Marzo 17th, 2017 — CIE = Lager, General
da IlPiccolo
23/08
«Inchiesta Cie, vedute divergenti tra i pm»
Sono stati i pubblici ministeri Valentina Bossi e Luigi Luigi Leghissa di loro iniziativa, con due distinte istanze, a chiedere al Procuratore capo della Repubblica l’assegnazione ad altro collega dell’inchiesta sugli appalti al Cie, che vede indagata la vice prefetto vicario Allegretto assieme a due funzionari della Prefettura e due responsabili della cooperativa che gestisce il Cie. Una decisione scaturita da una non omogenea veduta dei due pubblici ministeri nella gestione del processo. Lo afferma il Procuratore della Repubblica Caterina Ajello in una nota, che è stata controfirmata anche dai cinque sostituti in servizio alla Procura goriziana. «Preso atto di ciò – afferma la Ajello – ho designato secondo i criteri tabellari gli unici due restanti sostituto facenti parte del Gruppo reati contro la pubblica amministrazione, cioè i dottori Enrico Pavone e Michele Martorelli». L’inchiesta sul Cie riguarda la gestione e gli appalti al centro di identificazione ed espulsione di Gradisca. In un primo momento l’accusa ipotizzata era di falso ideologico e negli ultimi mesi mesi era stata ventilata anche l’ipotesi della corruzione. Inoltre la Ajello, come avevamo anche scritto, ricorda che in autunno i pm Leghissa e Bossi saranno impegnati a sostenere l’accusa nelle ultime battute del maxi processo per le morti da amianto – la preparazione della requisitoria richiederà uno sforzo non indifferente per la necessità di effettuare la sintesi e la raccolta di tutti i dati processuali – e quindi «la riassegnazione dell’inchiesta Cie ad altri magistrati ben si concilia temporalmente e logicamente con lo sgravio di lavoro riguardante quest’ultimo procedimento». La Procuratrice coglie anche l’occasione nel sottolineare che grazie al suo interessamento «da un anno e mezzo quattro finanzieri e un esponente della Digos si dedicano quotidianamente ed esclusivamente a queste indagini, venendo supportati in alternanza da altri esponenti delle forze dell’ordine. Vale a dire che non sono mai stati risparmiati uomini e iniziative investigative dell’Ufficio della Procura per approdare alla reale verità dei fatti, e alla scoperta di illeciti di rilievo penale».
22/08
Ospite del Cie fugge dall’ospedale
È durata poco la fuga di un immigrato ospite del Cie di Gradisca. È stato fermato dai carabinieri dopo essere fuggito dall’ospedale San Giovanni di Dio di Gorizia. Un giovane tunisino di 27 anni, ospite del centro immigrati di via Udine, era stato ricoverato all’ospedale civile di Gorizia per accertamenti. Ieri mattina, eludendo l’attenzione del personale sanitario, il giovane nordafricano si era arbitrariamente allontanato dal nosocomio del capoluogo isontino. La sua assenza è stata notata subito dai medici, che contattavano il “112”. In breve una pattuglia del Nucleo radiomobile in servizio perlustrativo in città rintracciava il giovane magrebino che, in fase di accertamento dell’identità, declinava ai militari operanti generalità false. Accompagnato al Comando Carabinieri di corso Verdi per espletare le formalità di rito, il giovane veniva denunciato a piede libero alla locale Procura della Repubblica per false dichiarazioni sulla identità personale e riaccompagnato al Centro di identificazione ed espulsione della città della fortezza. Non è la prima volta che extracomunitari che si trovano al Cie si fanno ricoverare all’ospedale, magari dopo gesti di autolesionismo, per cercare poi di fuggire eludendo la sorveglianza del personale. Un sistema che in qualche occasione ha anche funzionato.
12/08
Appalti al Cie, escono di scena i pm “storici”
GORIZIA Da falso ideologico a corruzione: l’inchiesta sui due centri migranti di Gradisca, il Cie e il Cara, imbocca una nuova strada. Indagata con l’ipotesi di corruzione è il viceprefetto vicario di Gorizia Gloria Allegretto, implicata nella vicenda già dal marzo scorso ma con l’ipotesi meno grave di falso ideologico. Ma su questa linea dura, intrapresa dal pm Valentina Bossi, non tutti sono d’accordo in Procura a cominciare dal capo dell’ufficio, la dottoressa Caterina Ajello, che conferma l’indagine per corruzione, ma non è convinta ed esprime qualche dubbio che questa accusa possa reggere. E forse questa identità di vedute diverse che ha spinto Bossi, dopo un’indagine condotta per un anno e mezzo, ad abbandonare l’inchiesta. Ajello sostiene che l’avvicendamento è dovuto per Bossi e per il collega Leghissa, che pure indaga sul Cie, perché impegnati in altri processi. I due pm infatti seguono le inchieste sulle morti da amianto: sono impegnati nel maxiprocesso che è alle battute conclusive, ma stanno arrivando a giudizio altri quattro filoni legati sempre ai decessi per asbestosi. Così Ajello ha affidato l’inchiesta sul Cie ad altri due pm che seguono i reati contro la pubblica amministrazione. Ma gli spifferi che giungono dal secondo piano del Palazzo di giustizia danno una versione diversa dei motivi che hanno portato alla rinuncia da parte della Bossi, convinta invece nel portare avanti con decisione l’ipotesi di corruzione nel giro di soldi, 1,5 milioni, avvenuto per la gestione del Cie e del Cara. Il pm ha ipotizzato che parte dei soldi che dal ministero dell’Interno giunge alla Prefettura per la gestione dei centri immigrati sia finito in tasca a qualche privato. Un’indagine, che tocca la Prefettura, e quindi scomoda. Da prendere con le pinze. Non è solo Gloria Allegretto ad essere indagata, ci sono anche tre dipendenti della stessa prefettura ma con ipotesi diverse che vanno dal falso ideologico al favoreggiamento. A questi vanno aggiunti due esponenti della Connecting people, il consorzio di Trapani che gestisce da 4 anni Cie e Cara di Gradisca. Sono accusati di falso e truffa per aver dichiarato più presenze di immigrati di quelle effettive intascando così più soldi di quanti dovuti con il visto della Prefettura. Secondo l’appalto il gestore riceve 42 euro al giorno per ogni immigrati al quale deve fornire pasti, medicinali, vestiario e quanto di altro necessario. (fra. Fem.)
