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Marzo 17th, 2017 — General, Inceneritori
Dal Piccolo del 05/08/12
Nell’agriturismo la “vera” centrale a biomasse
SGONICO «Non facciamo passare per bio ciò che bio non è. Si sta confondendo l’energia a biomasse con quella che potrebbe essere definita una raffineria… ». Non ci stanno Andrej e Bernarda Milic, proprietari dell’omonimo noto agriturismo di Sagrado e seguaci della cultura energetica di natura ecologica e rinnovabile, e attaccano: «Non raccontiamo falsità per far passare un progetto, quello del megaimpianto di Opicina, che di sostenibile ha davvero poco. Parlarne come di una centrale a biomasse corrisponde a mentire alla gente tenendo nascosta una risorsa energetica naturale e a fare danno a chi davvero usa l’energia biologica, con grandi spese iniziali e al fine di ridurre l’inquinamento». La famiglia Milic, dal 2006, ha deciso di affrontare i consumi energetici delle grandi proprietà di cui si avvale attraverso una caldaia a biomasse. Una spesa iniziale di 70 mila euro, sostenuta grazie ad un contributo regionale pari al 40 per cento dell’investimento, ha consentito l’acquisto e l’installazione di una caldaia ibrida (con alimentazione a legna e, in più, pannello solare termico integrato) per fornire acqua sanitaria nel locale agrituristico, nelle cinque camere per i forestieri e in due case ad uso personale. «Non abbiamo più usato nè gas nè nafta. Delle cinque caldaie precedenti non ne abbiamo salvata una», spiega Andrej Milic. «Il nostro impianto a biomassa richiede un combustibile a base di legna sminuzzata, il cippato, che otteniamo dalle potature delle vigne, ad esempio. E non produce residui ingombranti o nocivi: una quantità minima di cenere finissima. E oltre agli scarti dell’agricoltura non vi si può inserire nient’altro: l’impianto auto-analizza i propri fumi costantemente e nel caso si trovi a bruciare della plastica o dell’olio raffinato si blocca e rimane inutilizzabile fino all’avvenuta ripulitura». Informazioni che ben si distanziano dal quadro tecnico presentato per l’“ecomostro” di Opicina: «Il principio dell’energia a biomasse è il territorio circostante, la pulizia del bosco e il suo ritorno energetico – continua Bernarda Milic – e si caratterizza per la riduzione al minimo di emissioni di CO2 e per lo smaltimento di rifiuti totalmente ecologici. L’olio di palma africano trasportato via mare o ferrovia e fatto ardere poi nella centrale (già peraltro tolto dalla lista dei combustibili ecologici, ndr) non corrisponde certo a questa descrizione…» La caldaia a biocombustibili consente inoltre di stabilire una rete di teleriscaldamento per un paese intero. «Il nostro timore è che presentino la centrale di Opicina come una tecnologia alimentata a biomasse per avere gli incentivi statali per l’energia rinnovabile che, in Italia, sono i più alti d’Europa». Vanessa Maggi
Marzo 17th, 2017 — General, Inceneritori
da Il Piccolo del 29/08/12
Biomasse, stop al progetto esultano gli ambientalisti
di Ciro Vitiello STARANZANO «Il progetto naufraga miseramente perché è una speculazione». Esulta il circolo monfalconese “Green Gang” di Legambiente con il presidente Michele Tonzar per il fermo dei lavori oramai da due anni della centrale a biomasse da 55 MW da costruire a Bistrigna alimentata da fonti rinnovabili e olio vegetale, che in base al decreto regionale il 31 maggio 2013, cioè tra poco meno di un anno, dovrebbe già cominciare a produrre i primi kilowatt di corrente. Legambiente sottolinea che questa costruzione rappresenta un danno per l’ambiente, per il territorio isontino e per i paesi del Terzo mondo che subiscono lo sfruttamento indiscriminato delle loro terre. «Abbiamo sempre sostenuto – afferma Michele Tonzar – che questa operazione non è altro che una scorciatoia per avere i contributi dal Governo nazionale, cioè i cosiddetti “certificati verdi” che per fortuna con l’ultima normativa sono eliminati per la filiera lunga delle materie prime». «Finalmente c’è l’inversione di rotta – continua Tonzar – poiché fin dall’inizio abbiamo manifestato la nostra contrarietà all’impianto, non solo per le ricadute locali in termini di costi e benefici, quanto per una insostenibilità energetica ed etica, dovuta al fatto che la centrale, di enorme dimensione, si sarebbe fornita di olio di palma proveniente totalmente da Malesia e Paesi del Sud America. Un fatto questo per noi molto grave». L’impianto dovrebbe essere costruito dalla B.O. Power per conto dell’Elettrostudio di Venezia-Mestre che ha redatto il progetto. Il costo della centrale si aggira sui 60 milioni di euro. In base alla convenzione stipulata con il Comune è stato già utilizzato, quale compensazione, un investimento “una tantum” per la realizzazione di due parchi giochi già realizzati in altrettante zone del paese. Da tempo, sostiene ancora Legambiente, si evidenzia come la crescita tumultuosa delle coltivazioni a scopi energetici, con logiche neo-coloniali, vada a discapito sia delle foreste pluviali equatoriali che delle coltivazioni a scopi alimentari. E questo senza rendere minimamente più indipendente l’Italia e l’Europa per il proprio fabbisogno energetico e senza che sia provato che vi sia un beneficio tangibile a livello di riduzione dei gas-serra, che dovrebbe essere lo scopo principale di queste iniziative. Per questo motivo le più recenti normative hanno ridotto fortemente gli incentivi all’utilizzo di queste biomasse in impianti di grande taglia, che rispondono a logiche meramente speculative.
