Entries from Marzo 2017 ↓
Marzo 17th, 2017 — General, Noi
Il Piccolo del 16/10/11
I Comitati No Tav fanno cambiare idea a Bruxelles
BAGNARIA Ridiscutere la linea ad alta velocità italiana: ulteriori e urgenti informazioni saranno chieste al Governo da Mazzoni, presidente della Commissione delle Petizioni del Parlamento europeo. È il risultato cui si è arrivati a Bruxelles, dove sono stati invitati i rappresentanti del movimento italiano No Tav, che hanno presentato diverse petizioni contrarie alla realizzazione della linea ferroviaria ad alta velocità. C’era anche Giancarlo Pastorutti di Bagnaria, portavoce dei comitati No Tav della regione: «Dal dibattito emerso analizzando la petizione di cui sono primo firmatario – dice – la presidente Mazzoni ha deciso di chiedere ulteriori e urgenti informazioni al Governo italiano. All’incontro non era presente alcun “paladino” nazionale della Tav, nonostante quasi tutti gli eurodeputati avessero inviato una lettera a luglio al presidente Barroso in cui riaffermavano la necessità di quest’opera per l’Italia». Il Comitato osserva: «Hanno preferito defilarsi. Piuttosto che confrontarsi, continuano a parlare di sviluppo e progresso: parole che di fronte ai problemi da noi evidenziati assumono la parvenza di generici spot pro Tav. Tra gli interventi degli europarlamentari critici sull’opera – riprende Pastorutti – ricordo le parole di Sonia Alfano, Sabine Wils, Margaret Auken e Victor Bostinaru. Quest’ultimo ha espresso sorpresa su ciò che avviene in uno dei principali stati fondatori dell’Unione». Il ruolo di sostenitore del progetto Tav in Italia è stato affidato a un funzionario del ministero delle Infrastrutture italiano, ascoltato con attenzione anche da un rappresentante delle 5 petizioni presentate dai Comitati della Valsusa.(e.p.
Messaggero Veneto del 06/10/11
I No Tav del Fvg a Bruxelles, la Ue chiede altri chiarimenti
BAGNARIA ARSA Importante risultato dei No Tav del Friuli Venezia Giulia a seguito all’audizione tenutasi lo scorso 3 ottobre alla Commissione delle Petizioni a Bruxelles: dopo la relazione del primo firmatario Gian Carlo Pastorutti e successivo dibattito, la presidente Mazzoni ha deciso di chiedere ulteriori ed urgenti informazioni in merito al Governo italiano. All’audizione, oltre al rappresentante No Tav del Fvg, era presente un rappresentante per le cinque petizioni presentate dai Comitati della Valsusa. «All’incontro – spiega Pastorutti – non era presente alcun “paladino” nazionale della Tav nonostante quasi tutti gli eurodeputati avessero inviato una lettera nel mese di luglio al presidente dell’Ue Barroso, in cui riaffermavano la necessità di quest’opera per l’Italia. Evidentemente hanno preferito defilarsi assumendo il classico atteggiamento del “muro di gomma” piuttosto che confrontarsi su elementi concreti, meglio gli spot generici: sviluppo, progresso, crescita, lo vuole l’Europa…». A margine dell’audizione, i rappresentanti dei No Tav del Fvg e della Valsusa, hanno incontrato altri eurodeputati e funzionari dell’Unione Europea, al fine di sensibilizzarli ulteriormente in merito al Progetto Tav nel Nord Italia. (f.a.)
IlPiccolo del 02/10/11
I No-Tav del Fvg domani sbarcano a Bruxelles
Approdano domani a Bruxelles i Comitati No Tav del Friuli Venezia Giulia, con il portavoce di Bagnaria, Giancarlo Pastorutti, che annuncia l’istituzione di un nuovo coordinamento insieme ai comitati veneti, insorti anch’essi contro la linea ad alta velocità. Un primo passo era stato fatto subito dopo la protesta in Val di Susa, quando i No Tav della Bassa avevano organizzato un’assemblea cui avevano preso parte anche i Comitati e le amministrazioni del Veneto. All’audizione della Comunità europea, insieme ai rappresentanti della Valsusa, i Comitati del Friuli Venezia Giulia sono stati invitati alla luce della petizione che presentarono nel 2007. Una audizione simile si era tenuta nel 2010, sempre a Bruxelles. «Come un anno fa – dichiara Pastorutti – sarà l’occasione per ribadire nuovamente l’inutilità dell’opera, gli impatti ambientali dovuti anche alla cantierizzazione e i costi elevatissimi a carico della collettività, che risultano evidenti nel progetto preliminare della Venezia – Trieste. Ricordiamo le dichiarazioni di Rfi sulle notevoli capacità residue della linea storica attuale, confermate anche dall’ad Mauro Moretti e da Mario Goliani, già direttore compartimentale infrastrutture delle Ferrovie dello Stato a Trieste. Nonostante una qualità del servizio che fa arrabbiare quotidianamente i pendolari, si prospettano tagli ai collegamenti nazionali e aumenti di tariffe. Per ottenere risultati rapidi a costi più contenuti e ottenere controlli più efficaci dei lavori, bisogna invece potenziare la linea storica sottoutilizzata».