11/08
I posti disponibili scendono a 70 per colpa dei danni
I Cie di Gradisca continua a rimanere a basso regime. Nella struttura per migranti le presenze si attestano appena sulle 70 unità, a fronte di una capienza reale (mai toccata) di 248 posti. “Colpa” degli infiniti lavori di ristrutturazione delle sezioni danneggiate in questi anni. All’appello manca la zona verde e una parte della zona blu, quella danneggiata nel giugno scorso dopo che era stata appena resa nuovamente agibile. Lavori attesi anche nella zona rossa e nell’area esterna: a settembre sarà dotata di teloni per impedire agli immigrati d’issarsi sui tetti e saltare fuori fuggendo.
11/08
Lo chiudono al Cie, ingoia pezzi di vetro
di Luigi Murciano GORIZIA Ha ingoiato uno dopo l’altro 15 pezzi di vetro infrangibile per protestare contro il proprio trattenimento al Cie di Gradisca. Oggi è ricoverato in Chirurgia del nosocomio di Cattinara dopo un delicato intervento al ventre. Quella di Hatem (il nome è di fantasia) è una storia come tante nascoste dietro al muro dell’ex Caserma Polonio di Gradisca d’Isonzo. Ma è una storia che per una volta riesce a scavalcare quell’invalicabile recinzione ed arrivare all’opinione pubblica. Hatem, 43 anni, è un cittadino tunisino. Lavorava nel nostro Paese ormai da anni – «perfettamente in regola», avrebbe assicurato – ma il suo permesso di soggiorno è scaduto. E non è più stato possibile rinnovarlo. E così, da un giorno all’altro, la vita di Hatem è cambiata. È stato disposto il suo fermo amministrativo e la sua traduzione nel Cie di Gradisca d’Isonzo in attesa di espulsione. Si è trovato a dividere la camerata con altri immigrati maghrebini: alcuni con alle spalle storie molto simili alla sua, altri invece provenienti dal circuito carcerario e in attesa di rimpatrio dopo avere scontato la pena. Proprio questo, pare, ha fatto perdere la testa ad Hatem. «Io non ho fatto nulla, non ho reati alle spalle, perchè mi trovo rinchiuso con queste persone? Non sono un delinquente» si sarebbe sfogato prima di passare alle vie di fatto. Qualche compagno gli deve avere suggerito di fare come tanti altri: ingoiare qualche bullone o qualche pezzo di vetro per tentare la strada del ricovero in ospedale. Per molti, l’unica vera possibilità di fuga: una volta al nosocomio, infatti, gli immigrati vengono piantonati solo in caso di esami di routine; in caso di ricovero le forze dell’ordine non sono tenute a sorvegliarli. Chissà se Hatem voleva davvero tentare la corsa verso la libertà o solamente inscenare una protesta: fatto sta che i dolori lancinanti hanno indotto il personale sanitario del Cie a decidere per il ricovero all’ospedale di Gorizia, dove la situazione è sembrata grave al punto da disporre il trasferimento dell’uomo a Cattinara per l’intervento chirurgico di rimozione dei frammenti ingoiati. Una storia come quella di Hatem, assicurano i sindacati di polizia, è ormai all’ordine del giorno. Prova ne sia che è stato disposto un servizio, garantito da Carabinieri e Guardia di finanza, per il trasporto all’ospedale degli immigrati. Prassi ormai quasi quotidiana. «Praticare atti di autolesionismo per ottenere il ricovero in ospedale è un comportamento sempre più diffuso fra i trattenuti al Cie – riflette Angelo Obit, segretario provinciale Sap -. Senza volere generalizzare su questo caso, la pratica d’ingerire vetri e bulloni è l’unica reale possibilità di fuga a disposizione di queste persone. Spesso funziona pure». L’ultimo caso qualche settimana fa, quando un ospite del Centro è riuscito a darsi alla macchia dopo avere ottenuto il trasferimento al nosocomio di Gorizia. «Alcuni arrotondano i pezzi di plexiglass in modo che non s’infilzino sugli organi interni – svela Obit -. Insomma, esistono anche tecniche piuttosto affinate. Ma quello che bisogna chiedersi è come sia possibile che le persone trattenute riescano a procurarsi questo genere di materiali da ingerire». Un aspetto del Cie che continua a fare discutere, comunque, è la pericolosa promiscuità fra tipologie di immigrato troppo diverse fra loro per convivere sino a sei mesi. Nella stessa cella convivono migranti come Hatem, che si sono ritrovati clandestini da un giorno all’altro per un documento scaduto o per essere stati pizzicati dopo anni di sfruttamento sul mercato nero del lavoro; e soggetti pericolosi che hanno sì saldato il loro debito con la giustizia, ma ai quali viene affibbiato un supplemento di pena (il trattenimento al Cie, appunto) in attesa che il Paese d’origine li riprenda indietro. Un mix esplosivo.
