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Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
Dal Piccolo
2014-05-13
MAROCCHINO MORTO AL CIE DI GRADISCA ESPOSTO IN PROCURA
TRIESTE «Abbiamo già presentato un esposto sulle circostanze che, dopo otto mesi di agonia, hanno portato alla tragica morte di Abdelmagim El Kodra, il marocchino di 34 anni precipitato dal tetto del Cie di Gradisca durante la protesta andata in scena lo scorso agosto. Un atto doveroso, perché è inammissibile che non sia fatta piena luce su quell’episodio. E a breve ne proporremo anche un altro, per chiedere risposte sul comportamento tenuto dalle autorità sanitarie nei giorni successivi al decesso dell’immigrato». Genny Fabrizio dell’associazione Tenda per la Pace e i diritti non usa giri di parole e, nella conferenza stampa alle porte del Tribunale di Gorizia convocata ieri mattina, spiega subito come l’intenzione del proprio sodalizio, così come quello degli altri firmatari dell’esposto sulla morte El Kodra,sia quello di accertare la verità dei fatti. Sia di quelli verificatisi in quella tremenda serata della scorsa estate, sia di quelli avvenuti nei giorni scorsi. La Fabrizio infatti sottolinea: «Il decesso di El Kodra è avvenuto lo scorso 30 aprile, e i cugini presenti qui in Italia sono stati avvisati solo sette giorni dopo della scomparsa del proprio parente. Perché?». «Nessuno ci ha avvisato per giorni dopo la morte di Abdelmagim – conferma il cugino di El Kodra, Abdsslam -. Vogliamo capire perché, e cosa sia successo». L’esposto già presentato, comunque, riguarda i fatti dello scorso agosto: tra i firmatari dell’iniziativa anche i parlamentari di Sel Costantino, Frattoianni e Pellegrino, e i candidati europarlamentari Casarini e Furfero (Lista Tsipras) e Alotto (Verdi), oltre a numerose associazioni che da tempo si battono per la chiusura definitiva dei Cie. «L’esposto presentato alla Procura di Gorizia – ha aggiunto la Fabrizio – vede allegate le immagini e le testimonianze relative al lancio di lacrimogeni da parte delle forze dell’ordine all’interno del Cie: fatto di cui la Questura non ha mai parlato. Ma nel sopralluogo fatto assieme all’onorevole Pellegrino la mattina del 9 agosto, abbiamo ritrovato i bossoli di quei lacrimogeni. Il giorno 10 agosto abbiamo sentito nuovamente urla da parte dei migranti, che per sfuggire ai lacrimogeni stessi e poter respirare sono saliti sui tetti: tra loro c’erano anche persone che soffrivano d’asma. Due migranti hanno tentato di scappare, e tra di loro c’era Abdelmagim, che è caduto a terra ferendosi gravemente alla testa». (m.f.) di Corrado Barbacini
qui il comunicato della Tenda per la pace e i diritti
http://www.memoriaeimpegno.org/index.php?option=com_content&view=article&id=221:domunicato-stampa-esposto-procura-cie&catid=32
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
Oggi si sono tenute a Monfalcone le esequie di Abdel Majid El Kodra il ragazzo marocchino morto lo scorso 30 aprile.
Protagonista delle rivolte all’interno del CIE dell’agosto dello scorso anno, non si è mai ripreso dalla caduta dal tetto del lager contro cui lottava e da cui ha cercato di fuggire.
La gestione del suo decesso è indegna di un paese civile. I suoi congiunti sono stati avvisati una settimana dopo la sua morte con una mancanza di attenzione e sensibilità che ferisce.
Oltre ai familiari, presenti circa un centinaio di persone tra migranti (la gran parte della multietnica comunità islamica monfalconese), attivisti antirazzisti e solidali, tra cui alcuni compagni anarchici.
Cordoglio, dolore e rabbia erano i sentimenti che si potevano percepire tra i presenti per la morte di questo ragazzo di neanche 35 anni.
Per quel cortocircuito della ragione che si chiama stato era Majid ad essere imputato e non coloro che lo hanno relegato fino alla morte in un lager per migranti. Lui è tragicamente scampato al procedimento giudiziario, chi ne ha indirettamente causato la morte temiamo ne uscirà con le mani pulite nonostante l’esposto depositato per i fatti accaduti al CIE da parte delle associzioni antirazziste.
Durante il funerale c’è stata una raccolta fondi per contribuire al rientro della salma in Marocco.
“Questo è il risultato! Questo è il risultato!” diceva un ragazzo magrebino piangendo e tenendosi la testa tra le mani.
Questo è il risultato di un sistema criminale di gestione dei migranti ridotti in cattività solo perché privi di un pezzo di carta.
Questo è il risultato di un sistema economico che lo stato lubrifica col sangue.
Quello che è successo a Gradisca non deve succedere più, né qui né altrove.
Oggi eravamo in tanti a salutare Majid.
Ce lo ricordiamo sul tetto del CIE con le braccia alzate reclamando libertà per sé e i suoi compagni di detenzione.
La sua lotta è la nostra lotta!
NO CIE! Né a Gradisca né altrove!
Un antirazzista bisiaco
Per chiunque volesse dare il proprio contributo per sostenere la famiglia di Majid è a disposizione il c/c della Tenda, vi preghiamo di segnalare la causale indicata così che si sappia che i soldi che arrivano sono per Majid.
Di seguito le coordinate bancarie:
dati per il versamento:
conto intestato a Tenda per la Pace e i Diritti
Banca: BCC Staranzano-Villesse, filiale di Staranzano
IBAN: IT 16 Q088 7764 6600 0000 0321 926
causale: spese famiglia Majid
da Il Friuli Venezia Giulia del 10 maggio 2014
Gorizia – Abdel Majid, il giovane migrante di origini marocchine che era caduto dal tetto del Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca d’Isonzo (Gorizia) durante una rivolta dello scorso 8 agosto, e che era in coma da quel giorno, è morto il 30 aprile all’ospedale di Monfalcone.
Lo comunica il 9 maggio l’associazione Tenda per la Pace e per i diritti, che denuncia come i familiari del giovane, 35 anni, siano stati avvisati del decesso solo una settimana più tardi. La stessa associazione presenta lunedì 12 maggio un esposto alle Procure di Gorizia e Roma.
“Totale assenza dei requisiti strutturali per il trattenimento di persone e la richiesta di accertamento per un possibile uso improprio della forza da parte della polizia — vedi l’utilizzo di gas lacrimogeni CS in ambienti scarsamente areati”: questa la denuncia dell’associazione.
Nella mattinata di lunedì 12 maggio, l’associazione Tenda dei Diritti e Melting Pot Europa, assieme alla campagna nazionale LasciateCIEntrare, depositeranno rispettivamente alla Procura della Repubblica di Gorizia e di Roma un esposto relativo alla rivolta e agli avvenimenti accaduti nell’agosto 2013 nel Centro di identificazione ed espulsione (CIE) di Gradisca d’Isonzo.
Oltre ad associazioni e cittadini, l’esposto sarà depositato anche a firma di alcuni parlamentari della Repubblica Italiana.
Tutto ha inizio l’ 8 agosto 2013, in una notte afosa: scontri, pestaggi, lanci di lacrimogeni in una struttura senza aria durano diversi giorni. In circostanze ancora da chiarire, uno dei migranti cade dal tetto e finisce in coma. Majid muore il 30 aprile 2014 all’ospedale di Monfalcone, ma la famiglia è stata avvisata solo una settimana più tardi.
da Il Manifesto del 12 maggio 2014
Per Majid, morto per il CIE di Gradisca
Se ne facciano una ragione i politicanti di verde vestiti, che continuano al di là di ogni logica a propagandarli come hotel a 5 stelle. Se ne renda conto quella massa acritica che al muro di Gradisca e agli altri muri d’Italia si è rapidamente abituata, rigettando qualsiasi impulso a domandarsi cosa essi nascondono. Di CIE si muore, e il 30 aprile 2014 un ragazzo è morto.
