Entries Tagged 'Nocività' ↓

Monfalcone: riprendono i processi per l’amianto ma le morti continuano

da Il Piccolo MARTEDÌ, 12 FEBBRAIO 2013 Pagina 27 – Gorizia-Monfalcone

In 10 anni oltre 1300 i malati di mesotelioma

Secondo una ricerca di Bianchi (Lega tumori) sono stati colpiti il 3,4% degli assunti tra il ’50 e il ’60

 Il 3,4% di chi è entrato poco più che adolescente nel cantiere navale di Monfalcone tra il 1950 e il 1960 si è ammalato e morto di mesotelioma alla pleura, forma tumorale legata in modo inequivocabile all’esposizione all’amianto. I dati, frutto di una paziente ricerca d’archivio, sono stati resi noti dal professor Claudio Bianchi, presidente della Lega tumori della provincia di Gorizia che ne è l’autore, nel corso di un confronto promosso domenica pomeriggio da Sel e al quale ha preso parte l’ex deputata e capolista per il Senato in regione Grazia Francescato e la capolista per la Camera Serena Pellegrino. L’esito dell’indagine ha inoltre confermato, come sottolineato da Bianchi, come uno dei fattori imprescindibili di rischio sia quello della quantità di esposizione, anche sotto il profilo temporale. «Il 3,4% degli assunti, in totale 1.300 nel decennio, tra il ’50 e il ’60 con un età tra i i 14 e i 19 anni si è ammalato – ha spiegato il professor Bianchi -, contro il 2% degli assunti con un’età tra i 20 e i 29 anni e l’1,6% di quelli con un’età tra i 30 e i 39 anni». L’esito dello studio ha ribadito, però, anche come non tutti gli esposti alle stesse dosi di amianto e per lo stesso periodo abbiano sviluppato il mesotelioma. «E’ significativo il caso di una donna assunta nel 1942 come saldatrice elettrica e rimasta in cantiere fino al 1961 che ha avuto il mesotelioma a 90 anni», ha detto Bianchi, sottolineando come la ricerca dovrebbe indagare quali siano i meccanismi della resistenza allo scatenarsi della malattia per cercare di potenziarli. «L’organismo può reagire – ha aggiunto – e anche la suscettibilità è presumibile possa avere base genetica. In una quarantina di casi emersi tra consanguinei l’incidenza del mesotelioma sale al 12%». Nel corso dell’incontro l’ex sindacalista del cantiere navale ed esposto Luigino Francovig ha quindi non a caso rilanciato la proposta, forte, di creare una Fondazione che utilizzi i fondi eventualmente versati dalle aziende dove si è utilizzato l’amianto per la ricerca medica e sostenere gli esposti e le loro famiglie. «In ogni caso secondo me ci sono le condizioni – ha aggiunto Francovig – per chiedere per il nostro territorio il riconoscimento di disastro ambientale». Il consigliere comunale di Sel Giovanni Iacono ha da parte sua confermato la proposta della creazione, in ambito comunale, di un gruppo di lavoro sulla bonifica e lo smaltimento dell’amianto ancora esistente in città, oltre che il pieno sostegno all’attività del Tribunale di Gorizia sulle cause per accertare le responsabilità delle centinaia di morti d’amianto verificatesi nel territorio.


Amianto, “vedove” in pullman all’udienza

 

La città di Monfalcone sarà presente, assieme alle istituzioni, nel tribunale di Gorizia alla lettura della prima sentenza del processo penale che vede imputati i vertici di Fincantieri per la morte di 89 operai. «Verranno organizzate delle corriere per agevolare le persone con difficoltà di spostamento», hanno annunciato Enrico Bullian e Chiara Paternoster, rispettivamente esperto di sicurezza e responsabile legale dell’associazione “Famigliari e esposti amianto”. L’annuncio è stato dato durante l’incontro, organizzato dall’associazione per il Teatro di Monfalcone, con l’attrice Laura Curino, autrice e protagonista dell’intenso, documentato e poetico spettacolo “Malapolvere”, racconto della tragedia amianto a Casale Monferrato sede della multinazionale Eternit, andato in scena al comunale.«La sentenza attesa in aprile, ha ricordato Chiara Paternoster, non sarà il consumarsi di un gesto di vendetta, ma un atto di ripristino di giustizia e legalità». Il picco della malattia sarà nel 2015-20 e rimane comunque gravissima la questione dello smaltimento. «Ogni anno, ha aggiunto Enrico Bullian, in Italia vengono smaltite 380mila tonnellate di amianto della presunta presenza di 32milioni di tonnellate stimate dal ministero della Salute. Serviranno 85 anni per la totale bonifica». Nel suo lavoro Laura Curino ha spiegato come la battaglia vittoriosa della gente di Casale contro la fabbrica sia stata possibile grazie alla coesione fra popolazione e istituzioni. «Questo spettacolo – ha aggiunto – informa e racconta, spiegando che non è naturale pagare con la vita il lavoro in fabbrica. I casalesi si sono uniti con determinazione pacata per ribellarsi al destino di vittime del benessere consumistico». Di ricatto morale ha parlato Chiara Paternoster. «Non accettiamo che venga detto che se la Fincantieri o l’Ilva di Taranto falliscono è colpa degli operai». Quattro località della provincia di Gorizia sono in cima alla graduatoria dei comuni italiani con il più alto tasso di incidenza di mesotelioma asbesto-correlato. Fra i primi dieci luoghi avvelenati dalla polvere di amianto vi sono Monfalcone, San Canzian d’Isonzo, Ronchi dei Legionari e Staranzano oltre a Trieste. Il dato è stato pubblicato nell’ultimo Quaderno del ministero della Salute. Nei 4 comini dell’Isontino vi è un’incidenza dal 18 al 23 percento di malati di tumore a un tasso grezzo di popolazione su100mila abitanti. Monfalcone e Casale, due città dai destini simili, dove la fabbrica per anni ha dato benessere al costo della vita.

