TRIESTE: presidio regionale NO OGM

volantino-noogm-ts-26-06-14

 

 REPORT, FOTO E

RASSEGNA

STAMPA

 

 

BLOG COORDINAMENTO PER LA TUTELA DELLA BIODIVERSITA’

 

 

UDINE/ Sabato 28 giugno Boycott World Cup

Superate le 500 visite a questa pagina

Udine 28 giugno pomeriggio-sera in Piazza Libertà

Presidio-volantinaggio-mostra-proiezioni,

contro i mondiali di calcio

udine 28 giugno

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 Segue volantino

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A come austerity? A come autogestione!

GRECIAITALIA2014A  come austerity?

A come autogestione!

DUE INCONTRI SULLA 

GRECIA

 

 

 

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NO OGM: report, foto e rassegna stampa del presidio di trieste

TRIESTE NO OGM 26 06 14

 

REPORT DEL COORDINAMENTO PER LA TUTELA DELLA BIODIVERSITA’

Oggi c’è stato il presidio davanti alla Regione per chiedere
la distruzione dei campi ogm. Eravamo almeno una trentina di
persone in rappresentanza di varie associazioni. Si sono alternati
molti interventi che sostanzialmente ribadivano la contrarietà ad una
agricoltura sempre più industriale, basata sulla monocoltura del mais
che sta devastando, ora anche con l’aiuto del mon810, la
biodiversità dei territori. Non si deve dimenticare inoltre che la
maggior parte del mais prodotto non serve per il consumo alimentare
diretto bensí per l’alimentazione animale, altro settore che si
sta incrementando in modo abnorme diventando il principale artefice
dell’inesorabile distruzione dell’ecosistema. Si è puntato il
dito contro i trattati economici già stipulati ed altri in procinto di
essere firmati che non fanno altro che rafforzare il dominio delle
multinazionali non solo nei confronti dei singoli ma di intere
nazioni. Ancor più grave è il fatto che tutte queste rimangono e
rimarranno segrete. Abbiamo denunciato la pericolosità insita nella
decisione di lasciare libere le multinazionali di brevettare i semi
dando così ulteriori strumenti per monopolizzare la produzione
agricola mondiale. Ovviamente non ci siamo fermati alle denunce poiché
sia il nostro coordinamento tutela biodiversità che il coordinamento
zero ogm partono da un no deciso contro gli ogm per proporre un nuovo
modello di progresso sociale e agricolo, un modello che si avvalga di
un rapporto più stretto tra produttore e consumatore, rivalutando e
rinnovando il ruolo dei mercati cittadini, che supporta una
coltivazione varia e che utilizza le rotazioni colturali, e che si
basa sul libero scambio delle sementi, in speciale modo quelle
autoctone, ma anche che riduce drasticamente l’uso e l’abuso
di proteine animali. Le sfide sono molte e davanti a tutto ciò le
istituzioni sono ferme, vanno avanti a moratorie tenendo un profilo
molto basso, e non avendo un benché minimo straccio di proposte per il
futuro. Non si può andare avanti a moratorie, come dimostra la nuova
ondata di moria delle api. Verso le 12 è uscito Bolzonello, e la
situazione non era ancora ben chiara visto che si trincerava dietro al
solito “abbiamo fatto tutto il possibile!” Alle 14.00 infine
lo stesso Bolzonello ha ricevuto una delegazione di 10 persone, in
tale sede è stato garantito che nel pomeriggio sarebbe arrivata la
comunicazione a Fidenato in cui si intima la distruzione dei campi
entro 5 giorni, con la garanzia che, nel caso non fosse eseguita, il
corpo forestale entro 2 giorni eseguirà comunque l’abbattimento e
la rimozione delle colture. Vittoria? È certamente presto per dirlo.
Si vedrà il da farsi. In ogni caso grazie ai compagni e alle compagne
di Trieste per il supporto dato al coordinamento per la buona riuscita
del presidio. 

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ARTICOLO SUL FATTO QUOTIDIANO

 

Messaggero Veneto online del 27/06/14

Ogm, ora Fidenato sfida Serracchiani

Ordinanza per rimuovere le piante, lui contrattacca: continuerò a seminarle, ci vedremo in tribunale

di Michela Zanutto

 

UDINE. Gli agenti della Forestale hanno notificato ieri pomeriggio a Giorgio Fidenato l’ordinanza di rimozione delle piante Ogm. Per tutta risposta Fidenato non soltanto ha giurato di lasciare intatti i campi di Mereto di Tomba e Colloredo di Monte Albano, ma ha rilanciato: «Nei prossimi giorni seminerò ancora mais transgenico». Questa la sua sfida al presidente Serracchiani e al vice Bolzonello.

