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Gas: Orlando, sospese procedure rigassificatori Trieste

Gas: Orlando, sospese procedure rigassificatori Trieste

04 Maggio 2013 – 12:35

(ASCA) – Trieste, 4 mag – Il ministro dell’Ambiente Andrea Orlando, ha confermato la sospensione per le procedure relative ai rigassificatori di Trieste ed ha precisato che sara’ difficile ”trovare un equilibrio” tra le esigenze di approvvigionamento energetico e quelle portuali di Trieste.
”In un corridoio, come quello di Trieste, non ci puo’ passare di tutto, bisogna decidere” ha detto il ministro, introdotto dalla neopresidente della Regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani.

fdm/vlm/ss

13:46 – Rigassificatore Trieste: Orlando, serve tavolo con Slovenia

(ANSA) – TRIESTE, 4 MAG – ”Puntiamo a un tavolo con i paesi confinanti per non affrontare il tema separatamente”. Lo ha affermato oggi a Trieste il ministro dell’Ambiente, Andrea Orlando, a proposito dello ‘stop’ ai progetti di impianti rigassificatori sul golfo giuliano deciso dal precedente Governo. Precisando che ”si prosegue sulla linea impostata dal ministro Clini”, Orlando ha ricordato che la sospensione ”era un atto doveroso”. (ANSA). BUO

Il Piccolo
http://ilpiccolo.gelocal.it/cronaca/2013/05/04/news/il-ministro-orlando-a-trieste-modello-piombino-per-la-ferriera-1.6998876

Messaggero Veneto
http://messaggeroveneto.gelocal.it/cronaca/2013/05/04/news/serracchiani-stop-a-krsko-e-al-rigassificatore-1.6998327

Trieste All News
http://www.triesteallnews.it/index.php/cronaca/4374-rigassificatore-il-ministro-orlando-a-trieste-necessario-un-riesame-strategico-della-questione.html

Primorski
http://www.primorski.it/stories/trst/213734_o_terminalih_se_bomo_pogovarjali_s_sosedi/#.UYVa2II9cfJ

Video
https://www.youtube.com/watch?v=YSUfL0mIVmA&feature=player_embedded#!

 

Articoli precedenti:

Il Sole24ore: Stop ai rigassificatori di Trieste. Clini: non ci sono le condizioni

La Repubblica: Snam, il sogno della rete europea del gas nel mirino Austria e rigassificatori in Spagna

 

 

E’uscito il n.118 di Germinal

germinal 1 paginaIn occasione del Primo maggio, è uscito il n. 118 di “Germinal”, giornale anarchico e libertario di Trieste, Friuli, Isontino, Veneto, Slovenia…

In questo numero: rigassificatore a Trieste, repressione, CIE di Gradisca, psichiatria, documentario su Tommasini, diversi articoli sono dedicati al punto di vista femminile e alle problematiche di genere, recensioni, centrale a carbone a Monfalcone e molto altro ancora. Nelle quattro pagine centrali troverete uno speciale sulle lotte in Slovenia di questi ultimi mesi.

 

Nuove stagioni di impegno e agitazione accompagnano l’uscita del n. 118 di Germinal, realizzato con rinnovato spirito combattivo e l’apporto solidale di qualche nuova intelligenza al lavoro grafico e redazionale.

Alle lettrici e ai lettori, ai fedeli abbonati chiediamo di sottoscrivere l’abbonamento annuo di 10 euro, una forma di sostegno solidale che ci permette di far fronte ai costi per la stampa e la spedizione.

 

Per i versamenti utilizzare il ccp 16525347 intestato a Germinal  c/o Centro studi libertari – Trieste, specificando la causale

Per comunicare:  germinal@germinalonline.org

 

A Trieste lo trovi da:

-Gruppo Anarchico Germinal, via del Bosco 52/a ogni giovedì dalle 18 alle 20

-Libreria Indertat in via Diaz 22

-Emporio ecologico La Raganella in Cavana

-Bottega del Mondo Senza Confini/Brez Meja in via Torrebianca 22

-Ex Edicola al Tergesteo in piazza Tommaseo

 

Nel resto della regione cerca dai gruppi e dalle realtà che fanno riferimento a questo sito (cerca in “contatti”)

Intervista sul CIE di Gradisca

L’intervista-articolo che segue è tratta dal numero 118 di Germinal.

 

 

Veri e propri lager, i CIE. Non ci si deve stancare di ripeterlo e di ricordarlo a chiunque, soprattutto a quelli che volutamente ignorano una situazione inaccettabile e che, con  loro indifferenza, si rendono complici di un crimine di Stato perpetrato da anni contro i più deboli: immigrati, donne e uomini senza permesso di soggiorno. Persone che, lasciando il proprio paese d’origine, rischiano persino la vita per migliorare le proprie condizioni, per sfuggire alle guerre e alla repressione, per trovare un lavoro dignitoso. Persone cui è impedito di decidere dove e come stare/spostarsi  sul pianeta terra.

Ne parliamo con un giovane avvocato che per la prima volta entra in un Centro di Identificazione ed espulsione, quello di Gradisca d’Isonzo.