Marzo 17th, 2017 — General, Inceneritori
da Il Piccolo del 31/08/12
Ruda, polemiche per la polvere e la puzza dell’impianto di biomasse
RUDA Il tempo di riaprire il cantiere dopo le ferie, e la ditta Geam di Udine, che sta costruendo l’impianto a biomasse a Mortesins di Ruda, è di nuovo al centro delle polemiche. A sentire gli abitanti dei dintorni, i trattori sono ritornati al cantiere per riempire di trinciato di mais una delle vasche dell’impianto. L’operazione ha portato ad alzare la polvere e soprattutto un odore maleodorante difficilmente sopportabile con il caldo. Gli abitanti hanno reagito immediatamente, dapprima hanno parlanto con gli operai della ditta, poi hanno scritto una lettera al sindaco Palmina Mian e infine sollecitando l’intervento dell’Arpa. Alla fine sono riusciti a ottenere soltanto una cosa: l’azienda si è impegnata ad annaffiare il trinciato ogni ora, dimensionando di gran lunga il problema della polvere. Ma a quanto pare non basta. «L’altro giorno – scrive Giovanna Cossar che abita nelle vicinanze – alla situazione causata dalla polvere alzata dai numerosi mezzi agricoli che trasportano il mais, che percorrono la strada male asfaltata di Mortesins (mezzi che tra l’ altro hanno abbattuto un palo dell’ Enel senza farne denuncia) si è aggiunto il tanfo nauseabondo che si sprigiona dal trinciato in fermentazione sotto il sole. Abbiamo interpellato i vigili urbani che hanno demandato il problema all’ Arpa di Palmanova che a sua volta ci ha dirottato all’ Arpa di Udine. Il tecnico si è presentato nel primo pomeriggio, e vista la situazione, ha “contrattato” con una responsabile della ditta incaricata del trasporto del materiale sull’ innaffiatura continua della zona, per evitare l’ alzarsi del polverone. Un nulla di fatto invece per l’odore che causa malessere e nausea. E senza considerare che dalle sei di mattina alle 21.30, decine e decine di trattori trasportano il trinciato di mais rendendo la strada invivibile». I toni non cambiano leggendo la lettera inviata al Comune di Ruda. «Dopo i problemi causati dalle vibrazioni dei mezzi pesanti che hanno portato a danni strutturali alle abitazioni, dopo i risvegli all’ alba anche nei giorni festivi, dopo le denunce perché i mezzi che trasportano il materiale percorrono la strada dissestata a velocità non consentita, ora ci si mette anche la puzza. Miasmi nauseanti si sprigionano dalla massa messa a macerare sotto teloni di plastica, rendendo l’ aria, già soffocante per il caldo, irrespirabile». Elena Placitelli
Marzo 17th, 2017 — Inceneritori
Dal Piccolo del 08/11/12
Inceneritore, Monassi paga 65mila euro
L’ex direttore generale dell’AcegasAps ha così oblato per l’emissione di diossina assieme ad altri tre dirigenti
di Corrado Barbacini
Marina Monassi, quale ex direttore generale dell’AcegasAps, ha pagato 65mila euro per oblare l’accusa della responsabilità relativa alle ripetute uscite di diossina dal camino dell’inceneritore. Francesco Giacomin, già amministratore dell’ex municipalizzata, ha pagato lo stesso conto. Hanno pure oblato gli altri due imputati del processo attivato da un’indagine del pm Federico Frezza. Si tratta di Paolo Dal Maso, responsabile della divisione ambiente dell’ex municipalizzata e Stefano Gregorio, direttore dell’inceneritore di via Errera. Il primo ha versato 91mila, il secondo 277mila euro. In tutto oltre 400mila euro.
Nelle motivazioni della sentenza “di non doversi procedere nei confronti degli imputati per oblazione” pronunciata dal giudice Paolo Vascotto, viene evidenziato che l’episodio delle uscite di diossina prescinde dalle autorizzazioni ambientali e dalla funzionalità dell’impianto di via Errera. Si legge che nel 2007 l’AcegasAps ha presentato alla Regione la richiesta per ottenere l’autorizzazione integrata ambientale e che «l’autorità competente, deputata al rilascio dell’autorizzazione ha confermato la corretta individuazione delle migliori tecniche disponibili della gestione dell’impianto. Ciò – osserva il giudice – rende lecita l’oblazione in quanto l’applicazione di tale istituto è indiscindibilmente connesso alla mancanza di conseguenze dannose o pericolose del reato». In pratica si è trattato di una serie di episodi non connessi alla funzionalità ed efficienza dell’impianto di via Errera.
