nazionaliste, soprattutto con l’idea che ciò che unisce non sono interessi di classe e di giustizia sociale ma di “sangue e suolo”; la storia insegna come va a finire: il popolo bue cambia padroni, questi conservano privilegi e interessi ma il popolo rimane mazziato.
D’altra parte molti dei padroni e padroncini nostrani sono almeno 20 anni e più che delocalizzano dove i salari sono da fame o assumono migranti perché privi di diritti e ricattabili col permesso a scadenza per pagarli meno, ed ora sostengono che gli interessi di quei lavoratori, licenziati per spostare i capitali all’estero e di quelli che rischiano in massa lo stesso destino, sono gli stessi loro in nome dell’italianità. 

Tornando in provincia, all’appuntamento rivoluzionario per ora non si son presentati in molti e andando a verificare scopriamo quanto già si sapeva.
Tra gli amministratori del gruppo FB “Coordinamento 9 dicembre 2013 Pordenone” c’è ad esempio tal Vittorio Roncaglia che fa sapere di aver studiato presso “il Duce”. 
Il pomeriggio in P.tta Cavour per tutta le giornate fin’ora a gestire il gazebo c’erano gli striscioni e i militanti di casapound italia, i cosiddetti “fascisti del 3° millennio” che han sostituito, su direttiva romana, il loro simbolo con la bandiera italiana.
Tra le proposte che emergono nei punti programmatici degli appelli di questa “rivoluzione” a scadenza c’è anche l’instaurazione di un regime militare, transitorio pare.

E’ evidente che quelli che scelgono di stare in mezzo a questa canea nazional-reazionaria o sono completamente sprovveduti o sono complici d’idee che hanno segnato le pagine più vergognose e sanguinose della storia di questo paese.

Coordinamento Antifascista e Antirazzista pordenonese

UDINE/ Comunicato del Collettivo Makhno sui forconi

O DISCRIMINANTE ANTIFASCISTA O STRUMENTALIZZAZIONI NEOFASCISTE:

AI FORCONI LA SCELTA

Udine, 9 dcembre 2013, fascisti in piazza: senza discriminante

antifascista è l’unica cosa che i forconi possono ottenere

10.12.2013

Strilli e populismi (e nuovi vecchi fascismi) sono arrivati anche a Udine, cercando di strumentalizzare già da tempo, ma senza molto successo, tematiche di movimento, come il diritto allo studio, l’ambientalismo, l’animalismo (con i neofascisti di CasaPound e della Foresta che Avanza in Piazza Libertà il 23 marzo 2013, davanti al silenzio complice della “sinistra” bene che siede in comune e poi si fa viva il 25 aprile), disuguaglianza sociale… (Recentemente ci hanno provato anche col Muos in Sicilia, ricevendo un calcio in faccia dalle/dai compagn* del Movimento No Muos).

Perché è di questo che parliamo. Di chi nasconde razzismo dietro tricolori, antisemitismo dietro discorsi contro le banche, fasci littori dietro… forconi.

Stiamo parlando dei populisti che dall’8-9 dicembre stanno dando la possibilità a neofascisti e neonazisti (Forza Nuova ha dato ufficialmente il suo sostegno) di utilizzare la crisi per propagandare la loro disgustosa ideologia, come fece Hitler nella Germania in crisi degli anni ’30 e come sta succedendo in Grecia e Ungheria. Dietro sipari inconsistenti come l’“apoliticità” (sic) si nasconde il tentativo di legittimare fascisti e fascismo, come se fosse rispettabile al pari delle altri ideologie.

Tutto questo si è visto ieri a Udine quando un manipolo di fascisti e ultrà nazisti (con grida contro i “comunisti” che evidentemente sono sempre nei loro pensieri anche quando non ci sono, e con urla come “A Roma hanno dato fuoco al campo nomadi! E’ vero! Era ora!”, a cui nessuno, nemmeno grillin* e “cittadin*” varie/vari, ha risposto) hanno preso in mano le redini della manifestazione in Piazzale Osoppo con scontri verbali con gli organizzatori, e bloccando le strade, farsescamente, spostandosi non appena gli veniva ordinato dai loro camerati (ma questi ultimi invece in divisa), per poi cambiare strisce pedonali da “bloccare”. A poco è servito evidentemente scrivere nel volantino degli organizzatori “Non è ammessa alcuna forma di discriminazione in merito a religione, ideologia politica, regione di appartenenza e razza” o “Siamo per la riaffermazione dei principi sanciti dalla carta costituzionale”, una carta costituzionale che è antifascista.

Se dopo quanto è successo ieri i forconi (o comunque vogliano farsi chiamare) non porranno la discriminante antifascista non potranno ottenere che questo. O discriminante antifascista o infiltrazioni e strumentalizzazioni fasciste: ai forconi la scelta.

