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MINEO: Mineo. Il diritto alla fuga per salvarsi la vita

Mineo. Il diritto alla fuga per salvarsi la vita di Antonio Mazzeo

Nel “Villaggio della solidarietà” di Mineo, filo spinato, telecamere e forze armate hanno fatto capire ai rifugiati che non si trattava di una “villeggiatura” ma di una nuova forma di reclusione senza diritti. Che non favorisce l’integrazione, ma remunera molto bene privati e “cricca”.

Fuggono. Li vedi in fila indiana tra i campi e gli aranceti. Alcuni persino sulla carreggiata della trafficata superstrada Catania-Gela, in direzione nord. Una bottiglia d’acqua minerale e uno zainetto con qualche indumento e un pacco di biscotti. È tutto quello che portano con sé, ma vanno avanti con determinazione, dignità, speranza. Chi esercita il diritto alla fuga ha un progetto di vita chiaro. Raggiungere fratelli, cugini, amici, quella rete di solidarietà che sanno bene che in Italia gli sarà negata. Decine, forse centinaia di giovani. Richiedenti asilo di nazionalità curda, somala, eritrea, deportati manu militari dai centri di accoglienza sparsi in mezza Italia. E i tunisini scampati all’inferno di Lampedusa, dichiarati d’autorità “richiedenti asilo” per mascherare i trasferimenti forzati con le unità della Marina militare.

Il residence “a quattro stelle” di Mineo (Catania), abitato un paio di mesi fa dai militari USA di Sigonella, doveva essere la vetrina internazionale dell’accoglienza made in Italy, il progetto-pilota per rendere felici e invisibili rifugiati e migranti. Quattrocentoquattro villette indipendenti, uffici, mense, palestre, campi da tennis e football, sale per l’intrattenimento e le funzioni religiose e 12 ettari di spazi verdi. Un paradiso per chi ha conosciuto guerre e carceri nel continente africano, ma l’assedio di poliziotti, carabinieri e militari dell’esercito, le telecamere e le recinzioni sorte in ventiquattrore, lasciano presagire chissà quali nuove forme di detenzione. E allora è meglio andare, lasciarsi dietro il deserto ambientale, sociale e culturale del “villaggio della solidarietà” imposto da Berlusconi e Maroni per fare un favore ai legittimi proprietari della struttura, la Pizzarotti S.p.A. di Parma. Sì, perché alle origini dell’intera operazione di riconversione dell’ex villaggio USA nel mega-centro di accoglienza per richiedenti asilo c’è la ferma intenzione di continuare a spremere milioni di euro all’anno da una struttura che rischiava di restare per sempre abbandonata.

Quando alla Pizzarotti fu comunicata l’intenzione di Washington di non rinnovare il contratto d’affitto che sarebbe scaduto il 31 marzo 2011, i manager della società si affannarono ad individuare nuovi possibili locatari del villaggio. Dopo aver giocato inutilmente la carta del “sociale”, proponendo a destra e manca il suo utilizzo come “luogo di detenzione alternativo al carcere per le detenute madri” o come “centro accoglienza per immigrati e tossicodipendenti”, si tentò di rifilare la struttura all’Università di Catania per adibirla a polo di ricerca e cittadella dello studente. Alla Regione Siciliana e ai comuni del comprensorio fu presentato un progetto di “nucleo sociale polifunzionale” con case in affitto a canone agevolato e spazi per le attività sociali di enti pubblici e cooperative. Il programma di sviluppo immobiliare prevedeva pure la realizzazione di un centro commerciale e di sale cinematografiche, ma naufragò per lo scarso interesse degli operatori economici e dei politici locali. L’ultima spiaggia fu quella di proporre l’affitto direttamente alle famiglie dei militari USA, 900 euro al mese a villetta – 160 metri quadri di superficie più giardino – incluso l’uso gratuito degli spazi comuni e il trasporto in bus verso la base di Sigonella, parecchio distante. Saldi di fine stagione: quasi la metà di quanto il Dipartimento della difesa versava alla Pizzarotti, otto milioni e mezzo di dollari all’anno più le spese per la gestione dei servizi all’interno del villaggio. Fallito anche questo tentativo ci avrebbero pensato le rivolte per la libertà e il pane in nord Africa a fornire l’occasione per riaprire i cancelli del residence e consentire al governo di stiparvi oltre duemila tra richiedenti asilo, residenti da tempo in Italia, ed immigrati dell’ultima ora.

