ALCOA/ Lotta dura senza paura

Bel calcio!

Alcoa, tensione e feriti a Roma Passera: caso non impossibile

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PORDENONE: Movida sì, movida no, movida un caz!

MOVIDA SI, MOVIDA NO, MOVIDA UN CAZ!

 

Nei mesi estivi abbiamo assistito ad una noiosa e patetica polemica sulla Movida pordenonese in un braccio di ferro tra qualche residente disturbato dai suoni, il comune in difesa della sobrietà (sigh!) e commercianti in crisi che chiedono un po’ più di “tunz tunz” per animare pomeriggi, serate e scontrini.

In questa non esaltante polemica estiva sfugge il fatto che il problema è ben più consistente e riguarda una città che, se non si può definire morta, certamente è accomunabile allo stato di letargo comatoso interrotto da qualche risveglio pilotato, solitamente concordato tra istituzioni e ASCOM.

A noi della Movida poco interessa, se non nell’ottica che ci sembrano normali i bar o ritrovi con musiche anche all’aperto e in tarda serata, figuriamoci il contrario.

Quello che ci interessa è la riappropriazione di luoghi, tempi e spazi di una città che qualcuno vorrebbe gestire con un telecomando mentre altri la vivono con la massima aspirazione di uno spritz e sky-sport nei teleschermi in compagnia di amici e soprattutto fottendosene di tutto il resto. Riprendersi una città significa partire dai quartieri, dalle vie e non solo dalle piazze centrali, significa portare la musica fuori dalle botteghe, creare momenti di aggregazione senza mediazioni commerciali o istituzionali, significa concordare regole comuni di partecipazione e rispetto dei luoghi che si vivono senza bisogno di preti, padrini e gendarmi con o senza divisa. Pordenone s’è scrollata di dosso una decina d’anni fa il deserto democristiano prima e leghista poi per accontentarsi di qualche oasi artificiale di palme e pozzanghere. Non è pensabile che tutta la questione sulla/della cultura a 360° sia improntata a chi innaffia le pianticelle di queste oasi, con quali soldi e per conto di chi. Pordenone deve lasciare germogliare ovunque piante, fiori e alberi, deve essere luogo di partecipazione artistica, musicale, sociale e politica dal basso. Non bastano qualche vetrina calata dall’alto e un po’ di migliaia di euro di finanziamenti per lavarsi la coscienza, così come certamente non basta accondiscendere ai volumi di musica più alta per risolvere il problema della “vita” serale dei giovani e non, figuriamoci mettersi a fare i guardiapesca dentro e fuori i locali come ha fatto il comune: “ma ci faccino il piacere” avrebbe detto Totò!

Ci sono associazioni, realtà, singoli, gruppi formali e informali che fanno e vorrebbero fare attività di ogni tipo e che non possono neppure affiggere una locandina per strada: i negozi sono stracolmi, molti non le vogliono e fuori nelle colonne e nei muri è vietato e scattano multe salatissime, ci rendiamo conto? La gran parte dei luoghi dove vengono appesi i manifesti sono saturi di pubblicità commerciale. I luoghi in città dove fare iniziative sono pochissimi e costano, gli spazi pubblici per realizzare iniziative all’aperto necessitano di iter burocratici assurdi, con tasse e richieste indecenti. L’unico luogo “organizzato” in città per l’aggregazione musicale e poco più è il Giordani, struttura comunque eterodiretta dal comune e che rischia pure di chiudere nel giro di qualche mese. Non c’è nulla, camminando un giorno della settimana dopo le 21.00 di sera per la città non c’è neppure l’alba dei morti viventi, sono proprio tutti morti morti. E secondo voi dovremmo perdere tempo sul contenzioso Movida si Movida no? Anni fa si poteva leggere nei muri di Pordenone: un po’ qua un po’ la occupiamo la città! Non è mai troppo tardi…

 

Iniziativa Libertaria   

FERROVIE: continuano i tagli e il caos in regione

Il Piccolo

MARTEDÌ, 11 SETTEMBRE 2012

Nuovi treni soppressi, richiamo a Ferrovie

Interruzioni sulla Sacile-Gemona. E 64 cancellazioni in due settimane. Riccardi convoca la società

