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CORMONS/ Ciao Raffaele

Il compagno Raffaele B.B. Lazzara

è venuto a mancare all’improvviso fra il 12 e il 13 giugno

nella sua abitazione a Cormons

Qui lo ricordiamo alla manifestazione del 25 aprile ad Udine

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indimenticabile per il suo anarchismo

poetico, sarcastico … e furlan!

https://www.facebook.com/raffaele.lazzara.1

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Morte di una donna libera: Giulia Albergamo

da ‘Umanità Novanumero 1 – anno 95 – 2015

 

Lo scorso 3 gennaio è scomparsa a Cordenons (PN) Giulia Albergamo. Pittrice, maestra da poco aveva compiuto 100 anni: la sua vita è stata un esempio di libertà. Originaria di Torre del Greco (NA) si era da pochi anni trasferita nella provincia friulana presso la figlia Angela scomparsa un paio di anni fa. albergamo0La vita di Giulia è stato un punto di riferimento personale oltre che politico per coloro che l’hanno conosciuta e in particolare per i giovani. Compagna di Raffaele Pedone – noto militante anarchico e fondatore del Circolo Berneri a Torre del Greco e tra i responsabili della commissione di corrispondenza della FAI negli anni  1959-1961 – la loro famiglia è stata un punto di riferimento per l’anarchismo non solo campano. La loro casa era sempre aperta ai/alle compagni/e ed è stata frequentata da persone come Armando Borghi, Aurelio Chessa, Pio Turroni, Mariano Dolci, Julian Beck e molti altri in particolare anarchici spagnoli in fuga dal franchismo che Giulia e Raffaele sostenevano sia sotto il profilo economico che politico. Giulia è sempre stata fieramente anarchica anche se non militante. Ha condiviso il percorso politico del marito contraddistinto dall’amore per la libertà e del libero pensiero (insieme sono diventati atei: posizione mantenuta da Giulia fino alla fine dei suoi giorni con il rifiuto di un funerale religioso). Non rinnegarono mai la loro fede politica a costo di essere emarginati e ostracizzati, a costo di subire persecuzioni politiche ed a non veder riconosciuti i meriti della loro carriera professionale. Giulia ha vissuto in modo dirompente per l’epoca la propria libertà in particolar modo criticando la famiglia tradizionale e contestando il ruolo della donna nella società. Si relazionava con i giovani incoraggiandoli a seguire scelte di autonomia e libertà. Maestra elementare stimolava la libera espressione soprattutto tramite l’arte. A suo parere i ragazzi sono naturalmente degli artisti che lei stimolava – fin dagli anni ‘50 – alla conoscenza del mondo tramite l’esperienza diretta anche al di fuori delle aule  scolastiche. Dipingeva. In collegamento con il Centro Louise Michel diede vita al collettivo femminista “Le Ribellule” con cui fece esposizioni di sue tele. I figli Antonio ed Enrico hanno frequentato la Colonia Maria Luisa Berneri, esperienza che ha lasciato tracce indelebili nella loro sensibilità segnandola in modo profondamente libertario. Anche la figlia Angela era vicina al movimento anarchico e a Cordenons – dove ha fondato il locale circolo ARCI – distribuiva “Umanità Nova”. Giulia lascia anche la figlia Carmela. Esprimo la mia personale vicinanza a questa famiglia esemplare per il movimento anarchico tutto.
Un anarchico friulano

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ANARCHISMO/ STORIA/ I Principi del Congresso di S. Imier (1872)

 

Il potere deve essere abolito

 

DALLE RISOLUZIONI DEL  CONGRESSO DI SAINT’IMIER (1872)

Il Congresso di Saint Imier dichiara:

1. la distruzione d’ogni potere politico è il primo dovere del proletariato;

2. l’organizzazione d’un potere politico provvisorio sedicente rivoluzionario e capace d’accelerare la distruzione dello Stato, non può essere che un inganno di più e sarebbe tanto pericolosa come i governi oggi esistenti;

3. respingendo ogni compromesso al fine di attuare la rivoluzione sociale, i proletari d’ogni paese devono stabilire, al di fuori di ogni politica borghese, la solidarietà dell’azione rivoluzionaria.