Certo è che ai 400mila euro “oblati” dall’ex direttore generale e dal management dell’Acegas si aggiungono al danno che la fuoriuscita aveva direttamente provocato alla società: tra i 4 e i 5 milioni di euro. Infatti tra dicembre 2006 e i primi mesi del 2007 l’AcegasAps aveva dovuto fermare, a causa delle fuoriuscite di diossina misurate dall’Arpa, due delle tre linee di smaltimento rifiuti. Il sequestro era stato deciso dal pm Federico Frezza. Il magistrato aveva agito in base alle misure effettuate dai tecnici dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale: la quantità di diossina finita nell’atmosfera aveva costantemente superato i valori di legge in tutti i giorni dei prelievi. L’Arpa aveva informato delle ripetute “anomalie” i carabinieri del Nucleo operativo ecologico e la Procura della Repubblica. Il pm Frezza aveva quindi verificato il superamento dei valori limite e chiesto il sequestro preventivo dell’impianto. Il giudice Massimo Tomassini lo aveva concesso in meno di 48 ore e l’AcegasAps era stata costretta a fermare due linee di smaltimento in quanto pericolose per la salute dei cittadini.
Marzo 17th, 2017 — General, Inceneritori
Dal Piccolo del 31/05/12
Centrale a biomasse nel mirino di Wwf e residenti di Opicina
Nella pagina riservata alle “note tecniche” la società “Iit srl” fornisce una serie di dati numerici particolarmente interessanti. A regime i dipendenti della centrale elettrica a biomassa di Opicina dovrebbero raggiungere quota 15. E’ previsto per l’impianto un consumo annuo complessivo di acqua di 760mila metri cubi. I motori diesel 18 cilindri a V, 46 centimetri di alesaggio, quattro tempi, costruiti dalla Wärtsiläa San Dorligo dovrebbero funzionare 24 ore su 24 consumando 168 tonnellate di combustibile “biologico” ogni giorno. In un anno le tonnellate sarebbero 58 mila, tutte trasportate dal mare all’altipiano su rotaia. I gas di scarico dei diesel saranno attentamente monitorati prima di essere convogliati in una ciminiera di cui non è stata resa nota al momento nè l’altezza, nè il diametro. «E’ prevista la realizzazione di un ciclo combinato per il ricupero del calore contenuto nei gas di scarico: lo scopo è quello di migliorare il rendimento dell’impianto per massimizzare la produzione». di Claudio Ernè La società romana che vuole costruire ad Opicina una centrale elettrica alimentata a biomassa, ha avviato una “politica” del sorriso. Nella brochure che illustra l’iniziativa, la “Iit srl” sostiene che la realizzazione “favorisce l’autossufficienza energetica del territorio, svincolandosi da sorgenti energetiche fossili”. Afferma poi che “le tecnologie impiegate sono progettate e realizzate in Italia” e che “viene favorito lo sviluppo imprenditoriale regionale in ambito agricolo e industriale”. Tante parole, tanti sorrisi. Ma non sono mancate le reazioni preoccupate e le analisi che mettono a nudo tutti i problemi che la costruzione della centrale potrebbe sollevare. Per intanto si sta ricompattando il Comitato che a Opicina un paio di anni fa si era opposto con cinquemila firme raccolte a tempo di record all’insediamento di un campo nomadi a Monte Grisa. Si sta ricompattando per chiedere chiarezza alle autorità comunali e regionali sull’eventuale costruzione della centrale elettrica a biomasse che la società “Iit srl” vuole realizzare nell’area un tempo occupata dalle officine ferroviarie Laboranti. «Il nostro Carso va protetto da queste iniziative estemporanee e non coordinate» ha affermato l’avvocato Roberto Corbo, punto di riferimento del comitato. Una precisa e dettagliata presa di posizione viene da un corposo documento diffuso dal Wwf. “E’ assai arduo – per non dire impossibile – che l’impatto ambientale della centrale a biomasse proposta ad Opicina possa essere positivo”. “Al di là di pur importanti considerazioni di ordine paesaggistico e dell’impatto che una fonte di emissioni inquinanti nell’atmosfera, avrebbe sul territorio carsico, finora privo di impianti industriali, più ampio è il ragionamento che dovrebbe presiedere alla valutazione di progetti del genere”. Secondo l’associazione ambientalista va tenuto conto di almeno due altri fattori: “Il primo è l’impatto ambientale complessivo della filiera, di cui la centrale farebbe parte. L’impianto proposto verrebbe infatti alimentato principalmente con olio di palma, prodotto da una piantagione di 10 mila ettari (100 km quadrati, metà della superficie della Provincia di Trieste) in Costa d’Avorio. Inoltre, andrebbe calcolato il costo energetico complessivo della produzione dei chilovatt previsti ad Opicina, considerando quelli legati alla coltivazione delle palme, alla raccolta e alla spremitura dei frutti, al successivo trasporto via mare e via terra dell’olio per migliaia di chilometri. E’ dubbio che alla fine il bilancio globale dell’operazione possa risultare energeticamente positivo.” «Il progetto annunciato ad Opicina – sempre secondo il Wwf – è solo l’ultimo di una lunga serie di iniziative “industriali” più o meno avventurose: iniziative che trovano spazio per l’assenza di