Marzo 17th, 2017 — General, Notizie flash
DIO
PATRIA …
FAMIGLIA
e le vittime sono quasi sempre donne
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Marzo 17th, 2017 — General, Varie
Leggete:
“Se la depressione colpisce una donna, come reagisce chi gli sta vicino? Quando un uomo uccide la propria partner per gelosia, cosa pensiamo? Quando una donna è preda della droga, del gioco d’azzardo, del vizio, come ci comportiamo? Quando una donna è diversa dalle nostre aspettative cosa facciamo? E se non gli interessano gli uomini?”
Allora, intanto ridiamo, perchè è il primo impulso che genera l’incipit patetico e sballato di questa iniziativa che qui di seguito commentiamo.
Ed ecco qua, che alla fine della stagione estiva, La Fattoria Didattica & Sociale Bosco di Museis, di Renato Garibaldi, dopo le serate sulle radici cristiane e celtiche della cultura di montagna curate da Paolo Paron (uno degli artefici dell’operazione Sbilfs e dell’invenzione e/o manipolazione delle tradizioni carniche a uso della nuova destra iniziata nei primi anni ’90), le riflessioni sugli stranieri con o senza dio gestite da un prete di fama (di) sinistra come Don Di Piazza, l’apologia degli imprenditori della montagna, persino la proiezione del film “Carnia 1944”, organizza la sua brava INIZIATIVA SESSISTA SULLE DONNE (ahinoi anche con alcune donne presenti che forse non hanno saputo leggere tra le righe e quindi non hanno capito l’importanza di disertare simili contesti).
L’iniziativa è intitolata DONNE E SOFFERENZA-BINOMIO INDISSOLUBILE? e il testo di presentazione, oltre alla sciatteria di utilizzare erroneamente e ripetutamente il pronome maschile anziché quello femminile, conferma l’ambiguità e l’ambivalenza politica (la terza posizione!?!) che caratterizzano le proposte culturali di Bosco di Museis. L’obiettivo è riuscire ad infiltrarsi nell’antifascismo storico, nelle lotte ambientali e/o di difesa del territorio… ed ora anche nel patrimonio del movimento delle donne, per appropriarsene ed infestarli di un pensiero autoritario e oscurantista.
Ed ecco che parlando di depressione delle donne ci si guarda bene dal fare riferimento alla struttura sociale patriarcale e al familismo che ne sono gli incubatori (come ben sottolineava vent’ anni fa Donatella Cozzi proprio in uno studio sulla depressione femminile in Carnia), come anche alla funzione cronicizzante del manicomio chimico post basagliano; mentre, parlando di uomini che ammazzano le donne per gelosia, si censurano accuratamente le parole violenza di genere, oppressione, prevaricazione, negazione, anzi, sembra che si voglia proprio rovesciare sulle donne un problema di sofferenza ormai squisitamente maschile: non si giustificano forse sempre gli autori di femminicidio con un “…era depresso…”?
Sorvoliamo con una risata (che speriamo li seppellirà!) sui toni millenaristi utilizzati per parlare delle “donne preda del VIZIO” in ogni sua declinazione possibile, ma ci teniamo a concludere diffidando l’organizzatore dall’associare la sofferenza alla condizione delle “donne alle quali non interessano gli uomini”: le donne che amano le donne, non soffrono affatto e anzi se la spassano, le uniche sofferenze sono quelle provocate dalla patologizzazione e colpevolizzazione dei desideri messe in atto dalle chiese, dai fascismi e dalle scienze mediche e psichiatriche ai loro danni!
* Foto di dedica al convegno di Garibaldi: Donne e sofferenza? Ribellione e resistenza!!
Marzo 17th, 2017 — General, Inquinamento
da La Repubblica
Bruciati cento milioni nella falsa bonifica
in Friuli nuovi guai per la Protezione civile
Una “Maddalena bis” nella laguna, chiesti 14 rinvii a giudizio. E un commissario nominato da Bertolaso per l’inquinamento fantasma dal nostro inviato PAOLO BERIZZI
UDINE – Questa è la storia di una laguna che è diventata una mangiatoia. Una laguna malata e mai bonificata. Un buco nero di sprechi e veleni nel quale lo Stato ha annegato 100 milioni. È una storia di fanghi al mercurio e commissari indagati, di canali otturati e analisi creative. Per raccontare lo scandalo della laguna di Grado e Marano basterebbe dire come è iniziato e come sta (forse) finendo. È iniziato con uno stato di emergenza (3 maggio 2002, ministro dell’Ambiente era Altero Matteoli) e la nomina di un commissario da parte dell’allora boss della Protezione civile Guido Bertolaso (dall’anno dopo e fino allo stop di Monti si andrà avanti col sistema della deroga che ha causato le porcate del G8 e della ricostruzione post-terremoto dell’Aquila).