Messaggero Veneto del 01/10/11
I No Tav vanno a Bruxelles
BAGNARIA ARSA I rappresentanti del Friuli Venezia Giulia con la Petizione contro la Tav del Corridoio 5 (iscritta con il numero 900/2007), sono stati invitati, lunedì, per un’audizione alla Comunità europea di Bruxelles, dove si riunirà la Commissione Petizioni in cui si parlerà di Tav. All’audizione parteciperanno anche i rappresentanti delle Petizioni della Val di Susa. «Ancora una volta- affermano i No Tav del Fvg -, come avvenne un anno fa, sarà l’occasione per sottolineare l’inutilità, gli impatti ambientali dovuti anche alla cantierizzazione e i costi elevatissimi a carico della collettività che risultano evidenti nel Progetto preliminare della Venezia Trieste. Da Rfi a Moretti a Golliani (estensore di uno studio sull’alta capacità) ricordiamo le esplicite dichiarazioni che hanno confermato le notevoli capacità residue della linea storica attuale. Ciò non bastasse, ci sono i tagli di collegamenti nazionali e la qualità del servizio che fa arrabbiare quotidianamente i pendolari in attesa pure degli aumenti di tariffe come prospettato dal gestore». I Comitati, ribadiscono la necessità di investire sull’ammodernamento e potenziamento della linea storica sottoutilizzata. Tutto ciò permetterà di ottenere risultati in breve tempo, con costi notevolmente più contenuti e un controllo più accurato sulla qualità dei lavori. Tra i No Tav del Fvg e del Veneto è stata decisa la formazione di un coordinamento. (f.a.)
Marzo 17th, 2017 — General, Notizie flash
New York. Zuccotti Park

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Marzo 17th, 2017 — General, Notizie flash
“Siamo qui in piazza, affamati e folli”
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Marzo 17th, 2017 — General, Scienza e tecnologia
È morto Steve Jobs Cofondatore di Apple Inc. con tutto il clamore mediatico e informatico che ne è seguito.
Sinceramente questa visibilità mediatica per una persona che non era nient’altro che un imprenditore forse è fuori luogo ed esagerata. È macabro far diventare la morte di un uomo un gigantesco spot ad un’azienda.
Riguardo l’etica che molti gli attribuiscono: forse ignorano il caso foxconn.
Era un genio? Del marketing probabilmente: sapeva vendersi e sapeva vendere. Tra le sue eredità c’è il feticismo digitale: se se ne va con lui, più che da dispiacersi c’è da rallegrarsene.
Detto questo, era un uomo con i suoi pregi ed i suoi difetti.
P.S. Stay hungry, stay foolish non è una sua frase ma era il motto di “ the whole Earth Catalog“.
qui il post originale di Stallman
da La Repubblica
TECNOLOGIA
Jobs, il padre del software libero
“Contento che se ne sia andato”
Dichiarazione polemica di Richard Stallman, presidente della Free Software Foundation.”Tutti ci meritiamo la fine della sua influenza maligna sul computing”. E continua: “Apple ha fatto in modo che la gente non sappia più quali sono le sue libertà, e se lo sa, pensa di non meritarsele” di ALESSANDRO LONGO
Richard Stallman
“SONO CONTENTO che Steve Jobs se ne sia andato. È la fine della sua influenza maligna sul mondo del software”. Nemmeno la morte affievolisce l’antico odio di Richard Stallman per il fondatore della Apple. Lui, l’hacker hippie, padre del software libero e presidente di Free Software Foundation, si rallegra della notizia e continua ad attaccare Apple, con una nota sul proprio sito.
