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CARA/ Pugni a un iraniano, poliziotto a processo

da Il Piccolo del 9 ottobre 2012 Pagina 23 – Gorizia-Monfalcone

Pugni a un iraniano, poliziotto a processo

I fatti sono avvenuti al Cara, centro che ospita i richiedenti asilo politico. Prosciolto dall’accusa di abuso d’ufficio

Un poliziotto in servizio al Cara, il centro di assistenza ai richiedenti asilo politico, che si trova a Gradisca d’Isonzo nell’ex caserma Polonio, è stato rinviato a giudizio per percosse e violenza privata nei confronti di un giovane iraniano ospite del centro. Lo ha deciso il giudice dell’udienza preliminare Paola Santangelo, che ha accolto solo parzialmente le richieste avanzate dalla Procura della Repubblica. L’agente di Ps, infatti, è stato prosciolto dall’accusa di abuso d’ufficio. Il processo è stato fissato per il prossimo 13 giugno dinanzi al giudice monocratico del tribunale goriziano. La vicenda, che ha portato all’apertura di un’indagine da parte della magistratura sfociata con la richiesta di rinvio a giudizio, risale al maggio dello scorso anno ed è avvenuta durante i controlli che puntualmente vengono eseguiti dagli agenti in servizio nel momento che gli ospiti fanno ritorno al centro. Come è noto i richiedenti asilo politico, al contrario di chi si trova nel vicino Cie, può uscire nell’arco della giornata e rientrare alla sera entro le 20. Nel caso specifico l’iraniano era stato invitato a passare attraverso il metal detector per un controllo che non avesse con sè materiale atto a offendere. In particolare i controlli vengono effettuati per evitare la detenzione di coltelli come era già accaduto nel passato. Un modo preventivo per evitare che in caso di litigi tra gli ospiti non spunti qualche pericolosa lama. Quella sera tra l’iraniano e il poliziotto addetto al controllo c’era stato uno scambio vivace di battute. Sono volate parole grosse; poi, secondo il capo di accusa, l’iraniano sarebbe stato trascinato con forza in una stanza e colpito con dei pugni dal poliziotto che lo avrebbe anche insultato. Il difensore dell’agente, l’avvocato Massimo Bruno, minimizza su quanto accaduto. «Va detto che l’accusa più grave, quella dell’abuso d’ufficio, è caduta – sottolinea il legale -; sui fatti incriminati ci sono poi versioni contrastanti, il mio cliente nega di aver usato violenza e sono convinto che sarà fatta piena luce durante il processo». L’iraniano, che da tempo ha lasciato il centro di Gradisca, si è costituito parte civile assistito dall’avvocato Paolo Marchiori che ha pure citato il ministero dell’Interno quale responsabile civile. Il giudice delle udienze preliminare ha accolto tale richiesta. Non si è invece costituita parte civile, come sembrava in un primo momento, un’associazione di studi giuridici sull’immigrazione. Il Cara è stato aperto a Gradisca d’Isonzo nel 2008, due anni dopo il Cie, ed ha una capacità ricettiva di 138 posti. Attualmente gli ospiti si aggirano intorno alle 110 unità di varie nazionalità, anche se prevalgono gli africani. Mediamente solamente il 10 per cento ottiene il permesso di asilo politico.

CIE DI GRADISCA: niente di nuovo dalla visita dei politici

Dal Messaggero veneto del 16/10/11

Cie, l’urlo ai politici «Meglio la galera»

 

