Nuova rivolta e fuga in massa al Cie di Gradisca (agg.04/12)

 

Dal Piccolo del 04/01/13

Caccia ai sette evasi dal Cie di Gradisca

Nessuna traccia degli ospiti scappati dopo la rivolta. Tensione all’interno del centro. Gli agenti denunciano scarsa sicurezza

di Luigi Murciano

GRADISCA. Si taglia ancora con il coltello la tensione al Cie di Gradisca, teatro l’ultimo giorno dell’anno di una sommossa generata da una ventina di immigrati e culminata con l’evasione riuscita di sette ospiti. Mentre proseguono le verifiche interne sul come i clandestini si siano procurati le chiavi grazie alle quali sono riusciti a lasciare le camerate della zona blu sino a raggiungere il magazzino e quindi il piazzale, scenario dello scontro con le forze dell’ordine, ieri al Cie si sono verificati alcuni episodi di autolesionismo. Alcuni stranieri, ma questa per operatori e agenti è quasi una routine, hanno ingoiato lamette e pezzi di vetro per ottenere il ricovero in ospedale e da lì tentare la fuga, operazione che statisticamente ha molte più possibilità di riuscita.

Dipendenti della Connecting People e poliziotti denunciano la pericolosità delle condizioni di lavoro e la sensazione di caos. I sindacati di polizia da tempo hanno fatto sapere che molte videocamere del sistema di sorveglianza pur guaste non sono mai state riparate: situazione che i rivoltosi della notte di San Silvestro, che hanno pianificato la sommossa nei dettagli, hanno dimostrato di conoscere bene “accecando” le telecamere ancora funzionanti.

La gravità della situazione riaccende il dibattito attorno alla discussa struttura di espulsione. Recentemente il consigliere regionale del Pd Franco Codega aveva denunciato le condizioni di trattenimento del Cie di Gradisca: «Non ci si pone la domanda del perché si assista con tanta frequenza a episodi di fuga: si risponde solo aumentando la repressione. Eppure basta visitare quel luogo e vedere come si vive là dentro: quattro ore di aria libera al giorno, in cortili racchiusi da gabbie di sbarre di acciaio come in uno zoo; divieto di mangiare in mense comuni; uso del telefono per soli 7 minuti ogni 10 giorni; somministrazione quotidiana di psicofarmaci per il 50% degli ospiti; mancanza totale di animazione sociale interna; persone al limite della tenuta psichica». Concetti espressi anche dai parlamentari Sarubbi (Pd) e Monai (Idv): «Segregazione oltre il buon senso e diritti negati agli ospiti». Dello stesso parere era stata anche la delegazione dell’Unione Camere penali: «Luogo di vera e propria detenzione amministrativa, peraltro proibita dal nostro ordinamento». Ma sul web le opinioni sembrano assai differenti: prevalgono dal più generico “gli stranieri se ne stiano a casa propria”, allo slogan “chiudiamo i confini”, passando per un raggelante “è ora di cominciare a sparare”, sino alla leggenda metropolitana per cui i clandestini “alloggiano in un hotel a cinque stelle e ricevono pure una diaria giornaliera”.

 

dal Messaggero Veneto

Nuova rivolta e fuga in massa al Cie di Gradisca

Sette maghrebini evadono utilizzando delle chiavi: ricercati. Al via un’indagine. Metà dei 70 immigrati chiusi nel centro hanno preso parte all’azione. Bottiglie piene di sabbia e sassi contro le forze dell’ordine

 

Nuova rivolta e fuga al Cie di Gradisca. Sette ospiti di nazionalità maghrebina sono riusciti a fuggire dopo aver aperto con le chiavi tre porte e scavalcato la rete di recinzione nella parte posteriore del centro immigrati. I sette sono fuggiti nella campagna approfittando dell’oscurità. Alla rivolta hanno partecipato trentacinque immigrati, la metà delle persone attualmente detenute all’interno della struttura. Gli immigrati hanno utilizzato contro le forze dell’ordine e gli operatori delle bottiglie piene di sassi e sabbia e hanno svuotato contro di loro alcuni estintori.

Attualmente la situazione è sotto controllo, resta alto l’allarme tra le forze dell’ordine incaricate di vigilare sul perimetro esterno della struttura. Sarà probabilmente avviata un’indagine sulle modalità della fuga: il fatto che i sette immigrati fossero in possesso di alcune chiavi rende infatti necessario scoprire come siano riusciti ad appropriarsene.


Rivolta al Cie evadono in sette dopo gli scontri

 

Messaggero Veneto GIOVEDÌ, 03 GENNAIO 2013 Pagina 20 – Gorizia

 

Rivolta al Cie, evasi sette maghrebini

Gradisca, venti i protagonisti della sommossa. Lanci di sassi contro le forze dell’ordine, due finanzieri al pronto soccorso

 

GRADISCA Ultimo dell’anno ad altissima tensione al Cie di Gradisca. Una pesante rivolta si è consumata nella struttura isontina di identificazione ed espulsione nella serata di San Silvestro. La sommossa ha avuto per protagonisti circa 20 immigrati, per buona parte di etnia maghrebina: di questi, ben 7 sono riusciti ad evadere. E almeno sino al tardo pomeriggio di ieri non si è avuta notizia di un loro ritrovamento. Solo per una fortunata casualità non vi sono stati contusi negli scontri causati dagli “ospiti” del Cie, che hanno bersagliato le forze dell’ordine con un fitto lancio di oggetti. Dalle ricostruzioni delle ultime ore, l’azione è parsa palesemente preparata nei minimi dettagli dagli immigrati. L’allarme sarebbe scattato attorno alle 20.30, quando un nutrito gruppo di clandestini è riuscito ad uscire dalle proprie camerate nella “zona blu” e a farsi strada nel ventre della struttura. Apparentemente lo hanno fatto senza incontrare alcuna resistenza da parte degli operatori: è stato anzi accertato che alcuni ospiti sarebbero addirittura riusciti a impossessarsi delle chiavi delle porte che separano le stanze dalla zona mensa e dall’area adibita a magazzino. Altre porte sono state forzate a calci. Giunti al magazzino i “rivoltosi” si sarebbero armati di tutto punto, mettendo le mani su alcuni grossi lucchetti e degli estintori. Altri evidentemente si erano preparati alla sommossa da giorni, riempiendo alcune bottiglie di plastica con sassi e sabbia da lanciare nei confronti degli agenti. Una volta raggiunto il piazzale esterno che guarda al vicino Cara, l’adiacente struttura per richiedenti asilo, la tensione ha raggiunto il suo climax. Poliziotti, militari e finanzieri deputati alla sorveglianza esterna sono stati raggiunti dagli oggetti lanciati dagli immigrati. Alcuni di loro hanno svuotato addosso alle forze dell’ordine il contenuto degli estintori: due uomini delle Fiamme Gialle sono stati visitati al Pronto Soccorso di Gorizia per escludere intossicazioni. Approfittando del marasma generale, sette nordafricani come detto sono riusciti a eludere la sorveglianza e – messisi alle spalle anche il Cara – sono riusciti a scavalcare l’alto muro di cinta e far perdere le proprie tracce nella campagna circostante. Ci sono volute alcune ore per ridurre gli altri rivoltosi a più miti consigli. Ma la tensione rimane alle stelle. Secondo i sindacati di polizia, che si occupano della vigilanza perimetrale, all’interno del centro regna l’anarchia. «L’impressione è che possa accadere nuovamente qualcosa da un momento all’altro – fa sapere Angelo Obit, segretario provinciale del Sap – È molto grave che alcuni ospiti siano stati trovati in possesso delle chiavi. Su questo andranno accertate le eventuali responsabilità, anche se sarà molto complesso. Di certo operatori e forze dell’ordine lavorano in condizioni ormai impossibili».