“Steve Jobs, il pioniere del computer inteso come prigione resa cool, progettato per separare gli stolti dalla propria libertà, è morto”, scrive. Continua ancora più avvelenato: “Come il sindaco di Chicago, Harold Washington, disse del corrotto precedente sindaco Daley, non sono felice che sia morto, ma sono felice che se ne sia andato”.
Jobs nemico del computing e quindi dell’umanità alla stregua di Bill Gates, fondatore di Microsoft, sempre secondo Stallman. “Nessuno merita di dover morire, né Jobs, né Mr. Bill, nemmeno le persone colpevoli di mali peggiori dei loro. Ma tutti ci meritiamo la fine dell’influenza maligna di Jobs sul computing. Purtroppo, quell’influenza continua nonostante la sua assenza. Possiamo solo sperare che i suoi successori, nel proseguirne l’eredità, siano meno efficaci”, termina la nota.
Tanta acrimonia non deve stupire. Stallman è noto sia per l’ostinata coerenza ai suoi ideali sia anche per l’assenza di diplomazia. È manicheo: “Noi siamo il bene, loro sono il male”. E “loro” sono tutti quelli che sostengono
software non totalmente aperto. Non modificabile e non utilizzabile liberamente dagli utenti. Ma ultimamente è stata proprio Apple il principale bersaglio delle invettive di Stallman. Aveva definito Apple “il male supremo”, peggio di Facebook, Microsoft e Adobe. Era arrivato ad accusarla di avere nei propri computer una “backdoor” (porta segreta) attraverso cui controllare il software degli utenti a distanza.
Aveva poi ritrattato quest’accusa, ribadendo però che Apple era “l’impero del male”. Non solo perché fautrice di software chiuso (come Microsoft, per altro), ma anche perché a capo di un ecosistema che lascia ancor meno libertà agli utenti rispetto a Windows. Stallman ce l’ha in particolare con l’iPhone e l’iPad (che chiama “iBad”), dove Apple mantiene un controllo dall’alto sui software installabili dall’utente.
Di qui l’idea di “prigione cool” secondo Stallman: prodotti che con la loro estetica accattivante nascondono il fatto di imprigionare l’utente. “Apple ha fatto in modo che la gente non sappia più quali sono le sue libertà, e se lo sa, pensa di non meritarsele”, aveva detto in una precedente intervista.
Ci vuole poco per finire nel mirino di Stallman: non scampa nemmeno Google, che pure ha i concetti di apertura e libertà digitale nella propria missione aziendale. Google e tutte le aziende del cloud computing sono colpevoli: è da “stupidi”, dice Stallman, affidarsi i propri dati e identità digitale a servizi cloud. Gestiti e controllati da altri. Un pensiero radicale che non risparmia i nemici nemmeno dopo la morte.
(07 ottobre 2011)
Marzo 17th, 2017 — General, Nocività
da Il Piccolo
Operai schiavi a Monfalcone, 3 arresti
07 ottobre 2011 — pagina 20 sezione: Regione di Laura Borsani
Ai dipendenti dell’impresa coinvolta nella vasta indagine condotta dai carabinieri, era un lusso perfino fare la doccia: i bengalesi, infatti, dovevano pagare 30 euro. Ma le circostanze “anomale” erano le più diverse: estorsioni nei confronti dei lavoratori, falsità e omissioni nell’ambito delle registrazioni e delle denunce obbligatorie, truffa allo Stato. Lavoratori, per lo più bengalesi, sottopagati, a fronte di trattamenti economici non corrispondenti alla contrattazione sindacale collettiva. Si parla di paghe globali, di monte-ore denunciate diverse da quelle effettivamente lavorate, di straordinari non riconosciuti, come le indennità. Il tutto in difformità rispetto alle previsioni contributive stabilite per il comparto. Per chi si ribellava arrivava inesorabilmente il licenziamento. Secondo le forze dell’ordine si tratta solo della punta dell’iceberg di un fenomeno molto vasto.