Entrare nei CIE è molto difficile: tu, in qualità, di avvocato hai potuto farlo. Vuoi raccontarci la tua esperienza?

Quando entri,  trovi gli alpini con la jeep e gli zaini come se si fosse in Afghanistan. Ho incontrato i miei assistiti in una stanzetta adibita ai colloqui che, a quanto si dice, vengono registrati. Nessuno entra nei luoghi dove vivono gli immigrati. Ogni tanto viene dato uno “spettacolo” per giornalisti e parlamentari in visita.

Come sei stato contattato e perché?

Il centralino del CIE prende contatto con i legali all’esterno su richiesta degli internati che, in teoria dovrebbero poter comunicare con avvocati e famigliari. Quanto avvenga effettivamente, a quante telefonate abbiano diritto, questo non lo so. Penso che tutto sia lasciato all’arbitrio o alla “disponibilità” degli assistenti sociali o di chi si occupa della cosa. Ai detenuti di Gradisca è vietato tenere il cellulare perciò sono costretti ad affidarsi all’amministrazione.

Dovevo parlare con alcuni reclusi che avevano impugnato il decreto di espulsione.

All’interno del centro si svolgono le udienze che riguardano la convalida di trattenimento o l’espulsione. È il giudice di pace di Gradisca d’Isonzo a tenerle, il quale si occupa quasi solo di questi casi e decide sui cosiddetti ospiti che sono all’interno. Quindi, periodicamente, la posizione di queste persone passa sotto il vaglio di un giudice.  Il giudice di pace è un giudice non togato, una figura fortemente potenziata con le nuove normative che ha un ruolo sempre più ampio nei procedimenti amministrativi. Per quanto riguarda l’immigrazione è la prima autorità cui si trova di fronte il ricorrente.

Quando si può impugnare il decreto di espulsione?

I ricorsi si basano sull’invalidità del decreto: se non  è motivato o non presenta la forma prevista per legge oppure sussistono altre motivazioni come ad esempio la presenza di una famiglia in Italia, il realizzarsi di una condizione lavorativa, di un rapporto di lavoro e dunque la possibilità dell’ottenimento di un permesso di soggiorno. Uno degli immigrati per cui si doveva scrivere un ricorso è risultato scomparso, probabilmente è stato espulso prima della decorrenza dei termini.

Esiste un arbitrio a livello di espulsioni: in regione, le norme antimmigrazione vengono applicate in modo più restrittivo che in altre parti d’Italia.

Chi perde il lavoro perde anche il diritto al permesso di soggiorno. Hai incontrato persone in queste condizioni nel CIE di Gradisca?

Uno dei miei assistiti si trova in Italia qui dall’inizio degli anni ’90, faceva una vita regolare. Arrivato irregolarmente, aveva ottenuto il permesso di soggiorno perché faceva il panettiere e l’ha fatto per anni, ora con la chiusura di tanti esercizi, si è trovato senza lavoro. E’ stato internato e colpito dal decreto di espulsione verso il paese d’origine dove ormai non ha più legami: a livello culturale è diventato un italiano. Sono situazioni gravi che si inaspriscono e derivano dalla crisi economica che colpisce i lavoratori e specialmente i lavoratori immigrati. Con le norme della legge Maroni, l’immigrato ha sei mesi di tempo per presentare un’istanza sulla base di un altro rapporto lavorativo, altrimenti scatta la perdita del permesso di soggiorno che apre le porte all’espulsione. Comunque i tempi di trattenimento nei CIE sono enormi: una persona può rimanere rinchiusa un anno e sei mesi, un tempo lunghissimo. Nella presente fase economica sono carceri per lavoratori immigrati eccedenti che non si riescono attualmente a sfruttare.

Lavoratori che oggi non possono essere assunti regolarmente ma che vanno benissimo per il lavoro nero ovunque .

Non tutti gli immigrati irregolari finiscono là dentro perché le norme hanno la funzione di mantenere i lavoratori in una condizione di servilismo e ricatto assoluti, una parte deve essere colpita per la deterrenza, il resto rimane a lavorare “invisibilmente”. Abbiamo a che fare con loro quotidianamente senza rendercene conto: sono le badanti o i lavoratori nel settore agricolo e in diversi altri settori. Per quel che ne so all’interno del CIE ci sono anche dei cinesi e questo è il segno che anche comunità d’immigrazione relativamente più ricche stanno risentendo della crisi e  alcuni suoi membri finiscono in queste strutture perché negozi ed attività chiudono.

Le condizioni di vita nel CIE di Gradisca?

