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AMIANTO / Un operaio: «Maneggiavo l’amianto ma non sapevo che fosse nocivo»

Il Piccolo — 21 luglio 2010   pagina 04   sezione: GORIZIA
Il maxi-processo sulle morti da esposizione all’amianto in cantiere continua a fornire testimonianze di lavoratori che hanno convissuto con la fibra-killer. Continua dunque, davanti al giudice monocratico Matteo Trotta, il più importante procedimentogiudiziario tra quelli avviati a Gorizia in relazione ai decessi di ex operai e impiegati dell’ex Italcantieri o delle ditte dell’appalto dello stabilimento navalmeccanico. L’accusa per tutti i 41 imputati è omicidio colposo. Ieri, in Tribunale, è proseguita l’escussione dei testimoni della pubblica accusa, soprattutto ex operai che tra gli anni ’60 e i primi anni ’90 hanno lavorato in cantiere. Il pubblico ministero, Valentina Bossi, ha voluto in particolare accertare in che modo venissero svolti i controlli medici sui lavoratori. «Ci facevano soffiare all’interno di una macchinetta – ha spiegato un ex operaio che aveva lavorato nel cantiere monfalconese dagli anni ’60 – alla presenza di un medico esterno allo stabilimento». Il pubblico ministero ha cercato di ricostruire, attraverso le deposizioni, in quali condizioni e in che modo si svolgesse il lavoro all’interno dello stabilimento e a bordo delle navi in costruzione o allestimento, e la situazione ambientale in cui operavano i lavoratori. «Ricordo soprattutto che c’era tanto fumo. E c’era anche tanta polvere – ha dichiarato ieri un ex operaio davanti al giudice -. Il fumo era provocato in particolare dalle saldature. Noi operai eravamo consapevoli di maneggiare e trattare l’amianto – ha continuato – ma non avevamo alcuna consapevolezza che si trattasse di una sostanza nociva, come poi è stato accertato». Il processo riprenderà il 28 settembre e le udienze successive si svolgeranno il 30 settembre, il 4, 12, 26 e 28 ottobre. Tutte queste udienze saranno dedicate all’esame dei testi citati dalla pubblica accusa.

MONFALCONE/ Come si respirava l’amianto nelle navi nei Cantieri

Il Piccolo MARTEDÌ, 15 GIUGNO 2010


«Ecco come si respirava l’amianto sulle navi»

Il drammatico racconto dei testimoni nel maxi-processo per la morte di 85 lavoratori del cantiere

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C’è chi, tra la decina di testi chiamati ieri a deporre al maxi-processo ripreso ieri al Tribunale di Gorizia, ha raccontato che tagliava l’amianto ma ne aveva scoperto solo dopo la pericolosità. Chi, ancora, lavorando sulle navi in costruzione, dovendo intervenire sulle tubazioni, staccava i rivestimenti in eternit. Altri, ancora, hanno raccontato che, a fine turno, spazzolavano le tute, per poi portarle a casa a lavare. E respiravano la fibra a pieni polmoni. È stata una lunga giornata quella di ieri, all’udienza del processo che vede imputati 41 tra vertici dell’ex Italcantieri, responsabili dei servizi di sicurezza e rappresentanti delle ditte che operavano in subappalto all’interno del cantiere navale. Le parti offese rappresentano 85 vittime, a causa dell’esposizione all’amianto nello stabilimento di Monfalcone. L’udienza, alla fine, è stata riaggiornata al 29 giugno.
Ieri, dunque, la parola è passata agli ex lavoratori, anche ex colleghi a vario titolo delle vittime. Una decina, da tempo in pensione. Avevano iniziato per lo più a lavorare negli anni Sessanta, fino agli anni Ottanta, qualcuno anche fino agli anni Novanta. Un ex lavoratore si è presentato in aula con un respiratore, per le precarie condizioni di  salute. I testi sono stati sottoposti ad una lunga trafila di domande, sia da parte della pubblica accusa, rappresentata dai pubblici ministeri Valentina Bossi e Luigi Leghissa, sia dai legali delle parti civili. Quindi, è seguito il controinterrogatorio dei difensori degli imputati. Interrogativi, dunque, per scandagliare la realtà del cantiere dell’epoca. Non tutti i testimoni sono stati in grado di ricostruire con esattezza le circostanze, rispondendo con un «non ricordo».
Non sono mancate le obiezioni procedurali, avanzate dalle difese. Gli interrogativi erano sostanzialmente volti a comprendere le condizioni di lavoro nelle quali operavano le maestranze. È stato chiesto quali fossero le misure di sicurezza adottate in cantiere. S’è posta l’attenzione anche sull’aspetto legato alla prevenzione. E, ancora, è stato chiesto se c’erano impianti localizzati di aspirazione. Si è discusso altresì sui tempi di esposizione ai materiali, come pure sulla tempistica in ordine ai controlli sanitari. Le parti civili hanno insistito molto, tra l’altro, sull’aspetto informativo inerente le caratteristiche e la pericolosità dell’amianto. «Il quadro che si è tratteggiato – ha spiegato l’avvocato Paolo Bevilacqua, che rappresenta una delle parti civili – è che, in qualche modo, c’era consapevolezza di uno stato di disagio, di condizioni di lavoro per le quali non c’era però un’informazione specifica. Quindi, la pericolosità dell’amianto non era chiara. Ciò che è emerso è il fatto che le garanzie di sicurezza erano pochissime». Il controinterrogatorio delle difese ha spaziato dai controlli in azienda e sanitari, alla presenza in cantiere dei responsabili della sicurezza. (la.bo,)

