Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
Dopo 65 ore di permanenza sui tetti la polizia ha chiuso il varco da cui salivano i migranti in lotta (cosa già tantata ma senza esito ieri) dopo che solo uno era rimasto sul tetto. Quel buco era diventato un simbolo di libertà al punto che uno dei reclusi per la disperazione ha ingoiato una lametta e altri oggetti. E’ stato portato al pronto soccorso di Gorizia, dove, di fronte alle ennesime prepotenze dei suoi aguzzini di scorta ha rifiutato le cure ed è tornato nel CIE. Nel frattempo sempre oggi una ventina di immigrati ha tentato la fuga durante il cambio turno e sei sono riusciti a darsi alla macchia.
Dal Messaggero Veneto online
GRADISCA. Sei immigrati ospiti del Cie sono riusciti a evadere dal centro dopo aver superato il muro di recinzione.
Approfittando del cambio turno e nonostante il maltempo, una ventina di clandestini ha tentato di fuggire dalla struttura: Polizia, Carabinieri ed Esercito, che presidiano il perimetro interno del centro, sono riusciti a bloccare la maggior parte degli stranieri, ma sei di loro sono riusciti a scavalcare il muro di recinzione e a far perdere le proprie tracce.
Controlli a tappeto sono in corso per individuare i fuggitivi, mentre all’interno del Cie sono iniziati i lavori di ripristino delle barriere divelte sabato scorso dagli immigrati, saliti sul tetto in contemporanea alla manifestazione organizzata all’esterno della struttura dalle associazioni pacifiste.
Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
dalla tenda della pace: i migranti continuano ad essere chiusi nelle loro stanze. La persona che ieri ha ingoiato la lametta e che da ieri è entrato in sciopero della fame, si trova al Cie, presso l’infermeria dove gli sarebbe stato somministrato dell’olio per agevolare l’espulsione della lama. Ci chiediamo se quello sia il luogo più idoneo a questo tipo di intervento che, da ignoranti, ci sembra non privo di rischi.
Un altro uomo, di 46 anni di origine algerina è in sciopero della fame dalla notte del Bairam, quando i festeggiamenti per la fine del Ramadan sono stati impediti e la protesta è stata poi soffocata nei lacrimogeni al CS.
L’uomo ha perso 17 chili in 10 giorni e ci ha dichiarato di aver tentato il suicidio 3 volte nell’ultimi 6 mesi, da quando cioè si trova rinchiuso al CIE di Gradisca d’Isonzo.
Due giorni fa ha ingoiato una ingente quantità di psicofarmaci e ha poi rifiutato ogni tipo di intervento medico, seppure gli sarebbe stato proposto anche il trasporto all’ospedale di Gorizia.
Soffre di problemi alla tiroide e ha interrotto anche le cure mediche per questi.
Chiede di parlare con qualcuno (al telefono la nomina come “commissione”) che si occupi di verificare le ingiuste e disumane condizioni di detenzione all’interno del CIE.
Domani 22 agosto alle 18.30 assemblea pubblica a Monfalcone presso l’Officina sociale in via Natisone
Marzo 17th, 2017 — General, Loro
Leggete: robe da non credere!!
Si tratta della lettera accompagnatoria
di RFI al Ministero e per conoscenza a tutta una sfilza di soggetti
La data della lettera è del 12 giugno 2013
Un commento analitico verrà postato successivamente
COMUNICATO DEL COMITATO NOTAV DI TRIESTE E DEL
CARSO
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Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
Dal Piccolo
23/08/13
Tensioni al Cie, la politica in campo
Resta accesa la polemica politica sulle leggi in materia di immigrazione e sulla possibile revisione della Bossi-Fini, invocata nelle ultime ore anche dal ministro Cecile Kyenge. «Per sconfiggere la piaga degli ingressi di clandestini in Italia la Bossi-Fini serve, eccome – afferma il deputato leghista Massimiliano Fedriga -, al pari della stipula di accordi bilaterali con i Paesi di provenienza degli immigrati. Trovo scandaloso – conclude – che ci siano ministri che, anzichè occuparsi del malessere dei cittadini onesti che non trovano lavoro o non arrivano a fine mese, perdono tempo in propagandistici sopralluoghi ai Cie». Un’accusa rinfocolata anche dal leghista friulano Mario Pittoni. «La ministra Kyenge – afferma – passa il tempo a tenere comizi in mezza Italia, rifiutando il dialogo con chi non la pensa come lei, evidenziando così la sostanziale inutilità del suo incarico» di Luigi Murciano GRADISCA D’ISONZO Sul Cie di Gradisca la parola passa ora alla politica. Quella chiamata a raccolta per il vertice in programma in mattinata nel Municipio della cittadina isontina. Vertice che vedrà confrontarsi la governatrice Debora Serracchiani e la sua squadra di governo dapprima con l’amministrazione comunale retta dal sindaco Franco Tommasini e quindi con i parlamentari del territorio, i consiglieri regionali e gli esponenti della Provincia di Gorizia. Sul tavolo le gravi criticità emerse all’interno della struttura per immigrati nelle ultime due settimane, fra rivolte, evasioni e molteplici appelli alla revisione (o superamento) della Bossi-Fini, del concetto di reato di clandestinità, delle restrizioni ai diritti fondamentali degli “ospiti” e infine dei tempi di trattenimento nei Cie che oggi possono arrivare sino a 18 mesi. La stessa Serracchiani nei giorni scorsi si era espressa chiaramente a favore della chiusura della struttura di Gradisca. Intanto al Cie la situazione pare tornata sotto controllo. Prefettura e Questura hanno fatto rientrare gli ultimi allarmi smentendo la notizia del presunto caso di tubercolosi polmonare riscontrata ad un cittadino bosniaco. Cittadino che, appunto, non risulta ammalato anche se verrà precauzionalmente sottoposto ad ulteriori esami. È stato invece già espulso e rimpatriato il giovane tunisino arrestato l’altra notte per violenza e resistenze alle forze dell’ordine. Il nordafricano è stato processato per direttissima, condannato a 4 mesi e quindi espulso: trasportato all’areoporto di Bergamo, è stato poi imbarcato alla volta del suo Paese. Quanto agli altri immigrati trattenuti nel centro, resta in vigore l’obbligo di restare all’interno delle camerate per ragioni di sicurezza e per consentire i lavori di ripristino delle zone devastate nei giorni scorsi. Devastazioni sulle quale è tornata a farsi sentire la voce del sindacato di polizia Sap: «I Cie in realtà ospitano il più delle volte clandestini pregiudicati, scarcerati in attesa del rimpatrio, e non semplici disperati immigrati clandestini come quelli sbarcati in questi giorni sulle nostre coste». Il sindacato, nel prendere ancora una volta le distanze dalla manifestazione di sabato scorso che avrebbe incitato gli immigrati alla protesta, definisce senza mezze misure «atti criminali» i danni prodotti dagli immigrati stessi alla struttura. «E i danni, ingenti, li pagherà la comunità». Su posizioni opposte la Camera Penale di Gorizia che, attraverso i consiglieri Sottosanti e Marchiori, pone l’accento «sulla drammaticità delle condizioni in cui sono costretti a vivere i soggetti ristretti nei Cie per diversi mesi. Non è garantito alcun rispetto delle basilari condizioni di vivibilità e dei diritti umani che sono, invece, garantite ai detenuti nelle carceri». La Camera penale goriziana ritiene che la funzione dei Cie «vada preservata, vista la necessità di una forma effettiva di controllo dell’immigrazione nel nostro Paese», ma ritiene «assolutamente imprescindibile» un intervento legislativo volto a garantire «l’effettivo rispetto dei diritti umani».