Lo scandalo sta finendo con la richiesta di rinvio a giudizio per 14 persone (tra commissari e soggetti attuatori; diversi i politici di entrambi gli schieramenti). Dovranno rispondere di peculato, omissione e truffa ai danni dello Stato. Non solo: si sta prefigurando anche il reato di disastro ambientale. Perché – ha scoperto Viviana Del Tedesco, il sostituto procuratore di Udine che indaga sulla vicenda e ha firmato le 40 pagine d’accusa – i lavori per l’eliminazione dei fanghi inquinanti (“un falso presupposto”), in questi dieci anni – ecco l’ulteriore beffa – hanno provocato, a loro volta, seri danni alla laguna. “Sia alla morfologia che all’ecosistema”. Per la serie: non bastava sprecare 100 milioni per non risolvere un problema; bisognava anche aggravarlo.
Un pasticcio all’italiana. Con tutti gli ingredienti al loro posto e qualche chicca…
Per esempio l’immancabile cognato (indagato) di Bertolaso, quel Francesco Piermarini esperto di cinema ma anche di bonifiche, ma forse più di cinema se dopo il flop della Maddalena (72 milioni per ripulire i fondali che però sono ancora pieni di idrocarburi) l’hanno imbarcato (47mila euro) anche in questa folle operazione nell’Alto Adriatico finita nella maxi-inchiesta della procura di Udine. L’hanno chiamata, non a caso, “finta emergenza del Sin” (sito inquinato di interesse nazionale, la laguna appunto). In origine è lo stabilimento Caffaro di Torviscosa. La Caffaro sta alla chimica come l’Ilva sta all’acciaieria. Fondata nel 1938 alla presenza di Mussolini come sede produttiva del gruppo “Snia Viscosa”, più di 25mila tonnellate di prodotti venduti ogni anno. Adesso l’azienda è chiusa (il gruppo Snia è in amministrazione straordinaria). Per anni, però, la Caffaro ha sputato veleno. Fango al mercurio trascinato in laguna dai fiumi Aussa e Corno. Il risultato è che lo specchio d’acqua antistante lo stabilimento si è riempito di metalli. I canali (cinque) si sono intasati rendendo sempre più difficile la navigazione e mandando su tutte le furie le marinerie di Aprilia Marittima (si costituiranno parte civile assieme a Caffaro). “Era chiaro fin da subito che l’inquinamento riguardava solo una minima parte della laguna di Grado e Marano – osserva il pm Del Tedesco – . Ma qualcuno ne ha approfittato”.
È il 2001, iniziano le sorprese. La commissione fanghi nominata dalla Regione deposita un progetto definitivo per i drenaggi di tutti i canali. Lo studio viene consegnato il 28 febbraio 2002. Resterà nel cassetto per dieci anni. Due giorni fa la Guardia di finanza di Udine va a prenderlo a Trieste negli uffici della Regione. Una scoperta “interessante”. Per due motivi: primo, il 3 maggio del 2002 – tre mesi dopo il deposito della ricerca – il ministero dell’Interno decreta lo stato di emergenza. Che manda il progetto in soffitta. Secondo: il piano “dimenticato” dalla Regione (quanto è costato?) prevedeva di rimettere i fanghi tolti dai canali in laguna (come si fa dai tempi della Serenissima) e non certo, come si è deciso dopo, di portarli a Trieste o a Venezia, o stoccarli come rifiuti speciali in vasche di colmata che cadono a pezzi. Perché si sono scordati del progetto? La risposta ce l’hanno i magistrati. “Hanno voluto e poi cavalcato lo stato di emergenza per abbuffarsi di incarichi, consulenze, nomine, poltrone “. Un valzer costato 100 milioni in dieci anni. I commissari che si avvicendano sono tre. Il primo (giugno 2002) è Paolo Ciani, consigliere e segretario regionale di Fli, già assessore all’ambiente.
In Regione, e infine a Gianni Menchini, geologo vicino all’assessore pidiellino Riccardo Riccardi.
L’anno scorso il premier Monti, d’accordo col ministro Corrado Clini e con il nuovo capo della Protezione civile, Franco Gabrielli, decide che può bastare: stop al commissario della laguna. I fari della magistratura sono già accessi. Il prosciugamento del denaro pubblico è iniziato con le analisi dei fanghi. Costate 4 milioni, si rivelano inutili perché mai validate da nessun organismo pubblico. I carotaggi vengono affidati alla Nautilus, un’azienda calabrese all’epoca sprovvista del certificato antimafia. Poi arrivano gli altri “investimenti”. Gettati, è il caso di dire, nel fango. Vasche di raccolta e palancole (paratie di ferro) garantite 64 anni che a distanza di sei anni stanno crollando (il metallo si sbriciola e inquina la laguna). I commissari ottengono strutture da 30 persone, gli stipendi schizzano da 5 a 11mila euro al mese. Una bengodi per tecnici e soggetti attuatori.