Non si è mossa foglia attorno a lui per mesi. Una parvenza di movimento suscitò la notizia della sua caduta dal tetto del mostro di Gradisca, ad agosto. Quell’agosto in cui una pioggia di lacrimogeni cadde sui migranti “colpevoli” di voler festeggiare la fine del Ramadan all’aperto. Notti di agosto in cui i detenuti salirono sul tetto del CIE per vedere il cielo, sfuggire all’aria impestata dai CS e gridare ad una cittadina indifferente che non ne potevano più di quell’isolamento. Per un attimo sembrava che le vite dei reclusi senza nome del CIE potessero avere un valore mediatico, perché una notte di agosto Majid è caduto dal tetto, ed ha battuto la testa. Per un attimo solo i riflettori si sono accesi sul CIE di Gradisca mostrandolo per quello che è, un luogo di negazione, non solo di diritti ma della vita stessa. Poi però il sipario è velocemente calato. Calato su quei successivi giorni di caldo e ansia, in cui i compagni di sventura di Majid hanno cercato in ogni modo di rintracciare la sua famiglia in Marocco, perché sembrava che le autorità avessero altro a cui pensare, o forse non era così importante dire ad una madre che suo figlio giaceva in coma in un paese straniero.
Calato sull’ospedale di Cattinara, a Trieste, dove i finalmente rintracciati cugini di Majid, residenti in Italia, hanno cercato di fare visita al loro congiunto e si sono trovati di fronte un muro fatto di burocrazia e negligenza. Perché, disse loro una solerte dottoressa, “dall’ispettore del CIE” arrivava l’ordine di non fare entrare nessuno in quella stanza. Perché i cugini andavano identificati, non fosse mai che due finti cugini cercassero di vedere un ragazzo in coma per chissà quali loschi fini.
Nessuno si curò di renderlo noto, come se fosse normale che la longa manus del CIE arrivasse addirittura fin dentro ad un ospedale, come se Majid fosse un sorvegliato speciale, come se ci fosse un interesse superiore da tutelare nel tenerlo isolato. Nessuno si curò neanche di facilitare la venuta del fratello di Majid dal Marocco. Perché si sa, quella frontiera che l’Europa difende a costo di migliaia di vite è invalicabile, se non si possiede un visto. E quel visto, ai familiari di Majid in Marocco, nessuno ha pensato di concederlo. I mesi sono passati, e il silenzio è stato il fedele compagno della lotta di Majid in un letto d’ospedale. Luci spente, perché gli ultimi non saranno mai i primi, non in questa vita.
Sei giorni prima della sua morte, abbiamo chiesto al nuovo Prefetto di Gorizia se un’indagine fosse mai stata aperta su quanto accadde la sera della caduta dal tetto. “Non mi risulta”, detto con la stessa partecipazione emotiva che si potrebbe avere dicendo che no, stasera in centro non c’era traffico. Chissà se al Prefetto risulta che questo ragazzo è morto, e se si rende conto che il CIE, diretta emanazione di uno stato segregazionista, lo ha ucciso. Chissà se ora il Prefetto sa spiegare perché la famiglia di Majid è stata avvisata della sua morte con una settimana di ritardo. Chissà se sa spiegare perché è stata disposta un’autopsia senza interpellare la famiglia. Abbiamo visto Majid qualche giorno prima che morisse, i suoi occhi guardavano un punto intangibile di uno spazio a noi sconosciuto. Quel ragazzo descritto dai cugini come una forza della natura stava ancora lottando, e sicuramente non ha smesso di farlo fino all’ultimo. Noi sommessamente abbiamo lottato per lui in questi mesi, ma non è servito a tenerlo in vita. Ora lottare significa fare in modo che di Majid ci si ricordi.
Tenda per la Pace e i Diritti, Staranzano (GO)
da Il Fatto quotidiano del 14 maggio 2014
Cie Gorizia, denuncia delle associazioni. “Lacrimogeni al chiuso contro migranti”
Esposto sui fatti avvenuti nel centro di Gradisca nell’agosto 2013. Denunciato l’uso di gas urticanti per sedare una protesta in cui morì un cittadino marocchino – dopo 9 mesi di coma – e il generale abuso di psicofarmaci
Si sentono le urla dei migranti e i colpi di tosse. Si vedono i bossoli dei lacrimogeni Cs, gas altamente urticanti, vietati in operazioni militari ma non per ristabilire l’ordine pubblico. I loro effetti al chiuso sono raddoppiati. La polizia li ha sparati all’interno del Centro d’identificazione ed espulsione di Gradisca d’Isonzo, Gorizia, per sedare una rivolta. È l’agosto del 2013. La sommossa dei migranti ha devastato la struttura tanto che, a novembre, il Cie è stato chiuso (e lo è tuttora, anche se sono terminati, a quanto risulta alle associazioni, i lavori di restauro). Scampoli di quella ribellione sono stati registrati dal telefonino di un trattenuto. Immagini rubate: secondo un’ordinanza in vigore dal 2011 (poi revocata il 16 agosto, proprio a seguito delle rivolte) a Gradisca, e solo qui, nessuno può avere un telefonino. Da questi documenti le associazioni la Tenda per la pace e i diritti, insieme a Melting Pot Europa e ai promotori della campagna LasciateCientrare sono partiti per scrivere un esposto, depositato il 12 maggio alla procura di Gorizia e a quella di Roma e il 13 maggio anche a Napoli, Genova e Palermo. “Chiediamo che la magistratura apra un’inchiesta per accertare quanto è accaduto”, dichiara Gabriella Guido, portavoce di LasciateCientrare.
Durante quegli scontri, Majid El Kobra, marocchino, fece un volo dal tetto del Cie, occupato dai migranti in segno di protesta dopo l’inizio degli scontri, l’8 agosto 2013. Ancora non è chiara la dinamica dell’incidente, fatto sta che El Kodra è stato in coma dal giorno della caduta fino alla sua morte, il 30 aprile 2014. L’ultimo, finora, dei migranti morti in un Cie. “Majid è morto per legittima difesa o per abuso di potere?”, si chiede la portavoce di LasciateCientrare. Una sentenza del Tribunale di Crotone del dicembre ha infatti assolto tre migranti dall’accusa di danneggiamento del Cie in quanto il loro comportamento era da definirsi “di legittima difesa”. Il timore delle associazioni è che Gradisca possa riaprire e che tutto questo possa ricominciare.
La dinamica degli scontri è stata ricostruita attraverso le immagini raccolte dalle associazioni e le testimonianze di Serena Pellegrino (Deputato alla Camera, Sel), Matteo Negrari (Assessore del Comune di Staranzano) e di due attivisti dell’associazione la Tenda per la pace e i diritti. “La notte dell’8 agosto alcuni trattenuti mostravano vistose fasciature sulle mani, denunciando di aver subito violenze da parte delle forze dell’ordine – si legge nell’esposto – altri raccontavano di esser stati costretti a infrangere uno dei plexiglass di contenimento della ‘vasca’ (il cortile interno del Cie, ndr) per consentire a uno dei trattenuti, affetto da asma, di riprendere conoscenza dopo esser svenuto a causa dell’aria divenuta irrespirabile a causa dei gas”.
Tutto è partito la notte dell’8 agosto. I migranti volevano festeggiare il Bairam, la festa della rottura del digiuno durante il Ramadan. La polizia aveva loro accordato di restare in cortile, salvo poi intimare ai trattenuti di entrare nelle celle. È la miccia che innesca gli scontri: la polizia comincia a lanciare i lacrimogeni, i migranti salgono sul tetto per cercare di comunicare con l’esterno. “Puntualmente interpellati – continua l’esposto – i rappresentanti della Questura e della Prefettura di Gorizia non negavano i fatti avvenuti ma ne minimizzavano la gravità, qualificando quanto occorso come una “banale colluttazione”; nessuna parola veniva spesa sul lancio di lacrimogeni Cs, nonostante l’On. Pellegrino avesse con sé i bossoli che ne testimoniavano incontrovertibilmente l’utilizzo”.