Questa è gente che sta molto male, loro stessi te lo riferiscono. Più di qualcuno paragona il CIE di Gradisca a Guantanamo, è un lager, soprattutto quello di Gradisca deve essere uno dei più pesanti in Italia. Vuoi per il ciclo di rivolte che ci sono state, vuoi perché è periferico, non è un CIE dove si procede all’espulsione come è quello di Roma o dove vi sono strutture di massa come quello di Lampedusa. Penso che sia una struttura periferica, che ha assunto più volte funzione punitiva, ovvero atta alla reclusione di persone provenienti da altri CIE in cui ci sono state rivolte. Li portano qua, in una zona isolata, fuori da un contesto di immigrazione forte come avviene per esempio a Torino dove il CIE è situato dentro una cintura urbana circondata da quartieri di immigrati. Qui la struttura si trova in mezzo ai campi, al confine nord-orientale dove da un lato viene reclusa la gente che passa le frontiere in queste zone e dall’altro viene portata gente da tutta Italia in attesa dell’identificazione e dell’espulsione. All’interno evidentemente le forze dell’ordine hanno un arbitrio ancora più forte che in altri posti e quindi la situazione è peggiore che da altre parti. Le poche decine di persone recluse vengono tenute sotto un controllo totale, mentre questo è più difficile quando i numeri sono più alti, anche le proibizioni all’interno sono più severe. Ciò non toglie che vi siano ripetuti tentativi di fuga e rivolte periodiche che  hanno comportato seri danneggiamenti della struttura. Per un periodo è stato completamente inagibile e le persone sono state smistate nei CIE di tutta Italia.

Per quanto riguarda le condizioni all’interno, il poco che si sa è agghiacciante: l’inattività è totale, vige il divieto di tenere libri, sono vietati giornali; si tratta di impedire a queste persone di accedere a qualunque messaggio dall’esterno, di annullare la loro socialità, di reprimere la loro identità religiosa. I reclusi con cui sono venuto in contatto dicevano”qui è vietato leggere.” E, come ti dicevo, non possono avere i telefoni cellulari. Anche i legali all’interno del CIE non possono utilizzare i cellulari, il telefono. Vige probabilmente l’arbitrio più assoluto.

Che cosa puoi dirci dei trattamenti psichiatrici cui sono sottoposti i reclusi?

E’ noto che nei CIE vengono somministrati psicofarmaci. La psichiatria ha un ruolo importante nell’esercizio del controllo sugli internati.

Tutte le persone con cui ho parlato erano segnate dall’assunzione di farmaci; erano tremanti, usavano un linguaggio ripetitivo, alcuni si muovevano male, lo sguardo perso. Credo che all’interno operino degli psichiatri che fanno capo all’Azienda sanitaria di Gorizia. Ci sono continui casi di autolesionismo – persone che inghiottono vetri, lamette, monete – per protesta contro le condizioni in cui sono costretti, allo scopo di attirare l’attenzione dei legali, per farsi ricoverare in ospedale – da dove possono tentare la fuga -, per disperazione o semplicemente per affermare di esistere.

Da quanto riporta la stampa c’è un episodio di rivolta alla settimana che i reclusi attuano con il fine  di ribellarsi alle condizioni in cui sono costretti e ripetuti sono i tentativi di fuga che talvolta hanno successo.

Non mi è stato riferito di episodi di violenza diretta, quello che si percepiva chiaramente era il clima di paura e sembra che a Gradisca le condizioni siano più estreme che in altri CIE.

 

 

 

In ricordo di Alina Diachuk, morta suicidata nel commissariato di Villa Opicina a Trieste il 16 aprile 2012 dove era detenuta illegalmente in attesa del decreto di espulsione.

 

UDINE/ 11 maggio foto “Carcere e Società”

Foto dell’iniziativa che, nonostante la pioggia, si è svolta ad Udine, sotto la Loggia del Lionello.
01 carcere-ud-11 maggio 2013

 

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CIE = Lager: non è uno slogan

Repubblica 13 maggio 2013

Cie, la denuncia dei Medici per i diritti umani
“Condizioni di vita inumane, peggio del carcere”

Un anno di visite nei centri dove sono detenuti gli immigrati dei dottori dell’associazione rivelano abusi, situazioni degradanti. Docce senza acqua calda, mancanza di riscaldamento
di CORRADO ZUNINO

 

ROMA  –  Quattordici visite agli undici Centri di permanenza italiani, un anno di testimonianze raccolte (da febbraio 2012 a febbraio 2013), un dossier di oltre 200 pagine. Alla fine del lavoro i Medici per i diritti umani hanno certificato “condizioni di vita inumane, peggiori di quelle delle carceri” offrendo svariati motivi in più al ministro dell’Integrazione, Cecile Kyenge, per andare avanti nella sua opera: “I Cie e i Cara vanno superati”. I Cie ospitano immigrati in attesa di identificazione o di espulsione. I Cara gli immigrati che hanno chiesto asilo.

I lavoro dei Medici per i diritti umani fa comprendere, innanzitutto, una questione prettamente economica: i Cie non sono in grado di garantire condizioni dignitose ai “trattenuti” perché lo Stato italiano ha fortemente disinvestito su queste strutture. Alcuni esempi. La prima gestione del centro di Bologna è stata assegnata a una società che ha vinto una gara d’appalto al massimo ribasso pagando 69 euro per ogni straniero previsto. Scaduti i termini, la successiva gara è stata aggiudicata al Consorzio Oasi con un costo per straniero crollato a 28 euro. La qualità di ogni servizio  –  anche quelli primari  –  è collassata. A Crotone il costo affrontato dalle Misericordie d’Italia è addirittura 21,42 euro per “ospite”. Lo Stato dovrà porsi il problema dei Centri di permanenza innanzitutto dal punto di vista della sostenibilità economica. Nei quattro anni di vita la struttura di Caltanissetta è costata 19,8 milioni, causa (anche) un incendio che l’ha pesantemente compromessa. In tutti i centri ci sono state rivolte, devastazioni e incendi. Basta una banale scintilla affinché il disagio quotidiano diventi ribellione. Gli ultimi danni registrati al Cie di Gorizia per un’insurrezione interna sono stati di un milione di euro.