TRIESTE Siamo alle solite. Trenitalia manca in qualcosa senza dare troppe spiegazioni ed è subito querelle. Stavolta i disservizi si sono verificati sulla tratta Sacile-Gemona, ma è solo l’ultimo esempio di una lunga serie di cancellazioni, soppressioni, malservizio in genere. E poi i pendolari si lamentano, e la Regione, secondo un copione già visto più volte, richiama la società ai doveri del contratto di servizio. Ieri altra puntata della telenovela. Riccardo Riccardi, incontrati i sindaci interessati alla tratta, ha inviato al direttore di Trenitalia per il Friuli Venezia Giulia, Maria Giaconia, la richiesta per un incontro urgente, che dovrebbe svolgersi già nei prossimi giorni. «All’ordine del giorno – spiega l’assessore regionale ai Trasporti – ci saranno sia il problema della Sacile-Gemona, con l’esigenza di ripristinare al più presto il collegamento ferroviario, sia le tantissime soppressioni dei treni registratisi dalla fine di agosto». L’agenda compliata dal Comitato pendolari del Friuli Venezia Giulia segnala dal 27 agosto a sabato 8 settembre la soppressione complessiva di ben 64 treni sulle linee che interessano la regione, a cui si possono aggiungere i 19 treni soppressi lo scorso 7 settembre a causa di un incidente avvenuto tra Venezia Santa Lucia e la stazione di Mestre, con notevoli ripercussioni sul traffico pure in Friuli Venezia Giulia. «Martedì 4 settembre – puntualizza ancora Riccardi – sono state 15 le soppressioni che hanno interessato la Trieste-Udine-Venezia, la Trieste-Portogruaro, la Casarsa-Portogruaro, la Udine-Carnia e la Venezia-Udine». Sulla vicenda Sacile-Gemona è molto dura la lettera che è stata pubblicata da una passeggera sul blog dei pendolari. «Vorrei iniziare smascherando una bugia – è l’esordio della missiva –: Trenitalia, che avrebbe dovuto riprendere il servizio sulla tratta il 26 agosto, non lo ha fatto adducendo come motivazione “i collegamenti sono effettuati con pullman dal 6 luglio in seguito ai gravi danni provocati da una frana che ha interessato l’infrastruttura ferroviaria». A seguire compaiono fotografie che testimoniano invece che le riparazioni sono state effettuate. Viene riportata pure la risposta ai pendolari di un ex operaio delle Ferrovie che assicura che «la linea non è interrotta e il treno può passare tranquillamente; non ci sono lavori da fare; per pochi metri di cedimento non è necessario alcun collaudo». Ma il treno, di lì, non ripassa ancora. Un disservizio inaccettabile. «Ritengo la cosa piuttosto grave – conclude l’utente –, ai limiti dell’inadempimento contrattuale. La Regione contribuisce per il trasporto regionale; e per la tratta Gemona-Sacile paga per avere treni, non corriere». (m.b.)

 

 

Messaggero Veneto

11 settembre 2012

Oltre 90 treni cancellati in 2 settimane

 

Convogli allagati e pochi posti: i pendolari alzano la voce. La Regione chiede un incontro urgente con i vertici di Trenitalia

di Martina Milia

 

UDINE. Il trasporto ferroviario fa acqua da tutte le parti? È il caso di dirlo visto che il 31 agosto il regionale 11021 Udine-Venezia con partenza alle 13.30, è stato soppresso a “causa dell’allagamento” delle carrozze. L’inconveniente sarebbe stato creato dalla pioggia entrata dai finestrini rimasti aperti (dalla sera prima). Ma questo, tragicomico, è solo un esempio dello stato del trasporto ferroviario in Friuli Venezia Giulia. Anche ad agosto i disagi non sono andati in vacanza e nei primi giorni di settembre non è andata meglio. Considerate anche le soppressioni di ieri, il bilancio sale a quota oltre 90 corse cancellate – in tutto o solo in alcune tratte – in due settimane. E non mancano i ritardi dei convogli che comunque sono partiti dalle stazioni.

 

Il Comitato pendolari Fvg e la Regione hanno registrato dal 27 agosto a sabato 8 settembre la soppressione complessiva di 64 treni sulle linee che interessano il Friuli Venezia Giulia, a cui si possono aggiungere i 19 treni soppressi lo scorso 7 settembre a causa di un incidente avvenuto tra Venezia Santa Lucia e la stazione di Mestre. Il 4 settembre il meglio: 15 corse tagliate in un giorno. Aggiungendo al totale le giornate di domenica e lunedì vanno conteggiate altre dieci corse saltate. E il conto è presto fatto.

 

Le cause dei disagi sulle linee Trieste-Udine-Venezia, Trieste-Portogruaro, Casarsa-Portogruaro, Udine-Carnia e Venezia-Udine sono sempre le stesse. Pendolari e personale delle ferrovie parlano di carenza di personale, treni che si guastano anche durante il viaggio, disservizi di varia natura: cambi di convogli all’ultimo minuto o imprevisti come la pioggia che ha allagato il treno in partenza da Udine. Chi ha la fortuna di pagare il biglietto per un treno che poi effettivamente parte non può comunque dormire sonni tranquilli.

 

Perché l’incognita ora si chiama “posto”. Ci sarà un posto per me che ho pagato il biglietto? E’ la domanda da porsi. A tanti convogli è stato decurtato il numero di carrozze. Il fenomeno viene denunciato periodicamente dai comitati pendolari su alcune corse più frequentate di altre, ma recentemente la situazione è ulteriormente peggiorata: è facile trovare solo quattro carrozze anziché le sei o le otto previste, con inevitabili episodi di sovraffollamento. Un problema che nelle settimane scorse poteva anche non far rumore, ma che, con la ripresa di scuole, università, fabbriche, rischia di ripresentarsi .