Le associazioni hanno anche denunciato l’abuso di psicofarmaci somministrati ai trattenuti all’interno del Cie e Gianni Cavallini, dirigente del Dipartimento di Prevenzione dell’Azienda sanitaria Isontina, in una relazione del 14 agosto 2013 scrive che il Cie “non possiede al momento i requisiti strutturali e funzionali per accogliere ospiti; considerato, peraltro, il rischio di malattie infettive e/o contagiose, si ritiene che proprio il mancato efficiente ricambio d’aria rappresenti un importante fattore di rischio di contaminazione e propagazione di tali patologie”.
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
Anche con “solo” il CARA aperto la Connecting People continua a non navigare in buone acque, non si capisce come possano anche solo pensare di riaprire il CIE…
Dal Piccolo
2014-05-25
LAVORATORI DEL CARA DA 4 MESI SENZA STIPENDIO
GRADISCA Stipendi arretrati per i lavoratori di Cie e Cara, il silenzio della Prefettura. Nuova tragica puntata della telenovela che vede protagonisti i dipendenti del centro immigrati di Gradisca. I dipendenti della Connecting People hanno maturato nuovamente quattro mensilità non pagate per il loro lavoro e vivono nell’incertezza e nella disperazione. Martedì incontreranno al Monte di Pietà di Gradisca i sindacati Fp Cgil, Fisascat Cisl e Uil Fpl per concordare in assemblea nuove azioni con cui denunciare la propria situazione. Due mesi fa il consorzio Connecting People aveva firmato un concordato in bianco in Tribunale per risolvere la crisi economica in cui si era venuta a trovare, con numerose ditte creditrici che avevano oramai avanzato richieste di pignoramento. Da giugno a dicembre 2013 (più la tredicesima mensilità)i salari dei dipendenti del consorzio erano stati pagati all’80% direttamente dalla Prefettura, ma a tutt’oggi il rimanente 20% non è stato ancora versato. Il 20% di sette mensilità corrisponde in pratica a uno stipendio e mezzo. Nel frattempo l’ultimo stipendio erogato per molti dipendenti è stato a gennaio. Non basta. Itc, cooperativa collegata che forniva ai due centri gli interpreti e mediatori linguistici previsti dall’appalto col Ministero, per crisi aziendale dovuta ai mancati pagamenti da parte di Connecting People (che a sua volta non riceve i soldi dalla Prefettura), a fine marzo ha licenziato i 9 operatori suoi dipendenti che lavoravano nelle strutture di Gorizia. Le organizzazioni sindacali sono riuscite a far riassumere tutti gli operatori dalla cooperativa Luoghi Comuni, scongiurando l’interruzione del servizio e non facendo perdere neanche un giorno di lavoro ai dipendenti. Denunciano i sindacati: «In tutta questa fase la Prefettura, benché avvisata tempestivamente della situazione, è sempre stata assente e non è mai intervenuta Né a sostegno dei lavoratori licenziati né delle organizazioni sindacali. che da sole hanno portato avanti i contatti con Luoghi Comuni per le riuscita di questo riassorbimento di personale». «Ripetutamente – spiegano Michele Lampe della Uil, Monica Zanolla della Cgil ed Elisa Miani della Cisl – abbiamo chiesto incontri alla Prefettura per poter dare risposte ai lavoratori che rappresentano, stremati da mesi e mesi senza stipendio, incerti su quello che sarà il destino del Cie (riaperto oppure no? ndr) con una parte politica che ne chiede la chiusura definitiva, senza considerare le conseguenze sociali che avrebbe tale decisione sulle famiglie dei lavoratori. Ribadiamo quindi la richiesta di un incontro urgente per lavorare insieme ai rappresentanti del Governo per trovare insieme la soluzione migliore per questa intricata vicenda». Luigi Murciano
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
Non si capisce nè i lavori interni a che punto siano veramente e soprattutto in cosa possa essere riconvertita la struttura…
Messaggero veneto
2014-05-30, 26 Gorizia
Tomasinsig: «Ribadiremo ad Alfano il no a Cie e Cara»
GRADISCA «Il ministro Alfano dice che è pronto ad ascoltare le istanze del territorio in merito al Cie? Bene, siamo pronti a ribadirle in tutte le sedi»: il mandato di Linda Tomasinsig, primo sindaco donna nella storia di Gradisca, è cominciato, a tutti gli effetti, con il botto. Le dichiarazioni venute dal titolare del Viminale nel corso di una riunione del comitato Schengen («Il Cie di Gradisca d’Isonzo non riaprirà se dal territorio verrà confermata la contrarietà a tale struttura» aveva detto Alfano rispondendo ad un’interrogazione del parlamentare isontino Giorgio Brandolin) vanno intese come l’assist a lungo sperato dall’amministrazione comunale della Fortezza. Un assist confermato anche dal prefetto di Gorizia, Zappalorto, che ha ulteriormente rafforzato le parole del ministro dell’Interno. E Tomasinsig, che a giorni nominerà il proprio esecutivo, è certa di farsi trovare pronta. «Su Cie e Cara le due amministrazioni, di cui ho fatto parte come consigliere ed assessore, e quella che mi accingo a guidare hanno sempre avuto le idee molto chiare – premette Tomasinsig –. Le parole del ministro Alfano costituiscono un’occasione molto importante, direi decisiva, per ribadire la nostra posizione. Siamo sempre stati contrari al Cie, perchè a nostro avviso non rappresentava una soluzione e per l’impatto sulla cittadina. Oggi siamo non solo contrari ad una sua riapertura, ma anche ad un ampliamento della capienza del Cara, il centro per richiedenti asilo». Qui, però, il discorso si fa più complesso. È chiaro che, se anche il Cie non riaprisse una volta terminati i lavori di ristrutturazione, non è che si dissolverà nel nulla. E quegli spazi, stando a rumors insistenti, potrebbero essere destinati ad un ampliamento del Cara. «Non abbiamo nulla da eccepire su una razionalizzazione degli spazi dell’altro centro – scandisce Tomasinsig, dimostrando di avere le idee molto chiare anche su questa sfumatura – ma solo se basata sulle presenze attuali. Il Cara, specie dopo il recente ampliamento a centro di prima accoglienza, è spesso ai limiti della capienza. Per questo diciamo che gli spazi attualmente inutilizzati del Cie possono anche servire a migliorare le attuali condizioni di accoglienza del Cara. Ma non ad ospitare più richiedenti asilo di quanti gia’ non siano accolti. Gradisca non avrebbe le forze per fare fronte a un impatto del genere. Resta poi da capire come il Cie, con le sue sbarre, possa essere adattato a centro di accoglienza. Anche su questo chiederemo risposte». Linda Tomasinsig spiega come l’obbiettivo a lungo termine («condiviso da Regione, Provincia e Comune») sia un giorno l’accoglienza diffusa dei profughi oggi trattenuti al Cara su tutto il territorio regionale, con piccole unità facilmente gestibili rispetto ai grandi numeri oggi presenti a Gradisca. Tomasinsig è consapevole di come potrebbe finalmente aprirsi un capitolo nuovo, 14 anni dopo l’inizio della tormentata vicenda del centro immigrati. «Ci batteremo in ogni modo – dice – così come hanno fatto le amministrazioni precedenti. Non è corretto affermare che la politica isontina non ha voluto opporsi al Cie. Ci si è battuti in molti modi, e il mio predecessore Franco Tommasini ha pagato anche personalmente la propria contrarietà». (l.m.)