22/08/13
Minaccia un agente a Gradisca, arrestato
di Luigi Murciano GRADISCA D’ISONZO Resta incandescente il clima al Cie di Gradisca. Un ospite trattenuto all’ex caserma Polonio è stato arrestato l’altra notte con l’accusa di violenza e resistenze a pubblico ufficiale. Si tratta di un tunisino di 22 anni, Haichel Garouachi, che ha minacciato gli agenti in servizio con un pezzo di vetro. Il giovane, che ha opposto una strenua resistenza, è stato bloccato a fatica dalle forze dell’ordine, che successivamente ne hanno disposto l’arresto, il trasferimento al carcere di via Barzellini e, in seguito, il rientro all’ex Polonio. Struttura che, probabilmente, lascerà presto: per lui si profila un’espulsione in tempi rapidi. La situazione rimane dunque tesa. A surriscaldare ulteriormente gli animi, ieri, è stata anche la notizia, per ora non confermata, di un possibile caso di tubercolosi polmonare. Il malato sarebbe un giovane bosniaco, invitato a sottoporsi ad ulteriori analisi. Ma è bastato il semplice sospetto per allarmare gli altri ospiti, da 48 ore rientrati nelle camerate. Una misura che secondo le autorità si è resa necessaria sia per ripristinare la sicurezza dopo i dieci giorni di proteste culminate con l’occupazione del tetto e l’evasione di sei nordafricani, sia per consentire i lavori di riparazione delle barriere e delle vetrate divelte dagli ospiti negli ultimi giorni. Rimane comunque loro consentito l’utilizzo dei telefoni cellulari. Altre richieste basilari dei trattenuti riguardavano la possibilità di usufruire della mensa, degli spazi comuni, del campo di calcio. Migliorie che, tuttavia, non dovrebbero arrivare tanto presto visto il clima di strisciante tensione: le ultime perquisizioni e bonifiche svolte dagli agenti avevano portato al ritrovamento nelle camerate di spranghe e pugnali rudimentali. Fra gli ospiti (in tutto circa una sessantina) i più risoluti nella protesta avrebbero nel contempo deciso di astenersi dal cibo proclamando lo sciopero della fame. Intanto dei sei evasi – cinque nordafricani e un siriano – non vi è più alcuna traccia e le loro ricerche possono dirsi concluse. Del resto l’allontanamento volontario dal Cie di fatto non è un reato, per il semplice motivo che – perlomeno sulla carta, visto il dibattito in atto su gabbie e misure coercitive in atto -, non è un carcere ma un luogo deputato alla “detenzione amministrativa”. Ovvero non fa i conti con le disposizioni giurisdizionali della normativa penitenziaria.
22/08/13
Sei maghrebini evadono dal Cie di Gradisca
Un’interpellanza urgente per sollecitare il rapido intervento del governo Letta sulla situazione esplosiva del Cie di Gradisca. A depositarla ieri alla riapertura della Camera dei deputati, è stata la deputata di Sel Serena Pellegrino. «L’esecutivo – si legge nel testo – deve spiegare quali politiche intende attuare per affrontare concretamente le continue crisi al centro isontino». Pellegrino, oltre a ribadire la necessità di una revisione della legge italiana in materia di immigrazione, chiede un controllo regolare sulle condizioni relative al «rispetto della dignità umana e delle norme igienico sanitarie all’interno della struttura di Gradisca». Con l’interpellanza, in particolare, si rivolge al Viminale affinchè «le istituzioni competenti alle pratiche di identificazione dei trattenuti – in primis ambasciate e consolati – svolgano con maggior sollecitudine gli adempimenti necessari». Richieste per nulla condivise dal leghista friulano Mario Pittoni. «Se, come dice anche Serracchiani, i Cie sono strutture inadeguate a contenere violenti e facinorosi, il problema si risolve rafforzandoli, non certo smantellandoli come chiede invece la sinistra che, con i sui messaggi “buonisti” è la prima causa dell’emergenza». di Luigi Murciano GRADISCA D’ISONZO Fuga dall’ex Polonio. Non si allenta la tensione al Cie di Gradisca: l’altra notte sei immigrati trattenuti nel centro isontino sono riusciti a evadere approfittando, secondo le prime ricostruzioni, del cambio turno nel servizio di vigilanza svolto dagli agenti di polizia e dai militari del Genova Cavalleria. La fuga A tentare la fuga sono stati in venti, sostanzialmente lo “zoccolo duro” di ospiti che protesta ormai da dieci giorni contro le condizioni di vita all’interno del centro e i tempi giudicati eccessivi (al momento fino a 18 mesi) di permanenza nella struttura. Per sorprendere le forze dell’ordine e calarsi all’improvviso dal tetto, “occupato” ad oltranza da sabato scorso, avrebbero utilizzato una rudimentale corda realizzata con degli asciugamani. Solamente in sei, però, sono riusciti a mettere a segno il piano, raggiungendo l’area del vicino Cara-Cda (il centro per richiedenti asilo recentemente ampliato per fare fronte all’emergenza-sbarchi in Sicilia). Da lì sono riusciti a scavalcare più agevolmente la recinzione, facendo perdere le proprie tracce nella campagna circostante. Immediatamente sono scattate ricerche a tappeto per rintracciare i fuggiaschi ma, stando alle ultime informazioni, i sei immigrati, tutti di etnia maghrebina, risultano ancora uccel di bosco. Nel primo pomeriggio aveva iniziato a girare la voce dell’individuazione di tre evasi, ma fonti della Polizia successivamente l’hanno smentita. Sicurezza Nel frattempo, dopo dieci giorni di sostanziale anarchia, il Cie è stato “rimesso in sicurezza”. Gli ospiti infatti sono stati tutti riportati all’interno delle camerate e delle relative vasche esterne di “contenimento”. Gli immigrati possono tra l’altro utilizzare di nuovo i telefoni cellulari, prima