un piano energetico nazionale e regionale. Sarebbe ora per la Giunta ed il Consiglio regionale, di mettere mano a questo strumento, in assenza del quale ogni strampalata idea può tentare di accreditarsi. In questo ambito rientrano le reiterate esternazioni del presidente Renzo Tondo sul ruolo della Regione nella gestione e nel raddoppio della centrale nucleare di Krško, i tentativi di imporre a Trieste un rigassificatore, gli elettrodotti per importare elettricità da Paesi come l’Austria che ne importano anche loro, fino ai tanti progetti di centrali a biomasse, basate su uno sfruttamento irrazionale del territorio, spesso in concorrenza con le produzioni destinate all’alimentazione”. Va infine detto che nell’area che fu delle officine Laboranti, secondo il progetto della Iit srl, dovrebbero essere ospitati i serbatoi per lo stoccaggio degli olii vegetali combustibili, i serbatoi ausiliari di biodiesel, acqua oleosa, acqua tratta, urea, olio lubrificante ed olio esausto. Inoltre sono previsti serbatoi per la riserva d’acqua antincendio e per il liquido schiumogeno.
Marzo 17th, 2017 — General, Inceneritori
Dal Piccolo del 03/07/12
Centrale a biomasse Opicina in rivolta contro l’impianto
di Fabio Dorigo Altro che biomasse. Il progetto della centrale di Opicina produce massa critica. E contraria. La folla che si è ritrovato l’altra sera nella sala della Banca di Credito cooperativo del Carso non ha dubbi sulla insostenibilità del megaimpianto che dovrebbe sorgere nell’area delle ex Officine meccaniche e ferroviarie Laboranti. «Non s’ha da fare. Siamo pronti a stenderci davanti alle ruspe» chiarisce subito dal palco Dario Vremec battagliero cittadino che ha all’attivo la vittoria contro l’antenna di via dei Salici nei pressi dell’asilo e della scuola (5mila le firme raccolte all’epoca). La bocciatura del progetto presentato in Regione dalla società Investimenti industriali Triestini è totale e senza appello. Una petizione sta già raccogliendo migliaia di firme tra la gente del Carso e non solo. Nel testo la centrale a biomassa assume il nome di “ecomostro” con i due camini altri 35 metri e i 39 serbatoio di olio combustibile previsti- L’Associazione per la difesa di Opicina, che ha organizzato l’incontro pubblico, ha depositato venerdì mattina 23 osservazioni agli organismi regionali con la richiesta di applicazione alla procedura della Via (valutazione di impatto ambientale). La stessa richiesta avanzata dal Comune di Trieste per iniziativa dell’assessore all’Ambiente Umberto Laureni. Un’arma, quella della Via, che dovrebbe seppellire sul nascere il progetto da 50 milioni di euro di investimenti. «Un dossier inattaccabile» certifica l’avvocato Roberto Corbo, residente a Opicina. Le osservazioni, illustrate dall’ingegnere Stefano Patuanelli (consigliere comunale del Movimento 5 Stelle), sono un malloppo di oltre 500 fogli, dallo spessore di 5 centimetri. Dal punto di vista tecnico e ambientale non c’è nulla da salvare. «Questo progetto – spiega Patuanelli – cela un impianto che di sostenibile ha ben poco». L’argomento forte sono le emissioni di CO2. La centrale a biomassa non produce anidride carbonica. Vanta un ciclo a emissioni zero. Solo che brucia olio di palma prodotto in una piantagione della Costa d’Avorio grande come la metà della provincia di Trieste (10mila ettari). «Il trasporto via mare e poi via terra annulla l’effetto delle emissioni zero» spiega Patuanelli. Ma non basta. L’agenzia americana Epa, nel febbraio scorso, ha rimosso l’olio di palma dalla lista dei combustibili ecologici. «Sono impianti che vanno di modo – ha spiegato Luciano Zorzenone,presidente del Cordicom (coordinamento dei comitati del Fvg) – grazie agli incentivi statali che poi paghiamo noi in bolletta». Una beffa consumato sulla promessa dei 100 posti di lavoro per la costruzione della centra e dei 25 per la sua gestione. «Raccontano balle» spiega Lino Santoro di Lega ambiente che lancia l’allarme sull’aspetto neocoloniale del progetto. «Per le piantagioni di palma da cocco sono in corso una deforestazione selvaggia con relativo aumento di CO2 nei paesi di origine». «Ma chi si nasconde dietro la società Investimenti industriali triestini?» si chiede dal pubblico. «Un gruppo di Napoli con sede a Roma in viale Buozzi che sta facendo tutta questa operazione senza metterci una lira. Sul terreno, inoltre, ci sono ipoteche giudiziarie per 4 milioni di euro» assicura l’avvocato. Il fronte dei contrari sta arruolano anche diversi consiglieri comunali. Mauro Ravalico (Pd) è «molto perplesso e preoccupato». «Non sono d’accordo – dice – sul fatto di bruciare olio di palma africano trasportato per migliaia di chilometri via mare e ferrovia». Marino Sossi (Sel), invece, ha già predisposto una mozione urgente al consiglio comunale. Non ci sono però solo preoccupazioni per la salute e l’ambiente. C’è anche un rischio meno nobile. Immobiliare. «Con la centrale le case di Opicina varranno zero» dice l’avvocato Corbo mentre mima il numero con la mano sinistra. Zero. Come le emissioni di CO2 della centrale a biomasse.