Da Il Piccolo del 29 maggio 2014
GRADISCA «Non riapriremo il Cie di Gradisca se dal territorio continueranno a giungere segnali di netta contrarietà a tale apertura». È il senso della risposta che il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha dato ieri alla Camera, nella riunione del comitato Schengen, a un’interrogazione dell’onorevole Giorgio Brandolin che fa parte del comitato Schengen. Il prefetto di Gorizia, Vittorio Zappalorto, è sceso nel dettaglio della vicenda: «Il ministro Alfano ha sostanzialmente assicurato di voler seguire le istanze del territorio. I politici locali, dalla presidente della Regione Serracchiani a molti amministratori isontini, hanno assunto un orientamento ben preciso sull’argomento». Sui tempi e le modalità della chiusura del Cie è prematuro parlarne. Ancora il prefetto: «Proprio oggi (ieri ndr) il ministero dell’Interno ha sbloccato la procedura che riguarda il primo stralcio dei lavori di ristrutturazione dell’edificio. Ciò ci consentirà di effettuare tutti quei lavori necessari per il collaudo della struttura e per riportarla alla sua funzionalità originaria. A questo punto è tutto da verificare l’avvio del secondo stralcio». L’intervento in atto, che dovrebbe essere concluso a settembre, prevede un impegno di spesa di 800 mila euro; sicché si può ipotizzare che l’edificio, se non ospiterà il Cie, non resterà certamente inutilizzato. «Certo che no – ribadisce il prefetto – . Posso immaginare uno sviluppo del Cara». Alla domanda se il Cie potrebbe essere trasformato in carcere, Zappalorto afferma che «si tratta di ipotesi che non stanno né in cielo né in terra». Resta da capire ora come far giungere al ministro Alfano la contrarietà del territorio alla riapertura del Cie. Un tavolo tecnico? Un incontro con Serracchiani e i sindaci? Zappalorto: «Dico semplicemente che se il ministro chiederà lumi al prefetto non ci saranno dubbi sulla risposta». Ora aspetta al neosindaco di Gradisca, Linda Tomasinsig tenere alta l’attenzione sul Cie e attivarsi per cementare ulteriormente il fronte anti-Cie. Un problema che insiste in particolare su Gradisca ma investe tutto l’Isontino. Speriamo si possa sanare una delle pagine più brutte della politica isontina risalente all’epoca in cui la filiera amministrativa locale (Comune di Gradisca, Provincia e Regione) non riuscì (volle?) validamente opporsi alla scelta del governo, adducendo difficoltà operative insormontabili in virtù della secretazione degli atti burocratici e tecnici del Cie. Chissà perché quando vuole la burocrazia statale riesce a sveltire gli iter. Cie ha significato la difficoltà degli operatori che vi hanno lavorato (senza contare i contenziosi scaturiti dalle gare d’appalto e l’attuale vertenza stipendi), ha significato drenare forze di polizia al controllo del territorio, ha significato innumerevoli problemi all’ordine pubblico, ha significato un ulteriore appesantimento delle strutture sanitarie locali, ha significato soprattutto una valanga di soldi pubblici necessari alla costruzione e alla riparazione dei continui danni provocati dalle rivolte. In ultimo ma non per ultimo ha significato rinchiudere in un sostanziale carcere centinaia di immigrati.
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
Dal Piccolo
2014-06-13, 16 Regione
PARTE IL PROCESSO SULLE FATTURE GONFIATE AL CIE
di Franco Femia wGORIZIA Saranno oltre 100 i testimoni citati nel processo per le fatture gonfiate al Cie-Cara di Gradisca d’Isonzo. Le liste sono stata presentate ieri mattina dal pm Michele Martorelli e dai difensori dei 13 imputati nella prima udienza del processo che si è aperto al tribunale di Gorizia. La stragrande maggioranza dei testi è stata indicata dalla difesa e questo significa che il processo sarà piuttosto lungo e ci vorranno diverse udienze per arrivare alla sentenza. L’udienza di ieri è stata breve dedicata solo alle incombenze preliminari. Il collegio dei giudici (presidente Clocchiati, a latere Russo e Rozze)ha accolto la liste testimoniale mentre si è riservata su alcune prove documentali presentate dai difensori. E in particolare sulla richiesta di una perizia contabile sulle fatture di pagamento presentate dalla Connecting people, il consorzio siciliano che gestisce i due centri per immigrati di Gradisca. I difensori sostengono – lo hanno fatto con insistenza anche nell’udienza preliminare – che la perizia accerterebbe che i dati forniti dall’ente gestore sulle presenze degli ospiti al Cie e al Cara sono corretti. Ma i giudici si sono riservati di decidere su questa richiesta. Hanno invece fissato per il prossimo 19 giugno un’udienza per conferire a un perito l’incarico di trascrivere le intercettazioni telefoniche che fanno parte della prove documentali presentati al pm. I primi testi saranno sentiti nelle udienze che saranno fissate per il prossimo autunno dopo la pausa feriale. In questo processo il viceprefetto vicario di Gorizia Gloria Sandra Allegretto e il ragioniere capo della Prefettura Telesio Colafati sono imputati di falso materiale e ideologico in atti pubblici. Undici persone tra i vertici della Connecting people devono invece rispondere di associazione a delinquere finalizzata alla truffa ai danni dello Stato a inadempienze di pubbliche forniture. Gli imputati sono Giuseppe Scozzari presidente del Consiglio di amministrazione e legale rappresentante della Connecting people, Ettore Orazio Micalizzi vice presidente del Cda, Vittorio Isoldi direttore della Connecting people all’epoca dei fatti, Giovanni Scardina direttore del Cie, Gloria Savoia direttrice del Cara (centro che ospita i richiedenti asilo politico), Mauro Maurino componente del Cda e Giuseppe Vito Accardo sindaco supplente. A processo anche quattro dipendenti del Consorzio con le stesse imputazioni del vertici della Connecting people. La Procura contesta ai vertici della Connecting people di aver ottenuto nel periodo tra marzo del 2008 e dicembre del 2011 somme ben più alte di quelle dovute sulla gestione degli immigrati. Secondo l’indagine condotta dagli uomini della Digos e della Guardia di finanza, nelle fatture presentate alla Prefettura sarebbe stato indicato un numero maggiore di ospiti di quelli effettivamente presenti nelle due strutture gradiscane. Secondo l’accusa la truffa ammonterebbe a quasi un milione e mezzo di euro.
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
Dal Piccolo
2014-07-02
TOMASINSIG: PORTERÒ A ROMA IL NO AL CIE DI TUTTO L’ISONTINO
di Luigi Murciano GRADISCA Missione romana sul tema-Cie per il sindaco Linda Tomasinsig. La neo prima cittadina sarà protagonista di un’audizione in seno al Comitato parlamentare Schengen, Europol e immigrazione di cui peraltro il vicepresidente è il deputato isontino Giorgio Brandolin. Una visita calendarizzata da tempo, ma che diventa un’occasione irripetibile per ribadire la contrarietà del territorio alla riapertura del Cie chiuso da novembre, e nuovamente in odore di riapertura dopo la notizia – peraltro nell’aria da tempo – che all’ex Polonio non si sono mai fermati i lavori di ristruttrazione e ripristino della sicurezza. A Roma Tomasinsig porterà la contrarietà non solo di Gradisca, ma di tutto il territorio isontino. «La nostra posizione è arcinota da tempo – argomenta il sindaco -: siamo profondamente contrari a una riapertura del Cie e pure a un ampliamento del Cara, tanto più se questo significasse un aumento della capienza attuale che è ai limiti. Su questo siamo sostenuti a tutti i livelli – dice Tomasinsig -: Regione e Provincia condividono pienamente la posizione del Comune». Il sindaco della Fortezza è determinatissimo. Pare quasi richiamare alle sue responsabilità il ministro dell’Interno Angelino Alfano, «impegnatosi pubblicamente a tenere conto dell’opinione degli enti locali. Ebbene, gli amministratori dell’Isontino sono contrari alla riapertura del Cie, e farò in modo di rappresentare questa posizione condivisa al Comitato Schengen. Sapevamo che i lavori non si erano fermati, ma quella struttura non deve riaprire. Tantomeno come Cie». La stessa Tomasinsig e altri amministratori locali e associazioni del territorio avrebbero dovuto recarsi in visita all’ex Polonio per constatare l’avanzamento dei lavori. «Per un disguido il sopralluogo è saltato ma presto entreremo» assicura. E sul vicino Cara le idee sono altrettanto chiare: «Spiegheremo la nostra idea. Per i richiedenti asilo ci vuole un’accoglienza diffusa sul territorio, sulla base di piccole unità in diversi comuni. Solo così si può favorire l’integrazione e dare a queste persone risposte che non trovano all’interno del Cara e che un piccolo comune come il nostro, da solo, non può dare a 200 persone alla volta». Sul caso-Cie si è espresso anche un big del Pd come Pippo Civati: «Nonostante le grandi promesse fatte dal governo, pare che il Cie di Gradisca riaprirà: è una vergogna e dobbiamo mobilitarci perché venga fatto di tutto per impedire questa follia – ha affermato Civati -. Alfano disse a suo tempo che non si sarebbe riaperto il Cie contro la volontà delle istituzioni locali. Bisogna quindi ricordare a lui e al governo che le nostre istituzioni si sono già ampiamente espresse contro la riapertura di questo monumento alla violazione dei diritti e della dignità umana». «È intollerabile il fatto che il Cie di Gradisca, chiuso per le condizioni inumane e degradanti nelle quali versava, possa riaprire nei primi mesi del 2015 – afferma dal canto suo Michele Migliori, segretario dell’Associazione Radicale di Gorizia – I due governi che si sono succeduti nell’ultimo anno, al posto di trovare un rimedio alternativo all’internamento di immigrati giunti nel nostro paese per un futuro migliore, hanno deciso di ristrutturarlo, apportando delle non ben specificate “migliorie”. Cosa intende il ministero dell’Interno per ristrutturazione? Pare che le uniche modifiche effettivamente compiute siano le sbarre che coprono anche l’unica zona all’aperto».