«Amianto? I sindacati sapevano»

Il Piccolo — 30 giugno 2010   pagina 06   sezione: GORIZIA

«Neppure i sindacati ci avevano mai parlato dei pericoli legati all’esposizione all’amianto»: Guido Clemente, fino al 1997 dipendente della Fincantieri e tra i tanti che sono andati in pensione anticipatamente con la legge sull’amianto, ha spiegato ieri al maxi-processo in corso di svolgimento al Tribunale di Gorizia come gli operai lavoravano alla costruzione delle navi nel cantiere di Panzano, gli accorgimenti di sicurezza che venivano adottati e al fatto che nessuno li aveva informati sui pericolo che correvano venendo a contatto con l’amianto. «Tra noi operai si era cominciato a parlare della presenza dell’amianto a metà degli anni Settanta – ha detto Clemente, originario di San Pier d’Isonzo, ma residente a Villesse -, ma nessuno ci aveva informato sui rischi che correvamo. L’ho saputo solo al momento che mi è stato chiesto di andare in pensione, nel 1997. Se lo avessi saputo prima avrei senza dubbio cambiato lavoro. Ho visto diversi miei colleghi ed amici morire per colpa dell’amianto». Clemente ha lavorato sulle navi come carpentiere anche se durante la trentennale presenza nei cantieri ha svolto anche altre mansioni ed ha lavorato pure, per un breve periodo, ai cantieri di Palermo. Ha spiegato che fino a metà degli anni Sessanta erano in pochi a usare mascherine e altri oggetti anti-infortuni, introdotti in modo massiccio negli anni successivi, anche se spesso gli operai, in particolare quelli che lavoravano in spazi angusti, spesso se li toglievano. In quegli anni vennero anche sostituiti i vecchi aspiratori con dei nuovi più grandi e più capaci. C’era un servizio di sicurezza: tre persone giravano nel cantiere per effettuare dei controlli, ma è emerso che al di là di qualche rimbrotto non veniva elevata alcuna sanzione nei confronti di coloro che non utilizzavano le mascherine, i caschi o gli occhiali appositi per evitare di venir colpiti dalle schegge e altri oggetti. Il maxi-processo all’amianto, presieduto dal giudice monocratico Matteo Trotta, riprenderà domani con un’altra udienza in cui saranno sentiti altri ex dipendenti della Fincantieri.

FRANCO FEMIA


Un teste: per i meccanici mascherina non obbligatoria

Al maxi-processo per l’amianto, che si celebra al tribunale di Gorizia, continuano a sfilare dinanzi al giudice monocratico Matteo Trotta gli ex dipendenti dei cantieri di Monfalcone. Sono chiamati a testimoniare sulle condizioni di lavoro all’ex Italcantieri negli anni che vanno dal 1960 al 1990. Ieri in agenda c’erano sette testi, ma uno di questi, Lucio Deotto, nel frattempo è morto per una malattia professionale anche se non direttamente collegata all’esposizione all’amianto. Una delle deposizioni più lunghe è stata quella di Renzo Tripodi, meccanico, dipendente dell’Italcantieri fino al 1980. Il teste, rispondendo a una lunga serie di domande fatta dal pubblico ministero Luigi Leghissa, parti civili e difesa, ha ricostruito le varie mansioni svolte dagli operai a bordo nave. In particolare il testimone ha descritto lo stato ambientale in cui operavano le maestranze sotto il profilo della salubrità. È emerso quanto dichiarato anche da altri testimoni nelle precedenti udienze e cioè che nel cantiere c’era carenza nelle misure di sicurezza in particolare negli anni Sessanta. Tripodi ha ricordato come ai meccanici l’azienda non imponeva l’uso della mascherina. Non sono mancati vivace battibecchi tra difensori degli imputati e parti civili sulle varie domande che venivano poste. Come è noto 41 sono gli imputati tra ex dirigenti dell’Italcantieri, responsabili di ditte subappaltanti e responsabili della sicurezza, che devono rispondere di omicidio colposo per la morte di 85 dipendenti dei cantieri dovuta ad asbestosi, la malattia legata all’esposizione all’amianto. Prima della pausa feriale sono in agenda ancora due udienze, il 12 e il 20 luglio nelle quali saranno sentiti altri dipendenti dei cantieri di Panzano. In tutto sono stati citati tra pm e difesa 400 testimoni. (fra. fem.)