 

«Se sono certi di avere agito nei limiti delle norme europee, sono pronto a tagliare tutto anche domani. Ma se il tribunale dirà che avevo ragione, allora dovranno risarcirmi di tasca loro tutti i guadagni mancati. A me e ai 400 agricoltori che hanno firmato la petizione pro Ogm». Perché la battaglia prosegue in tribunale. «Finalmente ho gli atti delle contestazioni in mano» aggiunge Fidenato, raggiunto al telefono dal Messaggero Veneto proprio mentre gli agenti della Forestale gli notificavano l’ordinanza. Ora la palla passa agli avvocati.

 

«Mi dovrebbero conoscere: non esiste che io distrugga tutto: ce la vedremo in tribunale – spiega serafico –. Ora con gli atti in mano, presento ricorso. Chiederò di disattivare la norma, di sicuro non la eseguirò. Arriveranno provvedimenti penali, penso. Perché non ho ubbidito a ordini legittimamente ricevuti. Ma qui stiamo parlando di un provvedimento illegittimo perché manca dei crismi europei. La legge regionale che mi vieta di coltivare Ogm, doveva prima essere notificata in Europa. Passaggio mancato». È certo che la corte europea gli darà ragione Fidenato.

 

E la sua forza deriva anche dalla precedente assoluzione già incassata nel 2013. «Perché il fatto non costituisce reato», sottolinea l’agricoltore. Ora però le leggi sono cambiate. «Ma quelle leggi sono illegittime. Ci sono sentenze della Corte costituzionale e della Corte di giustizia europee che impongono l’applicazione del diritto comunitario ai paesi membri», giura.

 

Mentre le trebbie restano ferme, si accendono le seminatrici. Perché oltre agli appezzamenti di Mereto di Tomba (mille metri) e Colloredo di Monte Albano (6.500), Fidenato è pronto a estendere le coltivazioni geneticamente modificate. «Non dico dove e quando per motivi di ordine pubblico, ma sarà certamente tra poco perché i tempi per le semine ormai sono stretti». Quella di Fidenato non è più una battaglia per la categoria, «lavoro per me stesso» assicura. Salvo poi lanciare un attacco ai politici: «L’Ogm non fa male a nessuno, perché a loro non piace, non posso coltivarlo? Questa ormai è una lotta per aprire gli occhi ai cittadini: i politici non possono decidere per noi».

 

Ed ecco la doppia sfida alla presidente della Regione Fvg Debora Serracchiani, e al suo vice, Sergio Bolzonello: «Se sono convinti di essere nel giusto e avere osservato tutte norme europee, sono disposto a trinciare il mais anche subito. «Ma devono assicurarmi – si avvia a concludere Fidenato – che se dovessi vincere in tribunale, loro dovranno pagarmi di persona il mancato reddito mio e dei 400 agricoltori che hanno firmato la petizione pro Ogm. Fidenato quando dice le cose le mantiene, ma voglio un loro impegno preciso davanti alla popolazione friulana». Dunque una battaglia che non conosce ancora la parola fine.

 

Dal Piccolo del 27/06/14

AGRICOLTURA Ordinanza di rimozione delle colture Ogm Il vicepresidente regionale con delega all’Agricoltura Sergio Bolzonello, incontrando a Trieste i rappresentanti del coordinamento delle associazioni “No Ogm”, ha confermato che la giunta regionale ha emesso ieri l’ordinanza di rimozione delle colture Ogm presenti in Friuli Venezia Giulia, con l’indicazione del termine di cinque giorni per l’estirpo. 

 

Dal Piccolo

2014-06-26

LA GIUNTA “ESTIRPA” LA SEMINA OGM

TRIESTE La Regione Friuli Venezia Giulia si appresta a emanare ordinanze volte a estirpare le colture di organismi geneticamente modificati sul territorio regionale. Lo ha annunciato ieri a Trieste il vicepresidente regionale e assessore alle Risorse agricole Sergio Bolzonello, tanto ai margini di una conferenza stampa quanto nell’aula del consiglio regionale. Premettendo la condanna di chi ha «violato la proprietà privata» per danneggiare quelle coltivazioni, Bolzonello ha spiegato che sono «attualmente in corso di predisposizione gli ordini di rimozione delle condizioni che determinano l’inosservanza» della legge regionale che impedisce quelle coltivazioni. Il vicepresidente ha rimarcato che «queste semine sono illegali – ha chiarito il vicepresidente regionale -, non c’e’ alcun dubbio che la regione Friuli Venezia Giulia sia Ogm-free». Bolzonello ha ricordato che «proprio la settimana scorsa in un incontro con tutti gli assessori regionali d’Italia il ministro Martina ha confermato l’intenzione del governo di andare verso un Italia Ogm-free: questo ci fa molto piacere – ha dichiarato – perché conferma l’impostazione che la giunta Serracchiani e il sottoscritto hanno sempre sostenuto in quest’anno di amministrazione». Il vicepresidente regionale ha aggiunto poi che l’imprenditore Giorgio Fidenato, responsabile delle semine, deve ottemperare alle leggi «della Repubblica italiana e della Regione Friuli Venezia Giulia. Se così non sarà credo che l’autorità giudiziaria emetterà qualche provvedimento». (g.tom.)