Il derivato di queste difficoltà di finanziamento e mantenimento è pesante. A Bologna la situazione era semplicemente disastrosa, fino a due mesi fa, quando il ministero dell’Interno ha temporaneamente chiuso il Cie per ristrutturazione. I medici, fotografando la situazione a febbraio 2013, hanno parlato di “mancanza di requisiti minimi di vivibilità”. Stanze prive di riscaldamento, finestre e vetri delle finestre perennemente danneggiati, estate e inverno. Le docce erano inservibili, o servite con acqua fredda. “I bagni non hanno porte, i lavandini sono stati divelti”. Pochi i vestiti da offrire ai trattenuti, insufficienti le coperte. Il capitolato del magazzino prevedeva la fornitura di un rotolo di carta igienica al giorno ogni cinque persone. Limitati gli spazzolini per lavare i denti e così il dentifricio, quasi mai disponibili assorbenti igienici (nel Cie bolognese sono state trattenute anche le donne). Il ricambio di biancheria, ha rilevato il dossier, avveniva ogni dieci giorni “nel migliore dei casi”. Nessuna attività ricreativa, nessuna carta dei diritti. “Sono frequenti le aggressioni al personale interno”. E questo è un dato che si ripete in tutti gli undici Cie.

Nel centro di permanenza di Milano il 95% dei trattenuti arriva dal carcere e nel 2012 sono state registrate dodici fughe. Un caso eclatante è stato quello che ha toccato il transessuale brasiliano Regina: aveva (e aveva dichiarato) l’Aids conclamato, al terzo stadio, frutto di violenze subite dalla famiglia d’origine. Nonostante la situazione clinica certificata da professionisti dell’Organizzazione mondiale della sanità, Regina è stato trattenuto per una settimana. A Gorizia il tunisino Mohamed, affetto da una grave forma depressiva aggravata da atti di autolesionismo ripetuti e da un preoccupante stato di deperimento fisico, è rimasto nel centro quattordici mesi.

Nel Cie di Torino, quaranta dei centoventi trattenuti totali sono in terapia ansiolitica: assumono farmaci pesanti senza controllo medico, il Rivotril indicato per la terapia dell’epilessia e l’Akineton, con indicazione terapeutica per il morbo di Parkinson. Di questi farmaci fanno spesso abuso i pazienti tossicodipendenti. I casi di autolesionismo, a Torino, sono stati 156. Al Ponte Galeria di Roma, il più affollato centro di permanenza europeo, i bagni delle donne sono senza porte. Non esistono pettini, bisogna sistemare i capelli con le forchette. Il riscaldamento generale è rotto e spesso manca l’acqua calda. “Viviamo nella sporcizia”, ha raccontato una giovane rom bosniaca. E una ragazza rumena: “Durante il giorno non sappiamo cosa fare, non c’è niente da fare. Quando stai male e vai dal dottore non credono mai che parli sul serio, che soffri veramente”. A un trattenuto affetto da una malattia grave, raccontano i medici per i diritti umani, “non è stato concesso un colloquio con un sanitario”.

I marocchini intervistati a Crotone hanno dichiarato di essere “tenuti come animali”: i medici non hanno potuto visitare le loro stanze. I colloqui, anche quelli che hanno formato il dossier, sono stati possibili solo con un poliziotto a fianco. A Trapani, nel corso delle tre ore di visita dei medici per i diritti umani, gli altoparlanti hanno annunciato tredici tentativi di fuga.

A Lamezia Terme, dove l’appalto di gestione è passato da 46 euro per trattenuto a 30 euro, non c’è servizio barberia: tutti i barbieri di zona si sono rifiutati di prestarlo. Per radersi i trattenuti devono entrare in una gabbia grande come una cabina telefonica a ridosso del cortile e radersi sopra un montacarichi. Alla vista dei poliziotti, che devono evitare qualsiasi uso improprio della lametta.

I numeri. Nel 2012 sono stati 7.944 (7.012 uomini e 932 donne) i migranti trattenuti negli undici centri di identificazione ed espulsione (Cie) operativi in Italia. Di questi solo la metà (4.015) sono stati effettivamente rimpatriati con un tasso di efficacia (rimpatriati su trattenuti) del 50,54%. Con l’estensione della durata massima del trattenimento da 6 a 18 mesi (giugno 2011) le espulsioni sono aumentate solo del 2,3% rispetto al 2010, anno in cui il limite massimo per la detenzione amministrativa era ancora di sei mesi. Rispetto al 2011, l’incremento del tasso di efficacia è stato dello 0,3%. Se si compara il numero effettivo di rimpatri effettuati nel 2008 (anno in cui i termini massimi di trattenimento erano ancora di 60 giorni) con quello del 2012, si registra una flessione da 4.320 a 4.015 (-7,1%). Nel 2012 il numero complessivo dei migranti rimpatriati attraverso i Cie, secondo i dati della polizia di Stato, è stato l’1,2% del totale degli immigrati stimati in condizioni di irregolarità sul territorio italiano (326.000 al primo gennaio 2012). E ancora nel 2012 sono stati 1.049 i migranti fuggiti dai Cie, il 33% in più rispetto al 2011.
 