 

La Regione, con l’assessore Ricccardo Riccardi, ieri ha diffuso una nota con la quale chiede un incontro urgente con il direttore Trenitalia per il Friuli Venezia Giulia, Maria Giaconia. Sarà risolutivo? I pendolari lo sperano, ma da esperienza sanno che, quando la Regione batte i pugni, l’azienda si rimette in riga per un po’. Fino alla prossima ondata di stop e ritardi.

 

Resta un’arma che, secondo i viaggiatori, potrebbe aiutare a fare maggior pressione sulle ferrovie: la trasparenza. Nel sito della Regione, alla voce domande frequenti (area dedicata al trasporto pubblico locale), alla richiesta “I risultati dell’attività di controllo della Regione vengono pubblicati?”, la risposta è “Sì. I risultati vengono pubblicati periodicamente sul sito della Regione in questa sezione”. Peccato che questi non si trovino, fanno notare i pendolari. L’aggiornamento della situazione è ancora affidato al comitato spontaneo. Altro elemento che andrebbe pubblicato, secondo chi viaggia, sono le sanzioni inflitte a Trenitalia in base al contratto di servizio. La cattiva pubblicità, si sa, può essere molto efficace.

 

 

Treni, Riccardi non convince i pendolari

A Cavasso Nuovo l’assessore regionale si è impegnato a contattare Rfi per far ripartire la linea ferroviaria Sacile-Gemona

 

di Giulia Sacchi

 

CAVASSO NUOVO. «Contatterò immediatamente Rfi affinché, considerati i disagi dell’utenza, specialmente scolastica, possa ripartire da subito la circolazione dei treni sulla linea Sacile-Gemona e vigilerò con costanza affinché sia osservato e soddisfatto il contratto di servizio tra Regione e Ferrovie, che scadrà nel 2014, e per la nuova gara vedremo se sarà possibile che partecipino altri gestori.

 

La Regione ha garantito col proprio bilancio e investendo 200 milioni di euro l’anno un trasporto pubblico locale di qualità: bisogna far sì che continui a funzionare bene, ricercando, se non la redditività, almeno un equilibrio. Per il futuro, si cercherà di capire se e quali potranno essere le prospettive per la linea, data anche la sua significativa valenza ambientale e turistica». Questi gli impegni che l’assessore regionale ai Trasporti Riccardo Riccardi si è assunto nell’incontro di ieri, al Palazat di Cavasso Nuovo, con i sindaci dei comuni ubicati lungo la tratta, tra cui Meduno, Cavasso Nuovo, Maniago, Vito d’Asio, Travesio, Castelnovo, Montereale, Aviano, Sacile, ma anche Gemona, Osoppo e Forgaria. Presenti pure il vicepresidente del consiglio regionale Maurizio Salvador, i consiglieri regionali Piero Colussi, Franco Dal Mas e Paolo Pupulin, l’assessore provinciale Nicola Callegari e rappresentanti della Provincia di Udine.

 

Subito dopo il convegno, Riccardi ha inviato al direttore di Trenitalia per il Friuli, Maria Giaconia, la richiesta per un incontro urgente, che dovrebbe svolgersi nei prossimi giorni, per discutere della Sacile-Gemona, rimarcando l’esigenza di ripristinare al più presto il collegamento ferroviario. Pure la Provincia, tramite Callegari, ha contattato Trenitalia per trovare soluzioni che soddisfino gli utenti e già oggi si potrebbero avere risposte più chiare. I problemi maggiori, come è stato sottolineato nell’incontro dai sindaci e da Laura Magris, rappresentante dei genitori di studenti pendolari, riguardano gli orari dei bus sostitutivi, che non sono in linea con quelli scolastici. Da qui l’intenzione di trasferire gli studenti da Sacile a Pordenone.

 

Riccardi, postosi a fianco di Comuni e utenti «in questa protesta civile e costruttiva, che condivido in pieno», cercherà pure con la Provincia di Pordenone «di capire come si potrebbero intanto armonizzare gli orari bus-scuola».

 

Ma la protesta di ragazzi e genitori per quanto sarà ancora civile e costruttiva? «Siamo contribuenti e pretendiamo i servizi: la nostra protesta non potrà essere ancora a lungo così calma – tuona un genitore –. Le esigenze dei ragazzi non possono attendere: da domani per loro non cambierà nulla e per quanto ancora andranno avanti questi disagi?». Non nascondono una certa amarezza, mista a delusione, i genitori degli studenti al termine dell’incontro e il timore è «di essere davanti a una mancanza di volontà, dato che la linea sembra riparata, e a decisioni forse già prese. Dobbiamo fare gli abbonamenti o no? Non ci sono state date certezze oggi – rimarcano –: sappiamo che c’è l’impegno, questo sì, ma non se ci sarà il treno e cosa accadrà nei prossimi mesi. Possiamo stare tranquilli e continuare a mandare i ragazzi a Sacile o dovremo pensare seriamente al trasferimento? – interrogano –. Oggi non sono state date linee-guida agli utenti: come genitori ci siamo dati da fare, ma non possiamo pensare di doverci preoccupare noi di risolvere problemi che non ci competono».