da Il Piccolo del 29 giugno 2014
Dentro il Cie: la gabbia riapre
Visita esclusiva nella struttura per immigrati di Gradisca teatro di decine di rivolte violente
Il ministro Alfano aveva annunciato di volerla smantellare. Invece verrà riattivata nel 2015
Un immigrato davanti al muro con reticolato del Cie di Gradisca
La visita in esclusiva de Il Piccolo. Lavori in corso. La struttura riaprirà nei primi mesi del 2015. Di recente Alfano aveva ipotizzato la sua trasformazione in Cara
Dentro il Cie di Gradisca il mostro che non chiude
un cielo di acciaio Nei tre settori (blu, verde e rosso) rafforzate le dotazioni anti-rivolta. Sbarre, reti e barriere in plexigas circondano ogni spazio
Roberto Covaz GRADISCA Un fiume di acciaio trattenuto da argini di mura. Un orizzonte verticale che si intuisce tra una sbarra e l’altra. Un cielo avvolto dalla ragnatela di una spessa rete metallica. E sotto un mondo con tre continenti ciascuno di un colore diverso: verde, rosso, blu. La bandiera della disperazione. Questo è il mondo chiamato Cie, centro identificazione ed espulsione. Questo è il mondo che sta dall’altra parte della cinta muraria dell’ex caserma Polonio di Gradisca d’Isonzo. Questo è un brutto mondo. Qualcosa comunque sta cambiando a Gradisca e nell’Isontino. Si percepisce un inedito atteggiamento di apertura o meglio di “non paura” delle istituzioni a mostrare la realtà delle strutture governative di accoglienza, favorito anche dal fatto che non ci sono stranieri ospitati in questo momento. Era, forse tornerà ad essere popolato da persone non identificate, immigrati extracomunitari senza un nome né un cognome, che sul territorio italiano si sono macchiati di crimini anche gravissimi e che hanno scontato la pena in carcere. Da fantasmi. Dopo il carcere per loro si spalancano i portoni blindati dei Cie. Strutture che assomigliano molto a un carcere. Recentemente, in commissione Schengen della Camera, il ministro dell’Interno Alfano aveva lasciato intendere che il Cie di Gradisca non riaprirà, se tale è la volontà delle istituzioni locali. Ma a leggerla più attentamente quella dichiarazione non sembra così netta. Anzi, il Cie riaprirà. Al Cie di Gradisca gli ospiti sono suddivisi in gruppi da otto. Ciascuno di questi gruppi è sistemato in spazi prestabiliti. A loro disposizione ci sono una quarantina di metri quadrati di cortile; uno stanzone con otto letti; una sala con otto tavoli e 42 seggiole e due gabinetti con la porta scorrevole priva di serratura. Una volta conclusi i lavori di ristrutturazione, forse a settembre di quest’anno, il Cie di Gradisca sarà in grado di contenere 238 persone senza nome né cognome. Lo Stato italiano di loro conserva una fotosegnalazione, lo pseudonome, le impronte digitali. Il Cie da alcuni mesi e per molti altri ancora è un cantiere. Si stanno effettuando lavori per 800 mila euro dopo le rivolte dell’estate-autunno del 2012. Nel settore rosso un gruppo di extracomunitari incendiò i materassi composti da materiale ignifugo ma che per effetto della liquefazione sprigionarono un fumo acre, denso, nero. Una nube tossica. Poi si arrampicarono sui tetti a gridare la loro disperazione. Prima, però, alcuni devastarono la moschea interna alla struttura. Un’azione di inaudita violenza per i musulmani, segno di quanto fosse incontenibile la loro rabbia. Sappiamo bene inoltre dei danni provocati nell’infermeria, resa inagibile, degli episodi di grave autolesionismo (perfino l’inghiottimento di pile) con lo scopo di farsi ricoverare all’ospedale e da qui scappare. Con il prefetto Vittorio Zappalorto siamo entrati al Cie. È la prima volta che un giornalista è ammesso nella struttura senza che sia obbligato ad accodarsi a qualche visita istituzionale. «Sono i momenti peggiori – spiega Antonina Cardella, responsabile del Cara per la Connecting People, la società che ha gestito e forse gestirà di nuovo il Cie – . Quando gli ospiti hanno la possibilità di parlare con qualche politico l’effetto rabbia è immediato. E le rivolte sono la conseguenza». Il prefetto ipotizza che il Cie, una volta rinnovato, possa tornare alle sue originarie funzioni dai primi mesi del ’15. «Siamo in una fase di valutazione su come proseguire i lavori – spiega Zappalorto – . La mia esperienza nel settore mi suggerisce di considerare in un’ottantina il limite massimo di immigrati da ospitare. Andare oltre a questo numero in caso di rivolta comporterebbe conseguenze pesanti sotto il profilo dell’ordine pubblico. Certo, spetta al ministro decidere». Il settore che più angoscia del “nuovo” Cie è quello degli impianti sportivi. Due campetti di cemento dove si può giocare anche al calcio. Anche qui il perimetro è delimitato da travi di acciaio. Sono alte una quindicina di metri e sorreggono una rete metallica per evitare possibili fughe dall’alto. Sembra impossibile che un essere umano possa arrampicarsi sulle sbarre e saltare oltre da quell’altezza. Invece succede. «Per tutto il giorno non fanno altro che pensare a come uscire – spiega il prefetto – Si tratta di persone aitanti e allenate, con fisici straripanti. Riscono in imprese apparentemente impossibili». La luce nelle gabbie filtra anche attraverso lastre di plexigas antisfondamento, ma pure queste sono devastate nelle rivolte. Nell’ala delle mense si stanno sistemando gli impianti elettrici e idraulici: sembra di essere in certi musei di arte contemporanea ad osservare installazioni dall’oscuro significato. Qualsiasi impianto, porta, finestra, reter, sbarra, lavandino, letto e cesso sono destinati a saltare come tappi in caso di ribellione. Certo, la decisione sul numero massimo di ospiti non spetta a me». «Diciotto mesi di permanenza in un Cie sono tanti – ammette il prefetto – . In generale, se non si riesce a identificarli nei primi tre o quattro mesi, è probabile che non si riuscirà a farlo nemmeno dopo. Non c’è adeguata collaborazione con le ambasciate e i consolati esteri. E l’identificazione e la successiva espulsione con accompagnamento alla frontiera comportano costi altissimi per la collettività. Per non parlare dei rimpatri». Per ora il Cie dorme sotto il solleone estivo. Ma tra qualche mese potrebbe ribollire di rabbia incontenibile. È il tempo, ora, adesso, che la politica isontina e regionale faccia davvero la sua parte.
