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Ancora la boiata della TAV sott’acqua

Non meriterebbe neanche di essere presa in considerazione, ma visto che finisce sulle prime pagine dei giornali …

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Messaggero Veneto 21 giugno 2011

Verso una Tav sottomarina
tra il Veneto e il Fvg?

di Renato D’Argenio

La proposta alternativa arriva dalla Norvegia. Dovrebbe essere lunga settanta chilometri che unirebbero Jesolo e Lignano con un tunnel da 5 miliardi di euro.

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FERROVIE: ecco l’esposto che ha inguaiato Moretti

Messaggero Veneto del 24/06/11

Trenitalia, ecco l’esposto che ha inguaiato Moretti

di Natalia Andreani ROMA C’è anche un esplicito riferimento alla strage ferroviaria avvenuta a Viareggio il 28 giugno del 2009 nell’esposto contro Trenitalia finito agli atti dell’inchiesta P4. «Una dettagliatissima denuncia riguardante abusi d’ufficio, irregolarità, turbative d’asta, frodi inerenti appalti gestiti da Trenitalia spa» e nello specifico da alcuni personaggi legati all’amministratore delegato del gruppo Mauro Moretti, scrivono i pm, che l’imprenditore napoletano Giuseppe De Martino, direttore e socio di maggioranza della Ib Italiana Brakers (società di produzione di sistemi frenanti partecipata al 35 per cento da Luigi Bisignani e in ugual misura da Iritec Finmeccanica) si apprestava a consegnare alla procura di Napoli negli ultimi giorni del giugno scorso. Cosa che avrebbe fatto se ad ostacolarlo non fossero intervenuti Bisignani, che non voleva scontrarsi col vertice di Ferrovie e in particolare con Moretti, e l’onorevole Alfonso Papa che con Moretti, ora indagato per favoreggiamento, ebbe poi un colloquio. Secondo l’ad di Trenitalia (ma la procura non gli ha affatto creduto) Papa lo chiamò per lamentarsi della maleducazione di un controllore. In quell’esposto De Martino affermava, pezze d’appoggio alla mano, l’illecita esclusione dalle gare di Trenitalia sui sistemi frenanti per l’alta velocità in favore di ditte amiche, ma soprattutto la mancata omologazione di un nuovo tipo di ceppi freno per carri merci messo a punto già nel 2000 con risultati «assolutamente positivi» sotto il profilo dell’efficienza e delle sicurezza, come ha riconosciuto ad un certo punto lo stesso gestore ferroviario: un calvario di ostacoli, di rinvii e di inspiegabili ritardi durante i quali anche le prove in esercizio, che in genere non superano l’anno, si sono invece protratte per quasi cinque anni, fino al maggio 2006. E ancora oggi il report ufficiale con i risultati, necessario per autorizzare l’utilizzo dei ceppi in ambito internazionale, non è stato consegnato. «Il tutto nonostante sia in atto una campagna europea – lamentava De Martino – per la sostituzione dei ceppi in ghisa proprio con i nuovi ceppi in composito organico». I ceppi freno in ghisa, aggiungeva Martino, «comportano molti inconvenienti in quanto in frenata provocano fortissimi stridii fonte di inquinamento acustico, rischiosi pattinamenti e scintillii causa d’incendio dei sottocassa». A questo punto De Martino annota: «Salvo i dovuti accertamenti in corso presso la magistratura di Lucca, lo scintillio provocato dai ceppi in ghisa a contatto con la ruota in frenata potrebbe essere la concausa dello scoppio di cui al drammatico incidente ferroviario di Viareggio costato la vita a tante persone»

 

 

NOTIZIE/ Magari peggio!

Repubblica 26 giugno

Tiro alla fune alla festa della Lega
la corda si spezza sul Ticino, 30 feriti

La manifestazione organizzata dal Carroccio tra le sponde lombarda e piemontese
Il cavo teso attraverso il fiume ha ceduto facendo cadere tutti i lombardi

Tiro alla fune alla festa della Lega /   foto   la corda si spezza sul Ticino, 30 feriti

Sono una trentina, secondo quanto si è appreso sul posto, i contusi e due le sospette fratture fra i militanti leghisti caduti a terra oggi pomeriggio, quando alla festa della Lega di Sesto Calende, si è spezzata la fune che era stata tesa sul Ticino per la sfida tra le due sponde. Tra i feritin il segretario regionale Giancarlo Giorgetti. La manifestazione lungo il fiume si è poco dopo conclusa, ovviamente più in fretta di quanto previsto.