Monfalcone/ Centrale, si allarga il fronte del no alla prospettiva “tutto carbone”

da Il Piccolo VENERDÌ, 04 GENNAIO 2013 Pagina 24 – Gorizia-Monfalcone

Centrale, si allarga il fronte del no alla prospettiva “tutto carbone”

Il Collettivo per la difesa del litorale carsico ritiene questa «una scelta dettata esclusivamente dalla convenienza». Zotti (Prc): «Inaccettabile la decisione di abbandonare la conversione a metano»

La ricoversione a “tutto carbone” e biomasse della centrale termoelettrica non è l’unica strada percorribile, come A2A, «diessini di nuovo e vecchio conio» e «ambientalisti di regime» vogliono far intendere. Lo afferma il Collettivo per la difesa del litorale carsico che contesta che l’impiego del carbone sia, allo stato attuale, inevitabile. Il Collettivo toglie anche alcuni “meriti” ad A2A, come la decisione di dismettere i due gruppi alimentati a olio combustibile «imposta dall’Ue entro il febbraio del 2013. Mantenere a Monfalcone una produzione di oltre 1000 watt è inattuale, la crisi di sistema che ha colpito l’Europa rende scellerata una produzione di energia di quella portata, non esiste più mercato». Insomma, «l’azienda è stata costretta a ridurre la potenza per poter far fronte all’esigua richiesta». Secondo il Collettivo la scelta della soluzione a carbone e biomasse è dettata soltanto dalla convenienza: «Il materiale per la costruzione del nuovo impianto a carbone – afferma il Collettivo – è già in sede perchè importanti manufatti della parte a carbone preesistente vengono riutilizzati. È ipotizzabile dunque che, con il riutilizzo, il nuovo gruppo carbonifero costi molto meno dei 300 milioni di euro sbandierati dalla società». E poi, «che cifra viene finanziata della Cassa depositi e prestiti? Conoscendo la serietà delle aziende del nostro Paese si può pensar male e insinuare che la cifra, gonfiandola, si presta a essere scaricata sulla collettività?». C’è poi la questione dell’Autorizzazione integrata ambientale, «autorizzata dall’allora ministro Prestigiacomo», per l’utilizzo di rifiuti e biomasse da coogenerare con il carbone: «È arrivata al quinto anno – precisa il Collettivo – e deve essere ridiscussa». Ma anche nella discutibile Aia, afferma il Collettivo, si fa riferimento alla riconversione a gas dei gruppi a olio combustibile. Il mercato – continua – ha decimato il bisogno di energia ed è assodato che il carbone è il principale responsabile dell’inquinamento del pianeta. La decarbonizzazione è uno degli obiettivi principale della politica planetaria degli anni futuri». Secondo il Collettivo «la ridiscussione dell’Aia potrebbe dunque avere due strade: consentire alla società di proseguire con un nuovo gruppo alimentato a carbone di 320 Mw con biomasse e rifiuti o imporre, alla luce dei danni subiti dal territorio, la riconversione a gas e la sostanziale diminuzione della potenza come evidenziato dalla crisi economica». Pessimistica la conclusione del Collettivo: «Pensate che questa classe politica abbia intenzione di fare questo? I predicatori dell’inelluttabile fanno il loro lavoro di disinformazione e noi, che non possiamo permetterci il gas perchè le aziende che lo importano sono talmente corrotte da renderlo il più caro d’Europa, dobbiamo morire di carbone per i prossimi cinquant’anni». Una prospettiva, quella del carbone, avversata anche da Emiliano Zotti, segretario di Rifondazione Monfalcone-Staranzano. «Non è accettabile – afferma – che A2A abbia deciso unilateralmente di abbandonare il progetto di riconversione a metano della centrale elettrica di Monfalcone, come non è accettabile l’ipotesi di perdita dei posti di lavoro nel caso tramonti l’ipotesi del “tutto carbone”. Inutile in questo contesto vantare un percorso trasparente di dialogo con le istituzioni se le premesse sono sbagliate e se il risultato del confronto è sottoposto a ricatto. Le privatizzazioni sono state un errore, l’ambiente e il lavoro si tutelano nazionalizzando il settore energetico. A2A sostiene che la decisine di non convertire la centrale a metano è legata ai costi del progetto. La società non ritiene conveniente per il suo bilancio economico l’uso del metano. Il metano, però, è attulamente la fonte energetica fossile meno impattante per il territorio. Siamo di fronte a un dilemma, se far prevalere gli interessi del privato o quelli dei cittadini. Fonte del problema è il fatto che, incomprensibilmente, la produzione di energia elettrica in Italia non sia considerata un settore strategico e quindi abbandonata al mercato».

UDINE/ Volantinaggio antifascista

salme-salame
Report. Distribuiti quasi un migliaio di volantini con la partecipazione di circa una trentina di attivist* molto ben organizzat*.


Razzismo ad Udine.

Sabato 12 gennaio a Udine è il turno dell’ MSI-fiamma tricolore che, di fronte ad una società sempre più multietnica, vorrebbe agitare ideologie e soluzioni di “purezza razziale”. Udite! Udite! E’ arrivato il “Sal(a)mè Ungherese”. Ci chiediamo: ma non è già abbastanza contento il neofascista Stefano Salmè, del grado d’inciviltà che ufficialmente viene riconosciuto all’Italia? Perché mai importare anche schifezze dall’estero come la “soluzione ungherese” sul problema dell’immigrazione? Eppure la verità è chiara e ufficiale: ad esempio proprio in questi giorni la UE ha condannato e multato l’Italia per la condizione carceraria inumana in cui sono rinchiusi oltre 65.000 detenuti.

News/News/News

La questura ha vietato il presidio antifascista.


I fascisti dell’ MSI-fiamma tricolore hanno revocato il loro presidio in Piazza della Repubblica (rimane la conferenza sul “salame ungherese” all’Hotel Cristallo)


Noi comunque manteniamo l’appuntamento per il nostro volantinaggio in Borgo Stazione

per sabato 12 gennaio inizio ore 14.30

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CIE DI GRADISCA: sempre più nel caos

Dal Piccolo del 11/01/13

Ennesima proroga dell’appalto di gestione del Cie

GRADISCA D’ISONZO Scadeva ieri l’ennesima proroga alla gestione del Cie e del Cara di Gradisca alla Connecting People. Una situazione che si trascina ormai dal gennaio di due anni fa. Proprio così: è dal dicembre del 2010 che la Prefettura di Gorizia, per conto del Ministero dell’Interno, prolunga la gestione del consorzio cooperativistico siciliano di dieci giorni in dieci giorni. Una situazione che è figlia di due grandi incertezze: quella riguardante la gara d’appalto che avrebbe dovuto mettere in palio la gestione delle due strutture per immigrati dal 2011 al 2014 – e che è invece finita nelle aule di tribunale – e quella relativa all’indagine della Procura di Gorizia nei confronti della stessa Prefettura e dell’ente gestore per presunte anomalie nelle fatturazioni e nelle dichiarazioni relative alle presenze degli ospiti. In mezzo, come raccontavamo ieri, le incertezze degli operatori. Neanche ieri i dipendenti di Cie e Cara – una settantina – hanno ricevuto le tredicesime relative all’anno appena conclusosi. E che sarebbero loro spettate entro il 31 dicembre del 2012. Non passa giorno senza che qualche lavoratore contatti il nostro giornale per segnalare la situazione di grave incertezza. Fra una settimana scade il termine per l’erogazione dei nuovi stipendi e il timore degli operatori è che si rinnovi la situazione che li ha visti senza salario per 4 mesi, da agosto a dicembre. Ma le loro inquietudini non si fermano qui. Vorrebbero sapere chi sarà il loro prossimo datore di lavoro. Apparentemente il Consiglio di Stato ha dato ragione a Connecting People: confermando il parere del Tar, i giudici hanno dichiarato illegittima la vittoria della cordata capeggiata dalla società francese Gepsa. Ma le motivazioni della sentenza non sono ancora state depositate e non è chiaro se la gara d’appalto dovrà essere ripetuta o se si debba procedere con l’affidamento (o riaffidamento) definitivo della gestione alla coop di Trapani. L’Avvocatura dello Stato di Trieste, con proprio parere, si era espressa in questo senso. Ma anche in questo caso i dipendenti temono che non vi sia troppo da festeggiare: la Connecting People che ha partecipato a quell’appalto del 2011 non è tecnicamente la stessa compagine sociale che è in sella al Cie dal 2008: pertanto potrebbe rivedere gli organici e non rispondere di eventuali pendenze pregresse dell’attuale società. Sullo sfondo, si diceva, l’indagine della Procura di Gorizia che ha segnato profondamente il rapporto fra Prefettura e Connecting People. Dei suoi sviluppi, che avevano portato ad ipotesi di reato quali falso ideologico, truffa allo Stato e persino corruzione per ora non si è più saputo nulla. E l’impressione è che finchè non sarà dipanata anche quella matassa, al Cie si continuerà a navigare a vista. Di dieci giorni in dieci giorni. Luigi Murciano

 

 