(13 maggio 2013)

Verso il 1° giugno. Manifestazione contro i CIE a Gradisca di Isonzo

cie

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Sabato 1° Giugno 2013

Gradisca d’Isonzo

 dalle 10.30 alle 13.00

in piazza unità a Gradisca

banchetto informativo e performance del Living Theatre

 

pomeriggio dalle ore 17.00 alle 21.00
 di fronte al lager

PresidioManifestazione

contro i CIE

Musica, interventi, performance del Living Theatre…

 Pullman da Pordenone

  Partenze da Trieste

 

Iniziative preparatorie:

Trieste – REPORT

Pordenone – REPORT

Udine

SCARICA IL DOSSIER NO CIE 2013

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NO TAV/ L’inevitabile ritorno di Lodovico Sonego

Eletto senatore del Pd ora membro della 8a commissione lavori pubblici e comunicazioni, non poteva certo non farsi sentire …

Martedì è comparso un artiicoletto sul MV, che sarà sfuggito a molti, da notare peraltro che il titolo dell’articolo trae in inganno poiché Sonego dice no al Commissario mica alla Tav.

 

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Messaggero Veneto MARTEDÌ, 14 MAGGIO 2013 Pagina 10 – Regione
 
ALTA VELOCITÁ
 
Sonego: inutili commissario e la tratta Lione-Lubiana
 
 
UDINE «Non serve il commissario straordinario per la terza corsia dell’autostrada A4, men che meno per il collegamento ferroviario del progetto prioritario Lione-Venezia-Trieste-Lubiana che è un problema politico e non un problema tecnico». Lo sostiene il senatore del Pd Lodovico Sonego. «Anche alla luce di questi fatti risulta evidente che il commissario Mainardi non ha titolo e legittimazione per convocare i sindaci e proporre, non si sa a nome di chi, ipotesi di tracciato – aggiunge Sonego –. Anticipo infatti che chiameremo il governo in commissione per definire sull’argomento una politica che accomuni Governo e Parlamento. In attesa il commissario può solo fare danni. Sino a ora Mainardi si è esercitato in Veneto producendo confusione di cui non sentiamo la necessità in Friuli Venezia Giulia. La riprova di ciò che dico è rappresentata dal fatto che a tutt’oggi in Veneto non si sa dove debba passare la ferrovia nonostante il pluriennale lavoro del commissario. La parola spetta ora al Governo, al Parlamento, alle Regioni, ai Comuni», conclude Sonego.

 

 

_ Vediamo chi è ____________

Lodovico SONEGO

XVII Legislatura
 

Foto del Senatore Lodovico SONEGO

Regione di elezione: Friuli-Venezia Giulia
Nato il 20 febbraio 1956 a Charleroi (Belgio)
Residente a Cordenons (Pordenone)
Professione: Consulente, funzionario di partito, impiegato

Già consigliere e assessore Regione Friuli-Venezia Giulia

Elezione: 24 febbraio 2013
Proclamazione: 27 febbraio 2013

Membro Gruppo PD

Membro della 8ª Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni)

Contatti

Mandati

  • XVII Legislatura Senato

Incarichi e uffici ricoperti nella Legislatura

Gruppo Partito Democratico :
Membro dal 19 marzo 2013

8ª Commissione permanente (Lavori pubblici, comunicazioni):
Membro dal 7 maggio 2013

 

Guarda un pò un vicepresidente è il famìgerato Esposito


  1. Presidente
  2. Vicepresidenti
    1. ESPOSITO Stefano, PD
    2. CERVELLINI Massimo, Misto, Sinistra Ecologia e Libertà
  3. Segretari
  4. Membri

CIE DI GRADISCA: in 13 a processo coinvolta anche il vice prefetto

da il Messaggero Veneto 18 maggio 2013

 

Appalti Cie e Cara, truffa da 2 milioni 300 mila euro

Gradisca, è quanto ipotizza la Procura della repubblica nella gestione dei centri. Sarebbero stati gonfiati i numeri delle presenze degli ospiti nelle strutture

 

di Franco Femia

 

GRADISCA. Non sono noccioline i soldi che, secondo la Procura della repubblica, sono stati truffati allo Stato nella gestione dei due centri di immigrazione di via Udine, il Cie e il Cara. Il primo ospita extracomunitari in attesa di identificazione ed espatrio, il secondo i richiedenti asilo politico. Entrambe le strutture sono gestite dalla Connecting People.