Una piccola Maddalena, con la sua cricca. Persino grottesche alcune iniziative messe in campo: dopo il decreto dello stato di emergenza per inquinamento ambientale, all’Università viene commissionato uno studio di fattibilità per installare un’attività di allevamento di molluschi nella stessa laguna. In tutto questo non può mancare la ciliegia sulla torta: al netto dei 100 milioni spesi, l’area Caffaro – secondo alcuni l’unica inquinata, secondo altri l’epicentro della presunta pandemia dell’intera laguna (1600 ettari) – , non è stata mai bonificata. È il colmo. La giunta regionale tace. Sulla vicenda l’unica a martellare è l’emittente televisiva locale “Triveneta”. Intanto i magistrati vanno avanti. Malata curabile, immaginaria o terminale, per la laguna gli orizzonti sono sempre meno blu.
(25 agosto 2012)
Marzo 17th, 2017 — General, Petrolio
Esplode raffineria in Venezuela
26 morti tra cui un bambino
Oltre 50 i feriti. L’incidente forse provocato dall’esplosione di un serbatorio della benzina. La Amuay, che produce 645mila barili di greggio al giorno, è parte del Paraguana Refining Center, uno dei complessi di raffinazione più grandi al mondo
PARAGUANA (Venezuela) – Almeno 24 morti e 53 feriti. Questo il bilancio dell’esplosione avvenuta all’1 di mattina ora locale (le 6 in Italia) in una raffineria di petrolio, una delle più grandi del Venezuela, la Amuay refinery, nell’ovest del Paese. Tra le vittime anche un bambino di 10 anni e 17 poliziotti.
Il governatore locale dello Stato di Falcón, Stella Lugo, ha riferito alla tv nazionale che l’incidente potrebbe essere stato provocato dall’esplosione di un serbatoio della benzina, a sua volta innescata da una fuga di gas.
Lo scoppio ha provocato danni alla struttura e alle abitazioni vicine, ferendo e uccidendo chi abita nei paraggi. “Il gas – ha spiegato il ministro del Petrolio, Rafael Ramirez – ha generato una nube che in un secondo momento è esplosa e ha scatenato fiamme in almeno due cisterne della raffineria e nelle aree circostanti. L’onda dell’esplosione è stata di grandezza significativa”.
Starà ora agli esperti determinare la causa che ha innescato il tutto. In seguito all’incidente, le forniture di carburante sono state fermate nella parte dell’impianto ancora in fiamme. “Le colonne di fuoco – ha aggiunto il governatore – sono molto alte perchè stanno bruciando gli idrocarburi”.
I servizi di emergenza sono all’opera cercando di domare le fiamme con della schiuma. Il governatore però ha garantito che, pur essendoci ancora un grosso incendio nella raffineria, la situazione è sotto controllo e non ci sono rischi di altre esplosioni.
La raffineria di Amuay, che si trova a 350 chilometri da Caracas, produce 645mila barili di greggio al giorno ed è parte del Paraguana Refining Center, uno dei complessi di raffinerie più grandi al mondo, con una capacità complessiva di 955 mila barili al giorno.
Marzo 17th, 2017 — Ecologia Sociale, General
Il mutualismo, l’auto-organizzazione, la libertà e la soggettività — sottese dai principi ecologici di unità nella diversità, di spontaneità, di relazioni non-gerarchiche — sono perciò fini in sé. A parte le responsabilità ecologiche che questi fini attribuiscono alla nostra specie in quanto voce autoriflessiva della natura, essi letteralmente ci definiscono.
La natura non esiste per il nostro uso, essa semplicemente legittima ecologicamente noi e la nostra unicità.
Come il concetto di “essere”, questi principi dell’ecologia sociale non hanno bisogno di spiegazioni, solo di verifiche. Sono elementi di una ontologia etica, non regole di un gioco che possono essere cambiate per adeguarsi alle esigenze personali
Bookchin L’ecologia della lIbertà pag, 532
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Marzo 17th, 2017 — General, Gruppo Ecologia Sociale
La festa è durata solo due giorni in quanto le previsioni meteorologiche per domenica 26 agosto erano pessime. Infatti, anche se la zona è stata risparmiata da eventi estremi, la pioggia (per fortuna, bisogna anche dirlo), è poi arrivata.
La festa è riuscita molto bene, da tutti i punti di vista. Hanno girato più di mille persone fra il venerdì e il sabato, fra cui molti giovani, che hanno potuto conoscere per la prima volta, ed apprezzare, la singolare caratteristica della “fieste dai indians”, che non si commercializza e non si addatta a logiche opportuniste.
Possiamo dire che la festa, basata sulla convivialità e la completa autogestione di tutte le fasi organizzative e di svolgimento, ha ripreso la sua forza originaria, aggiungendo alle sue caratteristiche, una maggiore maturità, anche politica.
Quindi nel ventennale dalla sua apparizione, (l’origine è stato un evento contro le colombiadi nel 1992, nei 500 anni dell’inizio della colonizzazione europea delle americhe), possiamo dire che questa iniziativa riparte con forza, dopo aver superato una fase di crisi acuta determinata dalle più svariate ragioni. Adesso “Tepee in Tal Parco” ha nuove gambe per camminare, nel lungo percorso contro il colonialismo, la globalizzazione e una crisi economica feroce, ma anche pilotata, del capitalismo globale, nel tentativo di riportare indietro le lancette della storia.

