dal Messaggero Veneto del 7 novembre 2014.
Tavan, la sorella si schiera: «No all’intitolazione del park»
Maria Grazia rompe il silenzio: «Mai stata d’accordo, ma nessuno me l’ha chiesto». Aneddoti sul poeta e una preghiera: «Basta dipingere un Federico che non esiste»di Cristina Savi
PORDENONE. Maria Grazia Tavan è la sorella di Federico. Il poeta. Che mercoledì avrebbe compiuto 65 anni e che esattamente un anno fa moriva, ad Andreis, nella casa in cui viveva dal 2005.
Molti non sanno nemmeno che esista, Maria Grazia. Del resto è scritto nero su bianco, in alcuni saggi critici, che Tavan era “senza famiglia”. Perché, come dice Maria Grazia, «la leggenda voleva che il poeta fosse solo, abbandonato, emarginato».
E già da queste prime parole – che la sorella di Federico pronuncia per la prima volta, decisa a parlare per vedere se «il dolore che mi tengo dentro da anni» si scioglie – si intuisce che non saranno dichiarazioni di circostanza.
La incontriamo nella sede del Circolo libertario Zapata di Pordenone.
Ha voluto esserci anche lei alla festa di compleanno per Federico. Nel pomeriggio ha fatto «un salto su», ad Andreis, insieme a Massimo Masolini, del Circolo, nella casa «dove tutto è ancora da sistemare». E dove sul comodino, in camera da letto, c’è il libro che il poeta stava leggendo in qui giorni di novembre, “Petrolio”, del suo amatissimo Pasolini.
Maria Grazia ha dunque scelto. Condivide le posizioni dichiarate dagli anarchici pordenonesi e da quanti si collegano all’esperienza culturale di Usmis, il collettivo friulano che Federico frequentò dal 1989 al 1995, facendo emergere la potenza rivoluzionaria della sua poesia.
E anche lei chiede che sia annullata l’intitolazione del parcheggio di via Vallona a Tavan (per essere precisi a una sua poesia) e che siano rimosse le fotografie del fratello.
«Non sono mai stata d’accordo. Ma nessuno mi ha mai cercato per chiedermelo. Del resto è una delle tante rimozioni di cui è costellata la vicenda di Federico. Io ci sono stata solo nei primi anni della sua vita pubblica, poi c’erano la psichiatra di Federico, l’amica di Federico, l’amministratore di Federico, il giornalista, l’intellettuale. Non sono più esistita. E hanno continuato, e continuano, a scrivere sciocchezze. Ma come si permettono, per esempio, di entrare nella storia della mia famiglia e definire duro e autoritario mio padre? Mio padre era semplicemente un uomo dei suoi tempi che non aveva gli strumenti per capire Federico. Un uomo che avrebbe voluto un figlio più normale e che non sapeva come gestirlo».
«Negli ultimi dieci anni di vita di mio fratello – continua Maria Grazia – tutta questa gente che gli stava attorno ha fatto blocco unico e io non contavo niente. Oppure ero il mostro che dopo la Bacchelli avrebbe voluto portare Federico in una struttura più vicina a casa mia (Maria Grazia vive a San Michele al Tagliamento), perché sono convinta, pur nel rispetto di chi lo ha seguito, che ad Andreis non ha ricevuto l’assistenza adeguata. Se dicessi che è soltanto grazie all’insistenza di mia zia di 90 anni che lo hanno ricoverato in ospedale per una polmonite? Ma la leggenda voleva che il poeta morisse a casa sua, nella sua Andreis».
«E’ finita che ho mollato – conclude – mi sono sentita annientata e mi sono arresa. Ora però vorrei che si smettesse di dipingere un Federico che non esiste. Si attinga dai suoi scritti, non da chi che pensa di essere custode delle sue memorie. E lasciatelo volare in pace, sulla sua nâf spaziâl».