Centri commerciali, dipendenti costretti a restituire la paga

E a chi sostiene la necessità di nuovi centri commerciali nell’isontino giustificandoli anche con i posti di lavoro ecco la risposta!

 

da Il Piccolo, 13 gennaio 2012

Centri commerciali, dipendenti costretti a restituire la paga

Gorizia, un caso limite nella selva inestricabile dei contratti. Il sindacato isontino: «Ci sono commesse che resistono con gli psicofarmaci»

 

di Tiziana Carpinelli

GORIZIA Solo l’occhio attento lo nota. Tra le corsie a impilare rigatoni e bottiglie tra gli scaffali. Oppure in cassa, a battere scontrini. Perché lui, il precario della grande distribuzione mica lavora a turni regolari. Non ha l’opportunità di diventare, per il cliente, un volto familiare. Perché una volta macina 8 ore di domenica, per dar fiato al commesso part-time che è stato assunto a tempo indeterminato (il turno pieno è merce rara in questa selva di contratti), la settimana seguente ne fa 4 di sabato. E si busca pure due ore infrasettimanali di apertura e due di chiusura nella stessa giornata, così non riesce a seguire neppure uno dei tanti corsi formativi promossi dagli enti pubblici.

È l’altra faccia del luccicante mondo della Grande distribuzione organizzata (Gdo), in provincia di Gorizia. Dove fra supermercati, ipermercati e discount, la superficie commerciale è cresciuta così intensamente negli ultimi anni (145mila metri quadrati nell’Isontino, dove risiedono 142mila 400 abitanti) che l’offerta ha quasi finito per superare la domanda. Una faccia deprimente, sia capisce, dove si arriva perfino ad assumere un lavoratore col voucher, camuffando come occasionale una prestazione quale quella di scaricare la merce dai camion che, in realtà, viene svolta con regolarità, almeno per un certo periodo e fino alla soglia massima di 5mila euro annui. L’anomalo impiego di questo strumento, che non assicura al lavoratore né maternità o malattia, né disoccupazione o assegni familiari, è di recente finito nel mirino degli ispettori dell’Inps che, a quanto pare, hanno avviato accertamenti in un ipermercato della provincia. Ma si tratta solo dell’esempio più macroscopico di una situazione che, la segreteria di Gorizia della Filcams-Cgil, non esita a definire allarmante. Il contratto più diffuso è quello, pure a tempo indeterminato, del part-time ma col correttivo di una flessibilità spinta (pagata sotto forma di indennità mensile di 10 euro lordi al mese), che di fatto rende il dipendente alla mercé dell’azienda. Azienda che comunica i diversi turni settimanali solo il venerdì precedente e distribuisce i lavoratori 7 giorni su 7, rafforzando l’organico in particolare nel week-end, quando l’afflusso di clienti è maggiore. Se la formula può andar bene a chi ha vent’anni, diversamente avviene per madri o padri di famiglia, che invece hanno bisogno di stipendi più consistenti rispetto ai medi 600 euro netti al mese (per 20-24 ore alla settimana) previsti per la categoria ed elemosinano la possibilità di fare ore in più, assecondando ogni richiesta del datore. Chi si trova in questa situazione è comunque fortunato, perché almeno ha il lavoro garantito, pur sacrificando la vita familiare. Poi ci sono tutti gli altri, e tutte le altre forme di contratto. Con meno diritti e tutele. «Ho visto lavoratori andare avanti a psicofarmaci per la situazione stressante cui erano sottoposti a causa della stipula di documenti – spiega Ilaria Costantini della segreteria provinciale Filcams-Cgil – di cui non avevano compreso del tutto le clausole». Il caso è quello di una giovane che era stata assunta con contratto di associazione in partecipazione, una «modalità diffusa soprattutto nei piccoli negozi monomarca delle gallerie dei centri commerciali, con alle spalle un marchio noto». In pratica funziona così – chiarisce -: la paga dell’associata in partecipazione, cioè la commessa, dovrebbe avvenire per contratto a consuntivo di bilancio: a fine anno la catena ripartisce gli utili tra gli associati e se è andata bene la lavoratrice percepisce quanto le è dovuto, altrimenti il rischio, come ci è capitato di osservare, è che il lavoratore debba coprire la sua parte della perdita, chiaramente in termini di retribuzione. Non solo: può essere minacciata, come è accaduto, di dover restituire gli stipendi percepiti. Questo perché i pagamenti in realtà non avvengono a consuntivo di bilancio, ma attraverso degli anticipi mensili sugli utili, ovvero quote fisse di compenso del valore di una paga base da commessa.

Se il brand ha avuto un’annata difficile, basta ventilare la possibilità di richiedere indietro una parte della retribuzione e, nel 99% dei casi, il dipendente terrorizzato molla il lavoro, così la catena si è facilmente sbarazzata di una persona».

Monfalcone / Operai schiavi

da Il Piccolo

Operai schiavi a Monfalcone, 3 arresti

Ai dipendenti dell’impresa coinvolta nella vasta indagine condotta dai carabinieri, era un lusso perfino fare la doccia: i bengalesi, infatti, dovevano pagare 30 euro. Ma le circostanze “anomale” erano le più diverse: estorsioni nei confronti dei lavoratori, falsità e omissioni nell’ambito delle registrazioni e delle denunce obbligatorie, truffa allo Stato. Lavoratori, per lo più bengalesi, sottopagati, a fronte di trattamenti economici non corrispondenti alla contrattazione sindacale collettiva. Si parla di paghe globali, di monte-ore denunciate diverse da quelle effettivamente lavorate, di straordinari non riconosciuti, come le indennità. Il tutto in difformità rispetto alle previsioni contributive stabilite per il comparto. Per chi si ribellava arrivava inesorabilmente il licenziamento. Secondo le forze dell’ordine si tratta solo della punta dell’iceberg di un fenomeno molto vasto.