La libertà e il lavoro sono la base della morale, della forza, della vita e della ricchezza dell’avvenire. Ma il lavoro se non è liberamente organizzato si trasforma in oppressione e per evitare ciò l’organizzazione libera del lavoro è una condizione indispensabile della vera e completa emancipazione del proletariato.

Il libero esercizio del lavoro necessita il possesso della materie prime e del capitale sociale. E’ impossibile organizzare il lavoro se l’operaio, emancipandosi della tirannia politica ed economica, non conquista il diritto di svilupparsi completamente in tutte le sue facoltà. Ogni stato, ogni governo ed ogni amministrazione delle masse popolari, sono necessariamente fondate sulla burocrazia, sull’esercito, sullo spionaggio, sulla chiesa, ed è per questa ragione che non potranno mai realizzare una società basata sul lavoro e sulla giustizia. L’organismo statale per sua natura è necessariamente spinto a negare la giustizia e ad opprimere il lavoro. L’operaio non potrà mai emanciparsi dall’oppressione secolare, se allo stato assorbente e demoralizzante non sostituirà la libera federazione dei gruppi produttori fondati sull’eguaglianza e la solidarietà.

Infatti, nei diversi luoghi ove si è tentato di organizzare il lavoro per migliorare la condizione del proletariato, il minimo benessere ben presto è stato assorbito dalla classe dei privilegiati, che tende continuamente a sfruttare la classe operaia. Ciò non esclude che l’organizzazione sia un fattore di forza tale che anche nelle condizioni attuali non si può rinunciarvi. In essa il proletariato fraternizza nella comunità d’interessi, si esercita alla vita collettiva, si prepara alla lotta suprema.

All’organismo privilegiato e autoritario dello Stato si dovrà sostituire l’organizzazione libera e spontanea del lavoro, che sarà una garanzia permanente del mantenimento dell’organismo economico contro quello politico. Lasciando alla pratica della rivoluzione sociale i dettagli dell’organizzazione positiva, noi intendiamo perciò organizzare solidamente la resistenza su larga scala.

Lo sciopero sarà per noi un mezzo prezioso di lotta, benché non ci facciamo illusioni sul suoi risultati economici. Noi l’accettiamo come un prodotto dell’antagonismo fra lavoro e capitale. In questo antagonismo gli operai diventeranno sempre più coscienti dell’abisso che esiste fra la borghesia e il proletariato. Attraverso le piccole lotte economiche il proletariato si prepara alla grande lotta rivoluzionaria che distruggerà tutti i privilegi e le classi e darà all’operaio il diritto di godere del prodotto integrale del suo lavoro e con questo gli procurerà i mezzi di sviluppare tutta la sua forza materiale e intellettuale e morale.

http://ita.anarchopedia.org/Internazionale_antiautoritaria

 

ISONTINO: volantino diffuso al concerto tributo a Leo Ferré

distribuito al concerto Il Cantore dell’immaginario – Omaggio a Leo Ferré

Casa Candussi-Pasiani, Biblioteca Comunale | piazza Garibaldi, Romans d’Isonzo (GO) 16 novembre 2013

A vent’anni dalla morte dell’artista e intellettuale francese Léo Ferré, l’associazione Liberatorio d’Arte “F. Zonch” vuole rendergli omaggio organizzando una serata nella quale Luigi Fulignot e Matteo Della Schiava interpreteranno alcuni suoi scritti, Alberto Blasizza ed ancora Matteo Della Schiava ne canteranno alcune canzoni nelle versioni italiane e a chiudere il cerchio il quartetto guidato dalla voce di Gabriella Gabrielli, Paolo Gregorig al saxofono, Gianpaolo Mrach alla fisarmonica e Giulio Scaramella al piano, proporrà alcuni brani di autori francesi vicini a Ferré come sensibilità artistica.