 

dal Piccolo del 09/01/13

Pronto soccorso invaso dagli ospiti del Cie

GORIZIA Pronto soccorso di Gorizia costantemente in tilt a causa degli ospiti del Centro immigrati, protagonisti di episodi di autolesionismo. E d’ora in avanti si rischia che le porte saranno chiuse per le ambulanze provenienti da Gradisca d’Isonzo. Dunque, il Pronto soccorso letteralmente messo in ginocchio dai continui ricoveri degli ospiti del Cie. È in corso una statistica sull’incidenza degli immigrati del Centro nel contesto dell’attività di emergenza del reparto del San Giovanni di Dio di Gorizia. E i risultati – se preoccupanti come si teme – potrebbero essere sottoposti presto dall’Azienda per i servizi sanitari agli enti competenti, a partire dalla Prefettura. Anche se di dichiarazioni ufficiali il primario del Pronto soccorso di Gorizia, dottor Giuseppe Giagnorio, non intende farne, la complessità della situazione è ormai sotto gli occhi di tutti. Le continue tensioni al Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca sono un vero e proprio allarme che si riverbera anche sull’ospedale civile. E costringono il Pronto soccorso ad un surplus di lavoro, a volte molto difficile da gestire. Il viavai di ambulanze è pressochè quotidiano, a tutte le ore del giorno e della notte. Per i trattenuti del Cie il ricovero ospedaliero è la migliore carta da giocare per tentare la fuga: rinchiusi e sorvegliati di tutto punto all’ex Polonio, i clandestini giungono all’ospedale da liberi cittadini. Il loro piantonamento, salvo rari casi, non è previsto. Del resto sono “ospiti”. E così non si contano gli episodi di autolesionismo. I tagli alle braccia sono quasi routine, cui si è aggiunta negli anni un’inquietante casistica: l’ingerimento di bulloni, vetri, persino batterie. L’abuso di psicofarmaci. Nella stragrande maggioranza dei casi, non c’è codice “triage” che tenga: i casi provenienti dal Cie sono tutti prioritari, per ragioni di sicurezza. E il reparto lotta con professionalità e pazienza per affrontare tutti i casi come può. La questione era stata sollevata anche dai sindacati di polizia. «Agli ospiti del Cie – aveva ricordato ad esempio il Sap – oltre alle presenza del medico fino alle 22 (in orario notturno è garantita la presenza di un servizio infermieristico, ndr), è assicurata l’assistenza sanitaria “prioritaria” e gratuita presso i principali nosocomi regionali. In pratica sono garantiti agli ospiti, gratuitamente, tutti gli accertamenti sanitari richiesti dai medici in tempi celeri – cosa non assicurata alla popolazione – e, in caso di accesso al Pronto soccorso, spesso per fatti di autolesionismo e per essere ricoverati e quindi garantirsi la fuga, è prevista per loro la priorità rispetto ai cittadini già presenti in sala di attesa». Secondo il segretario provinciale del Sap, Angelo Obit, che aveva denunciato questa situazione, «non andrebbe mai dimenticato che il trattenimento è conseguente all’intenzione degli immigrati di sottrarsi, in quanto privi di documenti e celando la loro identità, al rimpatrio in attuazione di leggi dello Stato che tutti i cittadini sono chiamati a rispettare». l.m.

 

 

Stipendi e tredicesime ancora in alto mare

E intanto la questione dei ritardi negli stipendi dei lavoratori di Cie e Cara sembra essere tutt’altro che risolta. Almeno fino a ieri la settantina di dipendenti – operatori, magazzinieri, amministrativi, sanitari – impiegati nelle due strutture gradiscane per immigrati non aveva ancora ricevuto le tredicesime dell’anno appena conclusosi che, in base alla legge, avrebbero dovuto essere loro erogate entro la fine del mese di dicembre. Nelle scorse settimane un comitato di dipendenti della coop Connecting People si era formato spontaneamente, lasciando fuori dalla vertenza i sindacati, con l’obiettivo di denunciare la propria situazione di estrema difficoltà. Erano rimasti senza stipendio da agosto, per un totale di quattro mensilità e, per l’appunto, senza le tredicesime. Era così iniziato un palleggio di responsabilità fra la Prefettura di Gorizia e il consorzio siciliano che gestisce Cie e Cara dal 2008: l’ente governativo asseriva di avere sbloccato le risorse destinate al pagamento di fornitori e dipendenti, la Connecting People dal canto suo negava. Fatto sta che nel giro di pochi giorni gli stipendi mancanti erano finalmente stati sbloccati. Tutti e quattro, tredicesime escluse. E all’orizzonte fra dieci giorni scade già il termine per l’erogazione del prossimo salario. I lavoratori temono di rivivere l’incubo. Storia di un rapporto complesso, quello fra la Prefettura e il consorzio di Trapani vicino al mondo cattolico. Un rapporto incrinatosi forse in maniera definitiva dopo la guerra a colpi di carte bollate per la nuova gestione – il Tribunale amministrativo regionale ha dato ragione alla cooperativa siciliana estromettendo il colosso francese Gepsa dalla gara – e dalla parallela indagine per le presunte false fatturazioni e le presenze di immigrati apparentemente “gonfiate” su cui è al lavoro la Procura di Gorizia, con ipotesi di reato fra le più varie: dalla truffa ai danni dello Stato, alla corruzione. Nel mezzo, il disagio dei dipendenti: della loro vicenda si sono interessati il nuovo arcivescovo di Gorizia Carlo Maria Redaelli, il direttore della Caritas di Gorizia, don Paolo Zuttion, l’amministrazione comunale di Gradisca. La gestione della “vecchia” Connecting People – perchè l’appalto è stata vinta da una nuova compagine pur sempre legata al consorzio di Trapani – scadeva il 31 dicembre, ma è stata prorogata fino a metà gennaio. Non è ancora chiaro se per i tribunali la gestione alla cooperativa siciliana vada affidata di diritto, o se la gara d’appalto dei veleni debba essere ripetuta. Luigi Marciano

 

 

Sei anni di rivolte fughe e scandali

La vicenda del centro immigrati inizia nel 2000, nel pieno dell’emergenza-clandestini sul confine goriziano, quando l’allora ministro Bianco (governi D’Alema e Amato) indica nell’ex Polonio un sito ideale. Il Consiglio di allora dice sì a un centro di prima accoglienza, ma no a una struttura di detenzione. Con i governi Berlusconi (ministri Scajola e Pisanu) si scopre che Gradisca ospiterà invece proprio un Cpt di massima sicurezza da 17 milioni. Dopo anni di battaglie legali e manifestazioni, la struttura apre i battenti nel 2006. Conta su 248 posti destinati alla detenzione amministrativa propedeutica al rimpatrio per reato di clandestinità. Un luogo di contraddizioni: ci sono le sbarre ma i poliziotti restano fuori; gli immigrati non sono detenuti ma “ospiti”, e quindi la fuga non è evasione, ma “allontanamento volontario”. Vi convivono (con la Bossi-Fini fino a 18 mesi) dal clandestino, allo straniero con gravi precedenti costretto a un supplemento di pena, all’immigrato che ha lavorato in Italia per un decennio salvo ritrovarsi coi documenti in disordine. Nel 2007 la rimozione delle sbarre “per maggiore umanizzazione”. Nel 2008 apre il Cara, altri 150 posti destinati ai richiedenti asilo. Nel 2009 per la vigilanza esterna vengono impiegati anche i militari. Gli interni vengono resi inagibili dalla furia dei reclusi. In 6 anni la struttura non è mai stata a regime. Nel 2009 un pacco bomba esplode nell’ufficio dell’allora direttore Dal Ciello. Nel 2010 tre rivolte in pochi giorni, feriti sia agenti che immigrati, almeno 70 evasioni riuscite. Nel 2012 l’appalto per la nuova gestione viene congelato dai tribunali che dopo una lunga battaglia danno ragione all’attuale coop Connecting People, giunta seconda nella gara. Parallelamente lo stesso consorzio siciliano e la Prefettura finiscono sotto indagine per presunte fatturazioni false e presenze degli ospiti “gonfiate”. In 6 anni, al Cie sono stati cagionati danni per oltre 2 milioni.(l.m.)

 

Lo bacia per dargli la Sim, scoperta

Ha cercato di passare con un bacio una scheda telefonica per un uomo ospitato nel Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d’Isonzo, ma la donna è stata scoperta dal personale della vigilanza del Cie. L’episodio si è verificato nel pomeriggio di lunedì, ed è stato reso noto ieri da parte della Questura di Gorizia. La donna, una cittadina italiana, si era così recata in visita al Centro di identificazione ed espulsione gradiscano, volendo avere un colloquio con un ospite della struttura di nazionalità tunisina. Ad un certo punto, durante la chiaccherata con il tunisino, la visitatrice lo ha baciato proprio con l’intenzione di far passare di bocca in bocca la carta Sim, al fine di consentire all’amico di telefonare. Un abile stratagemma, dunque, per riuscire a consegnare al tunisino la Sim grazie alla quale l’uomo avrebbe pertanto potuto fare le telefonate con il cellulare che possedeva. Durante però quello scambio “affettuoso”, insospettito proprio dalla particolare durata di quel bacio, il personale è intervenuto e, oltre alla Sim, ha recuperato anche il telefono cellulare nascosto dall’uomo nel centro.