CIE di Gradisca: la gabbia riapre (agg.02/07)

Dal Piccolo

2014-07-02

TOMASINSIG: PORTERÒ A ROMA IL NO AL CIE DI TUTTO L’ISONTINO

di Luigi Murciano GRADISCA Missione romana sul tema-Cie per il sindaco Linda Tomasinsig. La neo prima cittadina sarà protagonista di un’audizione in seno al Comitato parlamentare Schengen, Europol e immigrazione di cui peraltro il vicepresidente è il deputato isontino Giorgio Brandolin. Una visita calendarizzata da tempo, ma che diventa un’occasione irripetibile per ribadire la contrarietà del territorio alla riapertura del Cie chiuso da novembre, e nuovamente in odore di riapertura dopo la notizia – peraltro nell’aria da tempo – che all’ex Polonio non si sono mai fermati i lavori di ristruttrazione e ripristino della sicurezza. A Roma Tomasinsig porterà la contrarietà non solo di Gradisca, ma di tutto il territorio isontino. «La nostra posizione è arcinota da tempo – argomenta il sindaco -: siamo profondamente contrari a una riapertura del Cie e pure a un ampliamento del Cara, tanto più se questo significasse un aumento della capienza attuale che è ai limiti. Su questo siamo sostenuti a tutti i livelli – dice Tomasinsig -: Regione e Provincia condividono pienamente la posizione del Comune». Il sindaco della Fortezza è determinatissimo. Pare quasi richiamare alle sue responsabilità il ministro dell’Interno Angelino Alfano, «impegnatosi pubblicamente a tenere conto dell’opinione degli enti locali. Ebbene, gli amministratori dell’Isontino sono contrari alla riapertura del Cie, e farò in modo di rappresentare questa posizione condivisa al Comitato Schengen. Sapevamo che i lavori non si erano fermati, ma quella struttura non deve riaprire. Tantomeno come Cie». La stessa Tomasinsig e altri amministratori locali e associazioni del territorio avrebbero dovuto recarsi in visita all’ex Polonio per constatare l’avanzamento dei lavori. «Per un disguido il sopralluogo è saltato ma presto entreremo» assicura. E sul vicino Cara le idee sono altrettanto chiare: «Spiegheremo la nostra idea. Per i richiedenti asilo ci vuole un’accoglienza diffusa sul territorio, sulla base di piccole unità in diversi comuni. Solo così si può favorire l’integrazione e dare a queste persone risposte che non trovano all’interno del Cara e che un piccolo comune come il nostro, da solo, non può dare a 200 persone alla volta». Sul caso-Cie si è espresso anche un big del Pd come Pippo Civati: «Nonostante le grandi promesse fatte dal governo, pare che il Cie di Gradisca riaprirà: è una vergogna e dobbiamo mobilitarci perché venga fatto di tutto per impedire questa follia – ha affermato Civati -. Alfano disse a suo tempo che non si sarebbe riaperto il Cie contro la volontà delle istituzioni locali. Bisogna quindi ricordare a lui e al governo che le nostre istituzioni si sono già ampiamente espresse contro la riapertura di questo monumento alla violazione dei diritti e della dignità umana». «È intollerabile il fatto che il Cie di Gradisca, chiuso per le condizioni inumane e degradanti nelle quali versava, possa riaprire nei primi mesi del 2015 – afferma dal canto suo Michele Migliori, segretario dell’Associazione Radicale di Gorizia – I due governi che si sono succeduti nell’ultimo anno, al posto di trovare un rimedio alternativo all’internamento di immigrati giunti nel nostro paese per un futuro migliore, hanno deciso di ristrutturarlo, apportando delle non ben specificate “migliorie”. Cosa intende il ministero dell’Interno per ristrutturazione? Pare che le uniche modifiche effettivamente compiute siano le sbarre che coprono anche l’unica zona all’aperto».

 

 

 

da Il Piccolo del 29 giugno 2014

Dentro il Cie: la gabbia riapre

Visita esclusiva nella struttura per immigrati di Gradisca teatro di decine di rivolte violente

Il ministro Alfano aveva annunciato di volerla smantellare. Invece verrà riattivata nel 2015

 

Un immigrato davanti al muro con...