MONFALCONE Due imprenditori monfalconesi di origine campana, Pasquale e Giuseppe Commentale, 30 e 33 anni, e un’operaio bengalese, A.R., 46 anni: in qualità di amministratori e di dipendenti di una ditta impegnata all’interno dei cantieri navali di Panzano, hanno messo in piedi una vera e propria organizzazione criminale. Reati gravi: si va dall’estorsione all’omissione e falsità in registrazioni e denunce obbligatorie, alla truffa ai danni dello Stato. Compresa la violazione della normativa sul lavoro (legge Biagi), attraverso l’assunzione fittizia, previo pagamento in denaro. Il meccanismo si traduceva nella costituzione di imprese che si occupavano di carpenteria succedutesi nel tempo, e che, pur sotto denominazioni diverse, erano riconducibili alla stessa compagine societaria. I due imprenditori e il bengalese sono stati arrestati a Monfalcone, San Canzian d’Isonzo e Trieste. Sono ritenuti responsabili di questo sistema imprenditoriale illecito, che si avvaleva della manodopera di extracomunitari, per lo più provenienti dalla comunità asiatica presente in città, sottopagata e costretta a condizioni di lavoro deteriori. Un trattamento che chiama in causa anche la sicurezza, in ordine al rispetto delle norme antinfortunistiche. Uno dei due imprenditori, assieme all’operaio bengalese, è ora detenuto nel carcere di Gorizia, mentre l’altro campano è stato sottoposto agli arresti domiciliari. Pasquale Commentale non è solo un nome noto nell’Isontino, ma anche un volto noto. Già calciatore del Fogliano, aveva partecipato al reality calcistico “Campioni” e poi, sempre in televisione, tronista a “Uomini e donne” con Maria de Filippi. Sono state, inoltre, denunciate a piede libero altre sei persone, cinque italiani e un bengalese che avevano partecipato, in circostanze e ruoli diversi, alla commissione dei reati contestati. Un’associazione a delinquere rodata e radicata, nell’ambito dell’appalto e subappalto in Fincantieri. Per i dipendenti era perfino un “lusso” fare la doccia, ai quali veniva chiesto il pagamento di 30 euro. Bengalesi tenuti in scacco con la paura di venire licenziati. Una comunità, quella asiatica in particolare, «aggredibile, facile preda di atteggiamenti intimidatori». Ma un fenomeno che non sembra isolato: la Procura ritiene che il “modus operandi” sistematico e consolidato, fatto di metodiche raffinate e ricorrenti, possa essere più esteso nel settore dell’appalto. Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gorizia, Caterina Ajello, infatti, ieri mattina, durante la conferenza stampa, ha spiegato: «Contiamo di andare avanti con l’indagine. Verosimilmente si tratta di un fenomeno esteso, che si propaga anche al di là della società in questione». Ajello ha poi precisato: non c’è alcuna responsabilità da parte di Fincantieri. L’indagine è partita a febbraio, anche se non sono mancati segnali pregressi. L’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Michele Martorelli, si è avvalsa della «preziosa e altamente professionale» attività condotta dal Nucleo investigativo del Comando provinciale dei carabinieri di Gorizia, assieme al Nucleo operativo della Compagnia dei carabinieri di Monfalcone e al Nucleo dei carabinieri presso l’Ispettorato del Lavoro goriziano. Il tutto è stato innescato da una discovery info investigativa, ha spiegato il procuratore Ajello, incentrata sulla comunità bengalese residente a Monfalcone. «Sono state acquisite fondate indicazioni – ha aggiunto il procuratore -, comprovate dalle numerose deposizioni testimoniali e denunce-querele, che indicavano l’esistenza sul territorio monfalconese di un’articolata organizzazione a delinquere non autoctona». Determinante è stato l’apporto della Bimas (Bangladesh Immigrants Association) di Monfalcone, che ha convinto i lavoratori in difficoltà a formalizzare le denunce.