GRADISCA «Ho visto tanti Cie, ma questo è in assoluto il più simile a un carcere, se non peggio. Ho sentito gente dire che preferirebbe tornare in galera piuttosto che restare qui». Con queste parole la struttura governativa di via Udine viene sonoramente bocciata da Andrea Sarubbi, deputato romano in quota Pd recatosi ieri in visita al Centro di identificazione ed espulsione insieme a Carlo Monai, esponente di Idv alla Camera e a numerosi amministratori locali, fra cui i consiglieri regionali Antonaz, Codega e Kocijancic, l’assessore provinciale alle Politiche sull’immigrazione Della Pietra, il consigliere provinciale Zanella, i sindaci di Sagrado Pian e Mariano Visintin, l’assessore alle Politiche sociali di Cervignano, Gratton e i consiglieri di Romans, Godeas e Guadagnini. Presenti nella folta delegazione anche Corazza del Centro salute mentale di Gorizia e alcuni rappresentanti di Tenda per la Pace, Asgi – studi giuridici sull’immigrazione – e Consiglio italiano per i rifugiati. Sarubbi, che di Cie ne ha visitati parecchi lungo lo Stivale, critica aspramente quello di Gradisca e argomenta con esempi concreti. A Trapani si può entrare con un iPhone, a Roma il cellulare è consentito ma senza fare foto, in riva all’Isonzo il telefonino è vietato del tutto. Oppure la mensa: «Perché a Gradisca è considerata pericolosa e a Roma invece no?» È l’interrogativo del parlamentare capitolino, che auspica nuove leggi sull’immigrazione, ricorda i costi eccessivi di queste strutture e la discrezionalità delle Prefetture. In chiusura Sarubbi sottolinea che dentro il Cie «non ci sono vittime e carnefici, ma solo vittime, perché poliziotti e operatori lavorano in condizioni poco agevoli» e conferma l’indiscrezione secondo cui gli operatori di Connecting people siano senza stipendio da quasi due mesi. L’ingresso al Cie gradiscano non è stata una novità per il deputato cividalese Carlo Monai. «Eppure ogni volta devo constatarne l’inutilità. Da un paio d’anni gli impianti sportivi e ricreativi sono inaccessibili, eppure sembra sempre che il ripristino sia imminente. Resta il fatto che i cosiddetti “ospiti” vivono condizioni di segregazione tali da essere trattati peggio dei detenuti delle patrie galere: c’è chi mi ha chiesto di poter tornare in carcere perché lì stava meglio». Prima volta al Cie, invece, per l’assessore provinciale Bianca Della Pietra, apparsa quasi sotto choc: «E’ un Centro dove i diritti sono sospesi, se non negati. La persona andrebbe messa al primo posto, invece ho visto un’istituzione negante l’identità personale». Il consigliere regionale Roberto Antonaz si dice pronto a lanciare una proposta: «Una sorta di staffetta per entrare al Cie anche una o due volte a settimana». Giuseppe Pisano

 

Dal Piccolo

MARTEDÌ, 16 OTTOBRE 2012

«Il Cie di Gradisca è peggio di un carcere»

 

Visita dei parlamentari Sarubbi e Monai: «Segregazione oltre il buon

senso, diritti negati agli ospiti»

 

GRADISCA «Quello di Gradisca d’Isonzo è in assoluto il Cie italiano più

simile a un carcere. E per molti versi è pure peggio di molti

penitenziari». Quella di Andrea Sarubbi è un’istantanea impietosa. Il

deputato Pd ha visitato ieri il Centro di identificazione ed espulsione

della cittadina isontina assieme al collega Carlo Monai (Idv)

nell’ambito della campagna di informazione “LasciateCientrare”. Assieme

a loro amministratori locali, operatori della stampa, esperti di ambito

legale ed esponenti del mondo dell’associazionismo. Una visita durata

quasi 3 ore, servita a confermare molte delle perplessità che da sempre

circondano i Cie italiani e quello di Gradisca in particolare. «Dico che

è un carcere perchè qui non esistono percorsi di integrazione,

assistenza o recupero per le persone trattenute – commentano Sarubbi e

Monai -. La promiscuità crea poi una miscela esplosiva. Si va

dall’immigrato che si becca un supplemento di pena dopo essere stato in

carcere, allo straniero rinchiuso per un documento scaduto. Non può

funzionare. E poi – sottolineano – a differenza di altri Cie certi

diritti sono del tutto sospesi. Non si può pranzare in mensa. Non si può

utilizzare il campo da calcio. Tenere le proprie cose in un armadietto.

È vietato l’uso del cellulare, cosa che a Roma o Trapani è consentita.

La verità – è il parere di Sarubbi – è che la discrezionalità delle

diverse Prefetture è troppa, e forse è condizionata dalle maggioranze

politiche. Mi chiedo a chi convenga un sistema nel quale un immigrato ci

costa 1.300 euro al mese, spese di gestione esclusi, per essere

confinato in una stanza senza magari venire neanche rimpatriato».