Marzo 17th, 2017 — General, Inceneritori
da Il Piccolo
17/07/12
Centrale a biomasse La circoscrizione si oppone al progetto
OPICINA Sul progetto che prevede a Opicina la realizzazione della Centrale di cogenerazione alimentata a biomasse negli spazi dell’ex Officine Laboranti, si registra una nuova posizione da parte della circoscrizione di Altipiano Est. In un documento realizzato dal parlamentino e inviato alla direzione centrale Ambiente, Energia e Politiche per la montagna, viene chiesto di sottoporre il progetto alla Valutazione di impatto ambientale (Via). Non solo. Secondo i consiglieri, la portata di tale impianto richiederebbe una Via transfrontaliera con il Comune di Sesana, oltre al coinvolgimento dei comuni limitrofi di Monrupino e Sgonico. Il documento fa seguito a un incontro con residenti e associazioni del territorio dove sono state recepite le diverse osservazioni già depositate in Regione da alcuni cittadini a nome del territorio. «Il consiglio rappresenta il primo livello dell’amministrazione comunale – si legge nel testo inviato alla direzione centrale Ambiente – e pertanto non poteva ignorare la fortissima preoccupazione dell’intera popolazione in larghissima parte contraria a un intervento di questa natura». Dodici i punti sintetizzati dal parlamentino dove argomentazioni di carattere tecnico e politico rappresentano ampie perplessità sull’eventuale servizio della futura centrale. Si evidenzia tra l’altro come l’area destinata alla centrale confini con una Zona di protezione speziale e con un Sito di importanza comunitaria. Pertanto i consiglieri s’interrogano su quale impatto il nuovo progetto potrebbe assumere nei confronti della flora e della fauna ivi protette. Il parlamentino pone un forte accenno sulle emissioni dell’impianto. In sintesi, stando ai dati raccolti dai consiglieri, l’esercizio della centrale inciderebbe sull’atmosfera circostante come la presenza di ben 270 Tir con il motore accesso e accelerato al massimo 24 ore su 24 nel centro di Opicina. Nel progetto non si farebbe menzione sulla necessità di bonifica del sito, che risulterebbe inquinato da idrocarburi, amianto e metalli pesanti. Maurizio Lozei
14/07/12
Centrale a biomasse di Opicina Consegnati al sindaco 2300 “no”
di Gianpaolo Sarti È una centrale a biomasse, ma la chiamano “ecomostro”. E a un ecomostro non si riserva un comitato di benvenuto. No, si spedisce a casa e tanti saluti. A Opicina ci stanno provando con una raccolta firme che nel giro di una decina di giorni ha toccato quota 2.306 adesioni, già consegnate al sindaco di Trieste Cosolini. Cos’è che fa paura? L’impianto dovrebbe sorgere nell’area delle ex Officine Laboranti; si tratta di un progetto presentato in Regione dalla società Investimenti industriali Triestini, con sede a Roma: 50 milioni di euro d’investimento che darebbero lavoro a un centinaio di persone. 36 i megawatt di potenza per due camini da 35 metri e una quarantina di serbatoi di olio combustibile. La società ha già avviato le procedure di Valutazione di impatto ambientale (Via). La centrale è a emissioni zero: brucia olio di palma prodotto in una piantagione della Costa d’Avorio. Non esattamente dietro l’angolo. Ecco il problema: il trasporto annulla l’effetto ecologico. «Le firme che abbiamo raccolto – spiegano la consigliera provinciale Maria Monteleone e la consigliera circoscrizionale Valentina Baldas, entrambe del Pd e promotrici della mobilitazione– dimostrano che la preoccupazione dei cittadini sulle conseguenze per la salute e per l’ambiente è alta. Noi chiediamo di evitare ogni speculazione del Carso. Il progetto – insistono – sostiene che la produzione e il consumo di CO2 sono in equilibrio, ma non si considera quanta anidride carbonica viene emessa nel trasporto via mare e via terra». Una protesta a cui si sono associati la Slovenska Skupnost, i Comitati genitori delle scuole di Opicina e Banne, oltre che l’Associazione per la difesa di Opicina. «Nessun partito – osservano Monteleone e Baldas – avrebbe potuto ottenere questo risultato in pochi giorni senza un grande coinvolgimento della popolazione. La partecipazione è stata attiva e ciascuno si è fatto personalmente promotore dell”iniziativa». Anche perché «nessuno ha verificato se il territorio ha bisogno di tale energia e ciò avviene in mancanza di un piano». Il documento, che in 15 punti snocciola tutte «le ambiguità di un progetto sproporzionato e dannoso», sarà consegnato al presidente della Regione Tondo, al presidente del Consiglio regionale Franz e alla presidente della Provincia Poropat. L’assessore all’Ambiente Laureni non nasconde le sue perplessità: «Una scelta energetica richiede una certa prossimità dalla materia prima, altrimenti si inquina. E qui – afferma – siamo a 6 mila chilometri di distanza. L’insediamento è alquanto discutibile. In più Trieste lotta per mettere sul mercato le aree produttive del sito inquinato, che sarebbe il luogo più appropriato, anziché una zona pregiata come il Carso».