MONFALCONE Due imprenditori monfalconesi di origine campana, Pasquale e Giuseppe Commentale, 30 e 33 anni, e un’operaio bengalese, A.R., 46 anni: in qualità di amministratori e di dipendenti di una ditta impegnata all’interno dei cantieri navali di Panzano, hanno messo in piedi una vera e propria organizzazione criminale. Reati gravi: si va dall’estorsione all’omissione e falsità in registrazioni e denunce obbligatorie, alla truffa ai danni dello Stato. Compresa la violazione della normativa sul lavoro (legge Biagi), attraverso l’assunzione fittizia, previo pagamento in denaro. Il meccanismo si traduceva nella costituzione di imprese che si occupavano di carpenteria succedutesi nel tempo, e che, pur sotto denominazioni diverse, erano riconducibili alla stessa compagine societaria. I due imprenditori e il bengalese sono stati arrestati a Monfalcone, San Canzian d’Isonzo e Trieste. Sono ritenuti responsabili di questo sistema imprenditoriale illecito, che si avvaleva della manodopera di extracomunitari, per lo più provenienti dalla comunità asiatica presente in città, sottopagata e costretta a condizioni di lavoro deteriori. Un trattamento che chiama in causa anche la sicurezza, in ordine al rispetto delle norme antinfortunistiche. Uno dei due imprenditori, assieme all’operaio bengalese, è ora detenuto nel carcere di Gorizia, mentre l’altro campano è stato sottoposto agli arresti domiciliari. Pasquale Commentale non è solo un nome noto nell’Isontino, ma anche un volto noto. Già calciatore del Fogliano, aveva partecipato al reality calcistico “Campioni” e poi, sempre in televisione, tronista a “Uomini e donne” con Maria de Filippi. Sono state, inoltre, denunciate a piede libero altre sei persone, cinque italiani e un bengalese che avevano partecipato, in circostanze e ruoli diversi, alla commissione dei reati contestati. Un’associazione a delinquere rodata e radicata, nell’ambito dell’appalto e subappalto in Fincantieri. Per i dipendenti era perfino un “lusso” fare la doccia, ai quali veniva chiesto il pagamento di 30 euro. Bengalesi tenuti in scacco con la paura di venire licenziati. Una comunità, quella asiatica in particolare, «aggredibile, facile preda di atteggiamenti intimidatori». Ma un fenomeno che non sembra isolato: la Procura ritiene che il “modus operandi” sistematico e consolidato, fatto di metodiche raffinate e ricorrenti, possa essere più esteso nel settore dell’appalto. Il procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Gorizia, Caterina Ajello, infatti, ieri mattina, durante la conferenza stampa, ha spiegato: «Contiamo di andare avanti con l’indagine. Verosimilmente si tratta di un fenomeno esteso, che si propaga anche al di là della società in questione». Ajello ha poi precisato: non c’è alcuna responsabilità da parte di Fincantieri. L’indagine è partita a febbraio, anche se non sono mancati segnali pregressi. L’inchiesta coordinata dal sostituto procuratore Michele Martorelli, si è avvalsa della «preziosa e altamente professionale» attività condotta dal Nucleo investigativo del Comando provinciale dei carabinieri di Gorizia, assieme al Nucleo operativo della Compagnia dei carabinieri di Monfalcone e al Nucleo dei carabinieri presso l’Ispettorato del Lavoro goriziano. Il tutto è stato innescato da una discovery info investigativa, ha spiegato il procuratore Ajello, incentrata sulla comunità bengalese residente a Monfalcone. «Sono state acquisite fondate indicazioni – ha aggiunto il procuratore -, comprovate dalle numerose deposizioni testimoniali e denunce-querele, che indicavano l’esistenza sul territorio monfalconese di un’articolata organizzazione a delinquere non autoctona». Determinante è stato l’apporto della Bimas (Bangladesh Immigrants Association) di Monfalcone, che ha convinto i lavoratori in difficoltà a formalizzare le denunce.

 

da ll Piccolo

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre

1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 13 14 15 16 17 18 19 20 21 22 23 24 25 26 27 28 29 30 31 Gennaio Febbraio Marzo Aprile Maggio Giugno Luglio Agosto Settembre Ottobre Novembre Dicembre 1984 1985 1986 1987 1988 1989 1990 1991 1992 1993 1994 1995 1996 1997 1998 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005 2006 2007 2008 2009 2010 2011