RIGASSIFICATORE: rassegna stampa del 10-12 genn.

Dal Piccolo del 12/01/13

«Pronti a esaminare progetti alternativi»

E un nuovo summit sul rigassificatore di Trieste è stato programmato per lunedì 21 in Prefettura alla presenza del ministro per l’Ambiente Corrado Clini. Ne dà notizia l’assessore provinciale Vittorio Zollia, mentre la presidente Maria Teresa Bassa Poropat rileva come dopo il pronunciamento del Comitato portuale «tutti gli enti locali si sono espressi contro l’impianto di Zaule con motivazioni forti. Già da anni – rileva Bassa Poropat – la stessa Provincia aveva manifestato timori rispetto al traffico portuale sollecitando un pronunciamento da parte della Capitaneria di porto che poi non è arrivato. Ora le proiezioni presentate dall’Autorità portuale se anche fossero eccessivamente ottimistiche, mettono comunque in rilievo un’assoluta e oggettiva incompatbilità con un impianto a Zaule non fosse altro per il forte aumento di petroliere al terminal della Siot.» D’altro canto però la presidente rileva come la Provincia non sià in termini preconcetti contraria ai rigassificatori, ma sia invece «pronta a valutare qualsiasi impianto alternativo con localizzazioni alternative.» È una posizione questa dell’apertura all’esame di altri progetti già espressa dallo stesso sindaco Roberto Cosolini che invece riguardo all’impianto di Zaule afferma che: «Già i ripetuti no da parte del Consiglio comunale di Trieste hanno dato una mazzata decisiva al progetto di Gas Natural, mazzata rafforzata dai no delle altre amministrazioni sebbene – aggiunge polemicamente il sindaco – io abbia cambiato opinione una volta soltanto e lontano dalle campagne elettorali, mentre il presidente Tondo ha già cambiato idea dieci volte e sempre sotto elezioni.» «Il nostro no su Zaule è netto e perentorio – aggiunge l’assessore comunale Laureni – e non convince l’argomentazione del presidente degli industriali Razeto sulla manodopera impiegata per la costruzione. È un progetto da 600 milioni che impiegherebbe pressoché la stessa manodopera usata per l’ipermercato delle Cooperavive di Duino costato 20 milioni. E dopo due anni quei lavoratori tornerebbero a essere disoccupati. Ma su altri progetti – aggiunge l’assessore – la nostra non deve essere una risposta emozionale anche perché siamo consci che il settore dell’energia può offrire ipotesi di sviluppo alla città.» All’ulteriore no espresso dal Comitato portuale plaude anche l’Italia dei Valori con il coordinatore provinciale Mario Marin. E del rigassificatore di Zaule si parlerà oggi anche a “Ambiente Italia” programma in onda dalle 12.55 su Raitre. (s.m.)

 

E anche Muggia si esprime di nuovo contro

Anche Muggia ha detto di nuovo al rigassificatore di Zaule. Ieri infatti il Consiglio comunale muggesano ha espresso parere sfavorevole in merito alla pronuncia di compatibilità ambientale richiesta agli enti locali nell’ambito del supplemento istruttorio del procedimento di Via (Valutazione d’impatto ambientale) avviato dal Ministero dell’ambiente sull’impianto. Una delibera votata all’unanimità, che suggella l’unione d’intenti dimostrata negli ultimi anni dalle forze politiche muggesane nell’opposizione al progetto di Gas Natural. Dimenticate alcune “scaramucce” del passato, i consiglieri si sono riuniti ieri in un’assemblea straordinaria e il documento è stato inviato in serata alla Regione, che a sua volta – preso atto delle decisioni dei Comuni – dovrà inoltrare il proprio responso al Ministero dell’ambiente entro il 15 gennaio. Un “no” secco che recepisce alcune indicazioni del Comitato portuale che discende soprattutto da valutazioni già effettuate in passato. Otto i punti cardine. Il primo è l’assenza della Vas (Valutazione ambientale strategica), che è invece richiesta – assieme alla Via – per tutte le proposte varianti al Piano regolatore portuale e al Piano regolatore generale di Trieste. Inoltre, il Comune di Muggia ha osservato che il rigassificatore e il metanodotto di collegamento sono stati fatti oggetto di due distinti procedimenti di Via, quando invece le due opere vanno considerate un “unicum”. E che sono state infrante le direttive comunitarie che impongono la richiesta del parere della popolazione. È stata riscontrata la negligenza di Gas Natural anche sui problemi connessi all’inquinamento atmosferico e a quello elettromagnetico derivanti dall’elettrodotto di collegamento alla centrale di Padriciano, posto che nella zona è già stata riscontrata una concentrazione eccessiva di polveri sottili; così anche per la contaminazione dei terreni e delle acque, in relazione al Sito inquinato di interesse nazionale. Manca, ha rilevato il Comune, anche la proposta di un sito alternativo e della cosiddetta “opzione zero”, anch’essa prevista dalle normative europee. Davide Ciullo

 

Rigassificatore, dopo i no a Zaule rispunta quello in mezzo al golfo

di Silvio Maranzana Il no espresso giovedì dal Comitato portuale che fa seguito ai no ripetuti della Provincia di Trieste, dei Comuni di Trieste, Muggia e e San Dorligo della Valle, alla «pietra sopra» del governatore Tondo, alle numerose proteste di cittadini e ambientalisti, potrebbe aver dato la mazzata finale al rigassificatore così come concepito da Gas Natural e così come previsto sulla terraferma in località Zaule. Ma, morto un rigassificatore se ne fa un altro? In effetti c’è un secondo progetto che avanza «sottotraccia» ed è quello che la tedesca E.On ha ripreso dalla spagnola Endesa. Si tratta di un impianto off shore inizialmente previsto all’incirca 13 km. a Ovest di Trieste, più o meno 12 km. al largo davanti a Fossalon. Poi, proprio per motivi legati alla sicurezza della navigazione, quelli che potrebbero dare il colpo mortale al rigassificatore di Zaule, è stato spostato 6 km. a Sud-Ovest rispetto alla collocazione originaria e ora verrebbe a trovarsi a 600 metri dalle acque territoriali italiane, ma a soli 2 km. sia da quelle slovene che da quelle croate. È un particolare che tiene ancora il progetto in sospeso perchè per il resto il Ministero italiano dell’Ambiente nell’ottobre 2010 ha dato già il proprio parere favorevole all’impianto in sede di Valutazione d’impatto ambientale, ma ha posto però una condizione: che ci sia il via libera anche in sede di Valutazione ambientale strategica (Vas) transfrontaliera, una decisione che coinvolge sia la Slovenia che la Croazia. «Ma né Lubiana né Zagabria – afferma l’assessore comunale all’Ambiente Umberto Laureni che conferma il nulla osta da parte del governo italiano, ma subordinato all’assenso internazionale – risultano essersi ancora pronunciate.» Ma Laureni non esclude da parte del governo italiano il gioco dell’illusionista: concentrare tutta l’attenzione sul progetto di Zaule, per poi calare a sorpresa dalla manica l’asso del progetto off shore. In era Dipiazza, quando l’ex sindaco vedeva con maggior favore proprio l’ipotesi di Gas Natural, il consiglio comunale di Trieste si era già espresso due volte per il no, con due delibere votate per la precisione nelle sedute del 28 luglio 2006 e del 18 gennaio 2007. La presentazione del progetto da parte di Endesa al ministero risaliva al febbraio 2006. Ma un diniego plurimo è stato pronunciato anche dal consiglio comunale di Grado, oltre che per il fatto che le tubature del gasdotto riemergerebebro a Fossalon, anche per l’impatto perlomeno psicologico che l’impianto produrrebbe sulle migliaia di turisti e bagnanti. Poi però c’è stato il via libera da parte del Comitato tecnico regionale che del resto ha dato il proprio assenso anche al rigassificatore di Zaule. E infine, nell’ottobre 2010, come detto, la Via con la prescrizione però dell’assenso internazionale. La battaglia per i rigassificatori a Trieste è stata un derby iberico fino a quando, nel 2007, la madrilena Endesa, battendo la stessa Gas Natural, non è stata acquistata dai tedeschi di E.On, uno dei più grandi gruppi energetici al mondo con 80 mila dipendenti in più di 30 Paesi e un fatturato nel 2011 di 113 miliardi di euro. La società costituita per occuparsi del rigassificatore nel golfo di Trieste è la Terminal Alpi Adriatico con sede a Monfalcone. Il terminal sarebbe costituito da una struttura lunga 273 metri e larga 109 poggiata sul fondo marino con una capacità di movimentazione di 8 miliardi di metricubi di gas all’anno. È previsto un traffico annuale di 85 metaniere. L’impatto termico logicamente risulterebbe meno grave data la lontananza dalla costa. Il gradiente termico sarebbe di un grado fino a una distanza di 100 metri, mentre a un km. la variazione sarebbe compresa tra uno e due decimi di grado.