La portata finanziaria dell’affaire è top secret, ma è possibile spingersi in una stima di massima. Se venisse applicato il canone concordato con gli americani, per i 10 mesi dal decreto di “requisizione” (2 marzo 2011) del Commissario straordinario per l’emergenza immigrazione, il prefetto di Palermo Giuseppe Caruso, il governo dovrebbe dare alla Pizzarotti non meno di 5 milioni e 500 mila euro. La legge parla chiaro: anche nel caso di espropri e requisizioni per pubblica utilità gli indennizzi non possono essere inferiori ai valori di mercato. Ma quello di Mineo non sarà un centro legato all’emergenza di questi mesi, e nei disegni di Berlusconi e Maroni dovrà avere vita illimitata. Il dottor Caruso ha ammesso che nei piani del governo e dei proprietari, c’è l’intenzione di sottoscrivere un contratto d’affitto per non meno di cinque anni. In questo modo verrebbero ad essere trasferiti altri 30 milioni di euro dalle casse dello stato al privato. Pensare che ad una quarantina di chilometri in linea d’area sorge l’ex base missilistica NATO di Comiso (Ragusa), la cui titolarità è passata in mano all’ente locale. Ospita centinaia di alloggi per oltre 7.000 persone, abbandonati all’incuria e ai saccheggi dei vandali. Accoglienza a costo zero, in una realtà che ha sperimentato in passato, con ovvie contraddizioni, il sostegno ai profughi del conflitto in ex Jugoslavia e Kosovo. Ma come per le grandi opere è la lobby del cemento a dettare le regole. Sulla pelle dei migranti e sulle tasche dei contribuenti.

Pizzarotti SPA: Grandi Opere militari/nucleari

La Pizzarotti è impegnata nella realizzazione di grandi opere infrastrutturali in Italia e all’estero. Alcune di esse hanno generato enormi impatti socio-ambientali: il deposito delle scorie radioattive di Caorso, la centrale nucleare di Montalto di Castro, la tratta ferroviaria ad alta velocità Milano-Bologna, due lotti dell’autostrada Salerno-Reggio Calabria. La società ha pure partecipato con poca fortuna alla gara per la progettazione ed esecuzione del Ponte sullo Stretto di Messina. In Sicilia ha però ottenuto dall’ANAS lo status di general contractor per i lavori dell’autostrada Catania-Siracusa, una commessa di 473,6 milioni di euro.

La Pizzarotti è inoltre una delle aziende di fiducia delle forze armate degli Stati Uniti d’America. Nell’ultimo decennio ha fatturato per conto del Dipartimento della difesa 134 milioni di dollari. Nel 1979 le era stata affidata la realizzazione a Sigonella del centro destinato alla Rapid Deployment Force, la Forza d’Intervento Rapido USA. A metà anni ‘80 la Pizzarotti partecipò pure alla costruzione di numerose infrastrutture nella base di Comiso. Quindici anni dopo, la società realizzò a Belpasso (Catania) il villaggio “Marinai” per i militari di Sigonella, 42 ettari d’estensione e 526 unità abitative, fratello maggiore del “Villaggio degli Aranci” di Mineo. Successivamente ha eseguito i lavori di ristrutturazione ed ampliamento delle banchine della base navale e sottomarini atomici di Santo Stefano (arcipelago de La Maddalena), e realizzato una piccola tratta ferroviaria ed alcuni depositi all’interno della base di Camp Darby (Livorno). Nell’aeroporto di Aviano (Pordenone), Pizzarotti ha ampliato i locali adibiti a servizi e casermaggio, mentre a Camp Ederle (Vicenza) ha costruito un complesso residenziale per 300 marines e il nuovo polo sanitario US Army. Non altrettanto bene è andata a Quinto Vicentino, dove nonostante un accordo con il Comando dell’esercito statunitense per la creazione di un residence con oltre 200 abitazioni per i militari della 173^ Brigata Aviotrasportata (valore stimato 50 milioni di dollari), gli amministratori locali hanno scelto d’imporre il veto al progetto.

La società di Parma ha stipulato un contratto con le ferrovie israeliane per la costruzione di un lotto della linea ad alta velocità Tel Aviv–Gerusalemme, relativo ad un tunnel che attraversa i villaggi di Beit Surik e Beit Iksa, all’interno dei territori della Cisgiordania occupati illegalmente da Israele nel 1967. Come denunciato da decine di associazioni internazionali attive nella difesa dei diritti umani, il progetto viola le norme della IV Convenzione di Ginevra, che vietano alla potenza occupante l’esproprio di proprietà private per la costruzione di infrastrutture permanenti inaccessibili alla popolazione locale.