Non sia frainteso e confuso con richieste securitarie quanto stiamo per scrivere (che serve solo a sottolineare il nostro odio verso i fascisti, con o senza divisa), ma fa pensare vedere da un lato quattro furgoni pieni di celerini per una manifestazione di compagn* contro le aggressioni indiscriminate della polizia e dei carabinieri a Udine contro ragazz* e anarchiche/anarchici, e dall’altro una manciata di vigili urbani e carabinieri (nemmeno in tenuta anti-sommossa) davanti a decide di fascisti che hanno fra l’altro fatto fuggire molt* manifestanti non fascist* nella fese finale del corteo. Questo per restare a Udine, per non parlare poi degli sbirri in altre parti d’Italia che sfilano in corteo senza casco e dispensando baci insieme ai loro camerati… O era solo prassi comune, come pretenderebbe di farci credere la questura? A Roma abbiamo visto cose molto diverse. “Tutti insieme!”, strillavano i populisti, eccitati. “Siamo con le forze dell’ordine”, aggiunge il buffone Grillo. No, noi non staremo mai dalla parte degli assassini di Carlo Giuliani, Cucchi, Frapporti, Aldrovandi, Uva… Giuseppe Pinelli, il cui omicidio di stato ricorre proprio in questi giorni.

In ogni caso, nulla di cui stupirci.

Ma anche a Udine è successo anche questo.

Però in fondo come dicono le/i grillin* (Grillo aprì a CasaPound e si è espresso con frasi sessiste e contro i “clandestini”, per non parlare dell’intervento pentastellato di mesi fa in parlamento che quasi lodava Mussolini…) perché dividerci? Dai, tutt* unit* per manifestare!

Ma manifestare per cosa? Per cosa manifestano tutte queste persone per nulla affette dal “cancro” (per loro) della consapevolezza ideologica?

Per ottenere uno stato di polizia, cioè una dittatura militare! Sembra uno scherzo, ma a dichiararlo è stato lo stesso Danilo Calvano, leader del movimento del 9 dicembre.

E non pensiamo ci sia altro da aggiungere, se non che la vera lotta è quella di chi tutti i giorni combatte contro l’oppressione, di chi combatte contro un dominio fatto di stato, capitale, polizia e grandi opere inutili e mafiose, come i quattro compagni anarchici No Tav lombardi e piemontesi accusati di “terrorismo” a cui va tutta la nostra complice solidarietà.

La Lotta non si arresta!

La Resistenza non si arresta!

Tutte libere, tutti liberi!

 

Collettivo Makhno

Forconi. Un’analisi da Torino

Forconi a Torino. I figli del deserto

 

torino piazza castello 9 dicDecodificare quanto è accaduto a Torino nell’ultima settimana non è facile. Specie se lo si fa con lo sguardo interessato di chi sceglie un punto di vista di classe, di chi ha l’attitudine alla partecipazione diretta, di chi mira alla costruzione di esperienze di autogoverno territoriale fuori tutela statale, definendo uno spazio e un tempo capaci di attraversare l’immaginario sociale, facendosi pratica concreta.

 

Nella sinistra civilizzata e di governo c’è da decenni un netto disprezzo per l’Italia a cavallo tra Drive in e il presidente operaio e puttaniere. L’Italia che si è affidata per vent’anni ad un partito capace di attuare politiche ultraliberiste, garantendo altresì la sopravvivenza di figure sociali che altrove la globalizzazione ha spazzato via: commercianti, artigiani, padroncini, agricoltori su scala familiare o con pochi dipendenti.

 

La settimana precedente quella del 9 dicembre, il governo, intuendo la miscela esplosiva che si stava preparando, ha concesso tutto quello che volevano alle organizzazioni degli autotrasportatori, mentre la moderatissima Coldiretti ha organizzato la manifestazione al Brennero, dove venivano bloccati e perquisiti i camion con la benedizione del ministro. Dopo i blocchi e le “perquisizioni” sulla A32 durante l’estate No Tav, Alfano ordinò cariche, arresti e l’invio di altri 250 militari in Clarea. Evidentemente questo governo, soprattutto nella sua componente di destra, mira a evitare lo strappo con alcuni dei propri settori sociali di riferimento, concedendo spazi di manovra negati ad altri.
La sinistra civilizzata, nei brevi periodi in cui è riuscita a saltare in sella al destriero governativo ha garantito la vita facile alla grande industria, facilitando la demolizione mattone su mattone di ogni forma di tutela per il lavoratori dipendenti e collaborando attivamente nella trasformazione di tanti di loro in lavoratori indipendenti ma di fatto subordinati. In tempi di crisi il popolo delle partite IVA si ritrova nella stessa condizione dei mercatari torinesi cui il comune chiede 500 euro al mese per la pulizia dei mercati. A tutti questi si aggiungono i tanti giovani – uno su quattro dicono le statistiche – che non hanno né un lavoro né un percorso formativo. Per non dire dei ragazzi degli istituti professionali che sanno di essere parcheggiati in attesa di disoccupazione.

 

Nelle piazze torinesi animate dal popolo delle periferie, quello cresciuto tra facebook e il bar sport, si sono ritrovati quelli dei banchi dei mercati, qualche disoccupato, i ragazzi degli istituti professionali.

 

 Nella sinistra intorno alle giornate di lotta indette dal “coordinamento 9 dicembre” si è sviluppato un dibattito molto ampio, spesso anche aspro.

 

Di fronte all’ampiezza della partecipazione, alcuni hanno osservato che era difficile che il mestolo stesse in mano alla destra cittadina. A Torino sia la Destra istituzionale – Fratelli d’Italia – sia chi – come Forza Nuova e Casa Pound – vive nel limbo tra istituzioni e velleità rivoluzionarie – non avrebbero un peso ed una capacità organizzativa tali da poterlo fare.