Appalti gestiti dai caporali attacco a Rsu e sindacati

Un tavolo permanente di monitoraggio sulla sicurezza. L’allargamento della rappresentanza sindacale ai lavoratori dell’appalto e agli stranieri. E un “forum-osservatorio” in grado di selezionare le priorità e le situazioni di rischio, seguendo passo a passo i casi fino alla fine, costruendo al contempo un vero e proprio “archivio” dell’organizzazione del lavoro. Lo propone Giovanni Iacono (Sel), che si sofferma sul metodo per affrontare la realtà dell’appalto. Prende spunto dall’istituzione della Rsu bengalese, un esempio positivo, per dire: «Le organizzazioni sindacali, a mio parere, dovrebbero, nei limiti del possibile, coordinare l’organizzazione della comunità-fabbrica. E avere più coraggio nel pretendere verifiche costanti sulle assunzioni e sulla sicurezza. L’ultimo infortunio mortale, nel quale è rimasto vittima un giovane bengalese, dev’essere un monito per non abbassare la guardia». di Laura Borsani C’è del marcio a Monfalcone. Il caporalato prosperato nel settore dell’indotto, in grado di decidere e pilotare le assunzioni, bypassando le procedure istituzionali, fino a esautorare di fatto l’Ufficio del Lavoro. Società che nascono e muoiono come scatole cinesi, funzionali allo sfruttamento dei lavoratori, alla logica del ribasso d’appalto, e, presumibilmente, all’arricchimento dei pochi sui molti. Meccanismi scientifici, lo ha osservato lo stesso procuratore Caterina Ajello, che si poggiano su prestanomi, ma anche omissioni e falsità nelle denunce contributive e amministrative. Il tutto si regge sulla minaccia, l’intimidazione, la paura e, fors’anche, l’omertà. L’indagine portata avanti dalla Procura goriziana è frutto delle denunce di cinquanta bengalesi che, attraverso la Bimas, hanno deciso di raccontare le loro storie di soprusi. Ma il risultato raggiunto, che ha portato all’arresto dei fratelli Pasquale e Giuseppe Commentale, assieme a un bengalese di 46 anni, e alla denuncia di altre 6 persone, ha tutta l’aria, e la portata, della punta di un iceberg. Gli interrogativi, a questo punto, sono molteplici. Perchè solo ora è scoppiato il bubbone? C’è voluta la magistratura per scoperchiare il pentolone? E ancora: l’associazione bengalese Bimas ha lanciato il sasso nello stagno. E i sindacati, che pure hanno da tempo sollecitato l’istituzione di un tavolo dedicato all’appalto? L’Usb, con il sindacalista Mario Ferrucci, ha messo il naso nell’appalto: circa 14 le denunce presentate, di cui 7 indirizzate alla Gdf. Ma l’Usb conta poco. Domande che risuonano in città e chiamano in causa compiti e ruoli. Il consigliere di Sel, Giovanni Iacono, chiede un Consiglio comunale urgente e la convocazione della Consulta immigrati: «Se si accetta l’idea – commenta – che solo operazioni giudiziarie risolvono le situazioni della legalità e delle condizioni di lavoro in una grande azienda pubblica, vuol dire che la politica non serve più a nulla». Iacono aggiunge: «Perchè vengono a galla solo ora situazioni note da tempo? Si impone la riflessione, considerata la crisi imperante, dove in un’azienda pubblica come Fincantieri non si sa chi e cosa decide, e dove l’appalto e l’intensificazione dei ritmi di lavoro sono diventati un sistema di massa rispetto al quale gli accordi separati fabbrica per fabbrica rischiano di non essere una risposta sufficiente. Non vorrei – osserva – che Monfalcone possa diventare un’altra Pomigliano non dichiarata». Il consigliere regionale della Lega Nord, Federico Razzini, non le manda a dire: «È almeno 10-15 anni che le cose vanno avanti in questo modo, noi da tempo le abbiamo denunciate. È il sistema-Monfalcone che è marcio. L’indagine aperta dalla Procura di Gorizia è solo la punta dell’iceberg, al di là delle posizioni individuali che saranno vagliate dalla magistratura. Il ruolo della politica, quella del centrosinistra, è moralmente corresponsabile. Le sigle sindacali, come gli amministratori, ci hanno sempre accusato di razzismo quando puntavamo il dito su certe imprese campane, o comunque non locali, su personaggi senza arte nè parte, che in città giravano con i Suv e che per anni hanno fatto affari nell’appalto. Io dico, invece, che c’è stato sempre un silenzio complice. Cos’ha fatto la Triplice? Ha dormito o ha preferito non vedere? Perchè la Failm-Cisal, che ha sempre denunciato le irregolarità, è stata emarginata? E cosa ha fatto la politica? Erroneamente – conclude Razzini – si è sempre guardato ai vertici nazionali di Fincantieri: sono, invece, i livelli locali che devono garantire sul territorio il controllo su un sistema sfuggito di mano.

AMIANTO: processo a rischio con la prescrizione breve

Il Piccolo del 01/04/11

Amianto, processo a rischio con la prescrizione breve

Possibile la prescrizione per alcuni dei 47 imputati accusati di lesioni colpose. L’Associazione degli esposti alla fibra killer: «Non vogliamo colpi di spugna»

di Christian Seu

GORIZIA. Il varo del disegno di legge sulla prescrizione breve, in esame alla Camera dei deputati martedì prossimo, rischia di avere ripercussioni sul maxiprocesso per le morti causate dall’esposizione all’amianto negli stabilimenti Fincantieri di Monfalcone, nel periodo compreso tra il 1965 e il 1985.

«Il rischio potrebbe effettivamente configurarsi, almeno per alcune posizioni», conferma con la cautela del caso il procuratore capo di Gorizia, Caterina Ajello, che ha avviato un’analisi per scoprire i risvolti che l’approvazione del ddl sul processo breve potrebbe avere sui procedimenti di cui si sta occupando il Tribunale del capoluogo isontino.

In particolare, l’attenzione è rivolta al processo sulle morti legate a patologie asbesto-correlate, per il quale sono imputate 47 persone: i primi rinvii a giudizio sono stati firmati dai pm goriziani nel marzo del 2006 e uno dei punti cardine della riforma prevede che la sentenza di primo grado per i reati con pene inferiori a dieci anni debba essere pronunciata entro tre anni dalla richiesta di rinvio a giudizio, pena la prescrizione del reato.

A quel punto, le posizioni di alcuni degli imputati, accusati di lesioni colpose aggravate ai danni dei lavoratori Fincantieri, potrebbero essere prescritte. Le parti offese sono al momento 87, ma la magistratura goriziana indaga su altri 299 casi legati a malattie professionali contratte a causa dell’esposizione alla fibra-killer nei cantieri navali e non è escluso che nuovi rinvii a giudizio possano giungere a breve. Nel corso delle trenta udienze finora celebrate sono stati sentiti circa 200 testi: ne sfileranno davanti al giudice almeno altrettanti nei prossimi mesi.

 

L’auspicio della Procura è di arrivare al pronunciamento della sentenza entro la prossima primavera, intoppi procedurali e innovazioni legislative permettendo.

 

 

«C’era la magra consolazione di vedere finalmente marciare a ritmo spedito la macchina della giustizia: l’idea di un possibile colpo di spugna ci indigna profondamente»: a parlare, con la voce rotta dall’emozione, è Rita Nadalino Nardi, presidente dell’Associazione esposti amianto di Monfalcone.

 

«E’ uno schifo, non ci sono altri termini per descrivere quanto sta accadendo», spiega la referente del sodalizio, commentando i possibili risvolti che l’applicazione del ddl sulla prescrizione breve potrebbe avere sul maxi-processo amianto. «L’ergastolo vero lo vive chi ha perso i propri cari: stanno calpestando la nostra dignità, ma non assisteremo impassibili a questo sfacelo», conclude.