Sarubbi auspica «una revisione delle leggi sull’immigrazione, anche se

queste in passato sono state scritte solo per interessi elettorali. Cosa

serve? Tempi più brevi di trattenimento e più certi per

l’identificazione». E sottolinea come «in questo sistema perverso non vi

sono nè vittime nè carnefici», confermando l’indiscrezione del Piccolo

secondo cui gli stipendi degli operatori della coop Connecting People

stanno per sfiorare le due mensilità di ritardo. Scontenti anche gli

operatori di polizia. «Non so quanto questa problematica sia in cima

all’agenda del governo Monti – allarga le braccia Sarubbi – e che esito

stia avendo il monitoraggio dei Cie italiani voluto dal ministro

Severino». Monai rincara la dose: «Ogni volta che faccio ritorno a

Gradisca registro un depauperamento. Le condizioni di segregazione vanno

oltre il buonsenso. Continuo a ritenere che non sia questa la risposta

di un Paese civile al fenomeno migratorio, ma nel frattempo perlomeno si

ripristino da subito condizioni di dignità». Assieme ai due parlamentari

hanno visitato il Cie anche i consiglieri regionali Antonaz, Codega e

Kocijancic. (l.m.)

CIE DI GRADISCA: tentato suicidio

Dal Piccolo del 19/10/12

Maghrebino tenta di impiccarsi al Cie, salvo

 

GRADISCA Serata ad alta tensione al Cie di Gradisca. Un maghrebino avrebbe tentato di impiccarsi con un indumento. Scarni i dettagli emersi. L’allarme è scattato mercoledì sera alle 21. L’uomo avrebbe minacciato di volerla fare finita, attirando l’attenzione dei compagni di stanza e degli operatori della Connecting People. A quel punto è scattato l’allarme con l’immediato intervento dei poliziotti della vigilanza esterna, di un’ambulanza del 118 e dei vigili del fuoco di Gorizia, pronti ad imbragare l’uomo. In qualche modo dopo lunghi, interminabili minuti, il maghrebino è stato ridotto a più miti consigli. Il capo di gabinetto della Questura di Gorizia, Gennaro D’Agnese, circoscrive l’episodio: «Fortunatamente si è trattato più che altro di un gesto dimostrativo. Spesso si tratta di stratagemmi intrapresi per attirare l’attenzione od ottenere un ricovero ospedaliero dal quale è più facile tentare la fuga. Penso anche ai non infrequenti episodi di autolesionismo, come l’ingerimento di bulloni e lamette o i tagli alle braccia. Ad ogni modo non sottvalutiamo il problema». Nella giornata di ieri l’uomo avrebbe nuovamente minacciato di volersi uccidere. All’origine dell’episodio vi sarebbe lo stato di esasperazione per le condizioni di vita all’ex Polonio. Qualche giorno fa il nordafricano aveva addirittura deciso di denunciare l’ente gestore perché gli aveva sequestrato (come da regolamento) il cellulare. La denuncia era stata ritirata. Sul sequestro dei telefoni era intervenuto poche ore prima il deputato Pd Sarubbi, in visita al Cie: a suo dire, una misura restrittiva in vigore soltanto a Gradisca.(l.m.)

CIE DI GRADISCA: botte e nuove reti contro le fughe

Dal Piccolo del 06/11/12

Reti contro le evasioni al Cie di Gradisca

 

di Luigi Murciano GRADISCA Fughe e rivolte, Cie di Gradisca sempre ad alta tensione. Dalla struttura trapelano episodi di violenza e tentativi – a volte riusciti – di evasione. Sempre con le stesse modalità: l’elusione del dispositivo di sorveglianza a infrarossi, l’ascesa sul tetto, il salto nel buio verso le campagne circostanti. Tanto che il Viminale avrebbe autorizzato la collocazione di una rete su tutte le superfici “aperte” del centro per scongiurare questa pratica. La soluzione però potrebbe essere congelata dai recenti sviluppi sul cosiddetto caso degli “appalti allegri” che sta toccando proprio il Viminale. Intanto trapelano presunti episodi di violenza. A denunciarlo i familiari di alcuni trattenuti, tramite l’associazione monfalconese “Tenda per la Pace” che definisce il Cie «zona franca ove sono sospesi i diritti umani». Secondo i familiari, durante la tentata fuga di 3 persone una squadra di poliziotti «avrebbe manganellato indistintamente» un piccolo gruppo di migranti «colpevoli di non rispettare l’ordine di rientrare nelle proprie stanze vista l’emergenza in corso». L’episodio seguirebbe un tentativo di fuga del 1 novembre, quando una cinquantina di ospiti avrebbe cercato l’evasione dal tetto. Fuga scongiurata dalla mediazione di un ispettore. Mediazione che però secondo i familiari non si sarebbe ripetuta il giorno dopo, «quando un gruppo di rappresentanti delle forze dell’ordine – riferisce Tenda – si è presentato di fronte agli immigrati, oppostisi all’ordine di rientrare nelle stanze. Altri 3 migranti stavano tentando la fuga. Repressione preventiva?» chiede l’associazione. Che denuncia: «Attualmente il Cie ospita persone in condizioni di salute non idonee per regolamento alla permanenza nel centro: ma anche per queste persone è scattata la repressione». A detta di Tenda per la Pace «manganellate vi sarebbero state per un detenuto che sta perdendo la vista a causa di una cataratta, visitato in ospedale e poi riportato al Cie. Il primo ad essere colpito. Botte anche per un ragazzo che aveva tentato il suicidio». Il sindacato di polizia Sap nega con forza «qualsiasi azione violenta». «Eventuali azioni necessarie a riportare la sicurezza sono quelle consentite, tutte documentate dalle telecamere. Se qualcuno ritiene di fare denuncia, i filmati possono essere acquisiti e dimostrare la calunnia» commenta il segretario provinciale Angelo Obit.