TRIESTE: la morte di Rasman si poteva evitare

Da Il Piccolo

11/09

Caso Rasman La famiglia: ora lo Stato paghi

«Ci piacerebbe sentire dallo Stato un atto di scuse e di partecipazione, anche con una transazione, ma finora non è arrivata nessuna risposta». Lo ha detto ieri in serata all’agenzia Ansa l’avvocato Claudio De Filippi, legale della famiglia di Riccardo Rasman, il 34enne in cura presso il Centro di salute mentale di Domio morto il 26 ottobre 2006 in seguito a un’irruzione della polizia nella sua casa, a Borgo San Sergio, fatto per cui sono stati condannati a sei mesi per omicidio colposo, con sentenza passata in giudicato dopo il pronunciamento della Corte di Cassazione, gli agenti della Squadra volante Mauro Miraz, Maurizio Mis, Giuseppe De Biasi. Ritenendo la vicenda «per comune ammissione più grave di quella di Federico Aldrovandi, ma tenuta nascosta», De Filippi ha ricordato che nell’ultima udienza in sede civile per la richiesta di danni della famiglia, l’Avvocatura dello Stato ha proposto una transazione di 500 mila euro, a fronte di una richiesta di nove milioni, «una cifra – ha commentato, come riporta ancora l’Ansa – che accetteremmo solo come acconto». «La Cassazione – ha proseguito De Filippi – ha esplicitamente scritto che si è trattato di una “violenta contenzione”, implicitamente dice che è stato un atto illegittimo, e lo Stato questo atto lo deve pagare caro». La prossima udienza della causa civile è stata fissata per il 23 ottobre prossimo.

 

03/09

«Il decesso di Rasman poteva essere evitato»

di Piero Rauber La morte di Riccardo Rasman, stroncato il 26 ottobre 2006 da un collasso cardiocircolatorio mentre era trattenuto a forza a terra dai poliziotti che avevano fatto irruzione nella sua casa di Borgo San Sergio, «era pacificamente evitabile qualora gli agenti avessero interrotto l’attività di violenta contenzione a terra del Rasman, consentendogli di respirare». Così recitano le motivazioni, depositate ieri, della sentenza della Quarta sezione penale della Cassazione, che il 14 dicembre aveva confermato in via definitiva le condanne a sei mesi di reclusione, con pena sospesa, per omicidio colposo, a carico dei poliziotti Mauro Miraz, Maurizio Mis, Giuseppe De Biasi. Dopo la conferma dell’entità delle condanne, ora dunque viene messa – nel terzo e ultimo grado di giudizio – una pietra anche sopra i perché di quella morte. Era appunto il 26 ottobre del 2006 quando la polizia venne chiamata da alcuni vicini di casa di Rasman perchè il 34enne – in cura presso il Centro di salute mentale di Domio – stava lanciando petardi. I poliziotti della Squadra volante, con l’aiuto dei pompieri, avevano tirato giù la porta dopo aver tentato invano di farsela aprire. Ne era venuta fuori una mischia furiosa: Rasman era stato ammanettato e fatto distendere sul pavimento. In tre gli erano saliti a turno sulla schiena per tenerlo fermo. Ma lui, che aveva lottato senza risparmiare il fiato, aveva iniziato a rantolare, tanto da esser sentito da una vicina. Quando era arrivato il 118 era già troppo tardi. «Asfissia posizionale» si sarebbe poi letto nella perizia medico-legale. «Purtroppo rispetto al caso Aldrovandi l’entità della condanna per chi ha ucciso Rasman è ridicola», ha dichiarato ieri sera all’agenzia Ansa l’avvocato Fabio Anselmo, uno dei componenti dello staff di legali cui si è rivolta la famiglia della vittima, che si è già mossa anche per il risarcimento in sede civile, chiedendo otto milioni al ministero degli Interni. «Agli aguzzini di Aldrovandi è stata comminata una pena di tre anni e sei mesi – ha aggiunto Anselmo, che si è occupato anche di quel caso – ma la vicenda di Rasman credo fosse ancora più grave». «Nonostante gli anni passino, tutti continuano a stare zitti, a partire dalle forze di polizia, la verità non è mai venuta completamente alla luce, e siamo pure costretti a patire per la condanna a soli sei mesi per chi l’ha ammazzato», ha commentato sempre all’Ansa in tarda serata la sorella Giuliana. «Ho lavorato 37 anni per lo Stato – la disperazione della madre, Mariuccia – ed ora dovrei rassegnarmi al fatto che lo Stato abbia ucciso mio figlio, non lo farò mai»

 

22/08

Caso Rasman, lo Stato paga 500mila euro

 