sequestrati e ora appunto riconsegnati nella speranza di riuscire così, almeno in parte, a placare gli animi e far rientrare la protesta. Sempre nelle ultime ore, poi, gli agenti hanno condotto delle operazioni di bonifica delle camerate, dove sono state ritrovate armi rudimentali come spranghe e pugnali artigianali. Iniziati anche i lavori di ripristino delle barriere divelte sabato scorso. Emergenza sbarchi in Sicilia Sul fronte Cda a giorni, se non a ore, sono attesi nuovi arrivi di immigrati sbarcati sulle coste siciliane e non interessati – come noto – a richiedere asilo in Italia. Sinora almeno 75 dei 90 eritrei condotti a Gradisca non hanno fatto rientro al Cda dirigendosi verso il Nord Europa. Operatori esasperati Da registrare anche la rabbia dei dipendenti della Connecting People, il consorzio siciliano che gestisce il Cie di Gradisca dal 2008. Ieri un operatore, che ha chiesto l’anonimato, si è sfogato a nome dei colleghi. «Chi non ci lavora, non può capire cosa accade qui dentro – afferma -. Rischiamo la vita e non vediamo lo stipendio da tre mesi. Il centro è totalmente in mano agli immigrati e la decisione di restituire loro i telefonini non aiuta di certo: gli ospiti si raccordano con i loro connazionali di altri centri italiani per coordinare le rivolte. Lavoriamo sotto continue minacce di ritorsioni fisiche – si sfoga ancora l’operatore -. In poco tempo ho contato 27 aggressioni nei confronti dei colleghi. Prima o poi accadrà qualcosa di grave e anche gli episodi di autolesionismo sono all’ordine del giorno (uno anche ieri ndr). I politici – conclude – devono smetterla di strumentalizzare i Cie per interessi di bandiera. Decidano una volta per tutte cosa intendono farne». La possibile visita del ministro In attesa dell’arrivo a Gradisca della giunta Serracchiani, nti locali, trapela la notizia che la prossima settimana il ministro dell’Integrazione Cecile Kyenge potrebbe giungere in visita al Cie di Gradisca. Frattanto si fa sentire anche la Provincia di Gorizia che «rivendica la necessità di una profonda riforma delle politiche relative all’immigrazione, di cui i Cie sono una vera e propria degenerazione. Bisogna prendere atto del fallimento totale di questo sistema»
21/08/13
«Nei Cie gli uomini sono chiusi in gabbia»
di Annalisa D’Aprile ROMA I Cie sono un «fallimento» perché sono delle «carceri» dove mancano «persino le garanzie minime di tutela dei diritti umani». È chiara la posizione di Luigi Manconi, presidente della commissione dei Diritti umani del Senato, che ieri ha chiesto un’ispezione al centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d’Isonzo (Gorizia), teatro giorni fa di una protesta dei migranti. Senatore, cosa non ha funzionato in questi centri? «Il sistema dei Cie è inadeguato anche rispetto al suo fine principale, dal momento che poco più del 40% dei trattenuti vengono effettivamente rimpatriati. Dunque un enorme investimento di energie e denaro, uno scialo di sofferenza il cui risultato non è adeguato al suo intento». Cosa dovevano essere i Cie e, invece, cosa sono diventati? «Sono nati per consentire l’espulsione delle persone che non avevano diritto di circolare liberamente nell’area Schengen. All’inizio prevedevano una permanenza di 30 giorni, poi arrivata a 18 mesi: segno di una struttura che si è trasformata in un carcere per giunta privo di quel tanto di garanzie che il carcere offre. Inoltre, per ragioni economiche, si è passati ad una fase di riduzione estrema delle risorse, con la gestione dei Cie assegnata attraverso bandi al ribasso. Il centro di Capo Rizzuto ad esempio, prevedeva una spesa pro capite e pro die di 21 euro al giorno: una cifra ridicola che rende il servizio carente e le condizioni di vita disumane». Lei ne ha visitati molti, cosa ha visto? «Ho visto persone in condizioni di profonda alienazione, causa di frustrazione e risentimento alla base delle rivolte. Il Cie non è un carcere da un punto di vista giuridico, quindi la comunicazione con l’esterno dovrebbe essere consentita. Così non era in quello di Gradisca, dove avevano proibito l’uso dei cellulari, una decisione totalmente arbitraria. Anche il disegno architettonico dei Cie suggerisce l’idea della cattività, con quelle sbarre alte due-tre metri e quella dimensione di gabbia». Chi c’è in quelle “gabbie”? «Questa è l’incongruenza più atroce dei centri: non possono essere sottoposte allo stesso regime persone appena uscite dal carcere, che per giunta scoprono di dover subire la pena accessoria dell’espulsione, persone che devono ancora chiedere la protezione internazionale, altre che sono scappate dalle guerre, insieme ad altre ancora che hanno perso il lavoro e con esso il permesso di soggiorno. Tutti loro vivono nell’incertezza e si chiedono: perché sono qui? Quanto ci dovrò restare? E dove andrò dopo? Ecco il contesto di insensatezza dei Cie dove domina su tutto l’incertezza». Quale dovrebbe essere il ruolo dell’Europa? «Tutti i discorsi sull’accoglienza vanno ricondotti all’interno della Comunità europea. La posizione geografica dell’Italia non può diventare un handicap che deve affrontare da sola. Le politiche sull’immigrazione devono essere europee». Si parla di rivedere la Bossi-Fini, come? «Bisogna rovesciare l’ideologia di una legge nata col fine principale di escludere e respingere i flussi migratori. L’immigrazione va considerata un’opportunità di sviluppo. Ad esempio, si stima che 2 milioni di stranieri in Italia siano impiegati nella cura di minori e anziani. Ci siamo chiesti come potremmo fare senza di loro?»