 

di seguito il comunicato integrale della Tenda per i Diritti e la Pace

CIE di Gradisca d’Isonzo: situazione sempre più grave

Un altro episodio di violenza al CIE di Gradisca d’Isonzo. Il 2 novembre, denunciano i familiari di alcuni detenuti, durante la tentata fuga di tre persone dal centro una squadra di poliziotti avrebbe manganellato indistintamente un piccolo gruppo di migranti che sostava nell’area dei distributori automatici del caffè, stavolta colpevoli di non rispettare l’ordine di rientrare tutti nelle proprie stanze vista la situazione di “emergenza” in corso.

L’episodio arriva dopo la notizia di un massiccio tentativo di fuga avvenuto il 1 novembre, quando una cinquantina di detenuti avrebbe cercato di scappare dal centro salendo sul tetto dell’edificio: nessuna conseguenza drammatica in quel caso, grazie alla mediazione di un “poliziotto buono”. Mediazione che non si ripete la sera del 2 novembre, quando un gruppo di rappresentanti delle forze dell’ordine, tra cui ci sarebbero stati pure alcuni volti della squadra responsabile del pestaggio del 15 agosto, di cui Tenda per la Pace e i Diritti ha già dato notizia, si è presentato di fronte ai detenuti, che si sono opposti all’ordine di rientrare nelle proprie stanze, poichè tre di loro stavano nuovamente tentando la fuga. Una repressione forse preventiva, per evitare altri tentativi di fuga? Ricordiamo che in questo momento la struttura di Gradisca ospita diverse persone che vivono in una condizione di salute non idonea (per regolamento) alla permanenza nel centro: anche per queste persone tuttavia, è scattata la “punizione”. Manganellate anche per il detenuto che sta perdendo la vista a causa di una cataratta, visitato in ospedale solo una manciata di giorni e poi riportato “al sicuro” al CIE, dove dipende dai suoi compagni per qualsiasi azione quotidiana. Sarebbe stato il primo ad essere colpito. Botte anche per il ragazzo che aveva tentato il suicido una decina di giorni fa.

Aspetto grottesco di questo drammatico episodio sono le scuse che sarebbero state fatte ai migranti sia da un responsabile della struttura che da un rappresentante delle forze dell’ordine, segno evidente che si è trattato di un’azione brutale, che è andata ben oltre le “semplici” misure preventive.

Interpellata, la vigilanza ha confermato il fatto che in questi giorni ci sono state delle dimostrazioni di malcontento da parte degli immigrati, così come pure alcuni tentativi di salire sui tetti, ma nega qualsiasi azione violenta nei confronti delle persone.

Tenda per la Pace e i Diritti continua a denunciare gli episodi di violenza che avvengono nel costante silenzio mediatico e politico nel territorio di Gradisca d’Isonzo. Le notizie che riescono a superare la coltre del silenzio sembrano dimostrare in modo sempre più lampante che il CIE rappresenta una sorta di “zona franca” dei diritti umani, diritti in parte sanciti anche dalla nostra Costituzione, ma evidentemente non patrimonio di tutti. Ci chiediamo quanti altri episodi di violenza dovranno essere resi noti prima che si realizzi che è in corso una vera e propria emergenza democratica all’interno del CIE, che riguarda tutta la cittadinanza, nessuno escluso.