 

 

 

 

Un immigrato davanti al muro con reticolato del Cie di Gradisca

 

 

 

 

 

 

La visita in esclusiva de Il Piccolo. Lavori in corso. La struttura riaprirà nei primi  mesi del 2015. Di recente Alfano aveva ipotizzato la sua trasformazione in Cara 

Dentro il Cie di Gradisca il mostro che non chiude
un cielo di acciaio Nei tre settori (blu, verde e rosso) rafforzate le dotazioni anti-rivolta. Sbarre, reti e barriere in plexigas circondano ogni spazio

Roberto Covaz GRADISCA Un fiume di acciaio trattenuto da argini di mura. Un orizzonte verticale che si intuisce tra una sbarra e l’altra. Un cielo avvolto dalla ragnatela di una spessa rete metallica. E sotto un mondo con tre continenti ciascuno di un colore diverso: verde, rosso, blu. La bandiera della disperazione. Questo è il mondo chiamato Cie, centro identificazione ed espulsione. Questo è il mondo che sta dall’altra parte della cinta muraria dell’ex caserma Polonio di Gradisca d’Isonzo. Questo è un brutto mondo. Qualcosa comunque sta cambiando a Gradisca e nell’Isontino. Si percepisce un inedito atteggiamento di apertura o meglio di “non paura” delle istituzioni a mostrare la realtà delle strutture governative di accoglienza, favorito anche dal fatto che non ci sono stranieri ospitati in questo momento. Era, forse tornerà ad essere popolato da persone non identificate, immigrati extracomunitari senza un nome né un cognome, che sul territorio italiano si sono macchiati di crimini anche gravissimi e che hanno scontato la pena in carcere. Da fantasmi. Dopo il carcere per loro si spalancano i portoni blindati dei Cie. Strutture che assomigliano molto a un carcere. Recentemente, in commissione Schengen della Camera, il ministro dell’Interno Alfano aveva lasciato intendere che il Cie di Gradisca non riaprirà, se tale è la volontà delle istituzioni locali. Ma a leggerla più attentamente quella dichiarazione non sembra così netta. Anzi, il Cie riaprirà. Al Cie di Gradisca gli ospiti sono suddivisi in gruppi da otto. Ciascuno di questi gruppi è sistemato in spazi prestabiliti. A loro disposizione ci sono una quarantina di metri quadrati di cortile; uno stanzone con otto letti; una sala con otto tavoli e 42 seggiole e due gabinetti con la porta scorrevole priva di serratura. Una volta conclusi i lavori di ristrutturazione, forse a settembre di quest’anno, il Cie di Gradisca sarà in grado di contenere 238 persone senza nome né cognome. Lo Stato italiano di loro conserva una fotosegnalazione, lo pseudonome, le impronte digitali. Il Cie da alcuni mesi e per molti altri ancora è un cantiere. Si stanno effettuando lavori per 800 mila euro dopo le rivolte dell’estate-autunno del 2012. Nel settore rosso un gruppo di extracomunitari incendiò i materassi composti da materiale ignifugo ma che per effetto della liquefazione sprigionarono un fumo acre, denso, nero. Una nube tossica. Poi si arrampicarono sui tetti a gridare la loro disperazione. Prima, però, alcuni devastarono la moschea interna alla struttura. Un’azione di inaudita violenza per i musulmani, segno di quanto fosse incontenibile la loro rabbia. Sappiamo bene inoltre dei danni provocati nell’infermeria, resa inagibile, degli episodi di grave autolesionismo (perfino l’inghiottimento di pile) con lo scopo di farsi ricoverare all’ospedale e da qui scappare. Con il prefetto Vittorio Zappalorto siamo entrati al Cie. È la prima volta che un giornalista è ammesso nella struttura senza che sia obbligato ad accodarsi a qualche visita istituzionale. «Sono i momenti peggiori – spiega Antonina Cardella, responsabile del Cara per la Connecting People, la società che ha gestito e forse gestirà di nuovo il Cie – . Quando gli ospiti hanno la possibilità di parlare con qualche politico l’effetto rabbia è immediato. E le rivolte sono la conseguenza». Il prefetto ipotizza che il Cie, una volta rinnovato, possa tornare alle sue originarie funzioni dai primi mesi del ’15. «Siamo in una fase di valutazione su come proseguire i lavori – spiega Zappalorto – . La mia esperienza nel settore mi suggerisce di considerare in un’ottantina il limite massimo di immigrati da ospitare. Andare oltre a questo numero in caso di rivolta comporterebbe conseguenze pesanti sotto il profilo dell’ordine pubblico. Certo, spetta al ministro decidere». Il settore che più angoscia del “nuovo” Cie è quello degli impianti sportivi. Due campetti di cemento dove si può giocare anche al calcio. Anche qui il perimetro è delimitato da travi di acciaio. Sono alte una quindicina di metri e sorreggono una rete metallica per evitare possibili fughe dall’alto. Sembra impossibile che un essere umano possa arrampicarsi sulle sbarre e saltare oltre da quell’altezza. Invece succede. «Per tutto il giorno non fanno altro che pensare a come uscire – spiega il prefetto – Si tratta di persone aitanti e allenate, con fisici straripanti. Riscono in imprese apparentemente impossibili». La luce nelle gabbie filtra anche attraverso lastre di plexigas antisfondamento, ma pure queste sono devastate nelle rivolte. Nell’ala delle mense si stanno sistemando gli impianti elettrici e idraulici: sembra di essere in certi musei di arte contemporanea ad osservare installazioni dall’oscuro significato. Qualsiasi impianto, porta, finestra, reter, sbarra, lavandino, letto e cesso sono destinati a saltare come tappi in caso di ribellione. Certo, la decisione sul numero massimo di ospiti non spetta a me». «Diciotto mesi di permanenza in un Cie sono tanti – ammette il prefetto – . In generale, se non si riesce a identificarli nei primi tre o quattro mesi, è probabile che non si riuscirà a farlo nemmeno dopo. Non c’è adeguata collaborazione con le ambasciate e i consolati esteri. E l’identificazione e la successiva espulsione con accompagnamento alla frontiera comportano costi altissimi per la collettività. Per non parlare dei rimpatri». Per ora il Cie dorme sotto il solleone estivo. Ma tra qualche mese potrebbe ribollire di rabbia incontenibile. È il tempo, ora, adesso, che la politica isontina e regionale faccia davvero la sua parte. 