Croce Rossa Italiana: Niente bando per favore

L’altro grande business di Mineo riguarda la gestione dell’“accoglienza” dei circa 2.000 richiedenti asilo presenti. Le organizzazioni siciliane antirazziste hanno già fatto le prime stime. Agli enti che gestiscono i CARA sparsi sul territorio nazionale, il governo versa un contributo che oscilla dai 40 ai 52 euro al giorno per persona. Conti alla mano a Mineo si spenderà mensilmente dai 2 milioni e 400 mila ai 3 milioni di euro. È la Croce Rossa Italiana l’ente individuato dalle autorità di governo senza l’indizione di un bando ad evidenza pubblica. “Sino al 30 giugno 2011, la CRI impiegherà fondi propri destinati alla gestione delle situazioni di emergenza”, ha precisato il prefetto Caruso. Per i restanti sei mesi coperti dal decreto anti-sbarchi ci penserà lo Stato. A fine anno la spesa potrebbe così toccare i 18 milioni di euro. L’accoglienza soft nei Comuni di mezza Italia, grazie alle reti solidali di enti e associazioni (il cosiddetto sistema Sprar), pesa invece per non più di 20-22 euro al giorno per rifugiato. Con il vantaggio che le esperienze hanno forti ricadute sull’economia e l’occupazione locale, come ad esempio accade a Riace, paesino della provincia di Reggio Calabria, uno dei modelli d’integrazione cittadini-migranti a livello internazionale.

Intanto, il presidente della Provincia di Catania e coordinatore regionale del Pdl, Giuseppe Castiglione, invita la Croce Rossa ad affidare alcuni servizi del centro di Mineo alle cooperative locali in buona parte riconducibili al potente consorzio Sol.Co. di Catania. Una piccola tassa in cambio del consenso dei politici e degli amministratori del luogo. Il ghetto per rifugiati e deportati nel cuore dell’isola è pronto a trasformarsi in una moderna fabbrica di soldi e di voti.


La Confindustria applaude Espenhahn

Capitalisti assassini

imbavagliati

9 maggio, Torino. I familiari delle vittime si sono alzati in piedi e si sono imbavagliati ad un convegno sulla sentenza.
7 maggio, Bergamo. Ovazione degli industriali, in un convegno a porte chiuse, all’ad Thyssen condannato.

MUTAMENTI CLIMATICI e allergie

Corriere 09 maggio 2011

 

Usa, allergie al massimo per cambio clima

09 Maggio 2011 22:30 SCIENZE E TECNOLOGIE

(ANSA) – WASHINGTON – Nasi arrossati, starnuti continui, malesseri: le allergie stagionali sono in forte aumento in tutti gli emisferi e la tendenza continuera’ a causa dei cambiamenti climatici che hanno portato ad un allungamento della stagione delle fioriture.Lo rivelano esperti Usa che hanno calcolato come ad esempio la stagione della fioritura della ambrosia -i cui pollini causano diffuse allergie- si e’ allungata di ben 27 giorni tra il ’95 ed il 2009. Tra le cause l’inquinamento, il caldo e i temporali.

AVIANO: via la base? (agg.all’11 maggio)

Messaggero Veneto del 11/05/11

F-16 da Aviano in Polonia

È un intrigo internazionale

Il Governo italiano smentisce, gli americani tacciono, ma della partenza degli F-16 da Aviano si parla da due anni. In realtà nono si prevede alcuno sgombero, ma è probabile l’arrivo dei nuovi superaerei F-35

 

AVIANO. È giallo sulla permanenza del 31° Fighter wing alla Base di Aviano. Secondo il Wall Street Journal, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama annuncerà il trasferimento in Polonia dei due squadroni di F-16, di stanza nell’aeroporto Pagliano e Gori dal 1993, in occasione della sua visita a Varsavia. La notizia è rimbalzata immediatamente a Roma: il ministro della Difesa Ignazio La Russa si è messo immediatamente in contatto col Pentagono, smentendo tale ipotesi.

 

Ma in prospettiva, secondo fonti attendibili, non è escluso tale spostamento, in vista dello schieramento ad Aviano dei nuovissimi F-35, nell’ambito del programma Jsf, Joint strike Fighter, creato per sostituire molti velivoli mantenendo i costi di sviluppo, produzione e operativi bassi. Intanto, però, nella Destra Tagliamento regnano incertezza e sorpresa: Aviano senza F-16 (e senza altre alternative), significa un taglio di indotto pari a 290 milioni di euro, oltre a 610 milioni di dollari che gli Usa hanno già investito in un decennio per ammodernare la Base.