 

 

 

Dal Piccolo del 11/01/13

Bocciato il rigassificatore

di Gabriella Ziani L’Autorità portuale da ieri è ufficialmente capofila del fronte del “no” al rigassificatore. La presidente Marina Monassi dice «andrò fino in fondo». Ieri ha ottenuto quasi all’unanimità dal Comitato portuale voto favorevole a una delibera che le conferisce mandato a esprimere parere negativo all’impianto di Gas Natural in sede di conferenza dei servizi decisoria. Quella conferenza che il ministro Clini ha differito di 45 giorni dalla data prevista del 19 gennaio chiedendo un supplemento di istruttoria sulla Valutazione d’impatto ambientale già concessa. I tempi supplementari hanno messo freneticamente al lavoro lo staff di via von Bruck. Carte e documenti hanno rivelato incongruità e difformità nel procedimento. Tanto che la relazione tecnica sui futuri flussi di traffico una volta realizzati piattaforma logistica, raddoppio dei moli e terminal ro-ro a Muggia, è diventata solo di importante supporto. Si sono ravvisate ben altre ragioni per un motivato diniego. Prima che cominciasse questo importante Comitato portuale Monassi ha quasi minacciato: «Il nostro voto vale per uno ma in conferenza dei servizi siamo in 20: voglio da tutti un parere motivato e scritto, voglio vedere chi avrà il coraggio di firmare con nome e cognome e col sangue, non con uno schiribizzo illeggibile, che si può fare, che tutto va bene». A parte l’immensa mole di traffico futuro che l’analisi tecnica ha dettagliato (come detto a parte), si è scoperto che il porto aveva un Piano della sicurezza rimasto incompleto: «Lo faremo adesso in velocità spaventosa». Che la spagnola Gas Natural il 20 novembre 2008 ha comunicato il subentro di Gas Natural Italia, la quale l’11 settembre 2009 ha aderito alla procedura autorizzativa semplificata, con ciò stesso interrompendo la validità dei pareri già espressi. Che il gasdotto Snam viaggia con autorizzazioni tutte sue e invece il procedimento dovrebbe essere unico (Monassi: «Ora vado contro rigassificatore e gasdotto insieme, ho dato la mia contrarietà ed è dopo questa raccomandata a Clini che il ministero ha fermato la Via»). Inoltre, che Snam ha nel frattempo cambiato progetto, prevedendo un gasdotto più in profondità nel mare, il quale sarebbe pericoloso perché agganciabile dalle àncore. Una lettera che denuncia «l’incompatibilità» è stata spedita il 5 aprile scorso a ministero dell’Ambiente e a Snam. Che riceve un “no” anche sugli espropri già avviati: «Il terreno demaniale non può subire gravami, e quello patrimoniale è al suo servizio». Monassi ha riferito che a La Spezia un rigassificatore “piccolo” sta costringendo l’Autorità portuale a disdettare anche le ultime piccole concessioni perché gasiere e traffico civile non riescono a convivere: «La Spezia è quella che mi aiuta di più». Per converso, è stata definita “ambigua” la relazione della Capitaneria di porto. Che ieri era, come la Regione, assente. E la cosa non è piaciuta per niente al sindaco di Muggia Nerio Nesladek (entusiasta dopo anni di battaglie: «Oggi si dà il “de profundis”, il sigillo che chiude un lungo percorso») e alla presidente della Provincia Maria Teresa Bassa Poropat. Ma un altro colpo di scena è arrivato in Comitato portuale. Il rappresentante del ministero delle Infrastrutture-Genio civile Giorgio Lillini (che a Venezia aveva firmato invece l’ok all’impianto di Porto Viro) ha dato “pollice verso”, nonostante la posizione forte del ministro Passera. Ha presentato una relazione che sarà inviata a Roma con la delibera dell’Ap: mancano un rapporto di sicurezza, un piano delle bonifiche e la verifica sismica di legge, le caratterizzazioni non sono state eseguite, non sono calcolati i “rischi intenzionali” (attentati), manca una valutazione sul passaggio contemporaneo di gasiere e navi, non si dimostra che il terminale non impedirà lo sviluppo del porto. Infine: trascurato «l’effetto domino, il fatto che l’impianto è a 250 metri da una superstrada e a 400 metri da abitazioni civili». La contestazione dei “no gas” è diventata da ieri una inequivocabile posizione istituzionale. Alla Torre del Lloyd la delibera che dà mandato all’Autorità portuale di voto negativo a Roma ha visto 14 favorevoli, un solo contrario, Domenico Miceli in rappresentanza delle imprese ferroviarie («È un suicidio legale»). Astenuti Paolo Battilana per Confindustria («è un impianto strategico, aspettiamo le decisioni del ministero puntando a un terminale che non intralci lo sviluppo del porto») e Edoardo Filipcic a nome degli agenti marittimi («mancano troppe informazioni, non si può dire sì o no»).

 

Tondo: «L’impianto di Zaule bisogna farlo in fretta»

Le parole hanno un peso. A volte “piuma”. Imbarazzi, cambi d’opinione, il gioco del detto non detto. La politica è davvero l’arte del possibile. A “surfare” per primo tra sì-no-ni, il presidente della Regione Renzo Tondo. Che davanti all’Associazione degli industriali di Trieste, il 1 luglio 2008, a una manciata di mesi dalla sua elezione a governatore della Regione, dichiara: «Bisogna realizzare il rigassificatore a terra». Il 9 settembre la svolta: no all’impianto marino, sì a quello a terra. Il 23 novembre 2012, alla Conferenza dei servizi in Regione, vengono giudicati “immotivati” i no di Comune e Provincia. Fino al colpo di scena del 22 dicembre: «Sul rigassificatore tiriamo una riga sotto e ripartiamo da zero». Ma non è che la presidente della Provincia Maria Teresa Bassa Poropat non sia mai “scivolata”. Fiera oppositrice oggi, entusiasta alla firma del decreto che dà il via libera alla Gas Natural nel 2009. «Ho sempre espresso un parere favorevole all’impianto di Zaule. Ferme restando le garanzie sulla sicurezza, considerate le ricadute sul territorio, sarebbe assurdo non accogliere la notizia con soddisfazione». Era il 16 luglio di quattro anni fa. E poi c’è il parlamentare del Pd Ettore Rosato. Da sottosegretario agli Interni (27 agosto 2006), parla di una «battaglia dura» per portare il rigassificatore a Trieste: «Non bisogna perdere tempo, quest’impianto serve al Paese e alla regione, è necessario muoversi subito». Rigassificatore da realizzare a mare o a terra? «Meglio spingere per entrambi». Il 6 dicembre 2012 il tono è tutt’altro. Interrogazione in Parlamento al ministro dello Sviluppo economico Corrado Passera, acceso sostenitore del progetto: «Non ci dobbiamo rassegnare, sono ottimista sulla possibilità di far ragionare questo governo», dichiara. Cosolini all’inizio è cautamente favorevole. Nel 2008, da segretario del Pd, lascia una porta aperta. Il 6 giugno 2008 afferma: «Sul rigassificatore adoretteremo il metodo Agenda 21, coinvolgendo tutte le categorie per poi prendere una decisione». Il “ni” diventa quasi no nel 2010 di fronte alle prospettive di un “superporto” sostenuto da Unicredit: «Se aumentano le navi in golfo, diviene problematico convivere con le limitazioni imposte dalle gasiere»: è il 14 aprile. Da sindaco, Cosolini passa a un motivato no: «Gas Natural non ha mai dato risposte chiare, non mi convince più». E il numero uno della Camera di commercio? Non pervenuto. Nel 2006 Antonio Paoletti dice: «Non abbiamo tutti gli elementi su ricadute economiche e occupazionali». Nel 2007 pragmaticamente condivide il parere negativo che intanto arriva dal sindaco di allora, Roberto Dipiazza: «Se le ricadute economiche non sono tali da giustificare il sacrificio della città, mi va bene il no». A lungo neutrale la presidente dell’Autorità portuale Marina Monassi, che solo di recente ammette: «Col rigassificatore dovremo cambiare i piani industriali». Ora la netta posizione contraria: «Il terminale è incompatibile con lo sviluppo del porto». (d.t.)