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Quegli anarchici a Monfalcone, cent’anni fa

da Il Piccolo del 15 gennaio 2013, Pagina 36 – Speciali

Quegli anarchici a Monfalcone, cent’anni fa

Una recente tesi svela una parte importante del movimento operario delle terre del Nordest

Operai anarchici a Monfalcone? Quasi sconosciuti… Eppure lo storico goriziano Silvano Benvenuti li aveva valorizzati come importante parte del movimento operaio di queste terre. Tutto comincia nel 1908, con la nascita del Cantiere Navale Triestino e lo sviluppo di una classe operaia numerosa e ribelle. Subito i lavoratori meno specializzati danno vita a scioperi improvvisi che per la loro radicalità colgono di sorpresa i padroni del cantiere, i potenti Cosulich. Anche i sindacati socialisti restano di stucco per l’elevata conflittualità e per l’influenza anarchica in questo settore operaio. Ciò si vede in almeno due occasioni importanti: nell’ottobre 1910, con la dura vertenza per la riduzione dell’orario di lavoro, e poco dopo con lo sciopero per commemorare la fucilazione del maestro libertario catalano Francisco Ferrer (Barcellona, 13 ottobre 1909). Per due volte la dirigenza socialista del gruppo metallurgico è messa in minoranza. Si tratta di dimostrazioni, promosse dai cantierini antiautoritari, di carica antagonista di classe e di rivolta contro le organizzazioni clericali. Allo scoppio della Grande Guerra parte dei libertari di Monfalcone, in quanto antimilitaristi, diserta dall’esercito austro-ungarico e si rifugia in Italia, ancora neutrale. Qui molti di loro vengono internati in località del tutto isolate della Sardegna. Il rientro a Monfalcone nel dopoguerra è assai difficile per la repressione attuata dal Governatorato militare italiano che ora amministra il territorio. Gli anarchici, superando ogni corporativismo, solidarizzano con i lavoratori agricoli delle campagne circostanti che lottano con l’obiettivo tipico della rivoluzione sociale: “La terra ai contadini”. L’impatto con la violenza squadrista è duro: il giovane militante Giuseppe Nicolausig è tra i primi a morire per mano fascista. Si resiste comunque fino a che sia possibile: dalle trincee belliche del monfalconese partono le bombe che sono utilizzate da Gino Lucetti nell’attentato contro Mussolini dell’11 settembre 1926. Poi il consolidamento della dittatura costringe anche i libertari monfalconesi ad anni di esilio, anonimato e silenzio. Gli attivisti locali, molto diffidenti verso l’egemonia comunista, partecipano solo in misura ridotta alla Resistenza. Però tre anarchici catalani, disertori della División Azul, spedita da Francisco Franco contro la Russia sovietica, entrano nella Brigata Fontanot. Restano loro tracce nella memoria orale resa da Silvano Bacicchi. Uno di loro diventa il medico della Brigata e tutti e tre si fanno conoscere per indisciplina e coraggio. Insegnano ai partigiani una canzone spagnola che inneggia al comunismo libertario e che sarà cantata all’ingresso a Monfalcone il 1° maggio 1945. Molte le figure notevoli: ricordiamo almeno Serafino Frausin che, sopravvissuto ad un’aggressione squadrista, fugge in Colombia dove vivrà tra mille avventure e Vittorio Puffich, oratore travolgente e generoso militante che, dopo il licenziamento, si suicida nel 1938 a Trieste. Luca Meneghesso* (*Luca Meneghesso si è laureato in Storia al dipartimento di Studi umanistici dell’Università degli studi di Trieste con una tesi dal titolo “Per una storia degli anarchici a Monfalcone (1908-1926)”, relatore Claudio Venza)