Era il 27 ottobre 2006 e i quattro agenti assieme a due pompieri erano entrati di slancio nell’alloggio di via Grego 38 dopo aver tentato invano per una ventina di minuti di farsi aprire la porta. Dal terrazzo del monolocale di Riccardo Rasman, secondo l’allarmata indicazione dei vicini, erano stati lanciati pericolosamente in strada alcuni petardi. Da qui la richiesta di intervento, Rasman si era difeso, si era avventato contro gli agenti. Ne era scaturita una mischia, alla luce delle torce elettriche. Il giovane era stato ammanettato con i polsi dietro la schiena: i vigili del fuoco, subito dopo, gli avevano legato le caviglie con del filo di ferro. Poi era stato tenuto disteso sul pavimento e perché non potesse più reagire, i poliziotti avevano esercitato sul torace una pressione prolungata che si è rivelata fatale. Ma nessuno dei poliziotti, aveva pensato di sollevare l’uomo da terra, liberandolo del loro peso. Quando avevano chiamato il 118 era troppo tardi. L’ambulanza era tornata mestamente vuota al parcheggio e il medico legale d era entrato nell’appartamentino Ater teatro della tragedia. di Corrado Barbacini Un assegno di 500mila euro alla famiglia di Riccardo Rasman, il giovane di 34 anni morto nel 2006 a seguito dell’irruzione della polizia nella sua abitazione di Borgo San Sergio. Lo pagherà l’Avvocatura dello Stato per evitare il sequestro conservativo degli appartamenti di proprietà di Mauro Miraz, Maurizio Mis e Giovanni De Biasi, i tre agenti condannati con sentenza irrevocabile a sei mesi per omicidio colposo. L’assegno dell’ammontare di 500mila euro è stato concordato l’altra mattina dai legali della famiglia Rasman, Giovanni Di Lullo e Claudio Defilippi con il legale rappresentante dell’Avvocatura, l’avvocato Meloni. Tecnicamente si tratta di una transazione che ha avuto anche lo scopo di evitare il sequestro dei soldi conservati nella cosiddetta cassa dei passaporti. Ma è chiaro che quanto accaduto davanti al giudice Enzo Carnimeo rappresenta la prima vittoria “economica” della famiglia Rasman. Una vittoria anche morale se si pensa che nello scorso mese di giugno la stessa Avvocatura dello Stato ritenendo la richiesta di sequestro «inutilmente vessatoria» aveva descritto nella comparsa di risposta con queste parole Riccardo Rasman: «un giovane “parcheggiato” a spese della collettività in un alloggio di edilizia popolare da chi ormai evidentemente non poteva o voleva farsene carico. Un giovane che costituiva motivo di paura e di preoccupazione per i vicini, evidentemente non informati dalla famiglia di origine dei modi per contattarli». Oltre la transazione di 500mila euro per evitare il sequestro degli appartamenti dei poliziotti e dei soldi ottenuti dalle tasse sui passaporti, rimane la citazione in sede civile nei confronti del ministero per la somma di 8 milioni di euro. È questa la cifra da capogiro che gli avvocati Di Lullo e Defilippi chiederanno come risarcimento per le sofferenze patite dal giovane negli ultimi strazianti minuti della sua vita e per i terribili riflessi che questa morte ha provocato sugli anziani genitori e sulla sorella. Il punto nodale della causa civile è rappresentato dal danno sofferto da Riccardo Rasman nel breve periodo in cui era riverso a terra con le mani e i piedi legati e con un paio di agenti che col loro peso la tenevano bloccato. In quel breve periodo la vittima respirava a fatica, rantolava. Lo aveva sentito una vicina di casa. Nella citazione è evidenziato che Rasman si rendeva conto di stare per morire soffocato. Sarebbe stato sufficiente che i poliziotti lo sollevassero e la sua vita sarebbe stata risparmiata. A questo danno si affianca il danno biologico, esistenziale e morale che ancora oggi stanno patendo i genitori e la sorella. Ecco perché è così elevata l’entità del risarcimento richiesto al ministero degli Interni e ai tre agenti condannati per omicidio colposo. Va aggiunto che nei tre gradi di giudizio tutti i magistrati che si sono occupati di questa terribile vicenda hanno riconosciuto il pieno diritto e la piena legittimità dei poliziotti a fare irruzione nel monolocale di via Grego a Borgo San Sergio dal cui terrazzo Riccardo Rasman aveva gettato un petardo. Ma l’errore tragico è stato quello di aver trattenuto troppo a lungo bloccato sul pavimento la vittima, esercitando sul torace una pressione che si è rivelata fatale. In sintesi Rasman non sarebbe morto se la pressione esercitata sul suo torace non si fosse protratta nel tempo. «Il giovane aveva compiuto uno sforzo enorme, lottando coi poliziotti come un leone: dimostrava con l’affanno del respiro di essere in fortissimo debito di ossigeno: una qualunque persona – si legge nella sentenza di condanna – e a maggiore ragione dei poliziotti, dovevano prevedere che tenere premuto il corpo a terra per diversi minuti, avrebbe significato compromettere la respirazione e la vita». In altre inchieste non dissimili, ad esempio quella sulla morte di Federico Aldrovandi, il ragazzo deceduto a Ferrara dopo un prolungato controllo di polizia, il ministero degli Interni ha risarcito i genitori della vittima. Lo ha fatto versando loro due milioni di euro ancora prima che si aprisse il dibattimento. La prossima data è quella del 23 ottobre. Per quel giorno è stata fissata l’udienza per il merito.