Marzo 17th, 2017 — Carbone, General
da Il Piccolo del 23 agosto 2013 Pagina 37 – Gorizia-Monfalcone
«A2A costretta a rinviare il Piano»
«Il rinvio della presentazione al ministero del progetto di riconversione della centrale termoelettrica è un evidente segnale di riflessione da parte di A2A a fronte delle richieste del Comune e del territorio». Lo afferma il sindaco di Monfalcone Silvia Altran che, quindi, non si strappa le vesti dopola conferma, da parte della società, dello slittamento dei tempi per la presentazione al ministero dello Sviluppo economico e dell’Ambiente del nuovo progetto a carbone per l’impianto monfalconese. Tutt’altro, anche per il sindaco, come pure per il Comitato del rione Enel e i sostenitori del “No al carbone” questa è una mezza vittoria. «L’amministrazione comunale – ha dichiarato ieri il sindaco Silvia Altran – ha più volte ribadito la propria avversione all’ipotesi del ricorso al carbone, e ha già annunciato di volersi dotare di un gruppo di lavoro atto ad esaminare tutta la documentazione che A2A intendesse presentare. E lo faremo, come abbiamo peraltro comunicato nel recente incontro con il Comitato “No carbone”, col Wwf e con Legambiente, dotandoci di un pool di esperti che ci possa supportare nell’analisi dei dati, in modo da poter giudicare, nel più corretto dei modi, quali saranno le soluzioni che meglio tutelano la cittadinanza. «Disporre delle migliori professionalità – continua il sindaco Altran – ci darà la garanzia di essere un interlocutore di cui A2A dovrà tenere assolutamente conto. Il nostro metodo di lavoro è sempre stato improntato alla massima serietà, alla volontà di dialogare con tutti gli interessati, ma senza cedere all’emotività del momento, poiché il percorso potrebbe essere lungo ed articolato. Al momento rileviamo l’aspetto positivo della richiesta presentata da A2A per la costruzione del denitrificatore che sicuramente assicurerà una riduzione degli inquinanti prodotti dalla centrale nel suo assetto attuale. I primi risultati si sono già visti ma, come ho già detto di recente, ciò non farà venire meno l’attenzione che abbiamo sempre avuto per il benessere del nostro territorio». C’è da vedere se davvero la decisione di A2A di rinviare la presentazione del piano a fine anno, con tre mesi di ritardo quindi rispetto alla data annunciata, sia tale da lasciar intravvedere un’ulteriore riflessione da parte dell’azienda che, da parte sua, ha già compiuto alcuni passi, come il deposito al ministero dell’Ambiente dell’istanza per ottenere l’autorizzazione a procedere con l’ambientalizzazione dei gruppi 1 e 2 a carbone, previsto nell’Aia. La stessa A2A, nel confermare lo slittamento dei tempi per il suo Piano carbone, ha spiegato che ciò è dovuto al fatto che, dallo stesso ministero, sono state chieste ulteriori integrazioni, «tali da prevedere tempi aggiuntivi. Il nostro progetto – ha ribadito A2A – non cambia, le procedure andranno avanti come reso noto in più occasioni».
da Il Piccolo del 20 agosto 2013
A2A rinvia il piano-carbone Il fronte del no: una vittoria
Gherghetta: «Rispetto del territorio». Moretti (Pd): «Non intendiamo mollare» Bernardel (Rione Enel): «Voglio augurarmi che sia un modo per riflettere»
Slittano i tempi per la presentazione al ministero dello Sviluppo economico e dell’Ambiente del nuovo progetto a carbone per la centrale termoelettrica. Rispetto al mese di settembre, secondo l’ultima indicazione fornita da A2A, il piano sarà depositato entro la fine dell’anno. È questo il dato riferito dall’azienda, che ha invece già presentato al ministero dell’Ambiente l’istanza per ottenere l’autorizzazione a procedere con l’intervento di ambientalizzazione riguardante i gruppi 1 e 2 a carbone, previsto nell’Aia dell’impianto.
Si tratta in questo caso del completamento della procedura attraverso l’avvio dell’iter legato alla realizzazione del “denox”, un impianto di denitrificazione che, mediante un processo chimico, abbatte sensibilmente le emissioni di ossido di azoto nell’aria. Per questo passaggio autorizzatorio, si apre la fase di assoggettabilità del nuovo impianto alla Valutazione di impatto ambientale.
Per quanto riguarda, invece, il nuovo piano a carbone, si parla dunque di un allungamento dei tempi. Una dilatazione di fatto tecnica, hanno spiegato dall’azienda, alla quale dallo stesso ministero hanno richiesto ulteriori integrazioni al piano, comportando pertanto tempi aggiuntivi. Il progetto sostanzialmente, è stato ribadito, non cambia, le procedure andranno avanti come reso noto in più occasioni. Ma è necessario che il piano abbia tutti i crismi per poter essere autorizzato. L’azienda ha ribadito comunque una valutazione e un approccio globale a questo importante intervento, assicurando la contestuale attenzione nel ridurre al massimo gli impatti sul territorio.
La notizia dello slittamento, intanto, è stata raccolta con favore dal “fronte del no” al “tutto carbone” per la centrale. Interpretata anche come una sorta di “riflessione”, a fronte delle prese di posizione sollevate dal territorio.
Il presidente dell’associazione Rione Enel, Adriano Bernardel, ha commentato: «Se effettivamente la presentazione del progetto a carbone slitterà nel tempo, avremo modo di poter ragionarci sopra e confrontarci. Voglio augurarmi che le resistenze provenienti dal territorio, non solo cittadino ma mandamentale, inducano l’azienda a riflettere sul futuro della centrale. I motivi possono essere diversi, tuttavia, potrebbe essere un’occasione per giungere a qualche ripensamento. Del resto – ha aggiunto Bernardel -, ci siamo sempre battuti affinchè non si persegua la via del carbone, optando piuttosto per il gas oppure per le fonti alternative. Non possiamo ora che attendere lo sviluppo degli eventi».