(01 aprile 2011)

Monfalcone / Amianto confermata l’assoluzione dell’ex direttore Fanfani

Senza entrare nei dettagli della sentenza (alcuni dei quali a quanto riferito ci paiono sinceramente quasi offensivi non solo dei morti ma anche della nostra intelligenza seppur non siamo né medici né giuristi) lo sapevamo che i tribunali non avrebbero mai confermato quanto tutti sanno e cioè che la strage per amianto è stata perfettamente consapevole.

Le vite e la salute di migliaia di operai sono state comprate in cambio di un salario per massimizzare i profitti.

Tutti sappiamo che nonostante questa sentenza la strage continua nel silenzio, nell’indifferenza e nel cinismo.

Fuori i colpevoli!

 

da Il Piccolo

Amianto, confermata in Appello l’assoluzione di Fanfani

La Corte d’Appello di Trieste ha confermato la sentenza di assoluzione nei confronti dell’ex presidente degli stabilimenti navalmeccanici Italcantieri – oggi Fincantieri – di Monfalcone, Vittorio Fanfani, nel maxiprocesso sui decessi e le malattie legate all’esposizione all’amianto. Fanfani, 92 anni, fratello dell’ex leader Dc Amintore, aveva diretto l’azienda metalmeccanica per un decennio, dal 1974 al 1984. Assieme ad altri dirigenti era stato rinviato a giudizio nel 2009 dal Tribunale di Gorizia per l’ipotesi di reato di negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme per la tutela fisica dei lavoratori, facendo svolgere – si legge nell’ordinanza di rinvio a giudizio – mansioni di saldatore comportanti l’uso di amianto in ambienti saturi della pericolosa polvere. La sentenza di assoluzione si riferisce al procedimento avviato da un lavoratore dei cantieri navali ancora in vita, al quale sono state diagnosticate lesioni pleuriche asbestosiche tipiche, secondo l’accusa, dell’esposizione all’amianto. La difesa di Fanfani, sostenuta dall’avvocato triestino Giovanni Borgna, ha sostenuto che, qualora non compromettano l’apparato respiratorio, le placche pleuriche asbestosiche non costituirebbero malattia. Sia Vittorio Fanfani, sia Giorgio Tupini, sia Manlio Lippi, questi ultimi in passato direttori dello stabilimento di Monfalcone erano stati già assolti in primo grado in tribunale a Gorizia dall’accusa di lesioni legata all’impiego dell’amianto nei cantieri di Monfalcone, non essendo stato accertato con chiarezza se la malattia contratta da ex dipendenti fosse stata causata principalmente dall’esposizione all’amianto o da altre patologie. In un processo in particolare Tupini, Vittorio Fanfani e Lippi erano stati assolti dall’accusa di lesioni seppure con la formula dubitativa dal giudice monocratico di Gorizia Emanuela Bigattin. Ed era stato lo stesso pubblico ministero Luigi Leghissa a chiederne l’assoluzione dopo che il perito aveva sostenuto che la parte lesa registrava un’alterazione della funzionalità respiratoria che poteva derivare da cause diverse da quella dell’asbestosi.

 

 

da Il Gazzettino

Amianto, processo Fincantieri: confermata l’assoluzione dell’ex direttore Fanfani

TRIESTE – La Corte d’Appello di Trieste ha confermato la sentenza di assoluzione nei confronti dell’ex direttore degli stabilimenti navalmeccanici Italcantieri – oggi Fincantieri – di Monfalcone, Vittorio Fanfani, nel maxiprocesso sui decessi e le malattie legate all’esposizione all’amianto.

Fanfani, 92 anni, fratello dell’ex leader Dc Amintore, aveva diretto i cantieri monfalconesi per un decennio, dal 1974 al 1984. Assieme ad altri dirigenti era stato rinviato a giudizio nel 2009 dal Tribunale di Gorizia per l’ipotesi di reato di negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle norme per la tutela fisica dei lavoratori, facendo svolgere – si legge nell’ordinanza di rinvio a giudizio – mansioni di saldatore comportanti l’uso di amianto in ambienti saturi della pericolosa polvere.

La sentenza di assoluzione si riferisce al procedimento avviato da un lavoratore dei cantieri navali ancora in vita, al quale sono state diagnosticate lesioni pleuriche asbestosiche tipiche, secondo l’accusa, dell’esposizione all’amianto. La difesa di Fanfani, sostenuta dall’avvocato triestino Giovanni Borgna, ha sostenuto che, qualora non compromettano l’apparato respiratorio, le placche pleuriche asbestosiche non costituirebbero malattia.

AMIANTO: Maxi-processo amianto: tra un anno la sentenza

Messaggero Veneto del 24/03/11

 

 

GORIZIA La sentenza del maxi-processo per le morti causate dall’esposizione all’amianto negli stabilimenti Fincantieri di Monfalcone potrebbe essere pronunciata dal giudice monocratico del Tribunale di Gorizia, se non si registreranno intoppi, esattamente fra un anno, vale a dire nella primavera del 2012. Questa stima temporale è stata formulata, ieri mattina, dal procuratore capo di Gorizia, Caterina Ajello, che a un anno dalla prima udienza dibattimentale ha tracciato un bilancio del procedimento, che vede imputate 47 persone (si tratta perlopiù di dirigenti che si sono succeduti nell’amministrazione e direzione del cantiere monfalconese) con l’accusa di omicidio colposo o lesioni colpose aggravate ai danni dei lavoratori. Le parti offese sono al momento 87, ma la magistratura goriziana indaga su altri 299 casi legati a malattie professionali (mesoteliomi, tumori polmonari, asbestosi) contratte a causa dell’esposizione alla fibra-killer nei cantieri navali, ma non solo: «Non è escluso che nei prossimi mesi possano arrivare nuovi rinvii a giudizio», conferma il procuratore capo, affiancata dai sostituti procuratori Valentina Bossi e Luigi Leghissa, che coordinano le indagini condotte grazie all’ausilio di una task force appositamente costituita e composta da cinque carabinieri (tra cui anche gli esperti del Nas), due agenti della Polizia e due tecnici messi a disposizione dall’Azienda sanitaria isontina: a questi si aggiunge, è bene precisare, un team di dieci consulenti scientifici nominati dalla Procura della Repubblica del capoluogo isontino. Oltre ai 150 faldoni che contengono le prove documentali, a disposizione degli inquirenti figura anche un’accurata ricostruzione fotografica relativa agli stabilimenti cantieristici di Monfalcone. Ricostruzione fotografica che risulta composta da ben 20 mila scatti risalenti all’epoca a cui si riferisce il procedimento. Nel corso delle trenta udienze svolte finora e presiedute dal presidente del Tribunale, Matteo Trotta, sono stati esaminati duecentotestimoni tra lavoratori dei cantieri e familiari: per completare la fase dibattimentale ne restano da ascoltare altri duecentocinquanta. Da ricordare, infine, che i processi aperti dinanzi al Tribunale del capoluogo isontino in relazione ai decessi per amianto hanno già portato a una prima sentenza, nel 2008. Christian Seu