Marzo 17th, 2017 — General, Inceneritori
Messaggero del 20/05/11
Il sindaco nella bufera per la centrale a biomasse
Sedegliano, Giacomuzzi difende il suo lavoro e la regolarità dell’opera Nella rovente assemblea con 150 persone è stato contestato più volte
SEDEGLIANO Sala dell’oratorio gremita di gente, circa 150 persone, provenienti anche dai paesi limitrofi, l’altra sera per la conferenza informativa sulla futura centrale a biomasse orgganizzata dal Comitato contro la sua realizzazione. Un pubblico attento ha seguito con preoccupazione e interesse fino ad oltre mezzanotte i relatori i quali hanno snocciolato dati ricavati dai documenti del progetto. Il tema della ricaduta sulla salute dei cittadini del comune e dintorni dell’impianto è stato il fulcro delle esposizioni con dati e rappporti scientifici consolidati e concreti. La sede dell’oratorio ha fatto da “parafulmine” fino al termine degli interventi, quando si è innescato tra il pubblico un dibattito dai toni piuttosto accesi. Contestato il sindaco Dino Giacomuzzi quando è intervenuto come ” cittadino” per dare la sua versione ufficiale sulla questione: «tutto a posto, tutto a norma, tutto regolare, iter corretto, sindaco che si attiene ai giudizi di enti superiori che hanno dato l’ok all’impianto» ha detto. Per lui, nella bagarre più completa, è stato difficile rettificare le informazioni già esposte «corrette, ma non complete». Dopo la presentazione di Luciano Zorzenone , presidente Cordicom Fvg, Marco Molaro, referente del Comitato 1401 ha elencato le discariche, centrali a biogas, cave, depuratore di liquami, la vicina cava ex Parussini e «un deposito di amianto» che sono sorti o sorgeranno nella zona industriale di Pannellia. Oggetto di attenzione e approfondimento insieme alle conseguenze sulla salute pubblica e l’ambiente circostante delle emissioni dal camino, alto 60 metri , tra cui la diossina, sostanza bioaccumulabile, della centrale e il loro controllo continuo, che dovrebbe essere 3 volte all’anno. Maristella Cescutti
Marzo 17th, 2017 — Inceneritori
Tutta la zona della Pedemontana pordenonese è interessata ad un processo, già in atto da alcuni decenni d’industrializzazione, che si sta pericolosamente avvicinanado alla montagna. Tanto che hanno già deciso di abbattere una montagna di 763 mt solamente per fare spazio ad un cementificio. Oltre al deturpamento del paesaggio, del furto di spazio alla comunità locale, c’è il dissesto ecologico che ne consegue.
Abbattere una montagna significa modificare un sistema di correnti d’aria, scambi tra zone più fredde e più calde, che sono parte di quel sistema di boschi, fiumi, prati, persone, che viene condannato. Siamo sicuri che tutto ciò non comporterà il dissesto idrogeologico, siamo sicuri di non ritrovarci tra alcuni anni con smottamenti, frane, vite umane messe a repentaglio?
In nome di quale progresso la Val Vajont è tristemente nota?
Il fantomatico sviluppo industriale aveva già portato un cementificio proprio ai piedi della collina su cui si trova l’abitato di Fanna. Poi decidono di metterci un termovalorizzatore per alimentare il cementificio, e produrre così il “cemento sostenibile” (Sigh!), perché è prodotto dalla combustione di rifiuti, ma non rifiuti come gli altri, di “Qualità”.
I CDR-Q, sono i rifiuti solidi urbani, addizionati con gli scarti di quell’industria automobilistica, tristemente nota alle cronache, con il caso Fiat. Infatti i rifiuti solidi urbani sono addizionati di pnumatici. Un famoso chimico francese nell’800 scoprì che nulla si crea e nulla di distrugge ma tutto si modifica. Che fine fa il residuo della combustione? Perché molta parte degli studi scientifici riferiti alle polveri sottili (nanopolveri e micropolveri) che le descrivono come pericolose in quanto insidiose anche a lungo raggio nel tempo sono completamente estromessi come base documentale dagli organi “competenti” in fatto di agibilità ambientali?