Il capo di imputazione con cui i pubblici ministeri Enrico Pavone e Enrico Pavone hanno chiesto il rinvio a giudizio per associazione a delinquere dei vertici del consorzio siciliano parla di un milione e 800 mila euro riferiti alla gestione del Cie nel periodo 2008-2011; 500mila euro invece riguardano il Cara. In tutto 2 milioni e 300mila euro.

Una truffa che, secondo la Procura, sarebbe avvenuta gonfiando i numeri delle presenze degli ospiti all’interno dei centri immigrati. Le fatturazioni presentate alla Prefettura per i pagamenti, quindi, non sempre sono state conformi alle reali presenze degli ospiti.

La Connecting people, secondo il contratto dì’appalto, percepiva in quel periodo 42 euro al giorno per immigrato. E con questa cifra doveva gestire i centri e cioè fornire agli ospiti pasti, medicinali, vestiario e quanto di altro necessario. Ma anche su questi servizi sono state rilevate delle irregolarità sempre stando al capo di imputazione e di qui l’accusa pure di inadempimenti nella pubblica fornitura.

Imputazioni che dovranno ora passare al vaglio del giudice delle udienze preliminare, che ha già, come anticipavamo ieri, fissato l’udienza al prossimo 2 luglio. Udienza dove è già annunciata battaglia da parte dei difensori degli imputati che cercheranno di smontare, dati alla mano, le accuse mosse dalla Procura.

Diversa la posizione dei due imputati, dipendenti della Prefettura. La viceprefetto vicario Gloria Sandra Allegretto e il ragioniere capo Telesio Colafati devono rispondere solo di falsità materiale e ideologica in atti pubblici. In concreto si imputa a loro di non aver verificato la congruità di quanto dichiarato in fattura sul numero degli ospiti presenti al Cie e al Cara.

C’è da sottolineare che per Colafati, sin dall’inizio dell’inchiesta, l’accusa è stata quella di falso e che mai è stato indagato di corruzione. Contrariamente alla viceprefetto Allegretto, che a un certo punto dell’indagine si era vista notificare anche l’accusa di corruzione. Nel prosieguo dell’inchiesta – nel frattempo erano cambiati anche i pm titolari dell’indagine – questa ipotesi di reato è caduta ed è rimasta quella iniziale di falso.

 
 

 

Da Il Piccolo del 17/05/13

Appalti al Cie, in tredici verso il processo

Coinvolta anche la viceprefetto. Associazione a delinquere chiesta per i vertici del consorzio che gestisce i centri immigrati. Udienza preliminare fissata per il 2 luglio

 

di Franco Femia GORIZIA Si è chiusa con 13 richieste di rinvio a giudizio l’inchiesta giudiziaria sugli appalti al Cie e al Cara di Gradisca d’Isonzo. Il gup ha fissato per il prossimo 2 luglio l’udienza preliminare in cui si deciderà la sorte dei tredici imputati. Tra questi la viceprefetto Gloria Sandra Allegretto e il ragioniere capo della Prefettura Telesio Colafati che devono rispondere di falso materiale e ideologico in atti pubblici. I vertici della Connecting people, il consorzio siciliano che gestisce dal 2008 i due centri immigrati, devono rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello stato e a inadempienze di pubbliche forniture. Gli imputati sono Giuseppe Scozzari presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della Connecting people, Ettore Orazio Micalizzi vice presidente del Cda, Vittorio Isoldi direttore della Connecting people, Giovanni Scardina direttore del Cie, Gloria Savoia direttrice del Cara (centro che ospita i richiedenti asilo politico), Mauro Maurino componente del Cda e Giuseppe Vito Accardo sindaco supplente. Il rinvio a giudizio è stato chiesto anche per quattro dipendenti del Consorzio con le stesse imputazioni del vertici della Connecting people. La Procura della Repubblica contesta loro di aver ottenuto somme ben più alte di quelle dovute sulla gestione degli immigrati. Nelle fatture presentate alla Prefettura sarebbe stato indicato un numero maggiore di ospiti di quelli effettivamente presenti nelle due strutture gradiscane. Inoltre sono accusati di non aver fornito agli extracomunitari alcuni servizi che erano invece contrattualmente previsti come carte telefoniche prepagate e acqua. All’Allegretto e al funzionario della Prefettura viene contestato il fatto di non aver verificato la congruità delle fatture presentate e di averle vistate autorizzandone il pagamento. È caduta invece l’accusa di corruzione che era stata ipotizzata in primo momento per la viceprefetto e Colafati. Il periodo preso in esame nell’indagine, condotta dagli agenti della Digos e dalla Guardia di finanza, va dal 2008 al 2011, i tre anni in cui la Connecting people ha gestito il centro immigrati di via Udine dopo aver vinto l’appalto.L’avvocato Alberto Tarlao, che difende Scardina, Maurino e Savoia oltre a tre dipendenti del Consorzio, promette battaglia legale fin dall’udienza preliminare per smontare il capo di imputazione. «È una grande bolla di sapone – afferma il legale – e avremo modo di dimostrare, dati alla mano, che le fatture corrispondono al numero effettivo delle presenze di extracomunitari nei due centri». «Per quanto riguarda le forniture – aggiunge Tarlao – è stato fornito agli ospiti tutto quello che era contrattualmente previsto».