Ancora sulla storia degli anarchici a Monfalcone

da Il Piccolo del 10 febbraio 2014
Pagina 1 e 18 – Gorizia-Monfalcone

Venne dal Carso la bomba destinata al Duce

Lo storico Meneghesso riscostruisce le vicende degli anarchici bisiachi a inizio ’900. Incluso l’attentato a Mussolini del ’26

 
di Giovanni Tomasin
Anarchismo monfalconese. L’abbinamento delle due parole potrà sembrare strano in una città operaia che nella seconda metà del Novecento ha visto le grandi lotte politiche e sindacali svolgersi sotto le bandiere rosse del partiti comunista e socialista. Eppure vi fu un tempo, fra la nascita del cantiere nel 1907 e l’affermarsi del regime fascista, in cui i vessilli neri degli anarchici rispondevano alle istanze più libertarie ed incendiarie degli operai, raccogliendo attorno a sè ampio consenso: la loro è una storia di impegno politico e culturale, di scioperi, di soprusi padronali, di atti di violenza. Una vicenda piccola, forse, che si inserisce però nel contesto ampio di uno dei periodi più complessi della storia europea: è da Monfalcone, ad esempio, che partirono le bombe con cui l’anarchico Gino Lucetti nel 1926 attentò alla vita di Benito Mussolini. Questa storia perduta è stata dissepolta, come un’ascia di guerra, dallo storico Luca Meneghesso (udinese ma residente a Monfalcone) in una tesi di laurea intitolata “Per una storia degli anarchici a Monfalcone (1908-1926)”, relatore Claudio Venza. Andando a spulciare tra le riviste dei movimenti dell’epoca, negli schedari dello spionaggio di regime, parlando con i discendenti dei protagonisti e con chi poteva riportare testimonianze quasi dirette, Meneghesso ha posto le basi per una storia dell’anarchismo in Bisiacaria agli inizi del Novecento, e ricostruito le vicende delle prime battaglie sindacali del cantiere di Monfalcone.
 
Nasce il cantiere
«Quando i Cosulich decisero di costruire il cantiere da queste parti – spiega Meneghesso -, uno dei fattori che contribuirono alla scelta del luogo fu il carattere rurale dell’area: pensavano che i contadini fossero politicamente meno pericolosi della manodopera di Muggia, più qualificata ma più attiva». La scommessa dei Cosulich si dimostrò sbagliata, e i contadini della Bisiacaria e della Bassa friulana, vestite le tute degli operai, mostrarono da subito una certa predisposizione alla lotta sindacale. Un ambiente in cui le idee anarchiche trovavano un ideale brodo di coltura.
 
Gli scioperi per Ferrer
«È significativo che il primo sciopero politico del cantiere – spiega Meneghesso – si sia svolto il 15 ottobre del 1909, per protestare contro l’esecuzione in Spagna del pedagogista libertario Francisco Ferrer». La fucilazione del rivoluzionario spagnolo generò un’ondata di proteste in tutta Italia: «La manifestazione di Monfalcone non deve essere stata molto pacifica – scrive Meneghesso – visto che quasi tutto il gruppo dirigente socialista viene incarcerato e 13 operai vengono in seguito rinviati a giudizio». Nel primo anniversario della morte di Ferrer i socialisti optarono per una commemorazione più pacata, una riunione serale dopo il lavoro. I libertari, che il socialista Luigi Tonet definì «un gruppo di sconsiderati», incitarono però gli operai a lasciare il posto di lavoro: dopo un po’ di dibattito il cantiere si svuotò. In seguito i socialisti accusarono gli anarchici di aver usato il nome di Tonet per convincere gli indecisi (è facile immaginarli: «ga dito Tonet de scioperar!»). La cosa si ripetè l’anno successivo, con il medesimo risultato. Tanto che i socialisti, scrive Meneghesso, accusarono gli anarchici «con frasi forti di essere fannulloni che colgono qualsiasi occasione per fare festa e andare a bere il vino nuovo».
 
Il caso König
Non erano tempi facili. Si fronteggiavano i soprusi sul posto di lavoro e la violenza operaia. È significativo il caso del caposquadra boemo König, i cui metodi suscitarono violente proteste negli operai. L’operaio di origine dalmata Matteo Silgig, dopo un licenziamento ingiustificato, arrivò a prenderlo a rivoltellate. Poi, credendo d’averlo ucciso, si tagliò la gola con un rasoio. Gli operai reagirono con una manifestazione spontanea e poi con un corteo funebre con tanto di comizio.
 