 

Dal 31° Fighter wing – peraltro impegnato nelle missioni in Libia e in Afghanistan – ieri non c’è stata alcuna reazione: sebbene sollecitato, ha rinviato per qualsiasi contatto direttamente a Washington. A parlare, invece, è stato il ministro della Difesa, da Cagliari, a margine di un incontro col collega spagnolo Carme Chacon: «Il trasferimento non corrisponde a verità. È vero che in Polonia gli Stati Uniti stanno approntando una base, ma nessun aereo al momento ad Aviano sarà spostato. La piccola base provvisoria in Polonia avrà aerei che provengono da altri Paesi, non da Aviano. Non c’è alcuna connessione, non lo affermo solo io: c’è una lettera dell’addetto militare americano indirizzata alla Difesa, c’è la conferma ufficiale del Pentagono».

 

Non è escluso, a lungo termine, che gli F-16 effettivamente siano spostati da Aviano, per fare posto, però, al nuovo F-35, caccia multiruolo di quinta generazione, con caratteristiche stealh (invisibile ai radar), che può essere utilizzato per supporto aereo ravvicinato, bombardamento tattico e missioni di superiorità aerea. La mossa di spostare gli F-16 in Polonia avrebbe, secondo fonti attendibili, minore “impatto diplomatico” sulla irritabile Russia, in quanto si tratta di un aereo ormai vetusto (e tuttora in pieno uso) rispetto al moderno F-35, già a disposizione degli Usa.

 

Il depotenziamento della Base di Aviano è, tuttavia, un tema ricorrente, negli anni: l’ultima smentita di un trasloco in Polonia risale al 2007 quando il Pentagono elaborò una strategia definita «solo accademica», sulla base della «presenza di elementi ostili» collegabili all’ampliamento della Base di Vicenza.

 

Il territorio è preoccupato. A partire dal vicepresidente della Regione Luca Ciriani: «Finora la Base ha portato ricchezza e posti di lavoro. Sembra quasi paradossale – ha spiegato – doversi preoccupare se gli F-16 rimangano o no ad Aviano, quando per anni si sono fatte manifestazioni e via crucis per chiedere la chiusura della Base; da parte mia la preoccupazione è reale per le possibili conseguenze sulle centinaia di lavoratori italiani della struttura militare».

 

Il senatore Carlo Pegorer (Pd), membro della commissione Difesa di palazzo Madama, chiede al Governo di riferire in parlamento: «Considerando che si tratta di una delle principali basi americane del sud Europa inserita in un contesto strategico di grande importanza, al di là delle generiche assicurazioni del ministro La Russa, sarebbe bene che il governo fornisse al più presto una parola definitiva sulla vicenda. In caso contrario, non sarebbe sbagliato pensare che l’esecutivo Berlusconi non sia stato informato dall’alleato americano e questo, se fosse vero, sarebbe davvero grave».

 

Infine il presidente della Provincia, Alessandro Ciriani: «Mi auguro si tratti dell’ennesimo annuncio infondato, ma se così non fosse servirebbe immediatamente un tavolo paritario, per discutere degli scenari futuri della Base. Bisogna capire in che forma gli americani andranno via e cosa lasceranno sul territorio». Secondo Ciriani, i problemi dal punto di vista occupazionale sarebbero «gravissimi», ma vi sarebbe una ricaduta negativa anche «sotto il profilo logistico».

 

10/05/11

Da Il Piccolo

Gli Usa smantellano la base aerea di Aviano

Per il “Wall Street Journal” il Pentagono intende spostare gli F-16 in Polonia. A giorni l’annuncio di Obama

di Pier Paolo Garofalo

 

TRIESTE Gli Stati Uniti si apprestano a smantellare le strutture della loro forza aerea, la Us Air Force, ad Aviano in provincia di Pordenone, dove sono ospitate dal 1954, e spostare le due squadriglie di cacciabombardieri F-16 del 31.o Gruppo di combattimento in Polonia. È quanto riporta il “Wall Street Journal”, secondo cui l’annuncio ufficiale sarà dato dallo stesso Barack Obama che visiterà nei prossimi giorni Varsavia. Si tratta di una mossa che non mancherà di irritare la Russia, da sempre molto sensibile alla presenza di sistemi d’arma statunitensi e della Nato vicino ai suoi confini. Basta ricordare l’ostilità con cui Mosca accolse il vecchio progetto di Scudo anti-missile dell’amministrazione Bush che prevedeva di installare una batteria di 10 missili intercettori in Polonia. Un progetto poi lentamente accantonato dall’amministrazione di Barack Obama nonostante le pressioni di certa parte delle alte sfere militari “a stelle e strisce”, anche se non completamente cancellato.