L’autogestione, l’ecologia e la “Modern Crisis”
L’autogestione è la risposta, pratica e reale, come base dei movimenti futuri che si troveranno ad affrontare una crisi globale e devastante, già ben evidente ora, ma che sarà sempre più pesante nei prossimi anni.
L’autogestione non è un gioco e non può essere parziale, coprire cioè solo gli aspetti più convenienti politicamente o ludicamente, ma deve essere, in linea di tendenza, completa, nei contenuti e nei metodi, se vuole assumersi l’onere di tutti i problemi che porta con sè una prospettiva di autogestione integrale e e generalizzata della società.
L’autogestione deve essere il laboratorio pratico per imparare a fare le cose, per il superamento della sensibilità gerarchica e competitiva che caratterizza la vita sociale ed anche, molto spesso, le organizzazioni, che, a parole, dicono di porsi come alternativa al sistema capitalista ed autoritario, ma, nella realtà, ne riproducono i tratti più profondi.
L’autogestione non è un’ideologia, è un’ ontologia etica, è un modo di essere che si misura nella pratica di lotta ed autoorganizzazione: un desiderio del presente, ma anche una necessità del futuro, quindi è un’arte da imparare e diffondere perchè è l’indispensabile metodo che ci può dare una speranza per il futuro della vita sociale in un pianeta sfruttato e devastato.
L’ecologia. I temi della festa sono, come si vede dalle scenografie: aria, acqua, terra e fuoco, organizzati sotto il principio che “non si vendono”; cioè le “strutture a supporto della vita” che la natura mette a disposizione degli abitanti del pianeta devono essere sottratte alla logica economica del capitalismo, della proprietà privata e dello sfruttamento intensivo, per lasciar sviluppare un usufrutto sostenibile e collettivo dei beni naturali.
La “Modern Crisis”. Il momento storico alla fine è arrivato. Il problema di questo secolo è finalmente quello di riuscire a sradicare il Capitalismo e lo Stato e più in generale la logica di dominio, e costruire una società libertaria, ecologica ed autogestita. Ci si misura su questa sfida e non su banalizzazioni come quella dei “beni comuni”, che significano tutto e niente (e quindi niente!). Questo sistema è destinato a crollare e ciò avverrà entro questo secolo, ma la sfida è veramente enorme e bisogna prepararsi e preparare le future generazioni, ad affrontarla.
Perchè Indiani?
Il significato di essere indiani è anche quello di optare per la semplicità massima della organizzazione sociale e di valorizzare, le possibilità di autosufficienza che si riescono ancora ad individuare nell’attuale fase di sempre maggior espropriazione degli elementi basilari della vita da parte del sistema di dominio. La semplicità quindi è anche un’arma strategica, perchè aumenta il grado di indipendenza dai vincoli e dai ricatti del sistema. L’abbinamento No Tav/Indiani è risultato naturale anche in Valsusa, il problema è non farsi rinchiudere in riserve, o addirittura rinchiudersi da soli in una logica eccessivamente localista. Agire a livello locale è oramai un criterio di legittimità politica nel senso che lo si deve fare, bisogna radicarsi nei territori, ma poi il “pensare globale” non è una cosa che viene da sè, il pensiero globale, olistico, va continuamente rielaborato e deve essere un’opera collettiva. Invece siamo di fronte ad un pensiero riduzionista localizzato, segmentato, frazionato, sclerotizzato e per di più con la presunzione di applicarlo globalmente a tutto il mondo. No Grazie.
Per concludere, il logo della festa, anche quest’anno è stato l’indiano che impugna la bandiera No Tav, in perfetta sintonia con il principio di Cavallo Pazzo “No si vent le tiare dulà cal cjamine un Popul”, ed in sostegno alla lotta contro l’opera più inutile, mafiosa e devastante mai programmata ed imposta in Italia. Ripeto, come ho avuto modo di affermare in molte altre occasioni, che diffondere la tematica del No Tav è un percorso molto difficile e quindi la familiarizzazione con le bandiere No Tav ad iniziative come questa è molto importante.