la storia
Nel 2000 la decisione del governo D’Alema di istituire il centro
GRADISCA La vicenda del doppio centro immigrati di Gradisca d’Isonzo inizia nel 2000: nel pieno dell’emergenza-clandestini sul confine goriziano, quando l’allora ministro Bianco (governi D’Alema e Amato) indica nell’ex caserma Polonio un sito ideale. Il Consiglio comunale di allora dice sì a un centro di prima accoglienza, ma si dichiara contrario a una struttura di detenzione. Con i governi Berlusconi (ministri Scajola e Pisanu) si scopre che Gradisca ospiterà invece proprio un Cpt, centro di permanenza temporanea e di detenzione amministrativa, costato 17 milioni. Dopo anni di battaglie legali e manifestazioni, la struttura apre i battenti nel 2006. Conta su 248 posti destinati alla detenzione amministrativa propedeutica al rimpatrio per reato di clandestinità. Un luogo di contraddizioni: ci sono le sbarre ma i poliziotti restano fuori; gli immigrati non sono detenuti ma “ospiti”, e quindi la fuga non è evasione, ma “allontanamento volontario”. Vi convivono (con la Bossi-Fini fino a 18 mesi) dal clandestino, allo straniero con gravi precedenti costretto a un supplemento di pena, all’immigrato che ha lavorato in Italia per un decennio salvo ritrovarsi coi documenti in disordine. Nel 2007 la rimozione delle sbarre “per maggiore umanizzazione”. Nel 2008 apre invece la seconda struttura, il Cara, altri 150 posti destinati ai richiedenti asilo. Nel 2009 per la vigilanza esterna vengono impiegati anche i militari. Gli interni vengono resi inagibili dalla furia dei reclusi. In 6 anni la struttura non è mai stata a regime. Nel 2009 un pacco bomba esplode nell’ufficio dell’allora direttore Dal Ciello. Nel 2010 tre rivolte in pochi giorni, feriti sia agenti che immigrati, almeno 70 evasioni riuscite. Nel 2012 l’appalto per la nuova gestione viene congelato dai tribunali che dopo una lunga battaglia danno ragione all’attuale coop Connecting People, giunta seconda nella gara. Parallelamente lo stesso cda del consorzio siciliano, alcuni dipendenti, e due funzionari della Prefettura finiscono sotto indagine per presunte fatturazioni false e presenze degli ospiti secondo l’accusa “gonfiate” rispetto al reale numero di immigrati presenti. Emerge anche il dramma dei dipendenti e sanitari che lavorano nella struttura: lamentano costantemente mesi di ritardo nell’erogazione degli stipendi. Nel novembre del 2013, dopo una nuova ondata di rivolte e devastazioni, la struttura del Cie viene dichiarata inagibile e chiude i battenti per consentirne i lavori di ristrutturazione. Pressochè contemporaneamente viene aumentata a 200 persone la capienza del Cara, con una sezione di accoglienza per gli immigrati sbarcati sulle coste siciliane. Il mondo politico si interroga sulla nuova destinazione del Cie: le opzioni sono lasciarlo chiuso, riaprirlo, utilizzare questi spazi per migliorare la vivibilità del Cara, o addirittura farne il Cara più grande del Nord Italia. Luigi Murciano
LA SCHEDA
Un’attesa anche di 18 mesi prima della complessa espulsione
Il Centro di identificazione ed espulsione di Gradisca è uno dei più grandi d’Italia. In precedenza chiamati Centri di permanenza temporanea ed assistenza (Cpta), i Cie sono strutture destinate al trattenimento – convalidato dal giudice di pace – degli stranieri extracomunitari irregolari destinatari di un decreto d’espulsione. Previsti dall’articolo 14 del Testo unico sull’immigrazione, i centri nascono per “evitare la dispersione degli immigrati irregolari sul territorio e consentire la materiale esecuzione, da parte delle forze dell’ordine, dei provvedimenti di espulsione emessi nei confronti degli irregolari”. Il decreto legge numero 89 del 23 giugno 2011, convertito in legge (numero 129/2011), ha esteso il termine massimo di permanenza degli stranieri in tali centri portandolo da 180 giorni a 18 mesi complessivi. Ad aprile di quest’anno il parlamento ha dato il via libera definitivo alla cancellazione del reato di clandestinità. Ad essere stata abrogata, è stata però la sola parte della Bossi-Fini che prevede il reato di ingresso illecito in Italia. L’arresto viene mantenuto per gli immigrati che rientrano nel nostro Paese dopo un provvedimento di espulsione.
Rispetto al periodo iniziale le condizioni di vivibilità sono
sensibilmente peggiorate. In estate i box diventano forni
Un luogo opprimente
operatori costretti
a stare dietro alle sbarre
di Stefano Bizzi wGRADISCA Le ultime immagini del Centro d’identificazione ed espulsione di Gradisca contrastano nettamente con quelle “storiche” risalenti al tempo del Centro di permanenza temporanea. Tra queste e quelle è passato più di un lustro, ma sembra un secolo. Per una ragione o per un’altra, alla stampa è stato sistematicamente impedito di entrare nell’ex caserma “Ugo Polonio” e chi lo ha fatto non ha potuto scattare fotografie. Oggi in via Udine non ci sono ospiti, ma quello che emerge dal confronto degli scatti è comunque il ritratto di un luogo opprimente. All’apertura dell’allora Cpt, gli spazi esterni alle camerate erano separati da sbarre d’acciaio montate su dei bassi muretti in cemento. Formavano delle sorte di “vasche”. Quelle gabbie, però, vennero presto smontate “per umanizzare il centro”. Da un punto di vista formale gli immigrati in attesa di riconoscimento sono sempre stati considerati trattenuti, non prigionieri e tecnicamente non si è mai registrata alcuna evasione: ogni fuga è stata rubricata sotto la voce allontanamento. Acrobazie lessicali a parte, il ripetersi negli anni dei disordini interni ha spinto le autorità a prendere le necessarie contromisure per arginare le azioni di protesta. Le manifestazioni degli “ospiti” sono però via via cresciute con la trasformazione del Cpt in Centro d’identificazione ed espulsione. In questo caso la metamorfosi non è stata solo linguistica, è stata anche sostanziale. Con il passaggio da un nome all’altro, i tempi di trattenimento si sono dilatati passando da un massimo 30 +30 giorni a sei mesi, per poi arrivare fino all’anno e mezzo. Questo, anziché disincentivare l’arrivo di nuovi clandestini, ha creato tensioni sempre maggiori all’interno delle strutture per immigrati. Tra atti di autolesionismo e vere e proprie rivolte, per tentare di arginare le sommosse sono state quindi rimontate le vasche. Si ritenne che la divisione degli spazi in zone più circoscritte avrebbe reso più agevole il controllo degli immigrati. Per evitare l’effetto carcere, anziché sbarre metalliche, sono stati però utilizzati pannelli antisfondamento in plexiglas. Se da un punto di vista estetico la soluzione è di certo meno impattante, da un punto di vista pratico impedisce il passaggio dell’aria e, in estate, le vasche si trasformano in veri e propri forni dove è impossibile rimanere per lunghi periodi. Gli stessi pannelli trasparenti sono stati usati anche per separare i corridoi di collegamento tra le camerate. Il risultato è identico: manca l’aria. Dal momento che gli offendicula (ferri ricurvi verso il basso) non si sono rivelati sufficienti ad impedire l’accesso ai tetti, sopra gli spazi comuni sono state inoltre tirate delle reti metalliche. Dovrebbero teoricamente rendere impossibili le arrampicate, ma alla prova dei fatti si riveleranno poco più di un semplice fastidio. Suona quasi paradossale, ma, alla fine, a finire dietro le sbarre sono stati gli operatori del centro. Per proteggere il centralino, dove ai tempi del Cpt bastava un vetro, con il Cie per prevenire gli assalti al personale di turno è stato necessario montare una gabbia d’acciaio.