Il presidente della Provincia, Enrico Gherghetta, da parte sua, ha osservato: «Credo che A2A abbia assunto un atteggiamento di rispetto nei confronti del territorio. Del resto, hanno già avviato il processo per la realizzazione del “denox”. Mi sembra una scelta giusta procedere un passo alla volta, prima di concentrarsi sul futuro della centrale, anche se ritengo che un ripensamento da parte dell’azienda sarebbe opportuno».
Il consigliere regionale Diego Moretti ha argomentato: «Non ho elementi ufficiali circa questo slittamento dei tempi. La sensazione, come mi auguro, è quella che l’azienda possa riflettere sulle proprie intenzioni. Certo è che non intendiamo demordere, rimaniamo comunque contrari al progetto “tutto carbone” per la centrale».
Marzo 17th, 2017 — General, No OGM
BIODIVERSITA’ PER LA SOVRANITA’ ALIMENTARE
STATO E REGIONE CI STANNO INGANNANDO!!
Mentre la maggior parte della società civile (8 italiani su 10) si dichiara contraria agli organismi geneticamente modificati (OGM),
il governo italiano e la regione FVG, dichiarandosi falsamente contrari, hanno adottato dei provvedimenti che, di fatto, apriranno le porte alle coltivazioni transgeniche sul territorio nazionale e regionale.
Il governo ha emanato un decreto di natura provvisoria e precaria che impedirà per qualche mese la coltivazione del solo mais ogm Mon810, lasciando poi alle regioni il compito di applicare le norme per la coesistenza tra le coltivazioni transgeniche, biologiche e tradizionali. Nel frattempo, Monsanto ha pronte per la commercializzazione sementi brevettate con altri marchi aggirando di fatto il decreto.
La regione, per prima, ha già modificato la legge regionale che vietava la coltivazione degli OGM, togliendo il divieto ed introducendo le clausole per la coesistenza tra le colture.
Queste scelte, estremamente pericolose per la salute di tutti i viventi e l’ecosistema, vanno subito contrastate!!
E’ urgente promuovere un sistema agroalimentare rispettoso delle risorse ambientali, destinato ai reali bisogni del genere umano e non ai profitti delle multinazionali, sulla base del principio della sovranità alimentare e della tutela della biodiversità.
Di conseguenza le colture transgeniche coltivate illegalmente sul territorio friulano e lasciate impunemente maturare come tre anni fa, sono lesive dell’ambiente e del diritto alla salute e, pertanto, ne chiediamo la loro immediata distruzione.
PER QUESTI MOTIVI DOMENICA 1 SETTEMBRE ALLE ORE 10,00 VIENE INDETTO UN PRESIDIO PRESSO L’AREA CIRCOSTANTE IL CAMPO COLTIVATO A MAIS OGM A VIVARO (PN) IN CUI:
-
PROMUOVEREMO LA NECESSITÀ DI UN NUOVO MODELLO AGRICOLO;
-
CHIEDEREMO CHE LE COLTURE TRANSGENICHE PRESENTI SUL TERRITORIO FRIULANO SIANO IMMEDIATAMENTE DISTRUTTE (se le istituzioni preposte non interverranno, dovrà pensarci la società civile stessa?)
il COORDINAMENTO PER LA TUTELA DELLA BIODIVERSITÀ
Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
Dalla Tenda per la Pace e i diritti
24 agosto
Arriviamo questa mattina con dei familiari del ragazzo che da due settimane è in come, dopo esser caduto dal tetto del CIE.
Uno dei due è un cugino di primo grado, l’unico familiare stretto in Italia. La famiglia, dal marocco, gli ha chiesto di precipitarsi qui per avere le notizie precise che continuano a mancare.
Ma il medico responsabile della terapia intensiva dice no: c’è un ordine della direzione sanitaria in accordo con la questura per il quale le uniche notizie vengono date attraverso la polizia.
Ci fornisce un numero: quello dell’ “ispettore del CIE”. Un capolavoro.
Invece non può esser così.
Il cugino ha il diritto di sapere. Lo stabilisce la circolare interministeriale (Min. Int e Min. Semplificazione) del 12/4/2012 stabilisce che un cittadino straniero regolarmente soggiornante può autocertificare il proprio gradi di parentela.
A questo punto la ripsosta è che si tratta “solo” di un cugino.
Ma l’art. 82 del codice sulla privacy stabilisce che non fa differenza, che l’ospedale ha l’obbligo di cercare il contatto, e dare notizie, anche a “famigliari” quando i parenti stretti non siano disponibili.
Minacciamo una denuncia ai carabinieri, cominciamo a chiamare Il Piccolo.
Alla fine dopo varie pressioni il cugino ad avere le informazioni sullo stato di salute del ragazzo.
Dal piccolo del 25/08/13
Gherghetta attacca sul Cie: «Non decida solo lo Stato»
di Luigi Murciano GRADISCA «Un’eventuale commissione di controllo sul Cie non dovrà essere composta soltanto da funzionari dello Stato». E’ chiara la posizione della Provincia di Gorizia in merito alle prossime mosse da compiere nella battaglia per il superamento o la chiusura del centro di identificazione ed espulsione di Gradisca. L’ente presieduto da Enrico Gherghetta ha partecipato all’incontro istituzionale di venerdi al municipio di Gradisca con la vicepresidente Mara Cernic e l’assessore Federico Portelli, sposando in toto la linea pro-chiusura del governo Serracchiani. «Se, come già avvenne con i governi Monti e Amato, dovesse giungere a un approfondito esame delle problematiche del Cie di Gradisca attraverso una commissione governativa – ha esordito Cernic – non sarebbe corretto che questa fosse formata esclusivamente da funzionari statali come avvenuto con la commissione istituita dall’allora ministro Cancellieri. Si dia spazio alle rappresentanze politiche, a quanti lavorano nei centri e alle realtà che conoscono la realtà dell’immigrazione. Bisogna restituire centralità – ha proseguito Cernic – alle persone ospitate in queste strutture, garantire loro il rispetto di diritti universali. Dopodichè è giusto diversificare risposte e tempistiche: l’immigrato che ha avuto un ruolo nella nostra società, e magari si è visto perdere il lavoro o scadere un documento, non puo’ essere assimilato a quello che ha avuto dei precedenti penali e attende il rimpatrio». Intanto nel dibattito sul futuro del Cie interviene anche l’on.Savino (Pdl), contraria a qualunque superamento della legge Bossi-Fini sull’immigrazione. «Sarebbe un atto irresponsabile, che non farebbe altro che aggravare una situazione già adesso d’emergenza: l’aumento degli sbarchi sulle nostre coste unita alla crisi generalizzata rischia di fare da innesco ad un clima di conflittualità sociale di cui l’Italia non ha bisogno. Per non parlare della sicurezza. Approfittare di quanto sta accadendo a Gradisca per rilanciare un approccio buonista all’immigrazione non mi pare una scelta particolarmente lungimirante». Torna a farsi sentire anche il Sap, sindacato autonomo di polizia, che in una nota esorta gli amministratori a prendere posizione: «Se non piace la legge, si studi una diversa soluzione. Colpisce che dal confronto politico di Gradisca sia uscita principalmente una richiesta di chiusura del Cie – è il parere del segretario provinciale Angelo Obit – e non una richiesta di efficienza. Gli immigrati protestano per i lunghi tempi di trattenimeno nei Cie? Hanno ragione. Ma la soluzione non può che essere un intervento con le autorità consolari, svolgendo i colloqui a Gradisca e facendo pressioni perchè le procedure di idenficazione siano celeri».