I cittadini di Fanna hanno iniziato a chiedere dei chiarimenti all’amministrazione pubblica esponendo le loro istanze: si sono rivolti al comune, alla regione, all’Arpa e sono rimasti inascoltati.
Un copione già visto e che si ripete inesorabile sancendo quale ruolo abbiano davvero i cosiddetti “cittadini” e la “società civile”: quello di cavie!
Questa è la democrazia rappresentativa, rappresentativa sicuramente degli interessi di pochi a scapito dei più!
Quale progresso, quale sviluppo se ipotechiamo il nostro futuro? Riempirsi la bocca di sicurezza per metterci le fabbriche dei veleni sui davanzali di casa, mentre si finanziano le ronde padane? Tutto questo rappresenta la profonda crisi di un sistema di gestione politica demagogica, populista e autoritaria.
Uscire da questa farsa elettorale bipartisan è possibile solo con il mutuo appoggio, tramite l’autogestione della comunità, che liberamente si esprime in forme di autogoverno, fondato sullo scambio, la relazione non gerarchica e opportunistica tra le persone, il mutualismo, la solidarietà attiva. In alcune parti d’Italia come a Spezzano Albanese o San Lorenzo del Vallo, dal basso, tramite la creazione della Federazione Municipale di Base, includendo abitanti, cooperative, artigiani e associazioni sono riusciti a creare un vero e proprio contropotere costringendo il comune a scornarsi su ogni minimo tentativo di depauperare il territorio, specularci e svenderlo e progettando un vivere diverso.
Ed è proprio nelle lotte ambientali ed ecologiste che appare quanto profonda sia la crisi dell’organizzazione gerarchica del potere. Le persone chiedono di partecipare alle scelte politiche del proprio territorio, di essere attivi costruttori del proprio futuro; a Terzigno hanno bloccato più di una discarica bruciando le schede elettorali, strumento di spartizione di mafie e priveligi al sud ed ancora a in Val Susa, al Nord, stanno bloccando la TAV plurimilionaria e devastatrice da almeno 15 anni.
Non un partito né un’istituzione è riuscita a difendere donne, uomini, famiglie e figli, solo l’unione, la determinazione e l’azione diretta della gente del posto. Anche in Friuli è giusto spezzare questa cappa di rassegnazione che accompagna la cultura e l’immaginario di questi territori:
se non ora quando? Se non noi chi?
INIZIATIVA LIBERTARIA
Marzo 17th, 2017 — Inceneritori
da Il Messaggero Veneto
MERCOLEDÌ, 02 FEBBRAIO 2011
Pagina 10 – Pordenone
Il caso. Dibattito a tutto campo dopo l’assemblea civica di venerdì scorso. Ambientalisti “agguerriti”
«Zillo, metano al posto del cdr»
Il Wwf ripropone il progetto e chiede una modifica del piano regionale
MANIAGO. Metano al posto del combistibile da rifiuto (il cosiddetto Cdr-q) alla cementeria di Fanna, modifica della bozza di piano regionale di gestione dei rifiuti urbani da parte della Regione, l’astensione nelle decisioni riguardanti rifiuti e cave per l’assessore regionale Elio De Anna e il consigliere Gianfranco Moretton: sono queste le richieste formalizzate dal Wwf regionale alla luce di quanto emerso nel corso del consiglio comunale aperto di Maniago.
Per quanto riguarda la conversione dell’impianto di Fanna a metano, non si tratta di una novità, ma di una richiesta formulata già da mesi, in quanto il gas permetterebbe «la riduzione nei fumi di polveri sottili, metalli pesanti, acidi, diossine, composti organici pericolosi in quanto interferenti anche in minime quantità con i processi biochimici». Alla Regione, il Wwf chiede invece la modifica della «previsione della bozza di piano regionale di gestione dei rifiuti urbani, eliminando la possibilità di smaltimento di qualsiasi forma di rifiuto nei cementifici (e negli inceneritori) e revochi le autorizzazioni alla Snua per la produzione di Cdr, nonché alla Cementizillo per la combustione di Cdr-q a Fanna». A tenere alta l’attenzione degli ambientalisti è soprattutto il via libera di giovedì scorso, da parte della giunta regionale, all’adeguamento della Snua di Aviano, col quale s’è approvata la variante dell’impianto di trattamento e compostaggio, con riferimento alle «migliorie impiantistiche per la valorizzazione dei materiali e produzione di Cdr-q». Una volta che anche l’impianto di Aviano sarà adeguato, saranno tre i siti potenziali fornitori del Cdr-q alla cementeria: la Snua, appunto, la Geo Nova e la Ecosinergie.