Monfalcone / «Benvenuti nella macelleria Fincantieri»

da Il Piccolo

 

Incidenti sul lavoro, operaio della Fincantieri cade da ponteggio e muore

Secondo le prime informazioni l’uomo, dipendente di una ditta esterna al cantiere, è precipitato da un ponteggio, morendo poco dopo essere stato soccorso. Le Rappresentanze sindacali unitarie dello stabilimento hanno proclamato lo sciopero immediato

MONFALCONE Un volo di venti metri sulla “Magic”, lungo un cunicolo buio percorso da un groviglio di tubi. Lo schianto su una condotta d’aerazione. Fine orribile ieri in Fincantieri per un operaio bengalese di 22 anni, Mia Ismail, giunto a Monfalcone due anni fa. L’infortunio si è verificato alle 11.30 di ieri sul 12° ponte della passeggeri in allestimento. I sanitari hanno tentato per circa un’ora di rianimare il ragazzo.

Ma attorno alle 12.30 hanno dovuto arrendersi: il corpo di Mia Ismail, che aveva iniziato il suo turno sulla “Magic” attorno alle 8, è uscito a bordo del carro funebre verso le 13, tra due ali di connazionali e colleghi fermi ad aspettare fuori dallo stabilimento dopo lo sciopero dichiarato dalla Rsu. L’infortunio si è verificato sulla passeggeri di 130mila tonnellate che fra una decina di giorni dovrebbe prendere il mare per i test in Alto Adriatico. Ismail era alle dipendenze di una ditta di coibentazione, la Tis (Tecno Impianti Service), di cui è titolare Salvatore Cozzolino: venti dipendenti, un quarto del Bangladesh. La Tis è una delle circa trecento ditte dell’appalto Fincantieri.

Alle 11.30 circa Mia Ismail si trovava, con due connazionali e il caposquadra italiano, sul 12° ponte della “Magic” davanti a un cunicolo imbullonato che attraversa in verticale tutta la passeggeri: un groviglio di tubi. Non è ancora chiaro perchè, dopo l’apertura del vano d’accesso, il ragazzo si sia avventurato all’interno, con un buio pesto e solo una tavola o poco più a proteggerlo da eventuali cadute. Ma così è stato.

Saranno le inchieste aperte dalla magistratura e dalla stessa azienda a chiarire come sia potuto accadere. Le conseguenze dell’atto sono state tragiche. Il ragazzo è scivolato dal tavolaccio ed è precipitato nel cunicolo, sbattendo tra i tubi e gli spuntoni e finendo, otto ponti più sotto. Quando è stato soccorso dai sanitari dava ancora segni di vita. Ma è apparso subito chiaro che le speranze di salvarlo erano legate a un miracolo.

La notizia della sua morte si è diffusa nello stabilimento con un passaparola attorno alle 12.30. L’epilogo è apparso evidente quando l’elicottero dell’Elisoccorso, atterrato nello stabilimento, se n’è andato vuoto. Ma già mezzora prima le Rsu avevano invitato tutti gli oltre cinquemila lavoratori a lasciare lo stabilimento. L’esodo è stato immediato in un clima di tensione evidente: facce sconvolte, momenti di disperazione per centinaia di bengalesi.

E commenti a senso unico delle tute blu: «Benvenuti nella macelleria Fincantieri», «Qui si entra ma non si sa se si esce». «In queste condizioni qui dentro non si può più lavorare, colpa delle ditte e della politica degli appalti». E ci sono stati momenti di tensione, attorno alle 13.30 di ieri, appena fuori dallo stabilimento, davanti all’ingresso operai, quando un’autocivetta della polizia è uscita dai cancelli con a bordo il titolare della Tis e uno degli operai che aveva assistito all’incidente. La vettura è stata circondata e bloccata da decine di bengalesi. Volevano garanzie sul collega, risolte chiamando un interprete per raccogliere la deposizione.

AMIANTO: nuove testimonianze

Dal Messaggero Veneto del 25/02/11

Amianto, altre testimonianze

 

MONFALCONE. Tra le righe dello straziante elenco che contiene i nomi degli 85 dipendenti dell’ex Italcantieri (oggi Fincantieri) deceduti per patologie asbesto-correlate, figura anche quello di Mario Florit, per 30 anni carpentiere nello stabilimento di Monfalcone, scomparso nel settembre 2000. Ieri mattina, davanti al giudice monocratico Matteo Trotta, nell’ambito del maxi-processo per le morti da amianto, hanno testimoniato la figlia e la cognata di Florit, che ha lavorato sui ponti delle navi in costruzione fino al 1988, quando è andato in pensione.

«Ricordo nitidamente l’attenzione con cui mia mamma lavava le tute e gli indumenti di lavoro del papà – ha dichiarato Daniela Florit, rispondendo alle domande del pm Luigi Leghissa –, svolgendo tale operazione esclusivamente all’esterno della nostra abitazione. Mi è rimasto impresso un altro gesto di mio padre: quando rientrava da lavoro, apriva il frigo e beveva due litri di latte, adducendo come motivazione la necessità di “pulirsi”».