 

Un fatto è certo: nelle piazze di Torino e dintorni i rappresentanti di queste formazioni si sono fatti vedere più volte accolti dagli applausi della gente. Come è certo che buona parte delle tifoserie torinesi, ben presenti nei giorni più caldi, siano ormai da lunghi anni egemonizzate dall’estrema destra. In almeno un caso un esponente di “Alba Dorata” è stato cacciato dal blocco di piazza Derna grazie alla presenza di esponenti di sinistra, che avevano deciso di partecipare all’iniziativa. È tuttavia un caso isolato che non cambia il quadro. Anche la favola dei profughi africani, accolti con un applauso da quelli del “coordinamento 9 dicembre” è stata è stata ampiamente sfatata da resoconti circolati successivamente.
La questione è comunque mal posta. Qualunque sia stato il peso della destra, nelle sue varie componenti, la domanda vera è un’altra. Il movimento che si è espresso nelle piazze in un garrir di tricolori, inviti alla polizia a fraternizzare, richiami all’unità della nazione contro la casta corrotta e asservita ai diktat dell’Europa delle banche è un movimento di destra o no?
Noi pensiamo di si.

 

I resoconti fatti girare dalla sinistra radicale torinese hanno privilegiato l’immagine di piazze ambiguamente acefale: prive di capi, prive di organizzazione, prive di reale comprensione delle ragioni che li avevano condotti lì. Una sorta di creta che chiunque avrebbe potuto plasmare e dirigere. Una descrizione a mio avviso inconsapevolmente intrisa di orgoglio intellettuale e del mai sopito sogno di poter governare o alimentarsi delle jacquerie. Alcuni ne hanno assunto il mero contenuto antisistema, nella vecchia convinzione che il nemico del tuo nemico è un tuo amico. Una mostruosità ideologica che abbiamo visto annegare nel sangue tra Baghdad e Kabul ma sinora non ci aveva toccato da vicino.

 

Bisogna  guardare in faccia la realtà. Una realtà che certo non ci piace, ma il mero desiderio di vederla diversa non si concreta, se non la si sa vedere per quello che è. I protagonisti di questi giorni di blocchi e serrate sono i figli del deserto sociale degli ultimi trent’anni. Gente che credeva di avere ancoraggi e certezze e oggi si trova sospesa sul nulla. 
L’analisi della composizione di classe di questo movimento, della sua natura popolare, periferica,perché avvertivamo forte la necessità di capire ed intervenire per poter fermare l’onda lunga di destra che ha messo a loro disposizione un lessico comune, una chiave di lettura ed un orizzonte progettuale.

 

Siamo andati nelle piazze e nei bar ad ascoltare e capire il vento che stava cambiando, perché in periferia, tra i mercati e le strade attraversate dai cortei per l’ordine e la legalità, tra la gente che fatica a campare e non vede prospettive, ci siamo da anni. Da anni sappiamo che l’incapacità di parlare con gli italiani poveri, quelli che guardano con simpatia alla destra xenofoba e razzista, quelli che avevano qualcosa e ora hanno solo paura, avrebbe aperto la strada a chi predica il governo forte, la polizia ovunque, la nazione contro la globalizzazione, l’unione degli italiani, sfruttati e sfruttatori contro il grande complotto internazionale delle banche. Oggi lo chiamano signoraggio: non puntano il dito sugli ebrei ma la melodia della canzone è la stessa dagli anni Trenta del secolo scorso. Gli stranieri di seconda generazione che sventolavano il tricolore con i loro colleghi del mercato, sebbene in realtà pochini rispetto la realtà dei banchi, non ci stupiscono: li abbiamo visti inveire contro altri stranieri, ultimi arrivati che “delinquono”. Molti di loro assumono giovani connazionali poveri e li sfruttano senza pietà così come gli italiani doc. Il gioco del capitalismo piace ad ogni latitudine.

 

I protagonisti di questi tre/quattro giorni di blocchi e iniziative sono ceti impoveriti e rancorosi: l’Italia delle clientele prima democristiane e socialiste, poi forza italiote, oggi piegata dalla crisi, dalla pressione fiscale, dall’indebolirsi della compagine berlusconiana e della Lega, partiti politici di riferimento per oltre vent’anni.

 

Il loro programma – esplicitamente delineato nei volantini tricolori distribuiti in ogni dove – è chiaro: far cadere il governo, sostituirlo con un esecutivo forte e onesto, capace di traghettare l’Italia fuori dall’euro, fuori dall’Europa delle banche, garantendo significative misure protezioniste.
Il tutto all’insegna di una deriva identitaria di segno nazionalista dove la nazione è descritta e vissuta come un corpo sano attaccato da agenti esterni che si ricompone intorno all’alleanza interclassista dei produttori.
Questo è un programma di destra. Di destra radicale.

 

Non sappiamo se l’episodio dei caschi tolti davanti all’agenzia delle entrate di Torino, o l’abbraccio tra un manifestante e un poliziotto a Milano siano solo foto strappate alle realtà, ma resta il fatto che la volontà di fraternizzare con la polizia ha attraversato le varie piazze d’Italia. A Pistoia gli studenti gridavano “celerino, sei uno di noi!”.  La retorica dei lavoratori della polizia, sfruttati e vittime di una classe politica corrotta e parassitaria, è tipica della destra di ogni tempo.