da ll Piccolo
Appalti gestiti dai caporali attacco a Rsu e sindacati
09 ottobre 2011 — pagina 61
Un tavolo permanente di monitoraggio sulla sicurezza. L’allargamento della rappresentanza sindacale ai lavoratori dell’appalto e agli stranieri. E un “forum-osservatorio” in grado di selezionare le priorità e le situazioni di rischio, seguendo passo a passo i casi fino alla fine, costruendo al contempo un vero e proprio “archivio” dell’organizzazione del lavoro. Lo propone Giovanni Iacono (Sel), che si sofferma sul metodo per affrontare la realtà dell’appalto. Prende spunto dall’istituzione della Rsu bengalese, un esempio positivo, per dire: «Le organizzazioni sindacali, a mio parere, dovrebbero, nei limiti del possibile, coordinare l’organizzazione della comunità-fabbrica. E avere più coraggio nel pretendere verifiche costanti sulle assunzioni e sulla sicurezza. L’ultimo infortunio mortale, nel quale è rimasto vittima un giovane bengalese, dev’essere un monito per non abbassare la guardia». di Laura Borsani C’è del marcio a Monfalcone. Il caporalato prosperato nel settore dell’indotto, in grado di decidere e pilotare le assunzioni, bypassando le procedure istituzionali, fino a esautorare di fatto l’Ufficio del Lavoro. Società che nascono e muoiono come scatole cinesi, funzionali allo sfruttamento dei lavoratori, alla logica del ribasso d’appalto, e, presumibilmente, all’arricchimento dei pochi sui molti. Meccanismi scientifici, lo ha osservato lo stesso procuratore Caterina Ajello, che si poggiano su prestanomi, ma anche omissioni e falsità nelle denunce contributive e amministrative. Il tutto si regge sulla minaccia, l’intimidazione, la paura e, fors’anche, l’omertà. L’indagine portata avanti dalla Procura goriziana è frutto delle denunce di cinquanta bengalesi che, attraverso la Bimas, hanno deciso di raccontare le loro storie di soprusi. Ma il risultato raggiunto, che ha portato all’arresto dei fratelli Pasquale e Giuseppe Commentale, assieme a un bengalese di 46 anni, e alla denuncia di altre 6 persone, ha tutta l’aria, e la portata, della punta di un iceberg. Gli interrogativi, a questo punto, sono molteplici. Perchè solo ora è scoppiato il bubbone? C’è voluta la magistratura per scoperchiare il pentolone? E ancora: l’associazione bengalese Bimas ha lanciato il sasso nello stagno. E i sindacati, che pure hanno da tempo sollecitato l’istituzione di un tavolo dedicato all’appalto? L’Usb, con il sindacalista Mario Ferrucci, ha messo il naso nell’appalto: circa 14 le denunce presentate, di cui 7 indirizzate alla Gdf. Ma l’Usb conta poco. Domande che risuonano in città e chiamano in causa compiti e ruoli. Il consigliere di Sel, Giovanni Iacono, chiede un Consiglio comunale urgente e la convocazione della Consulta immigrati: «Se si accetta l’idea – commenta – che solo operazioni giudiziarie risolvono le situazioni della legalità e delle condizioni di lavoro in una grande azienda pubblica, vuol dire che la politica non serve più a nulla». Iacono aggiunge: «Perchè vengono a galla solo ora situazioni note da tempo? Si impone la riflessione, considerata la crisi imperante, dove in un’azienda pubblica come Fincantieri non si sa chi e cosa decide, e dove l’appalto e l’intensificazione dei ritmi di lavoro sono diventati un sistema di massa rispetto al quale gli accordi separati fabbrica per fabbrica rischiano di non essere una risposta sufficiente. Non vorrei – osserva – che Monfalcone possa diventare un’altra Pomigliano non dichiarata». Il consigliere regionale della Lega Nord, Federico Razzini, non le manda a dire: «È almeno 10-15 anni che le cose vanno avanti in questo modo, noi da tempo le abbiamo denunciate. È il sistema-Monfalcone che è marcio. L’indagine aperta dalla Procura di Gorizia è solo la punta dell’iceberg, al di là delle posizioni individuali che saranno vagliate dalla magistratura. Il ruolo della politica, quella del centrosinistra, è moralmente corresponsabile. Le sigle sindacali, come gli amministratori, ci hanno sempre accusato di razzismo quando puntavamo il dito su certe imprese campane, o comunque non locali, su personaggi senza arte nè parte, che in città giravano con i Suv e che per anni hanno fatto affari nell’appalto. Io dico, invece, che c’è stato sempre un silenzio complice. Cos’ha fatto la Triplice? Ha dormito o ha preferito non vedere? Perchè la Failm-Cisal, che ha sempre denunciato le irregolarità, è stata emarginata? E cosa ha fatto la politica? Erroneamente – conclude Razzini – si è sempre guardato ai vertici nazionali di Fincantieri: sono, invece, i livelli locali che devono garantire sul territorio il controllo su un sistema sfuggito di mano.