 
 
la storia
Nel 2000 la decisione del governo D’Alema di istituire il centro 

GRADISCA La vicenda del doppio centro immigrati di Gradisca d’Isonzo inizia nel 2000: nel pieno dell’emergenza-clandestini sul confine goriziano, quando l’allora ministro Bianco (governi D’Alema e Amato) indica nell’ex caserma Polonio un sito ideale. Il Consiglio comunale di allora dice sì a un centro di prima accoglienza, ma si dichiara contrario a una struttura di detenzione. Con i governi Berlusconi (ministri Scajola e Pisanu) si scopre che Gradisca ospiterà invece proprio un Cpt, centro di permanenza temporanea e di detenzione amministrativa, costato 17 milioni. Dopo anni di battaglie legali e manifestazioni, la struttura apre i battenti nel 2006. Conta su 248 posti destinati alla detenzione amministrativa propedeutica al rimpatrio per reato di clandestinità. Un luogo di contraddizioni: ci sono le sbarre ma i poliziotti restano fuori; gli immigrati non sono detenuti ma “ospiti”, e quindi la fuga non è evasione, ma “allontanamento volontario”. Vi convivono (con la Bossi-Fini fino a 18 mesi) dal clandestino, allo straniero con gravi precedenti costretto a un supplemento di pena, all’immigrato che ha lavorato in Italia per un decennio salvo ritrovarsi coi documenti in disordine. Nel 2007 la rimozione delle sbarre “per maggiore umanizzazione”. Nel 2008 apre invece la seconda struttura, il Cara, altri 150 posti destinati ai richiedenti asilo. Nel 2009 per la vigilanza esterna vengono impiegati anche i militari. Gli interni vengono resi inagibili dalla furia dei reclusi. In 6 anni la struttura non è mai stata a regime. Nel 2009 un pacco bomba esplode nell’ufficio dell’allora direttore Dal Ciello. Nel 2010 tre rivolte in pochi giorni, feriti sia agenti che immigrati, almeno 70 evasioni riuscite. Nel 2012 l’appalto per la nuova gestione viene congelato dai tribunali che dopo una lunga battaglia danno ragione all’attuale coop Connecting People, giunta seconda nella gara. Parallelamente lo stesso cda del consorzio siciliano, alcuni dipendenti, e due funzionari della Prefettura finiscono sotto indagine per presunte fatturazioni false e presenze degli ospiti secondo l’accusa “gonfiate” rispetto al reale numero di immigrati presenti. Emerge anche il dramma dei dipendenti e sanitari che lavorano nella struttura: lamentano costantemente mesi di ritardo nell’erogazione degli stipendi. Nel novembre del 2013, dopo una nuova ondata di rivolte e devastazioni, la struttura del Cie viene dichiarata inagibile e chiude i battenti per consentirne i lavori di ristrutturazione. Pressochè contemporaneamente viene aumentata a 200 persone la capienza del Cara, con una sezione di accoglienza per gli immigrati sbarcati sulle coste siciliane. Il mondo politico si interroga sulla nuova destinazione del Cie: le opzioni sono lasciarlo chiuso, riaprirlo, utilizzare questi spazi per migliorare la vivibilità del Cara, o addirittura farne il Cara più grande del Nord Italia. Luigi Murciano
 