 

È ingeneroso sostenere che la gente “comune” che ha partecipato alle serrate dei negozi ed ai blocchi del traffico non capisse la portata simbolica e reale di un movimento esplicitamente eversivo dell’ordine esistente. In ambito istituzionale chi ha cercato un’interlocuzione si è dovuto arrendere, perché non c’era spazio di mediazione. Oggi forse alcuni del “coordinamento 9 dicembre” pare siano disposti a sedersi ad un tavolo con il governo, ma nella settimana della serrata e dei blocchi non c’è stato, né avrebbe potuto esserci, spazio per il dialogo. Chi è sceso in piazza lo ha fatto perché convinto di fare la rivoluzione: lo dimostrano gli slogan, gli striscioni, i racconti che vengono diffusi.

 

In questo “tutti a casa” c’è chi ha sentito l’eco delle lotte argentine, chi vi ha letto una volontà di rottura dell’istituito che avrebbe potuto aprire delle possibilità.

 

Sappiamo bene quanta forza abbiano i momenti di rottura, la scelta di uscire di casa, di spezzare l’ordine che ci piega alla quotidianità scandita dai ritmi di una vita regolata altrove, tuttavia in quelle piazze  questa forza si è alimentata di simboli che portano lontano da una prospettiva di emancipazione sociale e di libertà.
L’interruzione della quotidianità agita da chi normalmente affida il proprio futuro all’eterna ripetizione del proprio presente è un evento raro, talora foriero di una rottura radicale. Tuttavia la rottura di un ordine non prefigura necessariamente che la strada intrapresa sia quella giusta. 

 

Nell’estrema sinistra c’è chi ha tentato da cavalcare l’onda nella speranza di mutarla di segno. Purtroppo questo tentativo, limitandosi quasi sempre alla spinta per la radicalizzazione delle pratiche di piazza, che tuttavia non ha né saputo né voluto farsi anche critica dei contenuti di estrema destra della protesta, non ha prodotto risultati significativi.

 

L’ipotesi che chi era in piazza esprimesse una ribellione generica senza reale adesione ai contenuti proposti dal Coordinamento 9 dicembre si è rivelata una favola consolatoria. Mercoledì 11 in piazza Castello è bastato che il piccolo caudillo di turno decretasse il “tutti a casa” in attesa di una prossima “marcia su Roma” perché il movimento si sciogliesse, lasciandosi solo una coda di studenti in libera uscita il giorno successivo.

 

Vedere quello che non c’è è frutto di pregiudizio ideologico, quel pregiudizio ideologico che consiste nel formulare una tesi e cercare – a costo di deformarla – la conferma nella realtà. Il prezzo da pagare è una descrizione che cancella la soggettività esplicita di chi parla e agisce, nell’inseguimento di un’oggettività materiale che si suppone possa, se adeguatamente spinta in avanti, modificare di segno la protesta.

 

Articolare un discorso capace di creare legami di classe, al di là delle diverse condizioni normative, fiscali, di reddito è in se difficile. La materialità stessa della condizione dei lavoratori autonomi, nelle sue diverse e distanti articolazioni, lascia poco spazio alla costruzione di percorsi comuni di solidarietà  e lotta con gli altri settori popolari.

 

 Se poi  l’immaginario che sostiene una lotta si articola fuori – e contro – l’orizzonte di classe, non si può far finta che la narrazione di chi agisce una lotta sia irrilevante.

 

A Torino, a blocchi finiti, abbiamo sentito un giovane protagonista delle piazze arringare gli esponenti di un presidio di sindacalisti di base ed esponenti della sinistra post istituzionale, perché si unissero nel segno del tricolore, buttando a mare falce e martello, per salvare la nazione.

 

 Quel ragazzo ci pareva la perfetta incarnazione dello slogan di fondo che ha attraversato piazze, mercati, bar e faccia libro, quell’andare oltre la destra e la sinistra tipico della Nuova Destra, quella meno brutale, più raffinata ma non per questo meno pericolosa.
Quando la nozione di “popolo” sostituisce quella di “classe” non siamo di fronte ad una mera trasposizione politica del tifo da calcio ma all’eterna riproposizione del mito della purezza organica della nazione come corpo sano, dove tutti fanno gerarchicamente la loro parte.
Chi a sinistra sottovaluta l’importanza dei simboli, chi azzarda paragoni con le rivoluzioni della primavera araba, dimentica che tra bandiere nazionali e religione, quelle primavere sono presto declinate verso l’autunno ed il più gelido degli inverni.
Chi frequenta i bar di periferia sa che sesso, calcio, soldi, pioggia sono gli argomenti di sempre, conditi di frizzi, lazzi, scoregge verbali e l’idea che “così va il mondo”. Talora capita che qualcuno  si lasci andare a dichiarazioni roboanti, all’insegna del fuoco e dello spaccar tutto. Poi il bar chiude e la rivoluzione dei rivoluzionari dell’aperitivo viene rimandata al giorno successivo.

 

Se capita che quelli del bar sport escano davvero in strada è un segnale che sarebbe miope non vedere. Ma sarebbe ancora più miope leggere la realtà con gli occhi tristi degli orfani del soggetto sociale.