 

L’ennesima riorganizzazione delle basi Usa all’estero, in chiave riduttiva e di economie di scala, era stata annunciata mesi fa dal Pentagono ma ancora non si conoscono i particolari della decisione che riguarda Aviano, né i motivi. La completa disponibilità a cooperare con il “grande alleato” d’Oltreoceano manifestata con costanza da Varsavia, anche in chiave anti-Russia, nell’ultimo decennio certo non è estranea. Ma non basta, anche sommando gli spazi fisici più ampi e un’opinione pubblica meno sensibile alla presenza militare sul territorio di quella italiana, a giustificare un trasferimento costoso e strategicamente delicato da una base tuttora altamente operativa, da dove sono partiti anche velivoli per la missione anti-Gheddafi. Almeno nella sua prima fase, fino a quando astutamente Washington ha lasciato la “patata bollente” ai partner dell’Alleanza altlantica.

 

In ogni caso, se confermato, l’addio dell’Air Force ad Aviano segnerebbe una svolta storica: da sempre l’aeroporto, seppure cogestito con gli italiani, nell’immaginario collettivo “è” l’America, e non solo quella militare, un suo simbolo non solo con i jet che decollano e atterrano ma anche i suoi uomini in uniforme e in abiti civili che vivono e si muovono attorno alla struttura contribuendo all’economia locale, le loro vetture “made in Usa” (a dire il vero sempre più rare e piccole, come imposto dalla crisi internazionale) dalle targhe particolari che nei week-end si spingono in tutta la regione, fino a Trieste. Ma soprattutto quella di Aviano rimane la base di tutte le guerre e operazioni particolari condotte dagli States dalla fine dei Cinquanta. L’associazione mentale, fino a “Desert Storme” o alle guerre di Bosnia-Erzegovina e Kosovo, è automatica. Lo sarà per lungo tempo anche dopo l’ultimo decollo degli F-16 americani.

 

Messaggero Veneto

Gli Usa annunciano:

«Gli F16 via da Aviano

Il Wall Street Journal: i caccia saranno trasferiti in Polonia

WASHINGTON. Gli Stati Uniti si apprestano a smantellare le strutture della Us Air Force ad Aviano, dove sono ospitate dal 1954, e spostare le due squadriglie di caccia bombardieri F-16 del 31.mo Gruppo di Combattimento in Polonia.

 

È quanto riporta il Wall Street Journal secondo cui l’annuncio ufficiale sarà dato dallo stesso Barack Obama che visiterà nei prossimi giorni Varsavia. Si tratta di una mossa che non mancherà di irritare la Russia da sempre molto sensibile alla presenza di sistemi d’arma Usa vicino ai suoi confini. Basta ricordare l’ostilità con cui Mosca accolse il vecchio progetto di scudo antimissile dell’amministrazione Bush che prevedeva di installare una batteria di 10 missili intercettori in Polonia.

 

La base militare Usaf di Aviano è ospite dell’Aeronautica militare italiana, all’Aeroporto Pagliano e Gori. La base americana è attualmente sotto il comando del generale Charles Q. Brown junior. Tra personale americano e italiano, sia civile sia militare, in tutto ad Aviano ci sono circa 8.500 persone. Più o meno 3.800 sono militari americani, sia uomini sia donne. Delle restanti 4.700 unità, 600 sono civili italiani. La restante cifra, intorno alle 4.100 persone, sono civili americani e militari italiani.

 

Nella base Usaf è di stanza il 31/o Figther Wing, dotato di una quarantina di cacciabombardieri F16. Il 31/o stormo è composto da due gruppi di volo. L’aeroporto Pagliano e Gori non ospita velivoli italiani, ma solo militari. I militari italiani sono impiegati ad Aviano per supportare il funzionamento dell’aeroporto.

 

La Base di Aviano ha un indotto economico (stipendi, affitti, servizi, appalti) generato dall’attività della struttura militare che per l’anno 2008 è stato stimato in 290 milioni di euro. Gli investimenti effettuati negli ultimi anni per l’ammodernamento della Base ammontano a 610 milioni di dollari per i 99 progetti maggiori.