 

 

dal Piccolo del 10/01/13

 

Ambientalisti portano carbone al governatore

Alla riapertura degli uffici regionali,una delegazione di cittadini vestiti da Befane con tanto di parrucche, maschere, scope e striscione si è recata al palazzo della giunta di piazza Unità per consegnare al presidente Renzo Tondo un classico sacco di carbone. L’iniziativa è stata dei gruppi “No al Rigassificatore” di Trieste, Muggia, Capodistria e dei barcaioli del Rio Ospo «Il meritato regalo – si legge in una nota – è stato assegnato in funzione del ruolo del presidente Tondo nel tira e molla in merito al progettato rigassificatore di Trieste. L’evento è avvenuto con tutti i crismi che prevede il protocollo in materia – si legge ancora nella nota – in quanto era pervenuta agli organizzatori la formale lettera di accreditamento. Essendo noto che il presidente è persona cortese e pronta all’ascolto ha accettato lo scherzo così come è nel suo stile». Sul sacco di carbone consegnato a Tondo è stata riprodotta questa frase: «Forza Presidente Tondo, portaci a casa la cancellazione del rigassificatore di Trieste come impegno elettorale». E in occasione dell’Epifania sul molo Audace, che gli stessi organizzatori chiamano molo San Carlo, è stato acceso un “rigassificarul”. «La direzione presa dal fumo – dicono ancora gli organizzatori – ha dimostrato che sussiste ancora il pericolo che venga decisa la costruzione del rigassificatore».

 

Rigassificatore, Clini: no alle scorciatoie

di Silvio Maranzana «È necessario verificare se non debbano essere prese in considerazione localizzazioni alternative a quella di Zaule.» Lo rileva in relazione al rigassificatore di Trieste, con una nota emessa ieri pomeriggio, il ministro dell’Ambiente Corrado Clini che replica duramente alle accuse lanciate nei confronti delle amministrazioni italiane dalla società proponente, la catalana Gas Natural. «I dati forniti dall’Autorità portuale sul traffico 2011 e 2012 nel porto industriale e quelli previsti sullo sviluppo del Piano regolatore portuale – sostiene Clini – sono sostanzialmente diversi da quelli considerati dalla Via (Valutazione d’impatto ambientale). E tenuto conto che la realizzazione del terminale non è ancora stata autorizzata dall’autorità competente (Ministero per lo sviluppo economico) è necessario aggiornare e riconsiderare i dati di contesto del periodo 2006-2009 sui quali è stata elaborata la Via, per accertare se le attività portuali consolidate nel 2011-2012 e quelle previste dal Piano regolatore, siano compatibili con il terminale.» Sono questi i motivi per i quali potrebbero venir prese in considerazione «localizzazioni alternative» secondo il ministro che però non parla mai di ipotesi di rinuncia all’impianto. Clini sostiene infatti che «l’Alto Adriatico e Trieste rappresentano un’area strategica per la realizzazione di infrastrutture energetiche a servizio dei Paesi dell’Europa centrale e orientale, anche in considerazione delle trasformazioni in corso in particolare nel sistema energetico della Germania. In questo contesto – sottolinea il ministro – assumono un ruolo rilevante le infrastrutture per la fornitura di olio e gas e certamente gli impianti di rigassificazione possono rappresentare una piattaforma strategica.» Va ricordato che in ambito petrolifero ad esempio, attraverso la Siot passa il 100% del fabbisogno energetico della Baviera. Gas Natural aveva attaccato anche il governo italiano sostenendo che «le dichiarazioni del ministro Clini si inseriscono nel solco di una contestazione parziale e preconcetta portata avanti dagli oppositori dichiarati del progetto e come tali sono destinate, ove effettivamente implementate, a confluire in provvedimenti gravemente illegittimi che questa società non potrà esimersi dal censurare in tutte le sedi amministrative, civili, penali competenti, con conseguente rivendicazione del ristoro del danno ingiusto arrecato.» «È evidente che Gas Natural ha sbagliato ministro – replica Clini – perché gli unici preconcetti che mi si possono addebitare sono quelli verso l’arroganza e la maleducazione.» Eppure è proprio procedendo come vorrebbe Gas Natural che, secondo il ministro dell’Ambiente, il rigassificatore di Trieste rischia di fare la fine di quello di Brindisi dove la British Gas ha gettato la spugna dopo aver atteso per 11 anni un’autorizzazione che non è mai arrivata. Perché la Via rilasciata per Zaule nel 2009 non è sufficiente ai fini delle autorizzazioni ambientali dato che «secondo la direttiva 2001/42/Ce i piani e i programmi che definiscono il contesto nel quale si inserisce il progetto devono essere sottoposti alla Valutazione ambientale strategica (Vas). Ed è questo un buon motivo ulteriore per il supplemento di istruttoria.» Supplemento che, è stato annunciato a inizio anno, si esaurirà in 45 giorni, prenderà anche in considerazione ubicazioni alternative e varrà anche per la Via in corso sull’altro progetto di rigassificatore: quello in mezzo al golfo della tedesca E.On. «Localizzazione, progettazione e gestione degli impianti – precisa Clini – devono corrispondere in modo puntuale alle normative europee e nazionali in materia di Via e Vas, anche tenendo conto che l’Alto Adriatico è uno spazio condiviso da tre Stati membri dell’Ue. Altrimenti i progetti saranno destinati a lunghi contenziosi nazionali e internazionali come nel caso di Zaule: non è certo responsabilità di questo ministro dell’Ambiente se la mancanza di Vas del progetto di Zaule è da tempo un dossier all’esame della Commissione europea che resta in attesa delle decisioni delle autorità italiane prima di avviare una procedura di infrazione. Per evitare che a Trieste si riveda il “film” del rigassificatore di Brindisi – conclude Clini – la strada maestra è di applicare le norme senza scorciatoie e di usare il buon senso.»

SLOVENIA: report delle lotte al 10/01/13

Aggiornamento al 10/01/13
Domani, venerdi 11  indette due manifestazioni:
alle 16:30 a Capodistria in piazza Tito
alle 16:30 a Lubiana in piazza del Congresso
A differenza della manifestazione del 21 dicembre quando la decisione era di protestare in più città (8 in tutto simultaneamente) questa volta sembra che tutti abbiano deciso di andare a Lubiana (eccetto Capodistria). Puo darsi che questo cambierà fino a domani,  ma per il momento moltissima gente ha deciso di andare a protestare direttamente contro il governo e i partiti politici – negli ultimi giorniè scoppiato lo scandalo, quando la Commissione per la lotta contro la corruzione ha pubblicato due report sui beni non dichiarati del presidente del governo Janez Janša e il leader del partito di opposizione più grande e allo stesso tempo sindaco di Lubiana – Zoran Janković. Il primo ministro ha più di 200.000 € di cui la commisione non ha potuto constatare la fonte. Il leader del opposizione invece (una delle persone piu ricche in Slovenia) ha dimenticato di dichiarare transazioni di proprietà di 2.4 milioni di €.
Si aspetta una partecipazione massiccia alla manifestazione a Lubiana.
Invece a Maribor ieri, 9/1 sono incominciate le azioni giornaliere chiamate “Veniamo a visitarvi!” così ieri più di 50 persone sono andate a suonare a casa di 4 consiglieri regionali, portandogli la lettera di dimissioni. Queste visite si svolgeranno ogni giorno alle 18:00 e ricordano le azioni di Escrace fatte in Argentina.
Aggiornamento al 08/01/13
Il 31. 12. 2012 con gran felicità di tutti sono stati finalmente rilasciati tutti i detenuti delle proteste anteriori anche se solamente un paio di giorni prima le informazioni del tribunale erano, che li avrebbero tenuti rinchiusi fino a marzo. Perchè il tribunale ha deciso di rilasciarli? Per via della pressione pubblica? Sicuramente, anche se nella spiegazione hanno scritto che siccome le ultime proteste sono finite in modo pacifico (?) e siccome l’opinione pubblica (?) non sostiene azioni di violenza non esiste più una possibilità di ripetizione.
Interessante spiegazione e opinione se pensiamo che solo un po’ di giorni prima fu proprio la scusa della ripetizione che ha usato lo stesso tribunale per giustificare la detenzione di 28 persone in tutto per più di un mese.
Anche il 2013 è iniziato con piccole azioni, ma più che altro con la formazione di nuovi e nuovi gruppi e iniziative di tutti i colori che ognuna al proprio modo prova a pensare il futuro ed a organizarsi.