 

Qualcuno a Torino ha scritto che bisogna affondare le mani nella merda perché dai diamanti dell’ideologia non nasce nulla. Siamo d’accordo. Purché non ci si illuda che fare a mattonate contro la polizia tra chi sventola tricolori possa essere il grimaldello che apre il vaso di Pandora dei propri desideri.

 

(quest’articolo uscirà sul prossimo numero di Umanità Nova)

UDINE/ Riparte l’Assemblea Cittadina di Movimento

Fondata questa estate e poi quasi subito entrata in sonno, anche perchè la scena politica estiva è stata dominata dal presidio permanente No Park, e quella autunnale dalla repressione poliziesca, riparte ora, di fronte all’emergenza fascio-forconi, l’Assemblea Cittadina di Movimento.

Sabato 21, con presidio e volantinaggio, in Piazzale della repubblica, si è inteso ribadire che le pur giuste proteste di vari strati che subiscono la crisi non devono mescolarsi e farsi egemonizzare dalla presenza fascista e tanto meno ha senso l’entrismo in quella protesta.

Nonostante il flop della manifestazione nazionale romana del 18 dicembre, ad Udine il presidio di piazzala Osoppo, dei forconi in salsa udinese, continua, anche forte dei parziali successi ottenuti la settimana prima, con ben tre cortei.

Probabilmebte lunedì 23 si vedrà che questi ritorneranno all’ovile della destra e del populismo grillino, in quanto Ioan (centro destra)  e Perozzo (M5S) hanno indetto una manifestazione contro Honsell (peraltro appropriandosi di temi sollevati dal comitato No Park e simili,  per es. la denuncia della “fusione per assorbimento” di AMGA in HERA) alla quale i forconi udinesi hanno dichiarato di partecipare.

Il movimento antagonista si stà lentamente riorganizzando e saprà darsi una serie di strumenti, scadenze ed obiettivi, per combattere la desertificazione politica avvenuta ad Udine in questi ultimi anni.

Soprattutto, se non ci fossero stati ripetuti errori politici in questi ultimi mesi, la situazione oggi potrebbe essere molto migliore.

 

crisi-lotta

UDINE/ Il Comitato Zardin Grant dovrebbe quanto meno smentire

Note.

1. Il numero delle persone che ha partecipato alla manifestazione indetta da Ioan, M5S, Lega e centrodestra, stava fra 160 e 170, non di più. Quindi poca roba.

2. Per quanto riguarda il Comitato Zardin Grant, anche se al suo interno vi giravano alcuni grillini, non può aver partecipato alla manifestazione come Comitato e quindi dovrebbe quanto meno smentire.

3. Il leaderucolo dei fascio-forconi, Alessandro Gallo, invece era presente alla manifestazione, dimostrando così, oltretutto, che il loro “tutti a casa” è fasullo e demagogico.

 

 


Udine, l’urlo della piazza: l’Amga non si tocca

Circa 200 persone hanno partecipato alla manifestazione di protesta del M5S e del centrodestra contro la fusione tra la Spa ed Hera

 

UDINE.

«L’Amga è nostra, non si tocca». Questo è solo uno degli slogan urlati da circa 200 persone, politici compresi, nel corso della manifestazione organizzata dal Movimento5Stelle e dal centrodestra per contrastare il progetto di fusione tra Amga ed Hera. Partito da piazza Primo maggio, il corteo ha attraversato via Portanuova e via Mercatovecchio incredibilmente deserta nell’antivigilia di Natale, ed è arrivato sotto la loggia del Lionello dove gli accenti sono stati tutti indirizzati contro il sindaco Furio Honsell, accusato di aver firmato la lettera d’intenti con la multiutility emiliana senza prima informare il consiglio comunale e il Consiglio di amministrazione di Amga, tant’è che i rappresentanti del Comune si sono dimessi.

Considerato che gli organizzatori si erano impegnati a portare in piazza 200 persone, la manifestazione è riuscita. Accanto a quasi tutti i consiglieri comunali grillini e del centrodestra si è unito il Comitato Zardin grant, il movimento 9 dicembre e diversi candidati alle ultime amministrative nelle liste civiche che fanno capo ad Adriano Ioan. Con loro pure alcuni sindaci del Friuli, tra questi quelli di Talmassons, Piero Mauro Zanin, e di Reana, Edi Colaoni, i consiglieri regionali e provinciali Riccardo Riccardi, Alessandro Colautti, Paride Cargnelutti e Franco Mattiussi. Rumore ne hanno fatto parecchio: al suono dei tamburi hanno urlato più volte «Honsell dimettiti». Da qui la presentazione della mozione di sfiducia al primo cittadino sostenuta, ieri sera, anche da alcuni udinesi che hanno firmato la petizione del M5S.