 

 

ELETTRODOTTO: la regione chiede l’interramento

Messaggero Veneto del 10/05/11

No all’elettrodotto,

mozione bipartisan

L’Udc, la Lega e il Pd si rivolgono a Tondo: chieda il progetto interrato. Terna dice no: su quel tratto la soluzione è impossibile

 

UDINE. La richiesta di affidare a un soggetto terzo, nella fattispecie l’Università di Padova, un approfondimento del progetto dell’elettrodotto Redipuglia – Udine ovest, era una cosa già nota. Ma questa volta la richiesta è trasversale, fatta dal centro – destra e dal centro – sinistra: Udc, Lega Nord e Pd, chiedono, attraverso una mozione diretta a Tondo e alla sua Giunta, una risposta definitiva sul progetto per la realizzazione dell’elettrodotto aereo da 380mila volt. L’ultimo attacco della politica alla rete che, assicura Terna spa, gestore della rete elettrica nazionale, garantirà l’autosufficienza energetica alla regione, arriva in un momento in cui si iniziano a tirare le somme, a livello di iter burocratico.

 

E così ritornano in campo l’Udc, con i consiglieri regionali, Alessandro Tesolat e Giorgio Venier Romano, la Lega Nord con Ugo De Mattia e Federico Razzini, ma anche l’opposizione, ossia il Pd con Mauro Travanut e Giorgio Brandolin. Alla presenza di alcuni sindaci dei territori interessati (Basiliano, Lestizza, Mortegliano, Pozzuolo, Pavia di Udine, San Vito al Torre), del segretario udinese del Carroccio, Matteo Piasente e del comitato per la vita del Friuli rurale, i consiglieri hanno presentato ieri, nel palazzo della Regione di via Sabbadini, una mozione che impegni il governo regionale ad approfondire l’opportunità di interrare la linea, in tutto o in parte e soprattutto di rivolgersi a un “super consulente” per rivedere il progetto.

 

Questa mozione, ha spiegato Tesolat, «è stata presentata a fronte di tre fatti nuovi»: il primo riguarda la recente visita a Roma di una delegazione di sindaci che ha incontrato il direttore del ministero dell’Ambiente per sapere a che punto è l’iter autorizzativo. Il secondo, la decisione della Giunta di far interrare alcune parti dell’elettrodotto Würmlach – Somplago. E infine, la richiesta affinché Tondo coinvolga Terna che «non ha mai risposto in maniera soddisfacente sulla possibilità di rivisitare il progetto». Anche secondo Travanut (Pd) «è necessario dimostrare che esistono altri elementi tecnici sui quali è importante discutere».

 

Dall’altra parte, Terna spa ribadisce la non percorribilità di un progetto di tipo interrato per la «fragilità strutturale della rete elettrica regionale esposta a rischio di sovraccarichi». E sottolinea l’utilizzo nuove tecnologie come tralicci mono stelo e non troncopiramidali, ossia pali che occuperebbero circa 5/6 metri quadrati di basamento, contro i 200/250 dei tradizionali piloni con base triangolare. E infine, ricorda «l’interramento di circa 13 chilometri di altre linee a tensioni inferiori» e l’abbattimento di 110 chilometri di vecchie linee che oggi attraversano 30 comuni del territorio friulano.

Report serata MAPUCHE a Pordenone

Riuscita l’iniziativa sulla lotta dei MAPUCHE in Patagonia che si è tenuta domenica 8 maggio nel Prefabbrikato di Villanova a Pordenone. Partecipata e soprattutto animata da molte domande e un dibattito vivace. Jorge Weke Catriqui, portavoce del parlamento autogestito di Koz-Koz ha spiegato nel dettaglio la situazione dove emerge con chiarezza la responsabilità del capitalismo italiano targato ENEL nella devastazione ambientale in atto in Cile e contro questo popolo. E’ stato più volte sottolineato come l’organizzazione autogestionaria e orizzontale delle lotte stia garantendo, nonostante una repressione durissima, una resistenza secolare contro il dominio statuale. Battersi nei nostri territori contro la privatizzazione dell’ACQUA è il modo migliore per solidarizzare con la lotta del popolo Mapuche.

Sotto alcune foto dell’iniziativa.

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TAV: siamo al delirio, ora spunta l’ipotesi subacquea

IL PICCOLO Domenica, 15 maggio 2011

 

La Tav alternativa è subacquea

 

L’architetto De Simone propone tratti sottomarini a fianco di Costiera e laguna di Grado e Marano

 

di Silvio Maranzana

 