24/08/13
La Regione accelera sulla chiusura del Cie
di Stefano Bizzi GRADISCA «È tempo di ripensare il sistema di identificazione e questi luoghi di transizione». Una lettera congiunta firmata da Regione e Comune di Gradisca sarà inviata nei prossimi giorni al governo Letta per segnalare a Roma la necessità di un intervento importante e di un’approfondita revisione del Cie di Gradisca che vada in direzione della sua chiusura. Ieri mattina ospite a Palazzo Torriani del sindaco Franco Tommasini insieme alla sua giunta e ai parlamentari del Friuli Venezia Giulia (oltre ai consiglieri regionali e ai rappresentanti della Povincia di Gorizia), la presidente Debora Serracchiani ha ribadito la sua posizione di netta contrarietà alla struttura di via Udine. Sposando l’appello lanciato nei giorni scorsi da un operatore del centro immigrati isontino – esasperato per quanto sta accadendo all’interno del Cie -, la governatrice ha chiesto alle forze politiche di tutti i colori e di tutti i livelli di superare le ideologie di parte e lasciare perdere le strumentalizzazioni. La questione immigrazione va risolta alla radice. Non può più essere solo un terreno di scontro fertile per ogni tipo di battaglia. «Avremo valutazioni politiche diverse, ma è il momento di rivedere la legge sull’immigrazione adeguandola all’Europa», ha detto Serracchiani parlando di “cortocircuiti” del sistema. «Il Cie – ha ribadito – colpisce le persone per quello che sono, non per quello che fanno». Al loro interno vengono trattenuti individui con storie di immigrazione diverse: lavoratori stranieri che, per la crisi, hanno perso il lavoro e non hanno più potuto rinnovare il permesso di soggiorno dividono gli spazi con criminali veri e propri. «Tutti in un’unica realtà: è ovvio che la situazione difficilmente diventa gestibile. La Regione e il Comune di Gradisca scriveranno al governo in maniera congiunta». L’obiettivo finale è la chiusura della struttura ricavata all’interno dell’ex caserma Polonio. «L’esecutivo deve tenere contatti con gli enti territoriali. A questo sito si deve prestare attenzione particolare. Le nostre richieste devono coprire tutte le ipotesi. Anche la chiusura». Posizione differente invece per quanto riguarda il Cara, l’attiguo centro immigrati dove trovano ospitalità i richiedenti asilo. Quello sposa la filosofia del Friuli Venezia Giulia: l’accoglienza. La governatrice ha assicurato d’essere in contatto con il sottosegretario agli Interni con delega all’Immigrazione Domenico Manzione. «Ho parlato con lui e l’ho informato chiedendogli un intervento. Mi ha chiesto un approfondimento. Ho già acquisito diverse informazioni e nei prossimi giorni ci risentiremo». Nel corso del vertice di Gradisca, ai parlamentari del Fvg la presidente Serracchiani ha quindi chiesto di fare da mediatori e coinvolgere il governo su un tema nei confronti del quale «è necessario tenere alto il livello d’attenzione». Del fronte comune non farà sicuramente parte la Lega Nord. Il governatore veneto Luca Zaia, nelle stesso giorno in cui ha ribadito la totale intesa con la collega del Fvg sul progetto della Tav, ha piazzato un secco altolà alla chiusura del Cie di Gradisca. Premettendo di non voler «interferire in alcun modo con l’azione della vicina Regione», l’ex ministro del Carroccio ha confermato che la legge Bossi-Fini non è da modificare. Duro anche Massimiliano Fedriga, responsabile del dipartimento Welfare della Lega Nord: «Il Cie di Gradisca non va chiuso, ma reso sicuro e più controllato per non permettere a nessuno di poter anche solo pensare di scappare»
«La nostra parte l’abbiamo fatta Ora tocca ad altri dare risposte»
di Luigi Murciano GRADISCA «Umanizzazione immediata del Cie», «superamento o revisione della Bossi-Fini». Ma anche la consapevolezza che con l’attuale scenario politico la partita non sarà affatto semplice. Non si fanno troppe illusioni i parlamentari e i consiglieri regionali convenuti a Gradisca per il vertice Debora Serracchiani fortemente voluto dal sindaco della cittadina isontina già prima delle tensioni delle ultime due settimane. Sindaco che, nell’amministrazione regionale, ha trovato un alleato. «Credo che, rispetto al passato, il dibattito sul Cie parta finalmente da una posizione diversa – afferma Franco Tommasini -. Tutti i soggetti coinvolti hanno riconosciuto la necessità di agire per arrivare a un superamento di queste strutture. Per noi l’obbiettivo rimane la chiusura, anche se illusioni non ce ne facciamo più. Di certo la comunità di Gradisca ha dato molto in termini di assunzione di responsabilità nei confronti dello Stato e i suoi cittadini hanno pagato cara questa generosità sotto il profilo della percezione della sicurezza. Ma stiamo dando molto anche sotto l’aspetto dell’integrazione – ha rivendicato -. Proprio per questo la nostra cittadina non può più essere lasciata da sola». Un messaggio rivolto chiaramente ai tanti politici riuniti a Palazzo Torriani. Nessun parlamentare del Pdl e della Lega(a rappresentare il centrodestra solo il consigliere regionale Ziberna), tocca quindi a Pd e Sel dettare i tempi del vertice, mentre i 5 Stelle si limitano ad ascoltare e prendere nota. Fra i parlamentari è il senatore Carlo Pegorer (Pd) a rompere il ghiaccio: «Il Cie di Gradisca- dice – è la prova oggettiva del fallimento della Bossi-Fini. Non