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
GRADISCA. Cie/Cara di Gradisca, la settimana più calda. Tornano ad accendersi i riflettori attorno alla doppia struttura per immigrati in quello che potrebbe diventare un periodo decisivo per il suo futuro in vista della missione romana del sindaco Linda Tomasinsig. Lunedì è in programma la visita alla struttura di una delegazione composta da consiglieri regionali, amministratori locali e associazioni umanitarie e antirazziste che ribadiscono la necessità di giungere a una chiusura definitiva del Cie.
Una visita che in queste ore sembra però tingersi di giallo, dal momento che la Prefettura pare intenzionata a consentire l’accesso al Cie solamente a una delegazione molto ridotta. Contemporaneamente, al di fuori dell’ex Polonio, è stato annunciato invece un presidio (dalle 9 alle 19) dei dipendenti della Connecting People che hanno maturato cinque mensilità di ritardo nell’erogazione degli stipendi. I lavoratori hanno deciso un’azione pacifica di protesta e hanno invitato onorevoli, consiglieri regionali e amministratori locali alla loro manifestazione, che non coinvolge le sigle sindacali ma sorge dal basso. I lavoratori di turno garantiranno il servizio all’interno del Cara.
Nel frattempo prosegue il lungo lavoro “diplomatico” del sindaco di Gradisca, Linda Tomasinsig, che martedi 22 sarà a Roma per essere ascoltata dalla Commissione Schengen di cui è vicepresidente l’onorevole Giorgio Brandolin. Tomasinsig in queste ore ha preparato il testo di un ordine del giorno da sottoporre ai colleghi sindaci dell’Isontino e del quale auspica l’approvazione nei rispettivi consigli comunali – compreso quello di Gradisca – in modo da presentarsi a Roma con una posizione forte e unitaria del territorio contro la riapertura del Cie e l’ampliamento del Cara, posizione già sostenuta anche dal presidente della Regione Serracchiani. Nel documento si fa riferimento alle “condizioni di vita delle persone trattenute nel Cie” e altresì “alle condizioni di lavoro di quanti operano all’interno della struttura” apparse “insufficienti a garantire il pieno rispetto della dignità umana, dei diritti delle persone e altresì dei lavoratori”. Il documento impegna il sindaco ad “adoperarsi, anche agendo nei confronti della Prefettura, affinché la struttura del Cie non riapra, si sanino le gravi carenze gestionali, e lo stesso Cie non venga riconvertito a Cara o Centro di prima accoglienza, aumentando in tal modo il numero dei richiedenti asilo accolti sul territorio del Comune di Gradisca e dell’Isontino”. Impegna inoltre ad “agire presso la Prefettura affinché ai lavoratori della cooperativa incaricata della gestione venga garantita la puntuale erogazione degli stipendi, si faccia il possibile affinché vengano sanate le pendenze, e ai lavoratori precedentemente impiegati nella struttura del Cie venga garantito il reimpiego in altra mansione”.
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
Dal Piccolo
2014-07-14, 20
IL COMUNE APPOGGIA GRADISCA: NO ALL’AMPLIAMENTO DEL CARA
STARANZANO Il Comune di Staranzano si schiera a fianco di Gradisca d’Isonzo e dice “no” alla riapertura nel territorio comunale del Cie (Centro di identificazione e di epulsione) e “no” all’ampliamento del Cara (Centro di accoglienza richiedenti asilo) e del Cpa (Centro di prima accoglienza). La giunta staranzanese ha deliberato la proposta di un Ordine del giorno, da portare in uno dei prossimi Consigli comunali, sulla definitiva chiusura del Cie, in quanto la struttura non rispetta le norme nazionali ed europee e quelle dei diritti umani fondamentali. Gradisca ha sempre espresso contrarietà all’insediamento di un Cpt (ora Cie), ribadendo tale volontà anche tramite un documento congiunto con la Regione, indirizzato sia al presidente del Consiglio che al ministro degli Interni. Prova ne siano i fatti avvenuti ad agosto 2013, culminati nella mortale di una delle persone trattenute e lo svuotamento temporaneo della struttura lo scorso novembre per interventi di ristrutturazione dopo gli atti di vandalismo. Staranzano, oltre alla proposta, si impegnerà a chiedere alla prefettura di Gorizia che siano garantiti gli stipendi, sanate le pendenze ai lavoratori e garantito al personale già impiegato il riutilizzo in altra mansione. Nella mozione, inoltre, la giunta respinge l’ipotesi che la struttura del “Cie” venga riconvertita a “Cara”, “Cpa” o simili, aumentando così il numero dei richiedenti asilo accolti nel comune di Gradisca e nell’Isontino, per non compromettere gli sforzi compiuti in questi anni per favorire buone relazioni tra i migranti del Cara e la cittadinanza. E infine che i Comuni interessati siano messi in condizione di rispondere a un problema umanitario di interesse nazionale e internazionale. Ciro Vitiello
2014-07-14, 22
SOPRALLUOGO DI AMMINISTRATORI AL CIE-CARA
GRADISCA Riflettori puntati sul Cie-Cara di Gradisca. Una delegazione di amministratori locali visiterà questa mattina alle 9.30 la sezione di identificazione ed espulsione, chiusa da novembre per consentire lavori di ristrutturazione che secondo alcune indiscrezioni potrebbero portare a una riapertura del Cie nei primi mesi del 2015. Della delegazione farà parte, per il Comune di Gradisca, l’assessore all’Immigrazione Francesca Colombi. Contemporaneamente, al di fuori dell’ex Polonio, è stato annunciato invece un lungo presidio (dalle 9 alle 19) dei dipendenti della Connecting People che hanno maturato cinque mensilità di ritardo nell’erogazione degli stipendi. I lavoratori, ormai esasperati, hanno deciso un’azione pacifica di protesta ed hanno invitato onorevoli, consiglieri regionali, amministratori locali del territorio, il vescovo di Gorizia Carlo Redaelli, la Caritas e tanti altri soggetti alla loro manifestazione, che non coinvolge le sigle sindacali ma sorge dal basso. I lavoratori di turno garantiranno comunque il servizio all’interno del Cara, il centro per richiedenti asilo. A giugno i dipendenti della Connecting People si sono visti liquidare il salario di febbraio, ma rimangono 4 le mensilità arretrate, senza contare che per loro non è mai scattata la cassa integrazione in deroga che sarebbe dovuta partire alla fine dello scorso anno. Nè è stato riconosciuto agli operatori quel 20% dei salari loro dovuto da una precedente vertenza, che era stata sbloccata direttamente dalla Prefettura con l’erogazione degli stipendi all’80%. Ancor piu’ drammatica, se possibile, la situazione del personale sanitario (liberi professionisti a partita Iva) che non si vedono pagati da piu’ di un anno. Nel frattempo prosegue il lungo lavoro “diplomatico” del sindaco di Gradisca, Linda Tomasinsig, che martedi 22 sarà a Roma per essere audizionata dalla Commissione Schengen di cui è vicepresidente l’onorevole isontino Giorgio Brandolin. Il neo primo cittadino della Fortezza in queste ore ha preparato il testo di un ordine del giorno da sottoporre ai colleghi sindaci dell’Isontino e del quale auspica l’approvazione nei rispettivi consigli comunali – compreso quello di Gradisca – in modo da presentarsi a Roma con una posizione particolarmente forte e unitaria del territorio contro la riapertura del Cie e contro l’ampliamento del Cara, posizione gia’ sostenuta anche dal presidente del Friuli Venezia Giulia Debora Serracchiani. (l.m.)