TRIESTE. Nelle pianure veneta e friulana per lunghi tratti in galleria. Non così, al contrario di quanto previsto dal progetto Rfi/Italferr, in provincia di Trieste dove i treni dovrebbero invece correre sotto il mare. È la Tav subacquea proposta dall’architetto Fernando De Simone. «Scavare sotto il Carso rappresenta un’incognita enorme – sostiene De Simone – si rischiano frane e conseguenti deviazioni forzose e impreviste del tragitto con forti aggravi di spesa e di tempo». In base al progetto originario, dei 23 chilometri e 345 metri di tragitto previsti entro i confini provinciali, ben 21 chilometri e 669 metri dovrebbero svilupparsi in galleria. Un’operazione rischiosa secondo quanto già denunciato dal Wwf: «Facendo un tunnel di neanche 3 chilometri per la Grande viabilità triestina ci si è imbattuti nella Grotta impossibile. Cosa succederà se si dovrà scavare per oltre 21 chilometri?» Ecco spuntare allora l’alternativa sottomarina. «Molto più agevolmente – sostiene De Simone – un tunnel può essere realizzato sotto il livello del mare. Proprio a perpendicolo sotto la sede della strada costiera triestina, se gli studi evidenzieranno che ciò è possibile. Se così non fosse, appena al largo della costa perchè in quella zona l’acqua è profonda non più di 10-15 metri. Si tratta di scavare cinque metri sotto il mare, in particolare per realizzare un tratto lungo poco più di 20 chilometri che unirebbe Monfalcone a Trieste: una sorta di tunnel sotto la Manica in formato ridotto, o simile a quello parzialmente sottomarino che unisce Copenhagen a Malmoe. In questa galleria subacquea i treni potrebbero viaggiare a una velocità costante di 120 all’ora evitando le frenate “terrestri”. Il progetto Rfi/Italferr rivela infatti come i treni lanciati a 250 orari fin quasi a Ronchi dovrebbero quasi “inchiodare” ad Aurisina scendendo fino a 60 all’ora in corsipondenza con una serie di interconnessioni che li porterebbero poi a inserirsi nell’attuale circonvallazione ferroviaria triestina. L’alternativa De Simone prevede un percorso lungo la linea di costa anche in Veneto e in Friuli con altri due brevi segmenti che “affonderebbero” in acqua rispettivamente nella laguna di Venezia e in quella di Marano. I treni dell’Alta velocità non avrebbero fermate intermedie tra Mestre e Trieste. Ma le stazioni di Mestre, Tessera, Jesolo, Caorle, Lignano e Ronchi sarebbero dotate di un binario bypass che permetterà sulla stessa linea tra un treno Alta velocità e l’altro l’inserimento di vetture merci dell’Alta capacità e quelle di una metropolitana». «La spesa complessiva – afferma De Simone – supererebbe di poco i 5 miliardi di euro, contro i 7,5 a causa del percorso più lungo di quella relativa al progetto originario. Se si mettessero a operare in contemporanea due squadre robuste: una da Mestre e una da Trieste, i lavori potrebbero durare solltanto quattro anni». La proposta alternativa è stata inviata ai governatori del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo e del Veneto, Luca Zaia, oltre che ad alcuni sindaci. Finora nessuna risposta.

 

 

E’USCITO IL NUMERO 115 DI GERMINAL

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Puntuale come sempre è uscito in occasione del primo maggio il nuovo numero.

Dentro trovate articoli su:

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TRIESTE: volantino all’università su Croce Rossa e CIE

Questo è il testo del volantino distribuito e affisso ieri da alcuni compagni all’università centrale in occasione dell’iniziativa “univillage” che vedeva fra le associazioni aderenti e con banchetto anche i “Giovani della Croce Rossa”.

 

 

CROCE ROSSA:

 

ORGANIZZAZIONE

 

UMANITARIA?

Questa è l’immagine “rispettosa” di facciata che siamo abituati a vedere e che spesso è quella percepita dai possibili volontari.

Invece la vera natura della CRI spesso e volentieri non ha niente a che fare con la solidarietà e l’aiuto a chi ne ha bisogno: è un corpo paramilitare, interessato com’è ovvio più al denaro e al potere che al rispetto della vita umana.

Denaro e potere che ottiene ad esempio gestendo diversi CIE (Centri di Identificazione ed Espulsione) dove vengono rinchiusi immigrati senza documenti.

Veri campi di internamento che nulla hanno a che fare con il rispetto dei diritti umani e dove stupri, violenze, pestaggi, umiliazioni sono pane quotidiano.

I militi della Cri non si fanno nessuno scrupolo a lasciar morire di polmonite un immigrato rinchiuso in un Cie, come accaduto nel 2008 ad Hassan a Torino, essere complici e omertosi di un tentativo di stupro da parte di un ispettore di polizia, come accaduto a Joy nel Cie di Corelli a Milano, collaborare ai pestaggi della polizia e negare le cure alle vittime.