si può affrontare il problema dell’immigrazione soltanto sotto il profilo della sicurezza». Critico verso la norma, ma consapevole delle difficoltà di modificarla presto, anche il deputato Gian Luigi Gigli di Scelta Civica: «In questo momento il superamento della Bossi-Fini mi pare quantomeno poco realistico. Dobbiamo concentrarci sull’umanizzazione del centro». Per Gianna Malisani del Pd «questa politica sull’immigrazione non ha prodotto alcun beneficio. Assurda, poi, la difformità di regolamenti fra i diversi Cie italiani». Al democratico Giorgio Brandolin è toccato il compito di ricostruire la storia del Cie isontino. «Anche se avrebbe potuto rifiutarsi, come già aveva fatto il Comune di Gorizia, la comunità gradiscana aveva dato la propria disponibilità a un altro tipo di centro, deputato alla sola prima accoglienza. Poi le carte in tavola sono cambiate. Da allora sindaci, prefetti e questori che si sono alternati in questi 13 anni sono stati lasciati soli. Non dimentichiamo – ha scandito Brandolin – che il 90% degli ospiti del Cie nulla ha a che fare con i disperati che sbarcano a Lampedusa. Là dentro non ci sono ancelle della gioventù». «In 13 anni – afferma Rodolfo Ziberna – non un solo episodio di intolleranza si è verificato a Gradisca. Ma non ci si illuda che chiudendo un Cie il problema-immigrazione svanisca. Dobbiamo imporci con l’Ue per avere delle garanzie a livello finanziario e legislativo». «Ciò che ho visto – spiega Francesco Russo del Pd, che la situazione al Cie l’ha vista dall’interno – mi spinge a dire che bisogna rimboccarsi le maniche e lavorare a una soluzione che ponga fine alle difficoltà sia del personale che lavora all’interno del Centro sia degli immigrati senza pregiudicare la sicurezza della comunità e il controllo dell’immigrazione clandestina». Quindi le esponenti del Sel: per l’assessore Loredana Panariti «le condizioni di trattenimento del Cie sono inumane a prescindere dagli eventuali precedenti degli ospiti», mentre secondo la parlamentare Serena Pellegrino «Regione e Provincia devono essere vigili sul territorio e effettuare un lavoro di pressione nei confronti del governo. Il Cie è peggio di un carcere». Pellegrino ha ringraziato le associazioni che da anni monitorano le condizioni di vita all’interno dei centri. Associazioni che avrebbero voluto prendere la parola ma sono state invitate da Serracchiani a rispettare «il carattere meramente istituzionale» del vertice, con la promessa di un successivo incontro.
Marzo 17th, 2017 — General, Gruppo Ecologia Sociale
Tepee in Tal Parco 2013 ( Vonde Ploje. L’an cal ven o turnin a fa le fieste il mes di lui !!)
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Marzo 17th, 2017 — General, Tracciati FVG
Il Piccolo 28 agosto 2013
Del Bello: «Opzione zero per la Tav»
«Tav: opzione zero. Vincente l’ipotesi di potenziamento della linea esistente, comprensiva di previsioni di adeguamenti locali (Bivio di San Polo, curvone di Latisana, risagomatura gallerie carsiche) ove tale linea sia palesemente insufficiente».
Ad affermarlo è monfalconese Fabio Del Bello, consigliere provinciale nelle fila del Pd. Secondo Del Bello va riparametrata l’analisi multicreri inserendo inserendo tra i criteri la valutazione della frammentazione ecologica, territoriale e idraulica, rivedendo il criterio del valore percentuale dei tratti di interferenza rapportato alla lunghezza totale e rivalutando la media pesata con parametri più aderenti ai tipi di habitat (soprattutto il Carso) e al loro grado di fragilità.
Del Bello: «Ritengo la battaglia contro il progetto preliminare della nuova linea ad alva velocità e capacita ferroviaria Venezia-Trieste sostenuto dai bigpolitici degli opposti schieramenti(Illy-Sonego, Tondo-Riccardi, Serracchiani-D’Alema), vinta! Se dalla attuale Giunta regionale dovessero residuare ancora tardive speranze e soprattutto se si dovesse ancora fantasticare sul tratto ipogeo Monfalcone-Trieste, chiederò alla presidente della Regione Serracchiani un pubblico confronto a Monfalcone dove i danni della Tav sarebbero immani».
Nel frattempo nella Commissione provinciale Trasporti/Logistica, presideuta dallo stesso del Bello, ai primi di settembre saranno depositati due elaborati volti a comporre un disegno logistico di Area vasta finalizzato a dare adeguate e ragionevoli risposte al traffico passeggeri e soprattutto all’Alta capacità ferroviaria per i porti (con particolare riferimento a quello di Monfalcone considerato la principale leva di sviluppo dell’intero Isontino).
Marzo 17th, 2017 — General, No OGM
Dal Messaggero Veneto del 28/08/13
Mais transgenico In Friuli altri campi seminati a Ogm
La denuncia arriva dalle associazioni ambientaliste E intanto spunta anche la grana dei costi per le analisi
Sopralluogo ai terreni di Vivaro
Domani alle 12 l’eurodeputato Andrea Zanoni del Gruppo Alde effettuerà un sopralluogo al campo di mais Ogm a Vivaro. Ha scritto alla presidente regionale, Debora Serracchiani affinché le coltivazioni di mais Mon 810 presenti in regione siano distrutte: «Devono essere anche attivate tutte le autorità al fine di controllare e monitorare eventuali e potenziali contaminazioni in atto e future – dichiara Zanoni – causate da queste coltivazioni tramite polline ma anche tramite i tessuti vegetali che rimarranno nel terreno». (m.m.)