 

Tenda per la Pace e i Diritti,

5 Novembre 2012

CIE DI GRADISCA: gli avvocati al cie

Dal Piccolo dell’08/11/12

Degli avvocati isontini prima ispezione in un Cie

Per la prima volta in Italia una delegazione della Camera penale entra in un centro identificazione espulsione (Cie). Succederà domani dalle 9 alle 10.30 in quello di Gradisca, attualmente a circa metà capienza di ospiti. La delegazione sarà guidata da Riccardo Cattarini, presidente della Camera penale di Gorizia che in collaborazione con l’Unione delle Camere penali italiane ha chiesto e ottenuto dal Ministero dell’Interno di poter ispezionare il Cie. Un iter non semplice ma il cui positivo coronamento incoraggia Cattarini. «L’iniziativa si colloca nel nostro percorso di verifica di legalità in Italia. Personalmente ritengo che il Cie assomigli troppo a un carcere. Anzi, direi che è un carcere. Solo che in un penitenziario c’è un percorso lineare; si entra e si esce in conseguenza di un’azione penale determinata. Qui invece uomini e donne vengono rinchiusi, e spogliati della libertà, sulla base di provvedimenti amministrativi. Dunque, si evidenzia in modo chiaro un deficit di legalità. Non solo. Le condizioni all’interno di questi centi sono spesso oltre il limite del rispetto umano. Capita che siano immesse improvvisamente decine e decine di immigrati, senza che la struttura sia in grado di accoglierle. Di qui lo sviluppo di azioni di protesta, le cosiddette rivolte, culminanti talvolta con azioni autolesionistiche». Subito dopo la visita gli avvocati che accederanno al Cie relazioneranno pubblicamente sulle condizioni trovate all’interno. Il Cie di Gradisca, al di lùà delle valutazioni sulla effettiva deterrenza all’immigrazione clandestina, rappresenta un “buco nero” anche della politica isontina incapace, all’epoca della sua costruzione, di opporsi in modo efficace a questa scomoda presenza. (r.c.)

CIE DI GRADISCA: gli sbirri si lamentano

Dal Piccolo del 09/11/12

«Noi agenti aggrediti due volte»

 

GRADISCA «Noi agenti, aggrediti due volte». Non si è fatta attendere la reazione degli operatori di polizia alle accuse, riportate da questo giornale, di repressioni violente delle rivolte al Cie di Gradisca. A denunciare presunti comportamenti poco ortodossi erano stati alcuni familiari degli ospiti trattenuti all’ex caserma Polonio, e riprese dall’associazione monfalconese Tenda per la pace. «Con tutto il rispetto per le associazioni che seguono la tematica del Cie – afferma il segretario provinciale del Sap, il sindacato autonomo di polizia, Angelo Obit – ci permettiamo di osservare come le forze dell’ordine vengano aggredite due volte: prima dagli ospiti del Cie che giungono a raccogliere la propria urina nelle bottigliette di acqua vuote per poi tirarla contro gli operatori. E in seguito da queste dichiarazioni su “riferite” e inesistenti repressioni violente». Secondo Obit, inoltre, “Il condire le denunce non firmate con dichiarazioni di carenze sanitarie è irrispettoso nei confronti della cittadinanza. Agli ospiti del Cie – ricorda Obit – oltre alle presenza di medico sino alle 22 (in orario notturno è garantita la presenza di un servizio infermieristico ndr) è assicurata l’assistenza sanitaria “prioritaria” e gratuita presso i principali nosocomi regionali. In pratica sono garantiti agli ospiti, gratuitamente, tutti gli accertamenti sanitari richiesti dai medici in tempi celeri – cosa non assicurata alla popolazione – e, in caso di accesso al pronto soccorso, spesso per fatti di autolesionismo e per essere ricoverati e quindi garantirsi la fuga, è prevista per loro una priorità (in ragioni di esigenze di sicurezza) rispetto ai cittadini già presenti in sala di attesa”. Secondo Obit «non andrebbe mai dimenticato che il trattenimento è conseguente all’intenzione degli immigrati di sottrarsi, in quanto privi di documenti e celando la loro identità, al rimpatrio in attuazione di leggi dello Stato che tutti i cittadini sono chiamati a rispettare». ( l.m.)