Esemplare anche il caso venuto fuori dal Cie di Torino tempo fa: durante un presidio di solidarietà davanti al centro, è arrivato un messaggio da un recluso, dove si vedeva che il farmaco per l’asma che gli veniva somministrato dal personale della C.R.I. aveva superato da più di due anni la data di scadenza.

NON RESTIAMO IN SILENZIO:

NESSUNA PACE A CHI COLLABORA COI C.I.E. E IL SISTEMA DELLE DEPORTAZIONI!

…SE SEI UN VOLONTARIO DELLA C.R.I. FAI PRESSIONE SUI TUOI SUPERIORI PER L’IMMEDIATO ABBANDONO DELLA GESTIONE DEI NUOVI CAMPI DI CONCENTRAMENTO

O NEGA SUBITO IL TUO APPOGGIO PER NON ESSERE COMPLICE.

 

CENTRI DI IDENTIFICAZIONE ED ESPULSIONE

Cosa sono I CIE sono luoghi di detenzione amministrativa, paradosso logico e giuridico, strutture in cui gli “ospiti” sono sottoposti di fatto ad un regime carcerario, ma senza permessi di uscita o di visita. Sono prigioni per persone che non hanno – o, sempre più spesso, non hanno più – i documenti in regola. Sono a decine sparsi per l’Italia, uno di questi a Gradisca d’Isonzo, a pochi chilometri da qui.

Come funzionano A volte, chi viene fermato senza permesso di soggiorno in regola, viene portato in uno di questi centri, ufficialmente in attesa di essere identificato ed espulso e può essere trattenuto fino a sei mesi. Possono essere clandestini appena arrivati, o fermati per strada, ma anche, ad esempio, persone uscite dal carcere (che quindi hanno già subito un processo, durante il quale la loro identità è stata accertata) o stranieri che per anni hanno soggiornato regolarmente e che poi perdendo il lavoro hanno anche perso il permesso di soggiorno…

La collettività paga a coloro che gestiscono questi centri (cooperative, strutture come la Misericordia, Croce Rossa…) un quota “ad ospite” che si aggira mediamente attorno ai 60-80 euro al giorno, senza contare i costi strutturali e la manutenzione straordinaria. Più “ospiti”, più soldi. Un business notevole, i cui conti restano ben poco trasparenti.

Come si curano

L’unica cura per questa “malattia democratica” è la chiusura immediata

di tutti i centri.

 

Per approfondire:

senzafrontiere.noblogs.org

info-action.net (sez.antirazzismo)

fortresseurope.blogspot.com

CIE DI GRADISCA: ultimi giorni per la connecting people

Messaggero Veneto

 

GIOVEDÌ, 19 MAGGIO 2011

Pagina 46 – Provincia
GRADISCA
Dipendenti del Cie senza stipendio
Monta la protesta: «La Connecitng-People non ci paga»

GRADISCA Ancora lamentele, da parte dei dipendenti in servizio al Cie di via Udine, per il mancato pagamento degli stipendi da parte dell’ente gestore della struttura, il consorzio trapanese Connecting People. Il grido d’allarme arriva tramite una nota che illustra la delicata situazione: «Già da dieci giorni, attraverso i sindacati o i suoi delegati, abbiamo cercato di contattare il rappresentante per la ditta, il signor Mauro Maurino, per carpire qualcosa in merito ai pagamenti degli stipendi. Lo stesso, giorno per giorno dava a noi dipendenti appuntamenti telefonici che non rispettava. Fino ad oggi, giorno nel quale avrebbero dovuto essere accreditate le nostre retribuzioni. Il signor Maurino ha dato come ipotetica data di pagamento il 22 maggio, domenica!». Il personale in servizio al Cie è ormai in preda allo sconforto: «Siamo stufi di lottare ogni mese per la paga, e neanche il sindacato di dà certezze, ma anzi, conferma e supporta l’ipotesi del referente Maurino». Lamentate, inoltre, condizioni lavorative inaccettabili: «Al Cie si continua a lavorare tra l’assenza di sicurezza, le prese in giro e i ripetuti ricatti e rivendicazioni da parte dei rappresentanti del consorzio». La gestione del Cie da parte di Connecting People è ormai in scadenza: all’ente siciliano è stata concessa una proroga sino a fine maggio. A subentrargli sarà il consorzio temporaneo d’impresa fra la francese Gepsa e tre soggetti italiani (Cofely Italia e le coop Acuarinto di Agrigento e Synergasia di Roma), sempre che ricorsi sulla gara d’appalto non “congelino” ulteriormente il passaggio di consegne. (g.p.)