26 agosto 2012 De Toni Paolo

























Marzo 17th, 2017 — Bio-carburanti, General
da Il Piccolo del 27 agosto 2012 –Pagina 14 – Gorizia-Monfalcone
A2A studia un futuro legato al carbone Costerà 800 milioni
Si deciderà in autunno. Sopralluoghi per la nuova ferrovia Si punta anche ai rifiuti trattati. Tecnologie anti-inquinanti
CENTRALE»PROGETTI E INVESTIMENTI
di Giulio Garau Niente più gruppi ad olio, potrebbero essere dismessi definitivamente e il passaggio degli impianti, dopo una profonda e sofisticata ristrutturazione con nuove tecnologie, all’alimentazione al carbone “pulito” di tipo fossile e forse a una nuova tipologia di “scarti” che si ottengono con un trattamento sperimentale di certi rifiuti riciclabili. Tramonta del tutto, almeno per ora, la possibilità di alimentazione con il gas. Per ora si tratta soltanto di ipotesi per la centrale elettrica A2A di Monfalcone, ma la decisione per questo futuro è molto vicina, sarà presa in autunno e questo progetto di rilancio, o meglio di re-vamping della vecchia centrale vale almeno 800 milioni di euro di investimento. «Non è stato deciso ancora nulla, si tratta ancora di ipotesi, bisogna attendere l’approvazione dei vertici», fanno sapere da A2A anche se sul fronte monfalconese il gruppo energetico si è già mosso con valutazioni tecniche approfondite che riguardano l’approvvigionamento della centrale con il carbone. Lo conferma lo stesso Consorzio industriale di Monfalcone. «A2A sta valutando la possibilità di recuperare la vecchia ferrovia che collega la centrale e che in parte è stata dismessa togliendo alcuni binari – fa sapere il direttore, Gianpaolo Fontana -. I tecnici hanno eseguito un sopralluogo per recuperare il tratto che dalla centrale finisce al bivio di via Solvay per garantire l’approvvigionamento di carbone alla centrale sia via mare che via terra con carri merci dedicati». Si tratta di un binario lungo circa un chilometro e su cui dovranno essere fatti investimenti e bisognerà anche stringere accordi commerciali con le Ferrovie sui treni blocco, sempre che non scoppi la guerra tra i Consorzi e le Fs sulla gestione sempre più onerosa dei raccordi collegati alla rete ferroviaria nazionale. Dismissione completa dei vecchi gruppi a olio e passaggio, completo, al carbone fossile di vario tipo e soprattutto di diverse miscelature e diverso valore energetico. Questo a quanto si sa il futuro della centrale elettrica di Monfalcone che dovrebbe essere ristrutturata con un forte investimento (800 milioni appunto) per garantire all’impianto di poter avere un bassissimo impatto ambientale. È il famoso “carbone pulito” di cui si parla, una risorsa fossile presente in abbondanza nel mondo e che garantisce alle centrali di non sottostare alle politiche di “cartello” dei vari giganti del petrolio, ma anche del gas. Fin qui la parte tradizionale, ma c’è anche una seconda parte. Per Monfalcone si starebbe studiando di applicare una avanzatissima tecnologia, su cui sta lavorando con approfondite ricerche A2A, che prevede di utilizzare una particolarte tipologia di rifiuti già trattati che derivano dalla raccolta differenziata e che vengono tramutati in una materia che non più un rifiuto. Una ricerca che va sulla scia di quella che riguarda gli impianti sperimentali per trasformare in sale le ceneri dell’incenertitore che brucia i rifiuti. L’idea (riguarda per ora Buffalora nel Bresciano) è quella di tentare di trattare le ceneri in casa piuttosto che in Germania dove vengono mandate ma la cui trasformazione costa ben 130 euro a tonnellata.
Marzo 17th, 2017 — Complotti, General
COMUNICATO COORDINAMENTO TRENTINO E MOVIMENTO NO TAV VAL SUSA
A pochi giorni dal campeggio No Tav, che inizierà giovedì a Marco di Rovereto, l’arresto di Massimo Passamani, i domiciliari per Daniela Battisti e le perquisizioni a una decina di attivisti No Tav trentini, è un tentativo di gettare paure sull’intero movimento No Tav. L’operazione, mentre il movimento trentino No Tav sta crescendo e maturando (a maggio a Trento più di 1000 persone hanno partecipato al corteo contro l’opera), è palese: si spera così di screditare il movimento, di additarlo come pericoloso e violento, di far credere alle persone che partecipando alla lotta No Tav sarebbero “manovrati dagli anarchici”. Dalla Val Susa al Trentino invece il movimento No Tav sta dimostrato di riuscire ad essere un luogo in cui nessuno manovra nessuno, ma tutti si lotta insieme, ciascuno con i propri mezzi, contro opere inutili e devastanti e contro la prepotenza di chi le vorrebbe imporre.
A dimostrazione della pretestuosità degli arresti basti pensare che questi sono stati disposti dalla procura il 2 agosto: un mese fa. L’attesa, a fronte del presunto “pericolo terrorismo”, fino a due giorni prima del campeggio, fa pensare che a far paura non siano i terroristi, ma piuttosto la varietà e la determinazione dell’intero movimento.
Massimo, Daniela, e tutti gli altri indagati, al nostro movimento hanno dato e continuano a dare tanto in Trentino come in Valsusa. Per questo gli siamo vicini adesso e speriamo di averli presto liberi accanto a noi.
Non ci facciamo intimorire da queste operazioni, vi aspettiamo tutti giovedì sera alle 20.00 assemblea di apertura del Campeggio No Tav Trentino ai Giardini Polifunzionali di Marco di Rovereto.
E per chiunque avesse dubbi riguardo la partecipazione, rompete gli indugi, perchè mai come ora il segnale che vogliamo dare è quello della serenità delle nostre ragioni, della partecipazione e della determinazione a bloccare queste opere, perchè ne va del nostro futuro e della nostra dignità.