Secondo quanto raccontato da Rosa Giuliatto, cognata dell’ex dipendente di Italcantieri, «gli operai erano sprovvisti di mascherina, tanto che mio cognato mi ha raccontato di aver provveduto ad acquistarle perché la ditta non le passava».

Ancora: «Sapeva di avere a che fare con l’amianto: nei momenti della malattia, durante i quali lo assistevo, mi raccontava della polvere che veniva sprigionata all’atto di smontare i ponteggi», ha raccontato la signora Giuliatto, che ha descritto il cognato come «salutista e naturalista: non fumava, era sportivo e gli dava fastidio persino quando le auto sostavano davanti a casa». Prossima udienza martedì 8 marzo. (c.s.)

AMIANTO: Morti d’amianto, la Fincantieri congela i risarcimenti

Dal Piccolo del 25/01/11

Morti d’amianto, la Fincantieri congela i risarcimenti

Causa la crisi finanziaria, l’azienda frena le trattative già avviate con i familiari degli operai deceduti. Per gli accordi già transati la Fincantieri ha sborsato decine di migliaia di euro, in alcuni casi oltre i centomila euro, per ogni operaio vittima dell’asbestos. Intanto prosegue al tribunale di Gorizia il maxi processo

GORIZIA. C’è un rallentamento negli accordi extragiudiziali tra la Fincantieri e i familiari delle vittime dell’amianto. Dopo le prime intese raggiunte nella scorsa estate, che preludevano alla possibilità di arrivare a transazioni tra le parti e quindi all’e sclusione di diverse parti civili dal processo penale, la Fincantieri si è presa a quanto pare un momento di riflessione. Le richieste di risarcimento avanzate da alcuni legali non hanno avuto risposta da parte dell’azienda. Un momento di pausa dettato forse dalla situazione finanziaria.

 

E dei giorni scorsi la notizia che la Fincantieri chiuderà il bilancio 2010 con una perdita di 64 milioni e le prospettive, per il 2011, non sono affatto migliori. Per i risarcimenti alle famiglie delle vittime d’amianto sono in ballo un mucchio di soldi, se si pensa che per gli accordi già transati la Fincantieri ha sborsato decine di migliaia di euro, in alcuni casi oltre le 100mila, per ogni operaio vittima dell’asbestosi. E solo alla Fincantieri di Monfalcone sono centinaia i morti da amianto, le cui famiglie hanno presentato esposto alla Procura. Oltre a quello in corso, è preannunciato l’avvio di altri maxi processi per quest’a nno e il prossimo. Inoltre, il picco di decessi correlati alle malattie da amianto si dovrebbe avere, secondo gli esperti, tra il 2015 e il 2020. Si può quindi capire come per la Fincatieri, se dovesse essere accertata la sua responsabilità civile, si tratti di notevole salasso finanziario, nell’ordine di decine di milioni di euro.

 

Intanto prosegue al tribunale di Gorizia il maxi processo con la deposizione dei testimoni citati dal pubblico ministero. Ieri ha deposto anche Luigino Francovig che, oltre a operaio dell’allora Italcantieri, è stato per diversi anni delegato sindacale della Fiom-Cgil all’interno del cantiere. Sollecitato dalle domande del pm Leghissa e degli avvocati Borgna e Cattarin, del collegio di difesa, Francovig ha presentato uno spaccato del lavoro a bordo delle navi sottolineando come la zona motori era la peggiore: nei suoi spazi angusti lavoravano decine di operai tra fumi e amianto, saldatori, tubisti, coibentatori. Amianto che veniva manipolato con una paletta ma anche con le mani quando si trattava di spalmarlo lungo le paratie delle navi.

 

 

Proprio per il ruolo ricoperto da Francovig, parte del dibattito è stato incentrato sull’operato del sindacato svolto all’interno dello stabilimento. È emerso che i lavoratori da sempre sapevano dell’esistenza dell’amianto. «Girava voce tra gli operai, ma all’i nizio nessuno conosceva della sua pericolosità, nessuno si era preoccupato – ha detto Francovig -. L’attenzione della gente allora era incentrata più sulle rivendicazioni salariali e non mancavano le preoccupazione sul lavoro, che rischiava di venir meno per mancanza di commesse. Lentamente si è presa coscienza del problema amianto a metà degli anni Ottanta». Secondo Francovig è stato usato l’amianto, anche se in misura minore, fino alla costruzione della Micoperi, avvenuta a metà degli anni Ottanta.

AMIANTO/ Vertici Italcantieri a processo

La vicenda dell’amianto è la cartina di tornasole di rapporti sociali basati sullo sfruttamento, la violenza, la morte.

La stagione dei processi non potrà chiudere la partita. Non è un punto di arrivo ma un traguardo da cui ripartire.