Lo spazzacamino anarchico
La storia degli anarchici monfalconesi è fatta anche da personaggi le cui biografie, dal pittoresco al tragico, Meneghesso ha ricostruito con accuratezza, laddove le fonti lo consentivano. A dispetto della scarsezza di informazioni, il ricercatore delinea con efficacia la figura di Ermenegildo Gon, uno degli anarchici più rappresentativi del panorama bisiaco: «Dipinto come inafferrabile spazzacamino che propagandava le proprie idee libertarie ed antifasciste girando di casa in casa». Esule in Francia per un periodo durante il regime, era un cardine dell’anarchismo monfalconese ancora nel secondo dopoguerra, quando la sua casa fu oggetto di un attentato bombarolo.
 
Il fascismo
L’avvento del fascismo segnò il forzato declino del movimento anarchico a Monfalcone: violenze, schedature, persecuzioni costrinsero i libertari al silenzio o all’esilio. I singoli sopravvissuti al regime e alla Seconda guerra mondiale continuarono anche in seguito a testimoniare la storia del movimento, ma dagli anni Quaranta in poi le bandiere nere non riuscirono più riprendere il seguito di un tempo: il mondo era cambiato. Un passaggio di rilievo riguarda il fallito attentato di Lucetti a Mussolini: gli ordigni usati dall’anarchico contro il dittatore gli erano stati forniti, attraverso un tramite, dal triestino Umberto Tommasini, e provenivano dal Carso monfalconese. Con tutta probabilità era stato qualche anarchico monfalconese a raccoglierle, senza immaginare a cosa sarebbero servite. Ma la conclusione più adatta a questa storia è forse quella dei tre anarchici catalani che in modo rocambolesco si unirono alla Resistenza nella brigata Fontanot: insegnarono ai partigiani comunisti una canzone anarchica che questi cantarono entrando a Monfalcone il 1 maggio 1945.

Documentario su Umberto Tommasini su RAI3

Il documentario sulla vita di Umberto Tommasini, di circa 60′, è in

programma per domenica 23 febbraio su RaiTre FVG a partire dalle 9.45.

Sarà replicato mercoledì 26 febbraio, sul canale 103 del digitale terrestre,

alle 21.10

La regia è di Ivan Bormann e Fabio Toich

 

Per maggiori info sul progetto:


http://www.anarchistlife.com/index.php/it/


 

da Il Piccolo del 23 febbraio 2014 – Pagina 61 – Cultura e spettacoli

È un film la vita dell’anarchico Tommasini

Oggi su RaiTre il documentario di Ivan Bormann e Fabio Toich sul fabbro triestino che fondò il gruppo Germinal