TRIESTE: caos ferriera e guerra fra poveri

Da Il piccolo del 11/09/12

E in Consiglio scoppia la bagarre

La tensione va crescendo di minuto in minuto all’interno del Consiglio comunale convocato nel tardo pomeriggio per dibattere la crisi del Polo siderurgico. La quarantina di operai di Ferriera e Sertubi che riescono a prendere posto nello spazio riservato al pubblico, unitamente anche ad alcuni rappresentanti delle associazioni rionali e ambientaliste incominciano a rumoreggiare già mentre il sindaco Cosolini e l’assessore Savino fanno le relazioni su quanto accaduto al Tavolo della mattina oltre a riepilogare i provvedimenti presi negli ultimi anni. La bagarre vera e propria scoppia a una frase di Maurizio Bucci (Pdl): «Dal 1945 a oggi non ricordo a Trieste nemmeno un morto per fame, ma ricordo migliaia di morti per cancro». «Vergogna», «Buffone», «Veniamo a mangiare a casa tua», «Ti aspettiamo fuori», le urla che giungono dagli operai. Bucci ricorda di essere stato favorevole alla chiusura della Ferriera nel 2009 e addossa alla giunta regionale guidata da Riccardo Illy che ha voluto rinnovare l’Autorizzazione integrata ambientale la responsabilità della situazione attuale. «Ora invito il sindaco ad agire (nel senso di ingiungere all’azienda di ridurre l’attività) – tuona – come gli impone la legge.» Altri strali contro il grillino Paolo Menis che invoca: «Sindaco, lei deve agire perché il diritto alla salute viene prima del diritto al lavoro». Anche lui viene accolto con fischi e urla del tipo: «Sei pazzo». «Ho già comunicato anche all’azienda – aveva riferito prima Cosolini – che il Comune ha l’obbligo di intervenire. Gli interventi sono in fase di definizione e richiedono prima un parere dell’Azienda sanitaria». Interviene anche l’ex sindaco Roberto Dipiazza: «Anch’io ero favorevole alla chiusura nel 2009, poi mi sono ritrovato gli operai con i figli in braccio che mi chiedevano: chi gli darà da mangiare. Ho cambiato opinione, solo i paracarri non lo fanno. Ora bisogna creare una task force, ma attenti a non dare in mano tutto a un manager non triestino come aveva fatto Illy con Gambardella. E poi non si può sempre dire no a tutto, compreso il rigassificatore». I lavoratori chiedono di parlare e se la prendono anche con un comunista, il presidente Iztok Furlanic che vuole far rispettare il regolamento e minaccia di far sgombrare l’aula. «Siamo cittadini, non siamo schiavi – urla Franco Palman (Uilm) – vogliamo rispetto.» Dopo una mozione di Franco Bandelli (Un’altra Trieste) che chiede di aprire agli interventi del pubblico cominciano a parlare sindacalisti e cittadini, ma sono già quasi le nove e sotto il municipio altre decine di operai urlano e fischiano. Al rompete le righe, poco prima delle dieci, in piazza ci vorranno i carabinieri a tenere separati da una parte i lavoratori, dall’altra i residenti, venuti quasi alle mani inun crescendo di insulti.(s.m.)

 

Ferriera, alla Lucchini l’onere delle bonifiche

Il megatavolo rinvia la decisione sulle ipotesi di riconversione a Servola Proposto un manager che vada a caccia di imprenditori disposti a investire

«Anche all’inteno dello stabilimento servolano si registra una forte escalation di malattie professionali, un dipendente è deceduto per una patologia correlabile alle emissioni proprio il mese scorso e ora una diagnosi terribile legata a patologie bronco polmonari è stata fatta a un lavoratore che fa anche militanza sindacale». La denuncia è arrivata stavolta, nel pieno del Tavolo di ieri mattina, da un rappresentante dei lavoratori, il segretario provinciale Failms-Cisal Giulio Frisari. Lo stesso assessore Sandra Savino al termine ha tolto residue illusioni: «Una siderurgia pulità è pressoché impossibile a causa dei costi altissimi neccessari per gli investimenti e della crisi che attraversa il settore.