Sul lungofiume di Sesto Calende è fra l’altro arrivato da poco il leader della Lega Nord Umberto Bossi. A piazza ormai semivuota, Bossi ha rinunciato al previsto intervento dal palco e si è seduto a sorseggiare una bibita ai tavolini all’aperto di un bar, senza fermarsi a parlare coi giornalisti. Il leader del Carroccio è in compagnia, tra gli altri, del capogruppo alla Camera Marco Reguzzoni, del presidente del Piemonte, Roberto Cota, del capo delegazione all’Europarlamento Francesco Enrico Speroni e dell’europarlamentare Mario Borghezio.

E’ morto LUCIANO GIORGI

Questa notte nell’ospedale di Monfalcone è venuto a mancare Luciano Giorgi colpito da mesotelioma pleurico, probabilmente contratto durante il periodo di lavoro come addetto alle caldaie nelle navi. Avevamo ricordato la sua figura il 9 giugno prima dei referendum.

Luciano Giorgi quindi ha avuto, come tutti noi del resto, la grande soddisfazione di veder fermato il nucleare, desiderio che egli aveva espresso con un geniale atto di militanza politica facendo leva proprio sulla sua situazione esistenziale. Uno stato d’animo che, al di là delle impostazioni politiche, è  comune a tutti coloro i quali credono fermamente nelle proprie idee soprattutto quando coinvolgono l’ecologia ed il futuro del pianeta.

Paolo De Toni

 

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EGITTO: «L’esercito e il popolo non sono mai dalla stessa parte»

dal Manifesto del 12/04/11

VIETATO CRITICARE I MILITARI
Blogger SENZA DIVISA
Maikel Nabil ha denunciato le torture perpetrate dall’esercito e svelato la continuità tra il regime di Mubarak e il Consiglio supremo che ora governa l’Egitto. Rivelazioni pagate con l’arresto, per «aver diffuso informazioni false e insultato le forze armate»

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TRIESTE: campagna elettorale agitata per la Lega…

Da il Piccolo del 22/04/11

San Giacomo, deputato della Lega aggredito durante comizio

Un esagitato ha sferrato due pugni a un militante padano e spinto l’aspirante sindaco Max Fedriga: fermato da un simpatizzante

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LUCIANO GIORGI attivo ambientalista colpito da grave malattia

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Luciano Giorgi, monfalconese, è conosciuto da tutti in Regione,  in particolare ha dato importanti contributi al decollo della lotta No Tav nella Bassa Friulana fin dalla prima iniziativa che si è svolta a San Giorgio di Nogaro nel gennaio 2006 con la conferenza di Luca Mercalli.  Al di là delle differenti impostazioni politiche Giorgi è sempre stato unitario, attivo e presente in tutti i presidi No Tav, compreso quello del blocco della trivella il 1 settembre dello scorso anno a Castions delle Mura, che ha segnato un duro colpo per i Tavisti ed RFI.

Comitati No Tav della bassa friulana

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Galan vuole gli OGM/ Alto Adige OGM Free

Repubblica 4 dicembre

IL CASO

Il ministro dell’Agricoltura attacca l’Alto Adige che li ha messi al bando. Ma gli agricoltori minacciano di scendere in piazza: “Così si inquinano le altre colture”

di ANTONIO CIANCIULLO

ORMAI tra governo e Regioni è scontro frontale. Accanto alla sempre più visibile frattura sul nucleare, si sta aprendo un’altra faglia: quella sugli Ogm. Anche in questo caso le Regioni, in maniera sostanzialmente bipartisan, fanno muro contro le decisioni di Palazzo Chigi e Roma aumenta il pressing. È una tensione che sta raggiungendo livelli molto alti. Come testimonia l’ultimo scambio di stoccate.