Umberto Tommasini, un fabbro anarchico triestino. Ma soprattutto un concentrato di vita, uno che ha lasciato il segno in ogni persona che ha incontrato ancor più che nella storia. Un fabbro anarchico triestino ma anche un bombarolo, un militante, un combattente, un confinato, e a suo modo sempre un vincente, determinato com’era a incarnare quel suo inesauribile sogno di libertà. Oggi, alle 9.45 su RaiTre (replica mercoledì alle 21.10 sul canale 103 del digitale terrestre), verrà trasmessa l’anteprima del documentario “An Anarchist life”, omaggio di Ivan Bormann e Fabio Toich, autori triestini catturati dal fascino del personaggio. «Abbiamo letto il libro di Claudio Venza e Clara Germani “L’anarchico Triestino” – spiegano – scritto nell’84 trascrivendo delle registrazioni in cui Umberto aveva raccontato la sua vita». «In un primo momento abbiamo semplicemente voluto condividere una lettura appassionante», precisa Bormann, che ammette poi di aver accolto con entusiasmo l’idea del socio di farci un film. «Ne abbiamo parlato anche assieme agli autori del libro – spiega ancora – e così abbiamo deciso di sviluppare l’adattamento per un documentario». Una produzione a bassissimo costo tutta triestina che ha ottenuto il contributo del Fondo Regionale per l’Audiovisivo per lo sviluppo, e alla quale hanno partecipato Drop Out, la IG coop. di Omar Soffici, il direttore della fotografia Daniele Trani, la scenografa Belinda De Vito e DJ Glitch, autore della colonna sonora. Il film ricostruisce la vicenda umana e politica di Tommasini, esponente dell’anarchismo europeo del secolo scorso, nato a Vivaro nel 1896 ma vissuto prevalentemente a Trieste. Partendo dal suo ambiente familiare (con tanto di biblioteca sociale in una delle due stanze di casa) e il suo arrivo in città, i primi scontri di piazza fra italiani e austriaci, e poi la guerra, soprattutto quella di Spagna, alla quale partecipò con impeto pensando che lì avrebbe potuto finalmente realizzare i suoi ideali rivoluzionari. Dopo la delusione, il rientro, prima in Francia e poi ancora a Trieste dove riprese il mestiere di fabbro e nel ’68, ormai settantenne, fondò il gruppo Germinal assieme a tanti giovani coi quali si trovava sempre a suo agio. Un modo di concepire la politica che legittima Venza a sostenere che per Tommasini l’anarchismo è “un modo sostenibile di vivere e non solo una fase giovanile della vita”. «Era empatico con il mondo – aggiunge Toich – non si sarebbe mai chiuso in una torre d’avorio teorizzando su questioni ideologiche, era sempre calato nella società». Su di lui anni fa si era espresso anche Claudio Magris, quando gli si chiese se a suo parere Tommasini potesse dirsi un uomo felice. Rispose che non sapeva se fosse felice, ma di sicuro era un uomo “risolto”. La sua figura emerge in maniera vivida dai racconti di amici e familiari seduti attorno a un tavolo nella casa di Vivaro, attingendo anche a materiale d’archivio, analogie prese in prestito dal cinema intercalate da inserti animati (Fabio Babich), la voce narrante di Anita Kravos e le letture di Pino Cacucci, Ascanio Celestini e Simone Cristicchi. Lo schema del documentario storico biografico, richiama in parte il precedente lavoro del duo Bormann-Toich, “Sconfinato – Storia di Emilio”, in cui si raccontava di Emilio Coslovi, prete operaio, interprete radicale del messaggio evangelico, puro e testardo fino a farne una malattia, che in qualche modo rappresenta l’antitesi di Umberto Tommasini. «Due personaggi complementari e antitetici» ammette Bormann, e Toich aggiunge: «Ci interessano personaggi presi nell’ingranaggio della storia. Mentre Coslovi implode, Tommasini ne esce alla grande. Il suo vero messaggio non è quello di vivere in maniera anarchica, ma piuttosto di vivere in maniera piena».

MONFALCONE: Il ferro e il vino

Straordinaria partecipazione alla presentazione della ricerca di Luca Meneghesso sulla storia degli anarchici di Monfalcone presso la biblioteca comunale di Monfalcone il 5 maggio scorso. Introduzione dello storico Marco Puppini e proiezione di immagini e documenti d’epoca di fronte a circa 100 persone partecipi ed interessate.

 

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Storia: Gorizia ai tempi della federazione anarchico-comunista

Intervento interessante. Unica nota: non esiste a Udine nessuna USI che abbia relazioni con il movimento anarchico.