Coordinamento No Tav Trentino
Movimento No Tav Valsusa
http://informa-azione.info/
Trentino – Operazione repressiva, arrestato Massimo Passamani
All’alba del 27 agosto 2012, prosegue l’offensiva estiva contro il movimento anarchico. Le informazioni sono ancora poche, ma si parla di 43 indagati per associazione sovversiva (270bis) e diverse perquisizioni principalmente tra Trento e Rovereto, tra cui lo spazio El Tavan. Una compagna, Daniela, è stata messa agli arresti domiciliari, mentre un compagno, Massimo, è stato tratto in arresto presso il carcere di Tolmezzo.
Per scrivere al compagno:
Massimo Passamani
C.C. di Tolmezzo
via Paluzza, 77 – 33028 Tolmezzo (UD)
Solidarietà con le compagni e i compagni perquisiti e indagati, Massimo e Daniela liberi!
Seguiranno aggiornamenti
Lun, 27/08/2012 – 10:08
Trento, operazione della Digos: due arresti tra gli anarchici, dieci perquisizioni domiciliari
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Blitz della Digos: arrestati due anarchici, perquisiti i centri
Oltre 10mila le intercettazioni ambientali effettuate e passate al vaglio, 92mila le ore di riprese video analizzate,148.990 i contatti telefonici, 18.000 le comunicazioni telematiche intercettate
di Redazione 27/08/2012
Massimo Passamani
Massimo Passamani, storico leader degli anarchici roveretani, è stato arrestato con l’accusa di associazione eversiva questa notte dalla Digos di Trento nel corso di un’operazione condotta dalla Direzione centrale di prevenzione della polizia di Stato. Passamani, la cui “attività anche in val di Susa”, si spiega in una nota, “ha destato allarme ed attenzione”, è ora rinchiuso nel carcere di Spini di Gardolo. Nell’operazione è stata arrestata anche un’altra militante del movimento anarchico. Daniela Battisti, 35enne a cui il gip ha però concesso gli arresti domiciliari. Sono state anche effettuate delle perquisizioni in due centri a Trento e Rovereto, oltre che in dieci abitazioni di altrettante persone ritenute dagli inqurenti vicine al movimento. Durante il blitz sono anche stati sequestrati oggetti, documenti e materiale informatico “di interesse investigativo”,
Il procuratore della Repubblica di Trento Giuliano Amato tiene a precisare che questa operazione non è stata condotta al fine di reprimere un’ ideologia, ma “quando un messaggio ideologico si trasforma in qualcosa di violento che va contro la legge, la questione si sposta sul piano penale e va quindi contrastata”. Dello stesso avviso è anche il questore Jacobone: “tutti possono esercitare il diritto costituzionale di manifestare e portare il proprio dissenso in piazza, ma nella legalità”
Le indagini sono state condotte dalla Digos che ha tenuto sotto controllo il G.A.I.T. (gruppo anarchico insurrezionalista trentino) Gli episodi contestati sono 28, si va dagli attentati contri i ripetitori Vodafone e Wind, ai cavi tesi lungo la ferrovia per disturbare il passaggio del Frecciargento durante la festa della sicurezza a Rovereto il 12 aprile 2012, ai danneggiamenti di mezzi dell’ esercito, Polfer e Trenitalia. Vandalismi a sportelli bancari, situazioni di conflitto tra anarchici e forze dell’ordine durante lo sgombero dell’ Assillo Occupato di via Manzoni, fino alle azioni di disturbo commesse fuori provincia, in Val di Susa, a Roma e in Grecia. In totale gli indagati sono 43, otto di loro sono i leader del gruppo. Nel corso delle perquisizioni, una decina, sono stati sequestrati bastoni, coltelli, maschere antigas, caschi ed un computer. Nessuno degli oggetti sequestrati è stato trovato nelle abitazioni delle due persone arrestate. Ispezionate anche le sedi degli anarchici a Rovereto e a Trento, in via San Martino. La perquisizione ha richiesto l’ impiego di cinquanta uomini tra Questura di Trento e commissariato di Rovereto
I numeri: oltre 10mila le intercettazioni ambientali effettuate e passate al vaglio, 92mila le ore di riprese video analizzate,148.990 i contatti telefonici, 18.000 le comunicazioni telematiche intercettate, 80 gli eventi giudiziari presi in considerazione di cui 28 sono stati considerati nell’ ambito di questo procedimento. Le indagini sono iniziate il 6 Ottobre 2009 e hanno avuto termine il 21 agosto 2012.
Passamani ha alle spalle una lunghissima militanza: una coerenza portata avanti dagli anni Novanta, quando era poco più che ventenne, sia per le prese di posizione a favore di un gruppo di anarchici arrestati sul Garda e poi condannati per essere gli autori di alcune rapine in Trentino, sia per la contrarietà alla leva militare (allora obbligatoria). Scappato in Francia per sfuggire a un mandato di cattura in seguito a un’indagine dei Ros, venne arrestato perché sorpreso con documenti falsi, detenuto alla Santè di Parigi e poi rilasciato dopo che le accuse si rivelarono del tutto infondate. Tornato a Rovereto, è diventato il riferimento delle battaglie politiche del movimento anarchico, di cui diffonde le idee anche attraverso interventi sulle riviste anarchiche diffuse nel mondo.
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Marzo 17th, 2017 — General, Notizie flash
Tutti vegetariani: era ora che lo si dicesse

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