di Silvio Maranzana Fare pressioni più forti sul Governo per un intervento immediato e non solo finanziario, mettere spalle al muro la Lucchini per indurla a pagare la bonifica perlomeno dell’area demaniale, identificare un manager consulente della riconversione che faccia il cacciatore di imprenditori disposti a investire sull’area di Servola. È il topolino partorito dalla montagna di rappresentanti di istituzioni, associazioni di categoria e forze sindacali che hanno partecipato ieri mattina al megatavolo sulla Ferriera che si è riunito nel palazzo della Regione e che doveva stringere sul lavoro fatto da 27 tavoli precedenti. La convocazione era stata fatta perché tutti si esprimessero a favore di uno dei quattro possibili scenari futuri delineati dalla Regione: ferriera con cokeria, ferriera senza cokeria, nuove industrie, terminal logistico. Quasi nessuno ha scelto nulla. «Mi aspettavo qualcosa di più – ha concluso amaramente l’assessore a Programmazione e Ambiente Sandra Savino che più tardi si è detta contraria a pagare un consulente esterno – una delle quattro opportunità doveva emergere sulle altre». Il tutto mentre fuori il mondo stava franando. Quattro rappresentanti del Consiglio di fabbrica di Sertubi, dov’è stato allestito un presidio esterno e dove 180 dei 208 dipendenti sono in cassa integrazione, hanno fatto pacifica irruzione alla riunione, i lavoratori della Ferriera preannunciavano un’assemblea in piazza Unità per le 18 e il sindaco Roberto Cosolini informava di essere stato convocato dal Procuratore della repubblica facendo apparire come imminente una sua ingiunzione alla Lucchini per la riduzione dell’attività. Del resto solo il forte senso di democrazia proprio di Savino e Cosolini ha fatto sì che i lavori del Tavolo, in precedenza a porte chiuse, potesse svolgersi alla presenza della stampa, nella massima trasparenza. È stato lo stesso sindaco a fare un’efficace sintesi della situazione dopo lunghi interventi dispersivi. «Oggi ci troviamo di fronte a due gravi crisi di eguale gravità, ma ben distinte – ha affermato – La situazione drammatica di Sertubi non è causata dalla Ferriera, ma dalla mancanza di chiarezza nella strategia industriale di Sertubi. Dal canto suo la Lucchini soffre di precarietà industriale ed è fonte di problemi di salute. Si tratta di vedere se riusciamo a diluire la precarietà e a ridurre il danno ambientale. Serve un serrato confronto con l’azienda che deve bonificare l’area in terreno demaniale prima di restituirla perché non può mollarci con il cerino in mano. Poi è indispensabile coinvolgere appieno nella partita il Governo perché da soli non ce la faremo mai, infine identificare un manager della riconversione che faccia da tramite tra le istituzioni e il mercato». Adriano Sincovich, segretario provinciale Cgil, ha improvvisamente alzato la voce: «È inaccettabile che il presidente Razeto di Confindustria affermi che sarà un soggetto privato come la Lucchini a decidere quando chiudere. Chiediamo uno sforzo di ideazione, intimiamo ai rappresentanti degli imprenditori: fate il vostro mestiere». «Non ho detto che la Lucchini può fare ciò che vuole – ha replicato il presidente degli industriali – dobbiamo colloquiare con l’azienda». «Un sistema debole come il nostro è facile preda di imprenditori sciacalli», ha ammonito Franco Palman (Uilm) e secondo Marco Stolfa (Ugl metalmeccanici) accade che «qualche filibustiere venga qui e ci strizzi come un limone, com’è avvenuto con la Stock». Luciano Bordin, segretario provinciale Cisl ha detto di aver preso atto che l’ad di Sertubi, Leonardo Montesi vuole fare il commerciante perché ha affermato che a Trieste non si fonderanno più tubi, ma qui potrà essere insediato un centro per la distribuzione dei tubi. «Nel complesso della Ferriera c’è un capannone di 27mila metri quadrati con 4 accessi ferroviari e 2 gru che era l’acciaieria, inutilizzato da 15 anni. Forse un imprenditore potrebbe essere interessato per una fase di transizione», ha suggerito Stefano Borini (Fiom). Conclusioni: il Tavolo è aggiornato al 2 ottobre, ma si apre un altro tavolo sulla crisi Sertubi, mentre un ennesimo tavolo per l’approfondimento tecnico delle quattro ipotesi di riconversione si riunirà il 20 settembre.

 

CLIMA/ La catastrofe avanza inesorabile

New York sommersa nel 2050

SCORIE NUCLEARI A TRIESTE?(agg.14/09)

da Il Piccolo del 14/09/12

Un piano per gestire il trasporto radioattivo

 