 

da Il Piccolo del 2 ottobre 2014 – Segnalazioni, p. 35

Gorizia ai tempi della federazione anarchico-comunista

Una cinquantina gli aderenti nell’Isontino. Le marce antimilitariste e antinucleare

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Si attendono con ansia nuovi ’68 e ’77 pur con la consapevolezza che i mezzi usati dal potere oggi sono molto più raffinati e meno violenti di un tempo

Sono rimasto abbastanza sorpreso dalla quantità e qualità dello spazio dato sui giornali (in particolare Il Piccolo) alla ricerca di Luca Meneghesso sugli anarchici a Monfalcone, poi alla manifestazione se a Ronchi sia corretto aggiungere dei Legionari o dei Partigiani e ultimamente sulla femminista e anarchica statunitense Emma Goldham. Restando in ambito provinciale i locali legionari di D’Annunzio sono stati al massimo una ventina, i partigiani della Garibaldi Natisone più di 5.500 distribuiti fra Isontino e Bassa friulana. La mia sorpresa era dovuta all’ostruzionismo, al limite del boicottaggio, e alla disinformazione che abbiamo subito e sono benvenuti approfondimenti che ristabiliscono fatti custoditi gelosamente negli archivi della polizia. Una premessa: la stampa e gli avversari politici hanno impedito in genere di far apprezzare il reale peso del movimento libertario, a esempio pochi sanno che gli anarchici erano il secondo gruppo numericamente più ampio di reclusi al confino fascista. È anche vero che il riflusso è stato evidente in particolare nelle forme di opposizione non classiche a partire dagli anni ’90 del 900. Fuori Trieste negli anni 50 del secolo scorso erano presenti delle individualità fra cui ricordo un dipendente della Biblioteca Statale e Isontina di origine meridionale. Del nucleo già richiamato da Luca Meneghesso, formato da un non piccolo gruppo di dipendenti dell’allora Italcantieri ma non solo (ricordo un calabrese di professione calzolaio) molti se non tutti decisero di smettere di fumare per non dare soldi allo Stato e che un componente si recava al lavoro e rientrava in bicicletta da Gradisca anche per sostenere meglio la famiglia. Dopo le lotte studentesche del 1968 e quelle operaie del 1969 nacque a Gorizia il gruppo Obiettivo Comune insieme a giovani marxisti alla ricerca di unità d’intenti e di azione, ci fu anche un primo gruppo che si riuniva regolarmente all’ Aquila Nera per deliberare stando in compagnia e per discutere di anarchismo e del miglior modo di fare politica libertaria; uno dei componenti in seguito contribuì molto all’attivazione di servizi per pazienti psichiatrici e morì nel soccorrerne uno. Un altro fu molto attivo nell’antimilitarismo e ci fu una non lieve condanna rispetto al reato di opinione di vilipendio alle forze armate; in seguito questo reato previsto dal Codice fascista Rocco ma ereditato dalla Repubblica è stato limitato. Nacque “Nuvola Rossa” radio libera goriziana molto seguita e ricordata ancora oggi di cui qualche arredo è ancora utilizzato. Insieme al Germinal di Trieste aiutammo l’effettuazione di varie edizioni della Marcia antimilitarista Trieste-Aviano che vedeva accese discussioni politiche con i radicali. Altre attività erano quelle all’ Università e alle allora Scuole medie Superiori e alcune di tipo ecologico specie antinucleari. Le lotte del ’77 videro altri giovani avvicinarsi all’anarchismo e formare un gruppo che agiva fra Gorizia e Monfalcone, un altro nucleo si formò a Ronchi indirizzandosi a produzioni artistiche e cercando in seguito di riaprire il ristoro sul Lago di Doberdò non riuscendovi specie per le eccessive complicazioni burocratiche (potenza dello Stato!), naque anche un gruppo a Cervignano e Aquileia; un altro gruppo coordinato da Paolo, soprannominato “Cespuglio” per l’allora folta capigliatura, opera ancora a San Giorgio di Nogaro. A Lucinico contemporaneamente una fattoria fu trasformata dal proprietario in comune agricola con le prime coltivazioni biologiche. La lotta contro i decreti delegati ci vide sconfitti, eravamo per la centralità dell’assemblea, e la “squola” iniziò a essere normalizzata con i bei