Marzo 17th, 2017 — General, Internazionale
MESSAGGERO VENETO |
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SABATO, 08 OTTOBRE 201
Pagina 27 – Pordenone
LA PROTESTA IL 15 OTTOBRE
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Gli indignados sbarcano in città contro banche e norme sui cortei |
di Stefano Polzot
Spuntano gli indignados, o meglio gli incazzados, anche a Pordenone e lanciano una doppia sfida: alle istituzioni bancarie e a Comune e Prefettura. Sabato della prossima settimana, infatti, in occasione della manifestazione nazionale a Roma, sarà allestito, in piazzetta Cavour a Pordenone, dalle 16, un accampamento di protesta. La decisione è stata assunta in occasione dell’assemblea delle realtà attive sul territorio, che fanno riferimento per l’appunto ai gruppi di protesta, che si è tenuta alla Casa del popolo di Torre. Una manifestazione che sarà “disobbediente” anche rispetto alle disposizioni prese dal comitato per l’ordine pubblico e la sicurezza, a fronte delle indicazioni di prefetto e sindaco, vincolanti per la Questura, che vietano la sosta in piazzetta Cavour. «Misure – denunciano gli indignados – avanzate contro i partecipanti ai cortei dei migranti per rabbonirsi i commercianti infastiditi e i benpensanti pordenonesi, così come testimoniano le deroghe (pressochè totali) concesse all’ultimo corteo sindacale in città e che stabiliscono immediatamente un precedente a cui il questore non potrà che adeguarsi, pena confermare la natura discriminatoria dei nuovi “limiti”». Secondo i gruppi che si sono mobilitati «in un periodo di crisi che sta portando sempre più miseria, sfruttamento e affossamento di diritti una risposta come quella a Pordenone non è solo miope ma totalmente inaccettabile. Le mobilitazioni di varia natura non potranno certamente essere messe al guinzaglio perché nascono dall’ingiustizia sociale che sta causando licenziamenti di massa, impoverimento e indebitamento dei lavoratori e dalla necessità di cambiamento reale e di partecipazione diretta, di una concezione del territorio in un’ottica ecologica e di cooperazione solidale fra tutti». Gli “incazzados” promettono anche blitz contro sedi bancarie, Equitalia e Prefettura.

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Marzo 17th, 2017 — General, Noi
Il 7 ed 8 ottobre si è tenuto un banchetto informativo No Tav con diffusione di volantini in un’iniziativa dentro il tendone di festintenda a Chiasiellis di Mortegliano


Marzo 17th, 2017 — General, Studenti Trieste
Alcune centinaia di studenti delle superiori hanno partecipato al primo corteo di questa stagione indetto a livello nazionale, purtroppo la pioggia battente ha sfoltito durante il percorso i partecipanti.Oltre alle “classiche” rivendicazioni, da segnalare la contestazione al piano di installazione di telecamere nelle scuole (che ha visto anche una lunga sosta sotto la Provincia che promuove la cosa) e dei badge informatici agli ingressi. Infine c’è stata una lunga sosta sotto la sede della Lega Nord con numerosi slogan e interventi. Erano presenti una decina di compagn* anarchici e libertari che hanno diffuso un volantone di dibattito sul 15 ottobre e Umanità Nova.
info-action reporter




Dal Piccolo dell’8 ottobre
A Trieste nel mirino badge e telecamere
TRIESTE «Articolo 34 della Costituzione: a tutti è garantita la pubblica istruzione», urlano gli studenti delle scuole superiori triestine, scesi in piazza per protestare contro la manovra finanziaria e le politiche scolastiche, contro i tagli indiscriminati e la condanna alla precarietà. La manifestazione – organizzata dall’Unione degli studenti, in concomitanza con la mobilitazione nazionale lanciata dalla Rete della Conoscenza – ha preso vita ieri in piazza Goldoni, riunendo, in partenza, circa seicento ragazzi. Numeri che parlano di una protesta che fatica a decollare, per quanto gli appuntamenti in piazza si susseguano senza soluzione di continuità da diverse stagioni. La pioggia incessante non ha scoraggiato i presenti, le prime capitolazioni si sono avute soltanto all’arrivo in piazza Verdi: «La partecipazione è alta – racconta Alberto Rigo, studente del liceo Oberdan e rappresentante dell’Uds – la rabbia e la frustrazione sono ai massimi livelli: le nostre rivendicazioni risalgono, infatti, agli anni passati. Siamo stanchi di rimanere inascoltati». Rivendicazioni comuni