Per ora solo un paio di briefing tecnici. Ma a breve partiranno le riunioni operative al Palazzo del governo. Non appena – fa sapere la prefettura di Trieste – saranno arrivate in piazza Unità le specifiche dell’Ispra sulle valutazioni degli eventuali rischi collegati al passaggio lungo il territorio triestino del trasporto su camion di scorie radioattive partite dal deposito Avogadro di Saluggia, in provincia di Vercelli. La spedizione di cinque chili di materiale radioattivo – combustibile nucleare esaurito – è in programma all’inizio di novembre (la data precisa ancora non è stata ufficializzata), come previsto dal Ministero dello Sviluppo economico. Dal Piemonte il carico giungerà via autostrada sino al porto di Trieste, da dove sarà imbarcato su una nave diretta infine negli Stati Uniti. Il materiale rientra infatti nel piano americano di rimpatrio di materie nucleari strategiche di origine statunitense. Pare inoltre che il carico verrà spostato a bordo della stessa nave partita da Capodistria, con altre scorie radioattive già sistematevi sopra in Slovenia e provenienti dall’Austria. Anche a Trieste la prefettura ha dunque avviato l’iter di organizzazione della parte locale (e conclusiva) del trasporto su gomma. Proprio dal Palazzo del governo giungono rassicurazioni per i cittadini: non vi sono pericoli per la popolazione – spiega la prefettura -, perché si tratta di materiali che viaggiano schermati e garantiti da sistemi di provata sicurezza. Certo, tutte le precauzioni del caso saranno comunque prese: a proposito, in termini di viabilità si profila la soluzione della chiusura temporanea al traffico dei tratti stradali in cui transiterà il Tir, ma solo per i minuti strettamente necessari al passaggio. Il tutto per evitare stazionamenti del carico. Dunque, i disagi alla circolazione dovrebbero essere molto limitati. La prefettura coordinerà anche l’arrivo della nave dallo scalo di Capodistria, per quanto concerne le operazioni nel porto triestino. Del percorso in mare si occuperanno l’armatore e le capitanerie di porto. Sembra insomma che il «no» della Regione al transito sul territorio del Friuli Venezia Giulia di scorie radioattive non abbia incrinato di una virgola le intenzioni del governo, che fa riferimento ad accordi internazionali. D’altronde anche lo stesso ministro Corrado Passera aveva confermato nelle scorse settimane che il programma sarebbe andato avanti comunque. Il Comune, dal canto suo, in attesa di comunicazioni formali dalla prefettura ribadisce la linea già espressa dal sindaco Roberto Cosolini, questa volta per voce dell’assessore all’Ambiente Umberto Laureni: «Per la manipolazione e il trasporto di radioisotopi c’è una legislazione tutta speciale con regole iperstringenti, che riteniamo saranno strettamente rispettate. Abbiamo piena fiducia nel sistema: non c’è nessun rischio». (m.u.)

Iniziative questa settimana

C’è nè per tutti i gusti….

anarchia




CIE DI GRADISCA: resta la connecting people

Dal il piccolo del 18/09

Connecting people confermata gestore ufficiale del Cie

 

di Luigi Murciano GRADISCA È destinata a proseguire la gestione di Connecting People al Cie di Gradisca. Il consorzio trapanese, che da 4 anni cura i servizi interni della struttura di espulsione per immigrati irregolari e quella del vicino Centro per richiedenti asilo, dovrebbe vedersi riconoscere l’aggiudicazione definitiva della gestione per il triennio 2011-2014. Stiamo parlando, in sostanza, della contestata gara d’appalto che aveva visto prevalere in un primo momento il consorzio temporaneo d’impresa presieduto dal colosso francese Gepsa. Al secondo posto si classificò proprio la coop siciliana, gestore uscente. Un epilogo che scatenò una vera e propria guerra a colpi di carte bollate, proseguita con il ricorso di Connecting People al Tar del Friuli Venezia Giulia che dapprima aveva accolto la richiesta di sospensiva della procedura di affidamento ai transalpini, e infine aveva stabilito l’illegittimità del primo posto di Gepsa in graduatoria, contestando dunque alla Prefettura di Gorizia l’intera procedura. Ora una nuova puntata, probabilmente decisiva, viene da un’ordinanza del Consiglio di Stato, con la quale è arrivata una nuova doccia gelata per Gepsa: ne è stata infatti respinta l’istanza cautelare sul ricorso contro la sentenza del Tar. L’Avvocatura distrettuale dello Stato di Trieste, con proprio parere, ritiene inoltre che si debba procedere con l’affidamento definitivo all’impresa seconda classificata, l’uscente Connecting People. «La sentenza nel merito della vicenda deve ancora essere emessa, ma tale ordinanza fa presupporre che non vi siano molte possibilità che l’orientamento del Consiglio di Stato possa essere sovvertito», spiegano i legali del consorzio capitanato da Gepsa. Connecting People da oltre un anno gestisce Cie e Cara in regime di prorogatio, con mini-prolungamenti al suo contratto precedentemente scaduto. Una situazione di grande incertezza che di riflesso non ha certo potuto giovare alla delicata struttura gradiscana. Alle problematiche interne – le più o meno periodiche fughe, rivolte ed evasioni – si erano aggiunte anche le istanze dei dipendenti, che molto spesso hanno denunciato ritardi nella riscossione degli stipendi e condizioni di lavoro e di sicurezza quantomeno da migliorare. A tutto questo si era aggiunta l’indagine nei confronti della stessa Connecting People e della Prefettura, con ipotesi che vanno dal falso ideologico, al favoreggiamento, alla corruzione, alla truffa ai danni dello Stato. Secondo l’accusa infatti sarebbero state “gonfiate” i numeri delle presenze degli immigrati nelle due strutture collocate a Gradisca d’Isonzo al fine di intascare più soldi di quanto dovuto dallo Stato per la gestione dei due centri.

CLIMA/ Video: 130 anni di Global Warming

Se lo dice la Nasa

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