 
LA SCHEDA 
Un’attesa anche di 18 mesi prima della complessa espulsione 
Il Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca è uno dei più grandi d’Italia. In precedenza chiamati Centri di permanenza temporanea ed assistenza (Cpta), i Cie sono strutture destinate al trattenimento – convalidato dal giudice di pace – degli stranieri extracomunitari irregolari destinatari di un decreto d’espulsione. Previsti dall’articolo 14 del Testo unico sull’immigrazione, i centri nascono per “evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e consentire la materiale esecuzione, da parte delle forze dell’ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari”. Il decreto legge numero 89 del 23 giugno 2011, convertito in legge (numero 129/2011), ha esteso il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri portandolo da 180 giorni a 18 mesi complessivi. Ad aprile di quest’anno il parlamento ha dato il via libera definitivo alla cancellazione del reato di clandestinità. Ad essere stata abrogata, è stata però la sola parte della Bossi-Fini che prevede il reato di ingresso illecito in Italia. L’arresto viene mantenuto per gli immigrati che rientrano nel nostro Paese dopo un provvedimento di espulsione. 
 
Rispetto al periodo iniziale le condizioni di vivibilità sono
sensibilmente peggiorate. In estate i box diventano forni

 

Un luogo opprimente
operatori costretti
a stare dietro alle sbarre
di Stefano Bizzi wGRADISCA Le ultime immagini del Centro d’identificazione ed espulsione di Gradisca contrastano nettamente con quelle “storiche” risalenti al tempo del Centro di permanenza temporanea. Tra queste e quelle è passato più di un lustro, ma sembra un secolo. Per una ragione o per un’altra, alla stampa è stato sistematicamente impedito di entrare nell’ex caserma “Ugo Polonio” e chi lo ha fatto non ha potuto scattare fotografie. Oggi in via Udine non ci sono ospiti, ma quello che emerge dal confronto degli scatti è comunque il ritratto di un luogo opprimente. All’apertura dell’allora Cpt, gli spazi esterni alle camerate erano separati da sbarre d’acciaio montate su dei bassi muretti in cemento. Formavano delle sorte di “vasche”. Quelle gabbie, però, vennero presto smontate “per umanizzare il centro”. Da un punto di vista formale gli immigrati in attesa di riconoscimento sono sempre stati considerati trattenuti, non prigionieri e tecnicamente non si è mai registrata alcuna evasione: ogni fuga è stata rubricata sotto la voce allontanamento. Acrobazie lessicali a parte, il ripetersi negli anni dei disordini interni ha spinto le autorità a prendere le necessarie contromisure per arginare le azioni di protesta. Le manifestazioni degli “ospiti” sono però via via cresciute con la trasformazione del Cpt in Centro d’identificazione ed espulsione. In questo caso la metamorfosi non è stata solo linguistica, è stata anche sostanziale. Con il passaggio da un nome all’altro, i tempi di trattenimento si sono dilatati passando da un massimo 30 +30 giorni a sei mesi, per poi arrivare fino all’anno e mezzo. Questo, anziché disincentivare l’arrivo di nuovi clandestini, ha creato tensioni sempre maggiori all’interno delle strutture per immigrati. Tra atti di autolesionismo e vere e proprie rivolte, per tentare di arginare le sommosse sono state quindi rimontate le vasche. Si ritenne che la divisione degli spazi in zone più circoscritte avrebbe reso più agevole il controllo degli immigrati. Per evitare l’effetto carcere, anziché sbarre metalliche, sono stati però utilizzati pannelli antisfondamento in plexiglas. Se da un punto di vista estetico la soluzione è di certo meno impattante, da un punto di vista pratico impedisce il passaggio dell’aria e, in estate, le vasche si trasformano in veri e propri forni dove è impossibile rimanere per lunghi periodi. Gli stessi pannelli trasparenti sono stati usati anche per separare i corridoi di collegamento tra le camerate. Il risultato è identico: manca l’aria. Dal momento che gli offendicula (ferri ricurvi verso il basso) non si sono rivelati sufficienti ad impedire l’accesso ai tetti, sopra gli spazi comuni sono state inoltre tirate delle reti metalliche. Dovrebbero teoricamente rendere impossibili le arrampicate, ma alla prova dei fatti si riveleranno poco più di un semplice fastidio. Suona quasi paradossale, ma, alla fine, a finire dietro le sbarre sono stati gli operatori del centro. Per proteggere il centralino, dove ai tempi del Cpt bastava un vetro, con il Cie per prevenire gli assalti al personale di turno è stato necessario montare una gabbia d’acciaio.