Nel mirino del Wwf, si diceva, sono finiti i politici regionali Elio De Anna e Gianfranco Moretton. «Pur nella legalità – si afferma – hanno accettato un contributo per la propria campagna elettorale da una ditta operante nel settore rifiuti e discariche, la quale ha in corso procedure autorizzative di carattere regionale». Da qui la precisa richiesta: «Si astengano dal partecipare a qualsiasi decisione sul piano regionale di gestione dei rifiuti urbani, autorizzazioni riguardanti cave e gestione rifiuti, nonchè progetti»
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MARTEDÌ, 01 FEBBRAIO 2011
Pagina 13 – Pordenone
“Puzze” a Campagna: richiesta la presenza dei tecnici dell’Arpa
Interrogazione
MANIAGO. Dopo la mobilitazione di massa di venerdì sera, il mondo della politica comincia a muoversi sulla questione ambientale del Maniaghese. Ieri mattina il capogruppo del partito dei pensionati, Luigi Ferone, ha presentato un’interrogazione al governatore del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, sulle “puzze” di Campagna. Ferone ha chiesto a Tondo e al suo assessore alla salute, Wladimir Kosic, di mandare nella frazione di Maniago e in tutte le realtà limitrofe i tecnici dell’Arpa. «Bisogna trovare una risposta all’origine del fenomeno che da settimane sta ammorbando l’aria», ha annunciato l’esponente del centro-destra, che ha anche sollecitato l’esecuzione di biometraggi annuali sui terreni.
Durante il consiglio comunale aperto di venerdì è stata infatti rimarcata l’assenza di studi aggiornati sulla presenza di metalli pesanti e altri inquinanti negli appezzamenti agricoli e negli orti della zona. Presenti in aula a Maniago anche i due consiglieri regionali del centro-sinistra Piero Colussi e Alessandro Corazza. Il primo ha sollecitato la Regione a modificare la normativa sul combustibile da rifiuto, troppo esposta ai rischi di infiltrazioni della malavita organizzata. Corazza ha invece affermato che presenterà un’interpellanza sui vari problemi di degrado ambientale che affliggono la cittadina delle coltellerie e i paesi vicini. Nel frattempo hanno creato dibattiti e applausi i manifesti fatti distribuire in tutto il mandamento dai comitati riuniti. Un orsetto giocattolo con la maschera antigas e una scritta sotto che recita “Forse è il caso di porsi qualche domanda”. E sullo sfondo alcune ciminiere che emettono in atmosfera grandi nuvoloni neri. E’ questa la campagna pubblicitaria messa in atto dai gruppi spontanei di Maniago e dintorni che si stanno battendo per fermare i nuovi insediamenti insalubri.
I primi manifesti sono comparsi poche ore prima del consiglio comunale aperto a Maniago, Fanna, Vajont, Cavasso Nuovo e in Val Colvera. Poi è stata la volta dei volantini distribuiti alle famiglie e negli esercizi pubblici della zona. «Sono soltanto i primi di una lunga serie», promettono i coordinatori dei vari movimenti riuniti attorno all’asse Maniago – Fanna. Le immagini choc vogliono scuotere l’opinione pubblica e spingere la gente a dire basta a certe logiche d’altri tempi. Appena si parla di salute e ambiente c’è chi ricorda la questione del lavoro e cerca di stopparci nel nome della crescita economica»
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MARTEDÌ, 01 FEBBRAIO 2011
Pagina 13 – Pordenone
Impianto a biomasse a San Quirino: la SanQ energia si oppone al diniego
SAN QUIRINO. Il diniego dell’autorizzazione alla realizzazione di un impianto di energia elettrica da biomasse in territorio di San Quirino concordata dalla conferenza dei servizi della Provincia di Pordenone ha indotto la società richiedente, la SanQ energia, a presentare ricorso al Tar per l’annullamento della decisione. La riunione della conferenza dei servizi è avvenuta nel dicembre scorso nella sede della Provincia alla presenza dei soggetti coinvolti. Nel momento in cui la proposta, formulata dalla società SanQ, è stata analizzata si è ravvisata l’incompetenza della Provincia in materia in quanto il progetto prevedeva una produzione di energia superiore ai 50 megawatt termici, una quota superiore al limite previsto dalla legge per una decisione dell’ente e quindi di competenza della Regione.
Tale ostacolo comporterebbe il riavvio di tutto l’iter procedurale per la discussione dell’argomento in seno a una conferenza dei servizi regionale. A fronte del diniego, la SanQ ha presentato ricorso al Tar per «l’annullamento, previa sospensione cautelare dell’efficacia, della determinazione dirigenziale 2.680 del 12 novembre 2010 del settore ecologia della Provincia di Pordenone, che ha negato l’autorizzazione alla realizzazione di un impianto di produzione di energia elettrica da biomasse in San Quirino, per essere competente la Regione anziché l’amministrazione provinciale stanti le dimensioni dell’impianto previste in progetto».
La bocciatura era stata avanzata anche dal Comune di San Quirino, per la mancanza di presupposti urbanistici affinché tale insediamento potesse trovare spazio nel territorio comunale, in quanto il terreno su cui era stato individuato l’insediamento dell’impianto sarebbe stato di proprietà di un privato, terzo rispetto alla SanQ. I due aspetti, uno tecnico e l’altro urbanistico, avevano di fatto creato un ostacolo all’insediamento dell’impianto.