Monfalcone: è un coro “NO AL CARBONE”

Da Il Piccolo del 17 maggio 2013

È un coro: «No al carbone»

di Laura Blasich No al carbone. Con varie sfumature lo dicono in sostanza tutti i Comitati di quartiere di Monfalcone e non solo l’associazione Rione Enel, che sponsorizza in modo deciso il contro-piano di Legambiente per un futuro alternativo per il sito della centrale termoelettrica A2A. E rimane pronta a dare battaglia attraverso il ricorso al referendum sul progetto della società di sostituzione dei due attuali gruppi a carbone con una nuova sezione, alimentata con lo stesso combustibile fossile. Quello che tutti i Comitati chiedono, senza distinzione, è invece un coinvolgimento della Regione e dei Comuni limitrofi. «La Regione va e si deve sentire coinvolta – afferma la vicepresidente dell’Associazione rione Enel, Oriana Monti -, soprattutto nel momento in cui c’è un assessore all’Ambiente, Sara Vito, eletta da questo territorio e che nel suo programma puntava molto sulle fonti rinnovabili». Quello che ha lasciato perplessa l’associazione e gli altri comitati è però anche il mancato coinvolgimento da parte dell’amministrazione comunale degli altri enti locali che pure avevano dato la propria disponibilità a lavorare assieme sulla questione. In modo del tutto comprensibile, visto che le ricadute degli inquinanti riguardano un’area che va ben oltre i confini comunali. «Il punto comunque è se questa città è disponibile ad accettare altri 50 anni di carbone», afferma la vicepresidente dell’associazione. Monfalcone deve quindi farsi sentire, e non solo attraverso i propri cittadini, secondo il coordinatore dei Comitati di quartiere Giorgio Busatto, pensando innanzitutto alla tutela della salute della comunità. «Questa è una zona che ha già sofferto e soffre troppo a causa dell’amianto – sottolinea Busatto -. Resta da capire quale sarà l’impatto dell’aumento del transito dei mezzi pesanti e non solo sulle nostre strade. Bisogna che il diritto alla salute dei cittadini sia salvaguardato e il primo responsabile in questo campo è il sindaco». «C’è bisogno di energia – dice Adriano Manfrin del comitato Aris-San Polo -, ma in questo momento quella richiesta alla centrale è meno di un terzo di quella che potrebbe produrre». Il Comitato rione centro, che ha appena rinnovato il proprio direttivo e ha come nuovo presidente l’ex consigliere comunale Giuliano Antonaci, si ritroverà fra l’altro lunedì pomeriggio per fare il punto sulla questione. «A titolo personale dico però che la centrale va smantellata, perché è obsoleta», chiarisce Antonaci. Al loro fianco i Comitati di rione trovano il consigliere provinciale Fabio Del Bello, secondo il quale le istituzioni, sollecitate di recente da Legambiente a uscire allo scoperto, hanno svolto finora un’azione inadeguata. «La Regione è stata finora assente, priva di un Piano energetico regionale – attacca Del Bello -, mentre la Provincia poteva esercitare in modo più incisivo la propria competenza sull’ambiente. Il Comune di Monfalcone è l’unico che sta affrontando il tema, anche se senza coinvolgere i Comuni vicini». Alla Provincia il consigliere chiederà quindi di mettersi a capo di un coordinamento territoriale che apra un tavolo con l’assessore regionale all’Ambiente Sara Vito.

 

Iacono chiede garanzie e trasparenza sul futuro dell’impianto

Il consigliere di Sel Giovanni Iacono scende in campo chiedendo, con un’interrogazione, garanzia sui fronti sicurezza e ambiente in relazione al futuro della centrale A2A. Iacono chiede al sindaco « quali aggiornamenti A2A abbia prodotto all’attenzione della giunta in merito ai sistemi di controllo delle emissioni , alla dismissione dei gruppi a olio e all’iter progettuale relativo alla trasformazione dell’impianto». Inoltre chiede quali incontri si siano tenuti tra la giunta e A2A in sede di tavolo tecnico ambientale e se sia in corso la stesura di una convenzione-quadro tra Comune A2A. Iacono intende inoltre sapere se ci siano stati incontri tra A2A e Rione Enel e quali azioni siano state intraprese dall’amministrazione con la Regione «per lo studio del progetto di trasformazione del’impianto di Monfalcone, e per la redazione del Piano energetico regionale». Inoltre se sia stato predisposto un progetto di Piano energetico comunale in ordine al passaggio a fonti rinnovabili a Monfalcone. Iacono chiede infine una conferenza aperta alla popolazione sul tema.