 

REPRESSIONE/ Presidi anticarcerari a Tolmezzo e ad Udine; report e stampa

report dal sito del collettivo makhno
http://collettivomakhno.noblogs.org/post/2014/06/30/carcere-ud-e-tolmezzo-29-6-14-due-presidi/

 

anche su anarchaos
http://www.anarchaos.org/2014/06/presidi-sotto-il-carcere-di-tomezzo-ed-udine/

 

Stampa

mv online 30 giugno

http://messaggeroveneto.gelocal.it/udine/cronaca/2014/06/30/news/protesta-davanti-al-carcere-per-le-condizioni-dei-detenuti-1.9518802

 

presidio udine

 

NO OGM: tar respinge il ricordo di Fidenato. Estirpare subito i campi rimasti!

Ma ancora non ci sono notizie sull’effettiva distruzione dei campi OGM, sappiamo che nei giorni scorsi c’è e stato un presidio a Colloredo di Montalbano da parte dei soliti accoliti di Fidenato, erano circa una ventina, i quali hanno dichiarato che sorveglieranno il campo notte e giorno dandosi i turni.

coordinamento per la tutela della biodiversità FVG

 

Fvg: Tar respinge richiesta sospensione ordinanze su colture Ogm

02 Luglio 2014 – 20:10

(ASCA) – Trieste, 2 lug 2014 – Il Tribunale Amministrativo del Friuli Venezia Giulia ha respinto la richiesta, avanzata da Giorgio Fidenato, di sospendere le ordinanze di rimozione della coltura di mais Mon 810 in atto sui propri appezzamenti. Per il vicepresidente della Regione e assessore all’Agricoltura Sergio Bolzonello si tratta di ”una vittoria su tutta la linea, frutto di un’applicazione della legge che l’amministrazione regionale ha sempre perseguito, intervenendo con propria iniziativa legislativa laddove si sono trovate lacune normative. Ma non vogliamo pensare a questo episodio come a uno scontro tra parti, quanto piuttosto come a un passo in avanti nella tutela dell’alta qualita’ dell’agricoltura del Friuli Venezia Giulia”. fdm/mau

Tepee Tal Parco/ Programma, eventi, indicazioni

San Giorgio di Nogaro 11- 12 – 13 luglio 2014
tepee-2014

Minireport. La festa è iniziata con la presentazione della sua storia cioè l’iniziativa contro le colombiadi del 1992.

L’attualizzazione del tema della festa ha puntato sulla lotta contro la World Cup e la durissima repressione in Brasile e soprattutto sull’importantissima discesa in piazza dei popoli nativi.

Si è poi espressa solidarietà al popolo palestinese nuovamente aggredito dalla violenza genocida dello Stato d’Israele.

Continua 

 

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NO OGM: basta vergognosi attendismi!

BASTA VERGOGNOSI ATTENDISMI! 

Con il Presidio avvenuto il 26 giugno davanti la sede istituzionale della Regione FVG a Trieste eravamo riusciti a “sbloccare” l’immobilismo dei nostri governanti in merito alla vicenda delle nuove semine ogm avvenute nella nostra regione, di cui abbiamo chiesto con forza la rimozione in applicazione della moratoria regionale sulle coltivazioni transgeniche e del Decreto Interministeriale emanato lo scorso anno dal Governo.

Ora la “palla “ è passata alla magistratura che deve emettere il sequestro dei campi attualmente coltivati ad ogm : si tratta di 2  campi a Colloredo di Montalbano e 1 a Mereto di tomba.

È quasi certo che il campo di Vivaro è già stato riseminato ad ogm da Fidenato che evidentemente si sente ancora le spalle ben coperte ed i fatti lo stanno dimostrando.

Infatti la Procura di Udine è di fatto “arenata” e non procede al sequestro dei campi che permetterebbe alla Forestale di entrarvi ed eseguire la rimozione delle colture transgeniche.

Ora la nostra pazienza è giunta al limite massimo!!

Vogliamo ribadire ed aggiornare la situazione normativa che vieta in Italia e in FVG la coltivazione degli ogm. Attualmente ci sono:

un Decreto Interministeriale del 12/07/2013 denominato “Adozione delle misure d’urgenza si sensi dell’art. 54 del Regolamento CE n.178/2002 concernenti la coltivazione di varietà di mais geneticamente modificato MON 810” pubblicato sulla GU Serie Generale n.187 del 10-8-201

2 sentenze, del Tar del Lazio e del Consiglio di Stato, che si oppongono al ricorso fatto contro il suddetto Decreto

 a questo provvedimento sono state inserite delle specifiche norme sanzionatorie per cui chi semina, coltiva e raccoglie OGM per venderli  rischia dai 6 mesi ai tre anni di condanna penale e una multa da 10 mila a 30mila euro, sancito nel decreto legge del 24/06/2014 n. 91 pubblicato sulla GU del 25/06/2014

una Legge regionale che modifica la LR 5/2011, che definisce la Regione FVG territorio OGM FREE in applicazione  alla normativa comunitaria vigente e che recentemente è stata ratificata dalla CE tramite il silenzio/assenso

una moratoria regionale inserita nella LR 5/2014 che vieta per 12 mesi  la coltivazione degli ogm in FVG e contiene  delle norme sanzionatorie che prevedono multe da 5 a 50000 euro (attualmente Fidenato è stato multato per 10000 euro per ogni campo coltivato) e la distruzione delle colture transgeniche in atto.