Sono molto più di tre i terreni seminati a mais transgenico in Friuli Venezia Giulia. La denuncia arriva dalle associazioni ambientaliste (Aiab-Fvg, Aprobio, Isde, Legambiente e Wwf) che, con una lettera inviata al vicepresidente della Regione Sergio Bolzonello, non solo dichiarano che sono avvenute semine di Mon 810 ad aprile oltre che a giugno, ma segnalano anomalie nella tenuta del pubblico registro delle notifiche di semina di mais Mon810: «La normativa prevede che l’albo delle notifiche sia pubblico e abbia la massima divulgazione – precisa Emilio Gottardo di Legambiente – in modo da permettere agli agricoltori della zona di semina di tentare di minimizzare le contaminazioni». «Invece – continua Roberto Pizzutti di Wwf – solo ora, dopo aver fatto richiesta di accesso al registro pubblico, siamo venuti a conoscenza di semine Ogm effettuate già ad aprile (oltre a quelle più note di giugno), verso le quali ormai non si può mettere in pratica nessuna misura di tutela». L’attenzione si sposta sull’associazione Futuragra, che non nega ma nemmeno conferma. «Sicuramente ci sono molti agricoltori che sono in regola con le direttive europee e non da oggi – dice il vicepresidente dell’associazione di Vivaro, Silvano Dalla Libera -. Di più non posso dire, è prematuro». Ma di più non serve: chi semina, in base alle direttive, deve denunciare la semina al registro. «Quello che speriamo è che quest’anno possa essere davvero l’anno di svolta per gli agricoltori – auspica il vicepresidente di Futuragra – ma anche per molti scienziati, altrimenti tanta gente chiuderà l’azienda e se ne andrà all’estero. Nessun Paese ha, come l’Italia, un ministero per la distruzione dell’agricoltura. Ad eccezione di De Castro, e in parte di Galan, gli altri ministri non hanno fatto altro che aumentare burocrazia e divieti». Dalla Libera è convinto che quest’anno ci sarà la svolta «anche perché avremo per la prima volta i risultati scientifici». Ciò vuol dire – non lo dice Dalla Libera ma è implicito – che non è stato solo Giorgio Fidenato a sperimentare le colture. I raccolti non Ogm secondo le associazioni sono a rischio, perché i centri di raccolta non vogliono correre rischi. «Chi si farà carico di questi costi di analisi, separazione partite e perdita di valore commerciale? – chiede Sergio Pascolo di Aprobio – Qui le autorità debbono rendersi garanti di tutti i produttori e far coprire i costi dell’operazione a chi ne ha comportato le cause». Le associazioni sollecitano la Regione «affinchè non si lasci imbrigliare dai lacciuoli giuridici paventati dai pro-Ogm, nè sia impaurita dalla loro aggressività, ma faccia tutto ciò che serve, ed in tempi utili, affinché la regione rimanga davvero libera da Ogm». Martina Milia
Coltivazioni Ogm, ambientalisti all’attacco
Dal Piccolo del 28/08/13
«Seminato in gran segreto ad aprile altro mais geneticamente modificato». Oggi presidio a Vivaro”
TRIESTE Semine di mais Mon 810 Ogm sono state effettuate in Friuli Venezia Giulia nel mese di aprile, oltre a quelle già note del mese di giugno. La denuncia arriva dalle associazioni ambientaliste Aiab, Aprobio, Legambiente, Isde e Wwf, che lamentano anomalie nella tenuta del registro pubblico delle notifiche di semina. «La normativa prevede che l’albo delle notifiche sia pubblico e abbia la massima divulgazione – precisa Emilio Gottardo di Legambiente – in modo da permettere agli agricoltori della zona di semina di tentare di minimizzare le contaminazioni». «Invece – continua Roberto Pizzutti del Wwf – solo ora, dopo aver fatto richiesta di accesso al registro pubblico, siamo venuti a conoscenza di semine Ogm effettuate già ad aprile, verso le quali ormai non si può mettere in pratica nessuna misura di tutela». A ciò, affermano ancora le associazioni ambientaliste, si aggiunge il fatto che stanno iniziando le raccolte di tutti i produttori della zona di Vivaro e di Mereto di Tomba che vogliono qualificare le proprie produzioni come “non-Ogm” (non solo i biologici quindi ma anche chi conferisce a mangimifici con filiere dedicate). I raccolti sono a rischio, perchè i centri di raccolta comprensibilmente non vogliono correre rischi. «Chi si farà carico di questi costi di analisi, separazione partite e perdita di valore commerciale? – chiede Sergio Pascolo di AproBio -. Qui le autorità devono farsi garanti di tutti i produttori e far coprire i costi dell’operazione a chi ne ha comportato le cause». Di qui, dunque, il pressing sulla Regione affinchè «non si lasci imbrigliare dai lacciuoli giuridici paventati dai pro-Ogm, ma faccia tutto ciò che serve, ed in tempi utili, affinchè il Fvg sia davvero “Ogm free”». Un’identica richiesta arriva anche dall’eurodeputato Andrea Zanoni (Democratici liberali), che ha scritto alla presidente Debora Serracchiani, per chiedere di adottare un provvedimento affinché le coltivazioni di mais Ogm Mon 810 presenti in Friuli Venezia Giulia vengano immediatamente distrutte. Lo comunica lo stesso europarlamentare, che proprio oggi sarà a Vivaro, dove il coltivatore Giorgio Fidenato ha seminato mais Ogm. «Una scelta – aggiunge Zanoni – che viola la legge per cui è necessario provvedere rapidamente alla distruzione dei campi contaminati».
Dal Piccolo del 27/08/13
Domenica una protesta contro gli ogm
UDINE Domenica primo settembre alle 10 a Vivaro di Pordenone ci sarà un presidio vicino al campo coltivato a mais Ogm, organizzato dal coordinamento sorto a tutela della bidiversita in Friuli Venezia Giulia. La manifestazione è volta ad «applicare la legge regionale e per la distruzione immediata di ogni coltura transgeniche coltivate illegalmente sul territorio friulano e lasciata impunemente maturare come tre anni fa». La coltivazione ogm è ritenuta «lesiva dell’ambiente e del diritto alla salute» e pertanto, ne viene chiesta l’immediata distruzione. Gli esponenti del coordinamento domenica chiederanno che il territorio friulano venga «definito ogm-free, come previsto dai regolamenti comunitari: che le colture trasgeniche presenti sul territorio di tutto il Friuli siano immediatamente distrutte». (m.c.)