Una delle azioni a Maribor di anonimi era l’impiccagione di bambole del sesso nude (di entrambi i sessi) con le facce dei consiglieri del comune dal ponte principale in centro città.
Ieri, 7. 1. 2013 la cosiddetta quinta rivolta a Maribor (anche se dalla prima c’erano più di cinque manifestazioni) di fronte allo stabile del comune con lo slogan – spazziamoli fuori.
La polizia dice 2.000 persone che vuol dire che eravamo ancora di più. Due persone detenute ma sembra che le abbiamo gia rilasciate con una multa amministrativa.

Questa volta la polizia ha agito in modo differente e calmo, con poche truppe antisommossa e con il blocco di solo due strade ai due lati del comune. Così ha permesso l’acceso direttamente di fronte al comune come ha segnalato (la polizia) prima della manifestazione a uno dei gruppi di manifestanti.  Non solo, la polizia ha perfino riferito che non avrebbe reagito finchè le persone avessero lanciato solamente uova o simili sullo stabile del comune, ma al primo sasso sarebbero cominciati gli arresti.
Di sassi non ce n’erano, ma c’era un po di tutto: uova, colori, petardi, torce, e la gente che è venuta con le scope per spazzare fuori i consiglieri comunali le ha messe in mucchio e bruciate di fronte all’ entrata del comune, buttando nel fuoco anche i poster dei politici e come gran finale perfino un cassone di immondizia plastico. I media riportano, che la manifestazione è finita in modo pacifico.
Fino ad oggi sono 10 i consiglieri che hanno dato le dimissioni.
Per quanto riguarda le prossime iniziative:
oggi, 8. 1. protesta studentesca a Lubiana
L’11. 1. la seconda rivolta generale che per il momento sembra che si terra solamente a Lubiana – a differenza della prima che si e tenuta in 8 città simultaneamente.

DUMBLES/ Antifa-sisters

Pensieri per sabato in previsione della presenza dei fasci a Udine.

PER CHI DANZA SAL(O)ME’

Inizia la campagna elettorale, aspettiamoci il peggio.

Quando poi si parla di fasci, il peggio è con loro; anzi, sono loro proprio; pronti ad agitare i peggiori retaggi della storia rieditandoli e riproponendoli ai baucchi che non mancano mai e che ci cascano sempre.

Allora sabato eccoli di nuovo, con la “soluzione ungherese” al problema udinese, che secondo loro, sarebbe quello degli extracomunitari.

 

In Ungheria c’è questo partito Jobbik, fondato sull’odio razziale, sulla criminalizzazione dei Rom, sulla negazione dell’olocausto e sull’antisemitismo che fa ancora tanta presa sulle teste che hanno goulash al posto del cervello.

I msi-fiamma tricolor locali devono aver pensato che la formula che va tanto in Ungheria, si può esportare anche qua, basta sostituire all’occorrenza gli extracomunitari agli ebrei o ai rom, farli pensare come origine di tutti i problemi, renderli oggetto di odio etnico e razziale, e passare all’incasso dei voti di quelli che hanno brovada al posto del cervello.

Per sabato si sono pure portati una rappresentanza della guardia ungherese, la riedizione della milizia che ai tempi della seconda guerra mondiale collaborò con i nazisti e con loro si diede da fare per la soluzione finale.

Questa cosa dell’Ungheria poi ci ha fatto pensare che non molto tempo fa, lì il governo sostenuto dall’estrema destra, ha sancito la non punibilità per chi si rende colpevole di atti di violenza entro la famiglia (in genere compiuta contro le donne); un deputato della maggioranza allora disse testualmente: «Le donne, prima di volersi emancipare, se vogliono piu rispetto, partoriscano piu bambini, due o tre, anche quattro, e allora avranno più rispetto”…. Ah, come tutto questo riecheggia i proclami sulla famiglia intoccabile, la donna toccabilissima e l’aborto proibitissimo, tutti temi che, siamo sicure, verranno di nuovo abbrustoliti sulla fiamma prelettorale rilasciando quel noto puzzo integralista che tanto piace alle narici vaticane.

Aspettiamocelo perchè dopo gli extracomunitari attaccheranno anche con questa solfa perchè lo schemino è sempre quello, rivolto ai minus habens della convivenza che sono quelli poi che vanno ad ingrossare (per modo di dire, perchè qui restano quattro gatti) le loro file.

Il loro volantino è un’accozzaglia di demenze; Roma imperiale e piazza duomo a Udine invasa da musulmani in preghiera… l’immaginario fascista e il terrorismo sull’invasione degli anticristi e poi due note di realtà: un’immagine dall’”Africa sottosviluppata” e la protesta degli immigrati a Rosarno.

Puzzoni come la merda; falsi come le monede di Buje che se l’Africa è così la gran parte della responsabilità è del selvaggio sfruttamento occidentale, delle imprese di colonizzazione loro nonni compresi, e se gli immigrati protestano a Rosarno è perchè sono tenuti in condizioni che una volta si chiamavano schiavitù, anzi, in schiavitù nell’agricoltura italiana e non solo a Rosarno, a tutt’oggi ci sono 700mila persone e questo spiega anche perchè torna comodo istigare al razzismo: perchè rende, perchè se non li odi, se non li ritieni inferiori non li puoi sfruttare con serenità e con la coscienza a posto oppure non puoi essere complice morale di chi lo fa.

Tenere la fiamma del razzismo e del fascismo sempre accesa conviene e per questo ci sono le vestali dell’msi ora in pieno estro elettorale in copula con gli ungheresi.

Nasceranno mostri.

Presidio contro l’omofobia a Trieste sotto la Curia

Dal Piccolo del 13/01/13

L’Arcigay sotto la Curia 200 persone in presidio

 

di Piero Rauber «Non farete campagna elettorale sulla nostra pelle!». Davide Zotti, presidente triestino Arcigay, si sgola al megafono sotto la casa del vescovo. Battimani e fischietti gli fanno eco. Duecento persone gli fanno quadrato, attorno a un bandierone arcobaleno da cento metri quadrati agitato a braccia. Sono le tre e mezza di pomeriggio. Primo sabato post-Epifania, che le feste s’è portata via. Le stesse feste sotto le quali un primo omo-presidio non era stato autorizzato. In via Cavana, sotto la Curia, stavolta va in onda l’orgoglio omosessuale. No, niente provocazioni sotto forma di trucco, parrucco e seminudità alla gay-pride. E nemmeno alcuna volgarità posticcia, ostentata per far notizia, per l’amor di Dio. Già, Dio. Il Dio che una percentuale dei manifestanti sente di avere dalla propria parte. «Crepaldi, lo sai che il tuo Dio mi ama?», è lo slogan mostrato da qualcuno. C’è poi chi sostiene per iscritto che «Dio è amore, Crepaldi e il papa no». Altri invece, più laicamente, e polemicamente, s’attaccano al petto il cartellone «Chiesa e pedofilia, il disordine non è a casa mia». Spuntano anche tre bandiere dei Cobas, quelle arcobaleno diventano “cotole” o mantelli anti-freddo. Sono i colori di un presidio – quello organizzato da Arcigay «per difendere la dignità degli affetti di gay, lesbiche e trans offesi dall’omofobia diffusa in reitarate dichiarazioni dall’arcivescovo di Trieste» – che fila liscio come l’olio. «Avevano paura della violenza, guardate quanta ce n’è», gongola Zotti davanto a cotanto clima civile. Carabinieri e poliziotti, compresi gli uomini della Digos, sono meno di dieci. Si vedono tre o quattro no-global, il megafono non arriva mai a tiro loro. Di contestatori neanche l’ombra. Gli ultracat di Salvatore Porro – che avevano chiesto di poter far a loro volta sotto la Curia un sit-in di preghiera «per esprimere incondizionata solidarietà all’arcivescovo per essere stato fatto bersaglio di impropri attacchi politici» – finiscono in piazza Venezia. Una ventina di loro andrà avanti fino alle sei a recitare il rosario. In piazza Cavana, per contro, il presidio Arcigay dura un’oretta. Vi partecipa un nutrito gruppo di politici, tutti di centrosinistra, in testa Fabio Omero, nella doppia veste di assessore e omosessuale. Dopo Zotti, parla Flavio Romani, presidente nazionale Arcigay. Il megafono circola come un calumet. «Prima di bacchettare Comune e Provincia per il patrocinio alla campagna antiomofobia sugli autobus, pagherei le tasse, io l’Imu la pago», sibila la radicale Clara Comelli. «Nel Vangelo ci sono parole di amore, pace, consivisione e accoglienza, il resto è storia della Chiesa», aggiunge il don isontino “in aspettativa” perché sceso in politica, Andrea Bellavite. «E baciamoci!», invita Zotti. Due uomini danno l’esempio. Due ragazze si sfiorano le labbra. Pochi si associano. E il presidio si scopre, oltre che orgoglioso, pudico. @PierRaub