risultati di oggi derivati dalla riforma (si chiama così) Gelmini. Andavamo a visitare la Casa del Popolo (anarchica, una delle due l’altra è a Genova) a Pesariis, a Travesio, a Visinale dello Judrio, a Moggio Udinese dove un ex emigrante leggeva ogni giorno due giornali francesi. Nella seconda metà degli anni 70 sostenemmo e accompagnammo compagni che svolgevano qui il servizio militare fra cui ricordo un fiorentino e si aggiunse una maggior presenza sindacale nel mondo del lavoro. In provincia riuscimmo a raggiungere il rispettabile numero di oltre 50 aderenti e questo dato suscita oggi meraviglia e incredulità ma era proprio così; ci chiamammo Federazione Isontina Anarco-comunista forse con un pizzico di prosopopea ma erano quei tempi e soprattutto quella linea politica che cercava di coniugare la libertà con l’eguaglianza e la solidarietà. Instaurammo rapporti politici di confronto e scambio in particolare con il Movimento anarco-comunista bergamasco e con gruppi veneti in particolare in zone di recente industrializzazione come l’Alto Vicentino e bellunese. All’interno del movimento fummo una delle principali organizzazioni a battersi per la riattivazione dell’Unione Sindacale Italiana, nata nel 1912 dalla scissione dalla CGIL: non esservi riusciti in quegli anni è la principale critica da fare e farmi. Hanno contribuito la perplessità e anche l’opposizione del movimento organizzato ufficiale ma in qualche modo l’occasione fu sprecata: oggi sezioni dell’USI sono presenti oltreché in Italia a Trieste, a Udine e anche in altri luoghi del Friuli Venezia Giulia grazie ai compagni e alle compagne presenti fra cui vanno ricordati senza dubbio Marione e Renato ma riuscire a farlo alla fine degli anni 70 del 900 avrebbe avuto ben altro impatto. È ben vero che la Storia può non insegnare niente: di dualismo organizzativo ne parlava l’ucraino Nestor Mackno ai tempi della rivoluzione russa mentre si opponeva ai latifondisti tedeschi e ucraini, ai russi bianchi e all’ esercito rosso guidato da Lev Trokcj, nonostante Lenin apprezzasse le idee e il contributo degli anarchici russi. E la guerra di Spagna, per gli anarchici e non solo “la rivoluzione sociale”, è stata possibile grazie al radicamento nelle masse popolari tramite il sindacato libertario Confederacion National de Trabajo che insieme alla Federazion Anarquica Ispagnola organizzò, partendo dalla Catalogna, la resistenza al golpe antidemocratico di Franco. E un qualche merito lo debbono avere avuto anche dopo se, nonostante l’oltre milione di uccisi dopo la vittoria franchista, la Spagna non entrò in guerra a fianco della Germania nazista e dell’Italia fascista per il timore del fronte interno. Ricordo ancora Rudolf residente a Salcano (Soucan diceva lui) rientrato da Lubiana deluso dal comunismo jugoslavo, la sua insistenza per implementare l’uso dell’esperanto, le sue molte idee anche in tema di trasporti; se ne avesse brevettato una sarebbe stato ricco! Una presenza c’è ancora oggi ma abbastanza poco incisiva (ma oggi esiste incisività a sinistra?) e trovare attivisti con meno di quarant’anni è difficile. Allora merita ricordare per informare e capire meglio e collaborare a un futuro migliore. Si attendono con ansia nuovi ’68 e ’77 pur con la consapevolezza che i mezzi usati dal potere sono molto più raffinati, oggi apparentemente meno violenti di un tempo e più soporiferi. Pino Ieusig Gorizia

100 anni della Casa del Popolo di Prato Carnico: Foto, articoli e report

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In occasione del centenario della  fondazione della casa del popolo un gruppo di compagni e compagne della zona assieme ad altri  provenienti da Trieste e Pordenone ha riaffermato con la propria presenza anche le origini anarchiche della casa. Molto visibili le bandiere anarchiche e buona la diffusione della nostra stampa e del volantino preparato per l’occasione. Da notare che la nostra presenza è stata completamente ignorata dall’articolo del Messaggero.

INFO-ACTION REPORTER

 

 

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