 

 

A2A, Legambiente sprona la politica a uscire allo scoperto

Carbone, centrale e disagi. Così s’intitola un’iterrogazione al sindaco Altran della consigliere comunale Anna Maria Cisint che chiede certezze sull’impatto sanitario dell’impianto. «A discapito di una serenità di vita ormai ridotta sotto il peso di quelle polveri che “omaggiano” la collettività di 800 kg di particelle, il nuovo progetto ridurrebbe lo scaricamento di polveri a 140 tonnellate annue: circa 380 kg quotidiani. Troppi. È evidente come soprattutto i residenti siano ostaggio di rumori, vibrazioni che determinano crepe sui muri,onde elettromagnetiche e stress psicologico inquietante quasi quanto le polveri». Senza contare il deprezzamento delle case del rione. «Vanno quindi affrontati – afferma Cisint – i temi più importanti anche alla luce di quanto le istituzioni e l’azienda a confronto del tavolo tecnico hanno deciso. Emerge dai verbali la possibilità di effettuare, a fianco di quello prospettico della Vis, uno studio retrospettivo per verificare se negli ultimi 10/15 anni sul territorio ci sia stato un aumento delle patologie correlabili all’esposizione agli inquinanti prodotti dalla combustione del carbone. La delega all’Ass non può esonerare il comune dalla gestione diretta della problematica: vanno individuate e condivise le caratteristiche e i tempi della ricerca cui può comunque essere abbinata la Vis su quello che sarà il progetto che A2a presenterà al ministero. In secondo luogo – continua Cisint – serve un’implementazione delle centraline per il rilevamento di Pm10 e Pm2,5. L’Arpa stessa evidenzia la possibilità di affiancare la strumentazione già in suo possesso a questo fine. Mi chiedo come mai non sia ancora stato fatto e come mai si decida invece di attendere lo sviluppo della futura convenzione con A2A per completare la rete. C’è infine la la necessità di installare centraline di controllo delle componenti acustiche anche in risposta alle numerose segnalazioni di episodi». di Laura Blasich Chiusa la campagna elettorale, la Regione, ma anche Provincia e Comune, devono dire “da che parte stanno” rispetto al futuro della centrale termoelettrica A2A di Monfalcone. Ad affermarlo, con forza, è Legambiente, dal nazionale al locale, che laltra sera è ritornata a parlare in città della sua proposta alternativa, fatta di un mix di gas, fotovoltaico e produzione innovativa legata alle fonti energetiche alternative alle fossili. Senza però ottenere una parola in proposito dal presidente della Provincia, Enrico Gherghetta, e dall’assessore comunale all’Ambiente, Walter Pin, entrambi presenti nella sala conferenze del Palazzetto veneto di via Sant’Ambrogio.«Abbiamo fatto una prima iniziativa a Monfalcone tre mesi – ha afferma Stefano Ciafani, vicepresidente nazionale di Legambiente, tra i relatori dell’appuntamento – per illustrare la nostra proposta. Siamo ritornati adesso per dimostrare che non è campata in aria, portando i rappresentanti dell’Angelantoni Industrie Spa, azienda che produce tubi ai sali fusi per il solare a concentrazione in provincia di Perugia. Una realtà nata con una joint venture con Siemens e che da lavoro a circa 200 persone. Un esempio concreto che il futuro può essere altrove dal carbone, una fonte obsoleta, anche sotto il profilo economico, di mercato». L’obiettivo era quello di sollecitare, quindi, con un esempio concreto la politica locale «a dire qualcosa, se la strada da imboccare è quella indicata da A2A o se, invece, si può lavorare su un percorso alternativo, ma non campato in aria». Per ora, però, Legambiente non ha ottenuto alcun feedback. «Non è un dato positivo – aggiunge Ciafani -. La campagna elettorale però adesso è finita e Regione, Provincia, Comune, devono dire dove vogliono andare a parare: il sindaco di Brindisi a un progetto analogo a quello di Monfalcone ha risposto picche ad A2A. Si deve chiarire, quindi, se si pensa di poter lavorare per far cambiare il piano industriale ad A2A o se invece va bene appiattirsi sulla posizione dell’azienda». All’incontro era stato invitato anche ilneoassessore regionale all’Ambiente, Sara Vito, che però non ha potuto partecipare per impegni in Consiglio regionale. «Ci ha però detto di auspicare che ci saranno altre occasioni di confronto», afferma il presidente del circolo monfalconese di Legambiente, Michele Tonzar. Valerio Rossi Albertini del Cnr di Roma ha spiegato e ribadisce come «il carbone è una fonte energetica ormai superata, soprattutto in Italia, dove il consistente aumento della produzione da fotovoltaico sta spegnendo le centrali nelle ore diurne. Centrali pulite a carbone inoltre non esistono – sottolinea -, mentre ormai esistono nuove tecnologie da sfruttare». Per il sito energetico di A2A Legambiente ha ipotizzato una riconversione di una minima percentuale di produzione con il gas, la bonifica di un’area occupata dalla centrale con messa a disposizione delle zone libere per le attività portuali e la realizzazione di un impianto fotovoltaico in una parte delle aree dismesse con una capacità attorno ai 2 Mw. Il tutto pensando alla creazione di sinergie tra le istituzioni del territorio e coinvolgendo A2A, per favorire l’insediamento di realtà produttive innovative.

UDINE/ Proiezione illegal

Venerdì 24 maggio 2013 ore 21.00 presso il Nuovo Spazio Sociale

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