RIGASSIFICATORE: «Sviluppo del porto negato dal rigassificatore»

Dal Piccolo del 16/01/13

«Sviluppo del porto negato dal rigassificatore»

Gianfranco Badina «ha mai sentito parlare di distanze di sicurezza? Parrebbe di no, a leggere quanto sostiene». La replica arriva dal Coordinamento regionale Uil Vigili del fuoco – Tavolo tecnico rigassificatori, a firma di Adriano Bevilacqua su testo di Giorgio Trincas, docente universitario e membro del Tavolo tecnico. Badina, comandante marittimo ed ex docente all’istituto Nautico, ha sostenuto in sostanza che il rigassificatore non ostacola altre navi ed è compatibile con lo sviluppo del porto. Molti rigassificatori onshore in effetti sono installati in porti e zone industriali. «Ma questi progetti appartengono al passato remoto, quando la percezione dei rischi e le normative erano deboli. Oggi esistono soluzioni che consentono di produrre gas al largo della costa, con sistemi a circuito chiuso, che attraverso pipelines sotto il fondale marino potrebbe essere immesso nella rete nazionale». Se si utilizzassero le soluzioni navali «come in anni recenti in Corea del Sud, Usa, Belgio e Italia (Livorno, Falconara) non occorrerebbe costruire a Zaule i due serbatoi di stoccaggio del gas liquido da 160mila metri cubi di capacità che presumibilmente sarebbero alti 55 metri con diametro di 81 metri». Il Tavolo ricorda che dei requisiti normativi richiesti «a quanto ci risulta non esiste traccia nella documentazione di Gas Natural relativa all’impianto di Zaule». Quanto agli aspetti normativi navali, «è vero – continua il Tavolo tecnico-Uil vigili del fuoco – che l’organizzazione delle Nazioni Unite che si occupa della sicurezza umana in mare, l’Imo, non ha ancora uno specifico comitato» sui rigassificatori. «Ma ha risposto con raccomandazioni sempre più stringenti. In ogni caso le norme Imo impongono che, per tutto il tempo necessario allo scarico del gas, le navi metaniere devono avere la prua al mare e i motori attivati, con il canale navigabile libero, per potersi allontanare immediatamente senza attendere i rimorchiatori in caso di incidente e/o incendio a bordo o in banchina. Come potrebbe essere gestita un’emergenza con il canale di navigazione impegnato, ad esempio, da una petroliera?» Quanto alle distanze di sicurezza, «i 200 metri standard sono relativi alla presenza nelle vicinanze del rigassificatore di altri manufatti che possano determinare un effetto domino. Ma quando parliamo delle navi gasiere, le distanze di sicurezza sono ben altre: 500 metri per Cameron (Golfo del Messico), 900 per Cook (Alaska), 450 metri sia a Chesapeake (Norfolk Virginia)… più una congrua fascia di mare sempre libera». Secondo il tavolo tecnico dunque «il Porto di Trieste sarebbe quanto meno in sofferenza per quattro giorni alla settimana».

CIE DI GRADISCA: Lega senza pudore

Dal Piccolo del 17/01/13

Il Sap plaude alla Lega: «Il Cie non è un lager»

GRADISCA «Nè lager, nè albergo di lusso. E la politica ci deve delle risposte». Questa la reazione della segreteria provinciale del Sap, il Sindacato autonomo di Polizia, alla recente visita al Cie di Gradisca degli esponenti leghisti Massimiliano Fedriga (parlamentare), Federico Razzini (consigliere regionale) ed Alessandro Ballaben (consigliere comunale). I tre rappresentanti del Carroccio avevano affemato che la struttura isontina per immigrati «assolve appieno il compito di contrastare efficacemente criminalità e clandestinità» e di ritenere «offensivo che operatori e forze dell’ordine siano sistematicamente paragonati ad aguzzini». Il Sap, attraverso il suo segretario provinciale Angelo Obit, esprime «apprezzamento per i giudizi sulla gestione della struttura gradiscana, che non può essere definita un lager ma – specifica – nemmeno un albergo a cinque stelle. È una struttura ove si trovano ristrette delle persone che vivono in comunità e sono assoggettati a regole di sicurezza». Il Sap però ha alcuni sassolini da togliersi. E chiede alla politica, che adesso visto il clima elettorale certo riprenderà i suoi pellegrinaggi all’ex Polonio, di trovare certe risposte: ad esempio il sindacato si domanda «come mai i lavori di ripristino della sicurezza interna, interrotti per le vacanze estive non siano mai ripresi» e «come mai non si provveda alla sostituzione delle telecamere di vigilanza collocate nei posti critici, divelte dalle persone trattenute spesso dipinte come angioletti, oppure non funzionanti?». Sempre secondo il sindacato, «le difficoltà per i pagamenti delle obbligazioni contratte dallo Stato si ripercuotono sulla sicurezza del Cie. È necessario migliorare, qualificando gli addetti, la gestione degli ospiti da parte degli operatori dell’ente gestore e ripristinare immediatamente le situazioni critiche, che sono tante». «Andrebbero poi – prosegue Obit – trovate delle soluzioni, peraltro già richieste al Dipartimento del Viminale dalla Segreteria Generale del Sindacato Autonomo di Polizia, al problema dei rimpatri che oggi avvengono nella quasi totalità da Milano, individuando diverse soluzioni, vista la vicinanza con l’aeroporto di Ronchi dei Legionari e al fatto che la sede della struttura sia stata individuata in provincia di Gorizia. È questa la risposta che gli operatori delle forze dell’ordine – conclude il segretario provinciale del Sap – si attendono dalla politica». (l.m.)

 

Dal piccolo del 16/01/13

La Lega “promuove” il Cie di Gradisca

 

TRIESTE Né una prigione “camuffata” da centro di accoglienza né, tantomeno, un campo di concentramento che priva gli ospiti dei diritti fondamentali. Al contrario, secondo gli esponenti del Carroccio Massimiliano Fedriga e Federico Razzini, il Cie di Gradisca è una struttura che «assolve appieno il compito di contrastare efficacemente la criminalità e l’immigrazione clandestina». Un giudizio, quello espresso dal deputato e dal consigliere regionale della Lega, arrivato al termine di un sopralluogo nel centro effettuato insieme al consigliere comunale Alessandro Ballaben ha compiuto sopralluogo alla struttura di Gradisca d’Isonzo. Esprimendo «gratitudine» ai dipendenti della cooperativa che gestisce gli ospiti della struttura e alle forze dell’ordine, Fedriga e Razzini hanno rimarcato come «ad ogni visita al Cie degli esponenti del centrosinistra, tra cui la candidata alla presidenza della Regione Debora Serracchiani, la struttura venga associata ai più lugubri ricordi delle pagine nere del Novecento. Definire “lager” il centro di Gradisca non solo non riflette la verità dei fatti ma è addirittura offensivo nei confronti degli operatori e delle forze dell’ordine che vengono deliberatamente paragonati ad aguzzini. Condurre campagne elettorali cavalcando polemiche sterili e svilendo il prezioso lavoro svolto da professionisti seri – hanno concluso i due rappresentanti del Carroccio è il modo migliore per non guardare in faccia la realtà». Parole che hanno immediatamente innescato la forte reazione dell’opposizione in Consiglio regionale. «Se c’è qualcuno che cavalca la propaganda elettorale è proprio la Lega – ribatte Franco Codega -. Esponenti del Pd regionale, tra cui il sottoscritto, sono andati più volte a visitare il Cie di Gradisca in tempi ben lontani da campagne elettorali. La Lega svolge ora la sua visita e rispolvera tutta la sua retorica anti immigrazione. Non si sono accorti che ormai il problema immigrazione è l’ultimo dei problemi che gli italiani hanno. Quanto al Cie – conclude Codega – nessuno ha mai definito “aguzzini” gli operatori di questa struttura. Il punto è che le condizioni degli ospiti stranieri sono pessime. Vivono in una specie di gabbia di acciaio, non possono usare il cellulare e sono privi di qualsiasi sostegno sociale o culturale».