agli studenti di tutta Italia che dicono “no” ai tagli e pretendono il rispetto del diritto allo studio, ma anche richieste di carattere locale: un maggiore impegno da parte della Provincia per sanare la situazione dell’edilizia scolastica e la mancanza di spazi adeguati e sicuri. Ma anche l’immediato ritiro del progetto che prevede l’installazione di telecamere all’interno degli istituti, considerato uno strumento di controllo autoritario e lesivo della privacy; una continuità didattica garantita dalla presenza a lungo termine dei professori, ora sostituiti di anno in anno perché non ottengono l’assegnazione delle cattedre. Contestato anche il “badge”, la tesserina elettronica che dovrebbe esser consegnata agli studenti dell’istituto Volta e che registrerà entrate, uscite, ritardi e assenze dei ragazzi. «Protestiamo contro le scuole-carceri», dicono tre studentesse dell’istituto Nordio, mentre Marta Iernetti, coordinatrice regionale dell’Uds, sottolinea a piena voce: «Ci hanno tolto le prospettive e il futuro, ora ci levano gli spazi e la libertà, presto ci toglieranno anche le mutande». L’assessore provinciale all’Edilizia scolastica Mariella De Francesco replica che le telecamere «servono soltanto a controllare che non ci siano atti di vandalismo nelle scuole». Vanessa Maggi
Marzo 17th, 2017 — General, Storia
Da Il Piccolo
11 ottobre 2011 — pagina 37
L’anarchico Tommasini e quel sogno di libertà dentro l’inferno del ’900
NEL 1984
PERSONAGGIO»L’ANTICIPAZIONE
Arriva in libreria una nuova edizione delle memorie del militante morto nel 1980 pubblicata dalla casa editrice Odradek
La versione originale in dialetto triestino Quando uscì la prima volta, pubblicata dalle Edizioni Antistato, Claudio Venza e Clara Germani si posero subito il problema. Mantenere la forma originale del fluviale racconto fartto da Umberto Tommasini, rigidamente in dialetto triestino, oppure trasformare il tutto in un italiano leggibile da tutti? Decisero di rispettare la forma originale: infatti il testo dell’«Anarchico triestino», questo il titolo dell’edizione del 1984, era in vernacolo. Adesso, invece, per la nuova edizione de «Il fabbro anarchico», pubblicato da Odradek, il dialetto triestino sarebbe stato di difficile lettura per i lettori del resto d’Italia. Così si è deciso di tradurre in italiano l’autobiografia dell’anarchico Tommasini.
Da “Il fabbro anarchico” di Umberto Tommasini pubblichiamo l’inizio dell’intervista di Claudio Venza a Claudio Magris, per gentile conmcessione della casa editrice Odradek. Magris: La cosa che colpisce anzitutto in Tommasini è la sua straordinaria capacità di pensare prima agli altri che a se stesso, di dedicare la vita alla libertà propria e degli altri. Non è una cosa molto frequente. Inoltre ha una notevole lucidità politica, chiare idee sui rapporti di forza, forse anche grazie all’esperienza fatta sulla pelle delle brulatità comunista. Ha una coscienza profonda, rara, della terribilità della storia contemporanea. Contemporaneamente, vive con assoluta spontaneità e semplicità, si esprime nel suo dialetto perché è l’espressione della sua persona. Non è affatto vernacolo né dialettale, perché ha una reale cultura che guarda al di l di ogni angusto orizzonte di campanile. Venza: In che senso “cultura”? Magris: Quanto alla cultura, ricordo che una volta Vidali mi aveva detto che, negli anni della sua giovinezza, non sapeva nemmeno che esistesse Svevo, tutto preso come era, della lotta politica. Naturalmente io adoro Svevo, lo considero uno dei grandissimi della letteratura mondiale, ancora da scoprire nonostante tutto ciò che si è detto e scritto su di lui; inoltre, per la mia formazione, mi interessa più Svevo di Vidali, mi interessano le straordinarie e demoniche intuizioni di Svevo più ancora di quelle, che pure mi interessano moltissimo, che riguardano la politica. Ma non considero affatto Vidali o Tommasini meno “colti” di Svevo. Spesso noi identifichiamo erroneamente la cosiddetta cultura con alcuni campi del sapere; importantissimi, a me molto cari, ma non certo gli unici né i più importanti. Se Vidali non aveva la capacità di capire Svevo, probabilmente nemmeno se avesse avuto tempo e modo di leggerlo (incapacità del resto condivisa, in quegli anni, da quasi tutti i critici letterari…), aveva però una capacità di capire la politica molto di più di quanta ne avesse