«Il caso Amga non è una questione di partito o dell’opposizione, bensì di tutti i cittadini» ha sottolineato Paolo Perozzo (M5S) imputando al sindaco di aver dimostrato «insofferenza» nei confronti dell’assemblea di palazzo D’Aronco. Altrettanto arrabbiato Zanin: «Noi – ha scandito con particolare enfasi – per comprare 5 matite dobbiamo fare gara pubblica, dovete spiegarmi perché Honsell nello scuro di una stanza ha firmato la lettera d’intenti con Hera». Sempre Zanin, ieri mattina, nel corso dell’assemblea dei soci di Amga indetta su richiesta del Comune di Udine, ha votato contro la distribuzione di un milione di dividendi: «Questa scelta – ha fatto verbalizzare il sindaco di Talmassons – va contro le linee strategiche previste dalla delibera licenziata, nel 2010, dal consiglio comunale di Udine. A questo punto trovano conferma le voci che lo stesso Comune stia indebolendo la società, togliendole risorse, per poi affermare di essere costretto a venderla». Sempre Zanin ha fatto notare che prima di Udine anche Padova e Trieste hanno scelto di aggregarsi a Hera e «guarda caso l’allora sindaco di Padova è diventato ministro».

«Non possiamo mollare» ha avvertito Ioan assicurando che, nei prossimi giorni, il centrodestra continuerà a far sentire la sua voce contro l’aggregazione Amga-Hera. «Così – ha concluso il già candidato sindaco – si distruggono 160 anni di storia perché tanti ne ha l’Amga». Anche a detta di Riccardi l’opposizione e i cittadini hanno diritto di conoscere i termini dell’accordo soprattutto dopo le dimissioni dal Cda di Amga degli uomini nominati da Honsell.

Immediata la replica del capogruppo del Pd in consiglio comunale, Pierenrico Scalettaris, secondo il quale «tolti i politici di professione, alla manifestazione hanno partecipato poche persone. Se questo – ha concluso -, è il risultato del M5S e del centrodestra messi assieme il sindaco può stare tranquillo».

 

     

    UDINE/ Il flop dei forconi

    Il flop della seconda ondata dei forconi è un dato nazionale.

    http://www.tgvallesusa.it/?p=4754

     

     

    Rivoluzione senza rivoluzionari « TG Valle Susa
    tgvallesusa.it
    Il flop della seconda ondata dei forconi: dalle piazze gremite del dicembre scorso ai quattro gatti del 10 gennaio di fronte alle Prefetture.

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      Paolo De Toni Anche se la rivoluzione (proletaria ed antinazionalista) è cosa ardua questo non vuol dire che dobbiamo andare a votare. L’analisi sul flop dei forconi è condivisibile, meno lo sono le proposte strategiche e tattiche che dovrebbero adottare i movimenti di lotta. Autogestione, auto-organizzazione, democrazia diretta, estraneità ai partiti ed alle istituzioni sono oggi come ieri la base “ontologica” su cui fondare i movimenti. Per il resto è chiaro che bisogna rinnovarsi ed arricchirsi di contenuti.

     

    Il 9 e 10 gennaio in alcune Città le piazze erano praticamente vuote.

    Per quanto riguarda la nostra Regione, alla manifestazione regionale di  Trieste del 9 gennaio sono sfilati in  circa un centinaio

    http://ilpiccolo.gelocal.it/foto-e-video/2014/01/09/fotogalleria/trieste-forconi-in-piazza-protesta-e-disagi-al-traffico-1.8436572

    Il 10 gennaio ad Udine si è avuta solo la notizia di un flash mob, ma del quale nessuno si è accorto.

    La precedente fiaccolata sui suicidi, del 5 gennaio, ad Udine ha totalizzato una cinquantina di persone.

    Certamente non è finita e qualcosa di grosso può ancora accadere.

    Il risultato di questa ondata nera-tricolore è, purtroppo, solo il consolidamento di casapound ed il ritorno, a tutti gli effetti, ad Udine in particolare,  dello squadrismo, sotto gli occhi soddisfatti e complici delle fdd che non vedono le minacce fasciste neanche se fatte di fronte a loro.

    Peraltro, ci si chiede, il presidio di casapound davanti alla propria sede in piazzale Cella, ma ovviamente in luogo pubblico, con tanto di striscioni e slogans, in risposta al pignarul del 6 gennaio, era autorizzato??

     

    Chi ha una coscienza politica seria sa che sull’antifascismo non si scherza; anche per rispetto dei partigiani, di chi è morto o ha sofferto per abbattere il fascismo.

    L’applicazione della discriminante antifascista è un principio essenziale dal quale non si può derogare.

    Chi a sinistra ha favorito il gioco ambiguo del presidio di Pazzale Osoppo dovrà assumersi le sue responsabilità!

    Chi ha agito ed agisce in chiave antifascista sarà legittimato a continuare per il futuro.

    Gli opportunisti, gli struzzi e i confusionari hanno ancora una sola possibilità: quella dell’autocritica punto e basta.

    Paolo De Toni

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    Ri-pubblico qui una mia lettera pubblicata sul Messaggero Veneto del 28 dicembre 2013, il cui testo è stato elaborato subito dopo la manifestazione nazionale del 18 dicembre

    Sul movimento dei Forconi.