Fincantieri, nuovo maxi-processo per l amianto

di FRANCO FEMIA GORIZIA Il tribunale di Gorizia sarà duramente impegnato nei prossimi anni sul fronte dei processi legati all’esposizione all’amianto. Da sei mesi è stato avviato il mega-processo per 85 morti da amianto tra i lavoratori del cantiere di Panzano con 41 imputati, e si profila all’orizzonte un nuovo procedimento per altre 35 vittime sempre per l’assunzione del minerale killer. La Procura della Repubblica ha in questi giorni informato gli indagati – sono sempre i vertici dell’ex Italcantieri – della chiusura dell’indagine. Ora i difensori hanno tempo 40 giorni per presentare memorie, nuova documentazione o chiedere l’interrogatorio degli indagati. Successivamente i magistrati chiederanno il rinvio a giudizio degli indagati per omicidio colposo. Spetterà poi al gup fissare l’udienza preliminare e fissare, nel caso di rinvio a giudizio, il processo che si celebrerà sempre dinanzi a un giudice monocratico. Ma il lavoro della Procura della Repubblica – la vicenda amianto è seguita dai pubblici ministeri Luigi Leghissa e Valentina Bossi – non finisce qui. Ci sono altre due o tre inchieste che procedono e che saranno presumibilmente completate entro il 2011. D’altra parte le denunce per presunta morte causata dall’asbestosi continuano a giungere sul tavolo della Procura goriziana e secondo alcune statistiche ogni anno muoiono nel Friuli Venezia Giulia 60 persone per mesetelioma della pleura legato all’assunzione di amianto. E si ritiene che tra gli ex lavoratori dei cantieri si avranno decessi fino al 2020 come scriviamo a parte. Alla Procura, diretta dalla dottoressa Caterina Ajello, per sveltire le inchieste sull’amianto è stato creato un pool di dieci persone che è costituito dai sostituti procuratori Luigi Leghissa e Valentina Bossi, da sei appartenenti alla forze dell’ordine (in gran parte carabinieri), due dirigenti del servizio di prevenzione e sicurezza sull’ambiente del lavoro dell’Azienda sanitaria isontina. C’è poi a disposizione un consulente informatico e, grazie a un server fornito dalla Regione, la Procura sta informatizzando tutto quanto è necessario per snellire il lavoro legato all’esposizione all’amianto. Si tratta di ricostruire 40 anni di storia dei cantieri, dal tipo e dalle modalità di costruzione delle navi, dai vertici apicali che si si sono succeduti in questi anni nello stabilimento di Panzano. E si tratta poi di memorizzare e incrociare migliaia di dati riferiti ai lavoratori e allo loro mansioni, il materiale documentale in possesso dei magistrati. Si stanno raccogliendo e informatizzando anche le testimonianze fornite dai familiari e dai colleghi degli dipendenti deceduti divise anche per periodi di lavoro. Una mole di lavoro notevole che si sta dimostrando utile nelle udienze del maxi-processo in corso al tribunale di Gorizia e che oggi prevede una nuova udienza con nuovi testi.

Picco di decessi tra il 2015 e il 2020

Di amianto si continua e si continuerà a morire. Una strage destinata a salire ancora, almeno fino al 2015-2020, periodo in cui, ritengono gli studiosi, arriverà il picco delle malattie asbesto-correlate. I rapporti sanitari in materia parlano da soli sulla portata del fenomeno. Secondo i dati del Registro tumori del Friuli Venezia Giulia, infatti, l’incidenza del mesotelioma maligno, forma tumorale legata all’esposizione da amianto, non accenna a fermarsi. Nel biennio 2004-2005 sono stati registrati 30 casi nell’Isontino e 45 nel Triestino. Il tasso di incidenza grezza è di 16 casi ogni 100mila uomini e di 5,5 casi ogni 100mila donne nell’Isontino, mentre nella provincia di Trieste sono 18,8 casi ogni 100mila maschi e 1,2 casi ogni 100mila donne. Per quanto riguarda gli uomini, si tratta di un’incidenza, rispettivamente, di 8 e 9 volte superiore rispetto alla provincia di Pordenone. In assenza di esposizione all’amianto, il rapporto sarebbe di un caso per milione di abitanti. Stando ai dati relativi al biennio 2006-2007, l’incidenza dei casi di mesotelioma per gli uomini è stata stimata da 7 a 15 volte superiore nelle province di Gorizia e Trieste, rispetto a quelle di Udine e di Pordenone. Il territorio continua dunque a pagare in modo drammatico la pesante esposizione da amianto vissuta non solo dai lavoratori di cantieristica e metalmeccanica, ma anche da mogli, madri o sorelle che ne lavavano le tute, come pure da lavoratrici dell’industria tessile. E ancora, secondo gli epidemiologi, negli ultimi 30 anni sono circa 900 i decessi collegabili all’esposizione della ”fibra killer” a Monfalcone, e altri 900 casi a Trieste. Quindi 1800 persone decedute, 60 ogni dodici mesi per ognuno di questi trent’anni. In regione, inoltre, sono 8.400 gli iscritti al Registro degli esposti amianto, di cui 5.032 per motivi professionali. Di questi, i cittadini della provincia di Trieste sono 2.877, mentre dell’Isontino sono 1321.

Il Piccolo, 13 ottobre 2010 

MAXI-PROCESSO AMIANTO

Ascoltati altri quattro testimoni
Stabilito il calendario delle udienze fino alla fine dell’anno

Sono stati ascoltati dalla 10 alle 17 senza sosta i quattro testimoni chiamati a deporre ieri al maxi-processo avviato dal Tribunale di Gorizia per stabilire la responsabilità di 85 morti per amianto. Sul banco degli imputati si trovano 41 persone che a vario titolo negli anni hanno lavorato per il cantiere di Panzano. L’udienza di ieri, e l’intero procedimento, rappresentano un vero e proprio tour de force per il giudice Matteo Trotta. E sarebbe stata ancora più lunga, se uno dei testimoni non fosse stato assente. Ciascuna con le sue peculiarità, le testimonianze sono tutte molto simili tra loro. Anche se le une somigliano alle altre, come ha fatto notare uno dei legali di parte civile, l’avvocato Francesco Donolato, «nel susseguirsi dei racconti, si aggiungono particolari sempre nuovi».
Il volume di informazioni da gestire è mostruoso. Per capire quanto lo sia, è sufficiente prendere in considerazione il numero di testimoni chiamati in aula dal pubblico ministero Luigi Leghissa: quasi 400.
Tra le altre cose, ieri le parti hanno stilato le date delle prossime udienze. La prima sarà quella del 26 alle 9.30. Da qui alla fine dell’anno se ne terranno quattro in novembre e altre quattro in dicembre. È plausibile che solo per ascoltare i testimoni ci vorrà un altro anno e mezzo. «È un processo faticosissimo – assicura l’avvocato Riccardo Cattarini, uno dei difensori -, forse è il più faticoso mai affrontato dal Tribunale di Gorizia e il giudice Trotta sta approfondendo moltissimo dedicando molte energie a questo procedimento. Siamo fiduciosi». (s.b.)