mv online 2 aprile 2014
-
«Cie disumano».
Il gip scarcera il ribelledi Luigi Murciano
GRADISCA. «Condizioni disumane al Cie di Gradisca». Ad affermarlo, questa volta, non sono solo le forze politiche e i movimenti contrari al centro isontino di identificazione ed espulsione degli stranieri, ma direttamente l’autorità giudiziaria. Il gip del tribunale di Gorizia Rossella Miele, nel revocare la misura cautelare a un maghrebino arrestato perché accusato di danneggiamento e altri reati maturati nel contesto delle rivolte dell’estate del 2013, definisce infatti «alienanti» le condizioni di vita cui sono stati sottoposti gli ospiti dell’ex caserma Polonio e «disumano» il contesto nel quale sono stati costretti.
Non basta. Il giudice, nell’ordinanza di revoca della misura cautelare, sottolinea che proprio questo contesto – pur non legittimando affatto «le condotte ascritte agli indagati» – «non può essere trascurato». «La sottrazione (del maghrebino arrestato, ndr) al contesto di vita disumano cui era costretto all’interno del Cie, il considerevole lasso di tempo trascorso in assenza di violazioni della misura inflitta e il fatto che sia un soggetto completamente incensurato inducono ad affermare che siano venute meno le esigenze cautelari» si legge nell’ordinanza.
Ordinanza che ha significato la libertà per l’ospite del Cie: il giovane era stato arrestato alcuni giorni fa a Rovereto in base a un’ordinanza di custodia cautelare emessa il 26 settembre dello scorso anno ed era difeso dall’avvocato Giovanni Guarini del foro di Rovereto che aveva presentato l’istanza di remissione in libertà. Il gip Miele, nell’ordinanza, ha fatto esplicito riferimento alle denunce sulle condizioni di vita all’interno del Cie di Gradisca, attualmente in ristrutturazione, presentate da chi aveva visitato nei mesi scorsi la struttura gradiscana.
Il presidente della Camere penali Valerio Spigarelli, al termine della visita di una delegazione all’interno della Polonio, aveva sottolineato già nel novembre scorso che Gradisca «è un luogo di effettiva detenzione dove gli stranieri, in vista dell’espulsione, in attesa della sola identificazione, sono trattenuti anche per tempi fino a 18 mesi.
E ciò in condizioni igieniche desolanti, ammassati anche in dieci nelle celle. I Cie sono luoghi, almeno in questo caso, peggiori delle carceri dove le persone sono private della libertà e delle garanzie minime a tutela della dignità umana. Di fatto si tratta di una vera e propria detenzione amministrativa, peraltro proibita dal nostro ordinamento, che non gode di alcuna delle garanzie giurisdizionali previste dalla normativa penitenziaria».
Nell’agosto 2013 aveva rincarato la dose il presidente della Commissione diritti umani del Senato, Luigi Manconi evidenziando, in occasione di una caduta dal tetto con ferimento di due trattenuti, l’esistenza di «condizioni di vita disumane, abusi e violenze, confusione, e forse peggio, nella gestione amministrativa».
Al Cie, per decreto prefettizio, prima della temporanea chiusura era vietato l’uso di cellulari; non era possibile svolgere nessuna attività ricreativa o di socializzazione, neanche all’aperto; non risultava possibile usare il piccolo campo da calcio da oltre un anno; la mensa, pure agibile, era stata chiusa per ragioni di sicurezza; non era consentito tenere libri e giornali, nè lenzuola, in quanto rischiavano di venire date alle fiamme.
02 aprile 2014