Una Ordinanza  di distruzione delle colture ogm emanato della Regione al conduttore dei campi transgenici

Una sentenza del Tar del FVG che rigetta il ricorso contro la suddetta Ordinanza di distruzione

Ci chiediamo dunque cosa altro dobbiamo attendere affinché ci si decida ad applicare le leggi vigenti in materia! Attualmente le coltivazioni stanno andando a seme ed aumenta vertiginosamente il rischio di contaminazione agricola ed ambientale!

Chiediamo alle Procure di sbloccare urgentemente questa situazione affinché venga emanato il sequestro dei campi al fine di permettere l’intervento della Forestale per la rimozione delle colture. Se ciò non dovesse avvenire, per forza di cose, in tempi strettissimi, dovrà pensarci la società civile!!

Coordinamento Tutela Biodiversità FVG

06/07/14

NO OGM: la regione si è decisa?

 

Dal messaggero veneto online del 08/07/14

Ogm, la Regione ordina la rimozione Fidenato fa muro

Dalle 9 di domani gli interventi a Colloredo e Mereto Se i coltivatori si opporranno, probabile ricorso ai giudici

di Martina Milia

PORDENONE. Alla fine è arrivato. Il decreto della Regione con cui viene intimata a Giorgio Fidenato la distruzione delle colture di mais Ogm (a Colloredo di Montalbano e Mereto) è stato notificato all’imprenditore agricolo. Che però annuncia: «A Colloredo faremo resistenza passiva».

L’ordine

«Mercoledì 9 luglio – si legge nell’ordine firmato dal direttore del Servizio regionale, Massimo Stroppa – a partire dalle 9 l’amministrazione regionale, direttamente o tramite terzi, provvederà alla rimozione delle coltivazioni, effettuate in violazione dell’articolo 1 comma 1 della legge regionale 5/2014». L’atto relativo alla coltivazione di Colloredo – circa seimila metri quadri – evidenzia che i sopralluoghi fatti nelle vicinanze dei terreni seminati a mais transgenico «hanno confermato la presenza di campi di mais convenzionale posti a meno di 600 metri dalle coltivazioni Ogm e che si trovano in stadio fenologico compatibile con la possibile impollinazioneincrociata con la coltura Mon 810 in atto per la quale è prevista la fioritura dalla seconda settimana di luglio». Medesimo ordine è arrivato per Mereto di Tomba mentre a Vivaro ci hanno pensato i disobbedienti ad abbattere le piante. Le ultime superstiti sono state già trebbiate secondo le disposizioni della Regione.

Resistenza

Di fronte all’ordine della Regione, Giorgio Fidenato annuncia «resistenza passiva per le colture seminate a Colloredo mentre non mi opporrò sui terreni di Mereto». Colloredo, con tanto di festa e dimostrazione pubblica, è diventato infatto il luogo simbolo degli agricoltori pro biotech. Se la Regione e la Forestale, come è probabile, non volessero arrivare allo scontro, è possibile che domani invece di trebbiare quegli appezzamenti decidano di rivolgersi alla magistratura per chiedere il suo intervento.

La battaglia di Fidenato

L’agricoltore di Arba, pur sapendo di avere le armi spuntate, non rinuncia alla sua battaglia e ad esprimere la propria amarezza di cittadino. «Il giudice del Tar, lo dico assumendomi tutte le resposnabilità, l’ha fatta grossa – commenta Giorgio Fidenato –. Una coltura non è un cantiere, non concedere la sospensiva quando c’è una sentenza della Corte di giustizia europea che dice che i giudici devono applicare la normativa europea e quando abbiamo dato prova che la norma regionale non è stata notificata alla Ue è un fatto grave. Anche perché il cittadino si trova in una posizione di sudditanza. L’unica alternativa che avevo era quella di impugnare la mancata concessione della sospensiva in Cassazione, ma questo con quali costi? Sono anni che affronto tribunali e spese lagali per far valere un diritto che è sancito dalla norma europea, non da fantasie. Ma questa è l’Italia».

Domani

A Colloredo, domani, ci saranno i trattori e gli agricoltori pro biotech ad accogliere i tecnici della Regione. Non ci saranno atti di forza, ma una fiera opposizione a un provvedimento regionale che Fidenato continua a considerare un sopruso.