    Avevano annunciato 40 mila presenze, poi sono scesi a 15 mila e si sono ritrovati in qualche migliaio; vale a dire una manifestazione irrisoria e per di più a forte connotazione neofascista. Questo accade a Roma, che ha 2 milioni 650 mila abitanti e in una manifestazione a carattere nazionale. Vediamo la situazione in Regione. A Trieste il “coordinamento 9 dicembre” esiste in forma assolutamente minimale e caratterizzato completamente a destra. Questo fatto, apparentemente strano, della poca consistenza dei forconi nel capoluogo regionale, è facilmente spiegabile tenendo conto che nell’ambito populista/corporativo oramai prevale la sigla Mtl (Movimento Trieste Libera) che ha fatto dell’Italia il suo nemico principale, quindi oggi come oggi, qui, il tricolore non è per nulla amato. A Pordenone prevale la componente Veneta che ha rotto con il leader maximo, il laziale Danilo Calvani e non ha partecipato alla manifestazione romana. Nelle scuole di Pordenone poi è ritornato in azione il movimento studentesco che ha scalzato “casapound” che ora quindi appare indebolita in tutti gli ambiti politici locali. A Monfalcone le uniche mobilitazioni reali sono state quelle dei commercianti e una sorta di serrata padronale che ha interessato i cantieri; qui la presenza dell’estrema destra è debole. La situazione più grave risulta quella di Udine che ha visto scendere in campo un leader locale: il quasi-grillino Alessandro Gallo, fortemente legato a Calvani. La ricetta politica confezionata da Gallo è abbastanza astuta. Nel suo profilo facebook fa sfoggio della foto di Sandro Pertini (…un partigiano per Presidente…) Gallo inoltre si fa scudo della Costituzione, ma allo stesso tempo assume e legittima tutti gli slogan dei neofascisti di casapound che con la Costituzione nata dalla Resistenza, ovviamente non c’entrano nulla. Il giochino della bandiera italiana, come unico simbolo legittimato della protesta, risulta sempre più come accordo sotterraneo fra casapound e Calvani, il quale, qualche volta ha preso le distanze da Fn (Forza Nuova), ma mai da Cpi (Casa Pound Italia), presente in forze alla manifestazione romana. Cpi di fatto fornisce a Calvani una struttura organizzativa, su tutto il territorio nazionale e in cambio ottiene di essere completamente legittimata nelle manifestazioni. Questo è anche quanto è accaduto ad Udine dove questo giochino ha funzionato molto bene producendo ben tre cortei in una settimana. Il presidio udinese però ha mandato a Roma solo 70 persone invece delle 300 prima sbandierate. Ora il problema è di non farsi intortare da questi furbacchioni, che oltretutto alla crisi non sono in grado di dare risposte reali. Infatti, come si è potuto vedere nella manifestazione di sabato ad Udine, anche se il corteo era consistente poi l’assemblea in piazza Venerio era più che dimezzata perché non sono in grado di dire niente di concreto. In Friuli, in alternativa a iniziative demagogiche e obiettivamente egemonizzate dal neo-fascismo, io credo che si debba fondare una specie di osservatorio/consultorio autogestito contro la crisi, anche Comune per Comune. Un organismo che si ponga sia i problemi impellenti delle persone che sono maggiormente a rischio, ma anche quelli strategici sulla gestione della cosa pubblica e sulla situazione delle realtà industriali. Credo che interlocutori qualificati per questo progetto si possano trovare fra i comitati ambientalisti che sono radicati nel territorio friulano e che hanno una visione allargata e non riduttiva anche dei problemi sociali.

    Paolo De Toni

    Coordinamento di Difesa Ambientale della Bassa Friulana

     

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    Udine 9 dicembre 2013 l’inizio dei forconi

    http://messaggeroveneto.gelocal.it/foto-e-video/2013/12/09/fotogalleria/la-protesta-a-udine-1.8267733?p=6

     

     

     

     

    UDINE/ Forconi: The End

    Il flop dei forconi era già chiaro dal 18 gennaio in seguito al fallimento della manifestazione nazionale a Roma.

    Ad Udine, più che nel resto della Regione, avevano goduto una settimana di successo dal 9 al 14 dicembre, riuscendo a strumentalizzare il disagio e le sofferenze diffuse in vari strati sociali in seguito alla crisi.

    Grazie all’ambiguità del loro capo, Alessandro Gallo, ad Udine, il cosiddetto “coordinamento 9 dicembre” era riuscito ad intortare anche molta gente senz’altro non di destra, anche se si è lasciata egemonizzare dalla furbesca sloganistica di casapound.

    Abbiamo seguito passo passo la loro evoluzione intervenendo in vari modi per ostacolarli, con iniziative che hanno avuto anche significativa efficacia.

    Dei forconi non resterà nulla.

    Quello che invece purtroppo resta è il ringalluzzimento di casapound che, come si diceva un tempo, è passata dal “doppio petto al manganello”.

    Casapound, grazie ai contatti sviluppati al presidio di piazzale Osoppo, ha potuto avere una certa ramificazione nel territorio come si è potuto vedere con la conferenza di Basiliano a favore degli Ogm del 13 gennaio, che comunque è stata anch’essa efficacemente, boicottata, da chi ha capito che l’antifascismo in Friuli non si fa solo il 25 aprile e non solo ad Udine, ma sempre e su tutto il territorio friulano.

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    Messaggero Veneto online 16 febbraio 2014

     

     

     

     

     

     

     

    OSSERVATORIO ANTIFASCISTA/ Attenti a costui: Diego Fusaro un nuovo confusionario

    Mamma mia, sono arrivati  “les nouveaux philosophes”

    video di/su Diego Fusaro

     

    https://www.youtube.com/watch?v=D_ICEahPuyI#t=147

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    https://www.youtube.com/watch?v=DBd2SbOm7JE

    Bravi pasticcioni anche questi del MPL

    (Movimento Popolare di Liberazione)

    https://www.facebook.com/movimento.diliberazione

     

    https://www.youtube.com/user/sollevazione

    http://sollevazione.blogspot.it

     

       

     

    Se questi sono i “nuovi filosofi” ( vedasi anche il friulano Ivan Buttignon, iscritto alla CGIL e al PD) siamo proprio ben messi!!