2014-07-10, 15
PD E SEL LITIGANO SUL FUTURO DEL CIE
TRIESTE Il Cie di Gradisca chiuderà oppure no? Mentre nell’ex caserma isontina fervono lavori di ristrutturazione, il consiglio regionale rimanda a dopo l’estate la discussione di una mozione per la chiusura del centro. Il fatto ha suscitato l’indignazione del consigliere di Sel Giulio Lauri, ingenerando uno scambio di battute con il collega Pd Cristiano Shaurli. Il fatto è avvenuto martedì in conferenza dei capigruppo. «Partendo da un testo già depositato da Sel il 19 giugno scorso – spiega Lauri – avevamo lavorato fino a metà mattina con la consigliera del Pd Silvana Cremaschi per limare il testo in modo da potere essere condiviso e presentato da tutta la maggioranza. Alla fine non abbiamo trovato un accordo sulla richiesta di togliere un riferimento alla necessità che la Regione si faccia parte attiva per sostenere e favorire il lavoro di tutti coloro che vogliono accertare la verità sulla gestione dell’ordine pubblico e sull’uso dei lacrimogeni all’interno del Centro durante i fatti tragici dell’agosto scorso nel contesto dei quali un giovane marocchino riportò ferite mortali». Shaurli replica ribadendo il “no” del Pd al Cie: «Anziché assumere posizioni del genere, è auspicabile invece un serio lavoro che parta dal reale obiettivo ed eviti strumentalizzazioni già viste e che hanno impedito maggioranze più ampie nella contrarietà al Cie. Quindi nessun cambio di idea, un no fermo al Cie e a qualsiasi ipotesi di riapertura, un no secco alla ricerca di visibilità politica su questi temi dove contano solo i risultati e le persone». Accusa che Lauri rigetta: «Parliamo di un tema pesante sul quale volevamo trovare una posizione comune a tutta la maggioranza: il contrario del protagonismo». (g.tom.)
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
dal Piccolo online del 15/07/14
All’interno del Cie si lavora per ripristinare le inferriate
La visita al centro immigrati di Gradisca da parte di una delegazione di amministratori comunali e regionali e rappresentanti di associazioni
GRADISCA. I lavori di ristrutturazione del Cie stanno andando avanti senza colpo ferire. A settembre potrebbe concludersi il primo lotto della ristrutturazione – dal costo di 800mila euro – mentre sarebbe già in itinere una seconda tranche di opere volte a riportare il centro di identificazione per immigrati irregolari alla sua completa operatività.
Anche se, relativamente a questo lotto di lavori, la Prefettura precisa di non averlo richiesto, né di avere a oggi contezza del suo effettivo finanziamento. Queste le Conferme trovate ieri dalla delegazione composta da consiglieri regionali, amministratori locali e associazioni umanitarie che in mattinata ha visitato il Cie, inagibile da novembre dopo i tumulti dell’estate scorsa. I lavori per ora proseguono. E il Cie sta venendo restaurato per l’appunto come un Cie, dunque con sbarre e offendicula che poche speranze lasciano a quanti vorrebbero che quegli spazi – se non chiusi per sempre – fossero utilizzati per ampliare e umanizzare il vicino Cara, il centro per richiedenti asilo. Ora tocca a Linda Tomasinsig, sindaco dI Gradisca, giocarsi il tutto per tutto in un’audizione a Roma con la commissione Schengen. In quell’occasione ribadirà la contrarietà di tutto l’Isontino e della Regione alla riapertura del Cie e all’ampliamento delle presenze al Cara. Ieri intanto gli amministratori locali hanno preso atto del consueto alone di mistero che avvolge qualsiasi aspetto riguardi il centro immigrati gradiscano. Lo hanno visitato, accompagnati dal viceprefetto vicario Gloria Allegretto, i consiglieri regionali Cremaschi e Lauri (Sel), il vicepresidente della Provincia Cernic, l’assessore gradiscano Colombi, il sindaco di Sagrado Pian, ed esponenti del comitato LasciateCIEentrare fra cui l’associazione monfalconese Tenda per la Pace. Che promette di non mollare: «Se davvero il Cie dovesse riaprire l’opposizione diventerà ancora più forte». La delegazione si è anche fermata nel punto della fatale caduta di Majid, giovane marocchino morto dopo 9 mesi di coma nel tentativo di fuggire dall’ex Polonio. . Cremaschi e lo stesso Lauri chiamano allo scoperto il Viminale: «ll ministro Alfano dovrebbe spiegare perchè sia stato dato avvio ai lavori di ristrutturazione del Cie quando egli stesso aveva affermato che il centro non riaprirà, se dal territorio arriverà un segnale di contrarietà. Quella contrarietà c’è tutta ed è unitaria. La ribadiremo anche in una mozione al consiglio regionale. Ci chiediamo anche come sia possibile che in un momento di grave crisi economica il Governo investa una quantità così ingente di risorse per il rifacimento di una struttura il cui utilizzo non è nè certo nè specificato. Ci è stato detto che i lavori su gabbie e inferriate, per noi assolutamente non compatibili con il rispetto dei diritti umani delle persone, riguardano il 2°lotto: ma abbiamo visto con i nostri occhi un operaio che vi stava lavorando».
Luigi Murciano
Marzo 18th, 2017 — CIE = Lager, General
da Il Piccolo del 23 luglio 2014
«Il Cie non riaprirà più» Missione compiuta a Roma
Garanzie dal ministro Alfano al deputato Brandolin e al sindaco Tomasinsig Il parlamentare Pd: «Il Cara non sarà ampliato senza l’ok di Provincia e Comune»
GRADISCA. Il sindaco di Gradisca Linda Tomasinsig ci spera, il parlamentare Giorgio Brandolin (che ieri ha guidato l’audizione della delegazione isontina davanti al Comitato parlamentare di controllo sull’attuazione dell’accordo di Schengen e di controllo e vigilanza in materia di immigrazione) ne è convinto: «Il Cie di Gradisca non riaprirà, e il Cara non verrà ampliato senza il parere positivo di Comune e Regione. Il sindaco Tomasinsig ha spiegato quali sono le pressioni cui il territorio deve rispondere e a colpire i deputati è stata la notizia che a Gorizia è situato il Comitato unico del Triveneto per le richieste di asilo, e quindi oltre agli ospiti della struttura, Gradisca e l’Isontino si trovano anche a dover affrontare le situazioni, spesso problematiche, di chi arriva in zona per questo». Brandolin ha ribadito quanto scritto dal ministro Alfano in risposta a una sua interrogazione. «Il ministro ha messo per iscritto che il Cie non riaprirà e sul Cara non si prenderanno decisioni non condivise da Comune e Regione, e questo è stato ribadito anche nelll’audizione. Siamo soddisfatti – ha concluso – perché siamo riusciti a portare le esigenze del territorio a Roma, e continueremo a tenerle sotto controllo, assicurando che nessuna decisione venga presa sopra la nostra testa».
Per il sindaco Linda Tomasinsig «la chiusura del Cie non è una chimera». È tornata da Roma con questo significativo spiraglio. Nel corso dell’intervento durato 40’ Linda Tomasinsig ha esposto le criticità che la doppia struttura per migranti ha portato al territorio. Ha ha ricordato la contrarietà espressa dal Comune fin dal 2000 a una struttura di trattenimento; ha ricordato le carenze della struttura sotto il profilo «del rispetto delle regole e dei diritti umani, così come evidenziato negli anni da ben due commissioni parlamentari».
Sbarre, assenza di spazi di socializzazione, divieto di utilizzo di libri e giornali, di utilizzare il cellulare, che hanno portato agli episodi di tensione riguardanti le rivolte, i danneggiamenti e le fughe degli anni recenti, e non certo ultima la tragica morte di un immigrato dopo mesi di coma a seguito di una caduta. Tutti episodi che hanno portato alla chiusura e ristrutturazione del Cie. Non ha mancato di sottolineare, Tomasinsig, le difficoltà degli operatori da mesi senza stipendi e delle stesse forze di polizia, il cui organico è insufficiente per fare fronte alle problematiche del Cie e al contempo al presidio del territorio. Ha infine espresso preoccupazione per l’avanzamento dei lavori di ristrutturazione, affermando senza mezze misure che essi «non risolvono le carenze evidenziate dalla struttura, fra cui quelle igieniche e sanitarie».
Per il sindaco, «il modello Cara va superato in favore di progetti medio-piccoli di accoglienza diffusa sul territorio».
Da parte sua la senatrice goriziana Laura Fasiolo ha annunciato che, sul problema del Cie/Cara di Gradisca, promuoverà la prossima settimana un incontro a Roma con il sindaco Linda Tomasinsig e il viceministro dell’Interno Filippo Bubbico.