Ieri l’Alto Adige si è dichiarato Ogm free: con una norma provinciale l’utilizzo dei prodotti transgenici è stato messo al bando. Una decisione che l’assessore all’Agricoltura Hans Berger ha collegato a un quadro più generale: “Il parere negativo della gran parte dei consumatori e di un numero sempre maggiore di Regioni ha convinto la Commissione europea a cambiare la propria strategia, delegando ai singoli Stati la competenza sulle decisioni in materia di Ogm”.
Contro l’asse Regioni-Bruxelles è sceso subito in campo Giancarlo Galan, il primo ministro delle Politiche agricole italiane a decidere una vistosa apertura ai prodotti transgenici nei campi. Galan ha detto che le dichiarazioni di Berger “ricordano molto una campagna promozionale dal sapore turistico”. E ha aggiunto che la “la legislazione attuale consente di vietare la coltivazione solo se si ha motivo fondato di ritenere che un Ogm rappresenti un rischio per la salute umana e per l’ambiente”, cosa l’Italia non è “in grado di dimostrare in maniera inequivocabile”.
Ma gli Ogm possono convivere con i prodotti

tradizionali o rischiano di far saltare il già precario equilibrio dell’agricoltura e del paesaggio? Le Regioni, che propendono per il no, hanno bloccato le linee guida sulla coesistenza. E su questo punto è ancora più esplicita la pressione di Galan in una lettera inviata al presidente della Conferenza delle Regioni, Vasco Errani: “Ove non si riuscisse ad adottare le linee guida sulla coesistenza, per interrompere uno stallo che dura ormai da anni, si porrebbe l’obbligo di valutare tutte le possibili ipotesi alternative per adempiere alla sentenza del Consiglio di Stato n. 183/2010”. Quella che, all’interno di un quadro giuridico molto articolato, spinge in favore degli Ogm.

Una sfida diretta alle Regioni e alle associazioni degli agricoltori. “La nostra è una posizione molto concreta”, spiega Stefano Masini, responsabile ambiente della Coldiretti. “Guardiamo come sono fatti la nostra agricoltura e il nostro territorio: ci sono più di 500 prodotti doc e igp; una rete molto estesa di siti protetti a vario titolo; proprietà estremamente frammentate, con una grandezza media di 5-6 ettari contro i 240 degli Stati Uniti. Imporre gli Ogm vorrebbe dire creare un sistema costosissimo e inutile: una doppia filiera che vada dai campi ai sistemi di trasporto nel tentativo, destinato a fallire, di evitare l’inquinamento dei prodotti tradizionali”.
Di fronte all’ipotesi di colture Ogm imposte dal governo, gli agricoltori hanno deciso di rispondere con ogni mezzo: dalla mobilitazione di piazza ai referendum locali fino alla battaglia legale in base agli articoli del codice civile che vietano “l’esercizio di attività pericolose”. Anche perché il rischio economico per il settore di punta del made in Italy alimentare è consistente. “Negli Stati Uniti il 15 per cento del territorio coltivabile ha problemi con una contaminazione da erbicidi legata all’uso degli Ogm”, conclude Masini.

(04 dicembre 2010)

TRIESTE: fermato uno scempio ambientale

Da Il Piccolo

Rio Martesin, stop dal Consiglio di Stato  Annullati i permessi a costruire, da ripristinare le condizioni originarie dell’area verde

 

LUNEDÌ, 27 DICEMBRE 2010

 

di CLAUDIO ERNÈ

 

È salva la valle di Rio Martesin, l’ultima enclave verde situata tra Scala Santa e Monte Radio.

Il Consiglio di Stato ha annullato i tre permessi a costruire rilasciati dal Comune di Trieste il 13 luglio 2009 a due società romane, la ”Airone 85 srl” e la ”Gestione italiana appartamenti srl”. Volevano costruire sei palazzine con cento appartamenti e centinaia di metri di strade di collegamento.

Ma la colata di cemento è stata fermata grazie all’intervento di tre cittadini che non hanno mai mollato la presa: Dario Ferluga, Luciana Comin e Giorgio Bragagnolo hanno cercato alleanze nel deserto della politica ma non hanno raccolto quasi nulla. Hanno agito allora a livello legale, ma il Tribunale amministrativo regionale del Friuli Venezia Giulia ha dato loro torto confermando il buon diritto delle due imprese.