Svevo. Come dimostra il suo atteggiamento di medio borghese rispetto alla ascesa del fascismo. Svevo capiva, forse senza nemmeno rendersene bene conto, i più profondi, inquietanti, demonici sommovimenti della civiltà, ma non capiva la dialettica politica, mentre per Vidali (o anche per Tommasini) era il contrario. Ora non è che l’una cosa sia più “cultura” dell’altra; sono due modi diversi di accostarsi al mondo, due culture, entrambe con la loro grandezza e il loro limite, entrambe degne del più profondo rispetto. Se dovessi dare una definizione di cultura, direi che è, in primo luogo, non la conoscenza di determinati saperi, bensì l’organica, spontenea unità tra quello che si sa, quello in cui si crede e quello che si è. E tutto questo lo troviamo in Tommasini. Quello che affascina in quest’ultimo è anche la calda umanità ottocentesca, che coesiste col suo impegno radicalmente novecentesco; talora sembra uscito da un romanzo di Tolstoi. Venza: O di Zola? Magris: Tommasini ha questa umanità classica, grazie alla quale con la stessa naturalezza rischia la pelle e passa serate in osteria, con una generosità completamente fusa col carattere. Questo è’ un aspetto della sua classicità, di umanità classica che la civiltà del Novecento lamenta – come testimoniano tante grandi opere letterarie – di aver perduto. Inoltre c’è la sua grande libertà; non solo libertà politica, lotta contro il fascismo e ogni autoritarismo e così via, ma anche la libertà nei gesti d’ogni giorno, la capacità di dire “va in mona” all’intellettuale persuntuoso. Tutto questo dà a Tommasini una straordinaria simbiosi di vicinanza alla terra, di sanguigna, picaresca umanità plebea e insieme di grande signorilità. È questo che gli ha permesso di andare a rischiare la vita, a combattere, a vederne di tutti i colori, e ad essere sempre e fino all’ultimo se stesso. Questa generosità è scevra di ogni buonismo, perché egli si rende perfettamente conto che in certi momenti storici c’è la tragica necessità di combattere e di colpire.
MARTEDÌ, 11 OTTOBRE 2011
Pagina 37 – Cultura e spettacoli
IL LIBRO
Lotte, pensieri e disillusioni di un uomo che ha vissuto
di Alessandro Mezzena Lona
Non aveva ricchezze, Umberto Tommasini. Non poteva vantare titoli accademici, meriti in campo industriale. Però, come il poeta Pablo Neruda, gli era concesso dire ad alta voce: «Confesso che ho vissuto». Perchè nel corso della sua lunga vita, iniziata sul finire del Diciannovesimo secolo, nel 1896, e terminata nel 1980, ne aveva viste di tutti i colori. Guerre, dittature, massacri, grandi sogni politici, gigantesche disillusioni. Normale che una vita come quella di Umberto Tommasini si trasformi in un libro. E visto che la prima edizione di questa autobiografica, registrata e poi trascritta con grande attenzione da Clara Germani, è sparita dalla circolazione ormai un bel po’ di tempo fa, non si può non accogliere con grande gioia l’idea di riproporla. Questa volta a pubblicare “Il fabbro anarchico. Autobiografia tra Trieste e Barcellona” è la casa editrice Odradek di Roma (pagg. 237, euro 18). A introdurre e curare il volume, ovviamente, è Claudio Venza, docente all’Università di Trieste, oltre che mente e motore di questo progetto. Che ha consegnato alla Storia la straordinaria microstoria dell’anarchico triestino. Per Tommasini, essere anarchico significava «pensare, ragionare e lottare». E lui, figlio di povera gente, nato a Trieste ma vissuto per una parte della sua infanzia, e poi della sua vecchiaia, nella friulana Vivaro, ha lottato molto in giro per l’Europa. Soldato nell’inferno della Prima guerra mondiale, dove i superiori ti sparavano addosso se osavi alzare la voce contro quel lurido scannatoio, volontario nella guerra civile di Spagna, dove i comunisti pensavano quasi più a fare fuori gli anarchici che a combattere contro i franchisti, non ha smesso di sognare un mondo migliore nemmeno quando è rientrato a Trieste dopo la caduta del fascismo. Una Trieste piena di problemi. E in queste memorie, che Claudio Magris ha definito «uno dei libri più vivi degli ultimi anni», non risparmia nessuno. Soprattutto quelli come Vittorio Vidali che, secondo Tommasini, avrebbero potuto davvero costruire un’Italia, un’Europa più vicine ai poveri, ai lavoratori. E che, invece, si sono perduti dentro complicati giochetti politici.
Marzo 17th, 2017 — General, Ultime