    Chiaramente anche questo Diego Fusaro è andato (o meglio, voleva andare) a “dialogare” con casapound e cita perfino Socrate;

    ma valà Fusaro, sei ridicolo.

    Risultati di ricerca

     

     

    corriere


    FEB
    15

    Un marxista a CasaPound? Fusaro, minacciato, rinuncia

     

    Diego Fusaro

    Andare a CasaPound sì/no? Ciclicamente, scattano feroci polemiche su chi, a sinistra, decide di andare a CasaPound. Per discutere su un libro, confutare una tesi, incontrarsi e scontrarsi magari, sul piano delle idee. Questa volta è successo che l’invitato, dopo le polemiche, gli insulti e le minacce, ha deciso di non andarci.

    Il giovane marxista Diego Fusaro, a seguito di attacchi molti duri provenienti da siti di area comunista antagonista, ha deciso di rinunciare al suo intervento a CasaPound, a Roma, previsto per il 21 febbraio prossimo: «Intendo non partecipare più all’incontro — racconta al Corriere della Sera via telefono, con tono fermo e contrariato — perché non ci sono le basi per un dialogo sereno. Non si tratta di paura fisica, anche se comunque tolgo apprensione a chi mi sta vicino, ma non voglio essere il pretesto per tafferugli tra sedicenti fascisti e sedicenti comunisti. Non voglio che il mio nome sia legato a pestaggi o scontri che non siano di idee».

    Nato a Torino nel 1983, Fusaro, ricercatore in Storia della Filosofia, è tra i giovani pensatori italiani più in vista; oltre a libri accademici, ha scritto bestseller come Bentornato Marx! (Bompiani, 2009), ed è ospite fisso di varie trasmissioni televisive. La notizia della sua presenza a CasaPound era stata annunciata qualche giorno fa da un manifesto dove campeggiava il barbone di Marx, il nome dell’altro relatore, Andriano Scianca, responsabile culturale di CasaPound, e il simbolo del centro sociale, una tartaruga stilizzata.

    Le reazioni, come spesso accade in questi casi, non si sono fatte attendere. Prima insulti su Facebook e al telefono, con numeri anonimi, «ma ho ricevuto anche attestati di solidarietà — precisa Fusaro — ci sono molte persone intelligenti sia a destra che a sinistra»; poi, attacchi più articolati ma molto poco dialettici. L’associazione comunista Antiper, «dove per altro in passato ho tenuto una conferenza», ricorda Fusaro che fa parte anche dell’associazione Bottega Partigiana, gli ha dedicato una lettera molto elaborata, che ci concludeva con un avvertimento: «Gli errori che vengono corretti in tempo si possono ed anzi si devono perdonare; invece, perseverare nell’errore non sarebbe perdonabile e credi, quello che stai facendo è un grandissimo errore, un errore di cui, se sei in buona fede, sicuramente ti pentirai quando sarà troppo tardi; se invece non sei in buona fede, allora non fare nessuna autocritica, vai pure avanti. Di nemici, sulla strada della trasformazione rivoluzionaria del mondo ne abbiamo e ne avremo tanti. Uno in più è male, ovviamente, ma non è poi la fine del mondo».

    Il giornale comunista online contropiano.org è andato oltre: «Bisogna scegliersi anche i nemici, ormai (…) Persino Marx perse un intero anno della sua intelligenza per “sputtanare” un tale che era soltanto una spia da quattro soldi (“Herr Vogt”), per cui non era necessario alcun pensiero, ma soltanto un paio di bastonate».

    Minacciare le bastonate è da fascisti, protesta Fusaro, che vorrebbe ridere con Ennio Flaiano, per il quale in Italia ci sono due categorie di fascisti: i fascisti e gli antifascisti; ma di ridere ha poca voglia, e spiega perché ha deciso di tirarsi indietro: «L’incontro è stato reso impraticabile dagli insulti e dalle minacce, ma soprattutto da un fraintendimento politico ormai troppo diffuso, per cui, se accetti il dialogo, di fatto aderisci alle idee dei tuoi interlocutori. Ma così si uccide Socrate! Un filosofo deve dialogare con tutti, anche con chi la pensa diversamente, per fargli cambiare idea, per criticare le sue idee».

    Ecco di cosa avrebbe parlato Fusaro a CasaPound: «Oggi più che mai è necessaria, di Marx, la tensione verso l’emancipazione dalla reificazione capitalistica e dalla violenza dell’economia globale; Marx insegna a lottare per una comunità di individui liberi, uguali e fratelli. Il comunismo novecentesco è morto, ma sopravvive il comunismo ideale eterno, l’ideale di un’umanità libera ed emancipata, senza sfruttamenti né classismo né razzismo. Ecco, per esempio CasaPound sbaglia ad aver paura del meticciato: l’unica razza esistente è la razza umana. Ma questo, purtroppo, non glielo potrò dire di persona».

    Twitter @criticalmastra

    lmastrantonio@rcs.it