I tre cittadini sono ricorsi in appello a Roma con l’avvocato Gianfranco Carbone e il Consiglio di Stato ha accolto il loro ricorso. La sentenza, ormai definitiva, è stata depositata in cancelleria il 23 dicembre scorso e ribadisce quanto la gente che abita in quella zona dell’estrema periferia di Gretta aveva sempre sperato.

Niente cemento, niente palazzine, niente nuove strade. Solo verde perché l’area a pastini situata tra Rio Martesin e Rio Carbonera non può essere edificata. Lo ha ribadito anche il nuovo Piano regolatore mentre il precedente non era stato così tassativo, ponendo però dei seri limiti alle edificazione. Ora, le due società romane che hanno già compiuto massicci e costosi lavori di disboscamento e di scavo con il relativo ”movimento terra”, dovranno ripristinare l’area che volevano ”valorizzare”, riportandola alle condizioni originarie. Se non lo faranno e se il Comune non dovesse intervenire, ci sarà la forza della legge a costringere l’amministrazione pubblica e le due società romane. In questa evenienza, peraltro remota, non è nemmeno esclusa l’entrata in scena della Procura della Corte dei Conti.

Sono due i motivi per cui sono stati annullati dal Consiglio di Stato i tre ”permessi a costruire” per complessivi 11.300 metri cubi. Il primo motivo chiama in causa il Comune e dice che l’intero progetto di Rio Martesin doveva essere valutato nella sua unitarietà. Suddividendolo in tre parti, è stata dribblata l’altrimenti indispensabile necessità di valutazione di impatto ambientale su tutta la lottizzazione dell’area.

I giudici del Consiglio di Stato hanno anche sottolineato che nella concessione del ”permesso a costruire” è stata violata una norma speciale che imponeva e impone la salvaguardia dei pastini. In altri termini le palazzine avrebbero dovuto rispettare l’andamento a gradoni del terreno. Nel progetto presentato dalle due società romane e di cui il Comune non poteva non essere a conoscenza, non c’è traccia di questo.

«Qui si decidono le sorti della nostra valle – aveva affermato pochi mesi fa Dario Ferluga parlando a nome del Comitato sorto nel rione – ma i triestini devono sapere che il tentativo di salvare dalla speculazione edilizia la nostra area è un problema che coinvolge tutta la città».

Certo è che confidando nella decisione favorevole del Tar, ma senza tener conto del fatto che il giudizio di appello era ancora pendente a Roma, le due società hanno completamente disboscato un’area verde che non doveva essere toccata e che si erano in qualche modo impegnate a rispettare fino alla sentenza definitiva.

«Siamo di fronte a una devastazione, all’uso della mano pesante» aveva sostenuto il comitato di quartiere. Gli unici a raccogliere a livello politico la protesta erano stati il consigliere ”verde” Alfredo Racovelli e il collega Lorenzo Giorgi del Pdl: «Abbiamo avuto i primi assaggi delle porcate edilizie previste per questa valle. Attila non avrebbe saputo fare di meglio».

Anarchia a Bengasi

ANARCHIA A BENGASI

LO SCRIVE IL SOLE 24 ORE (13.3.2011): “non ci sono forze dell’ordine, nè il municipio, non i vigili del fuoco, nè i vigili urbani (subito rimpiazzati con ragazzini armati di paletta). Si fatica a immaginare come una città di 700mila abitanti possa andare avanti di questo passo”.
UN ABITANTE COMMENTA ORGOGLIOSO: “avete mai visto una città dove tutti possiedono un’arma e non ci sono praticamente crimini ? Dove le proprietà private abbandonate non sono custodite e sono ancora lì, intatte ?”
“i comitati locali che hanno preso in mano la situazione, ripartendosi i settori pubblici, sembrano funzionare. Eppure è ancora difficile capire chi sia il responsabile, e spesso non parlano con la stessa voce”

INSOMMA: LA SOCIETA’ RIESCE A FUNZIONARE ANCHE SENZA STATO (…ma guarda un po’ !?!)

Posted in Internazionalismo.