 

 

CIE DI GRADISCA: rassegna stampa 10 e 11 novembre

Dal Piccolo del 11/11/12

Cie, operatori da 3 mesi senza paga

GRADISCA Da tre mesi senza stipendi. E’ questa la situazione dei circa 70 dipendenti del Cie e del Cara. Gli operatori del consorzio cooperativistico trapanese Connecting People, gestore dal 2008 dei due centri da agosto non ricevono le mensilità loro dovute. Una situazione, quella dei ritardi, non nuova – i sindacati l’avevano a più riprese denunciata negli ultimi due anni – ma che mai era approdata a ben tre mesi di lavoro non retribuito. Sono all’incirca 45 i lavoratori assunti al Cie, 25 quelli che operano al Cara. «Così non possiamo più tirare avanti – si sfogano ai nostri taccuini alcuni dipendenti -. Qui si sta giocando con la vita delle persone. Non sappiamo come arrivare alla fine del mese. Ci sono colleghi che non hanno potuto vedersi concedere dei prestiti dalla banca perchè sono state loro richieste le ultime due buste paga. Siamo stanchi di tutta questa incertezza e del palleggio di responsabilità fra Connecting People e la Prefettura. Il nostro – spiegano – è fra l’altro un lavoro particolarmente logorante e spesso pericoloso». Il consorzio siciliano ha sempre motivato i ritardi con l’assenza di liquidità derivante dal mancato introito dei fondi che da contratto d’appalto la Prefettura “gira” all’ente gestore per l’assistenza agli ospiti delle due strutture. A quanto trapela, l’ultimo “versamento” della Prefettura all’ente gestore – attualmente in regime di prorogatio visto che il contratto era scaduto nel 2011 – avrebbe sistemato le pendenze sino al 31 dicembre dello scorso anno. Dal 1°gennaio Connecting People si sarebbe esposta in proprio nei costi di gestione senza essere a oggi “rimborsata”. Ma da agosto il consorzio non riuscirebbe più a elargire gli stipendi. (l.m.)

Il Piccolo del 10/11/12

«Il Cie di Gradisca è peggio di un carcere»

di Franco Femia wGRADISCA «Ho visitato tante carceri brutte, ma vi dico che sono migliori del Cie di Gradisca»: è la prima dichiarazione Valerio Spingarelli, presidente nazionale delle Camere penali, appena uscito dal centro immigrati. Quello di Gradisca è il primo Cie che Spingarelli ha visitato e il quadro che è emerso è del tutto negativo. «C’è un assoluto degrado – sottolinea -, ci sono molte persone in terapia, come ci ha confermato il medico, ciò è significativo dello stato di malessere di chi vi è rinchiuso». Attualmente al Cie sono ospiti un centinaio di extracomunitari in attesa di essere rispediti al proprio Paese, la metà di quanto la struttura sia in grado di ospitare. La situazione all’interno, come l’ha potuto verificare la delegazione degli avvocati – oltre a Spingarelli vi facevano parte anche Anna Maria Alborghetti e Antonella Calcaterra dell’osservatorio carceri e Riccardo Cattarini presidente della Camera penale di Gorizia – non sono fruibili gli spazi comuni per i momenti ricreativi e la mensa; gli ospiti consumano i pasti nelle camere, praticamente delle celle, dove la temperatura non è certo adeguata al periodo. Le attese per il rimpatrio sono di 5, 6 mesi e in alcuni caso anche di un anno. I tentativi di fuga non si contano più come i casi di autolesionismo, un modo per farsi ricoverare in ospedale per poi fuggire. Il Cie, aperto nel febbraio 2006, formalmente non è un carcere e gli ospiti non sono dei detenuti. Per buona parte sono extracomunitari usciti dal carcere oppure rintracciati in varie parti d’Italia privi del permesso di soggiorno e parcheggiati al centro gradiscano in attesa di espulsione. Ma anche la delegazione della Camera penale, come si sono espressi quanti hanno già nei mesi scorsi l’ex caserma “Polonio”, ritiene che il Cie sia peggiore di un carcere. «In una casa di pena – afferma Spingarelli – i detenuti, pur scontando la loro condanna, hanno i loro diritti, i loro spazi, possono godere di alcuni benefici. Tutto questo al Cie manca». «Siamo sensibili alle problematiche del territorio, alle esigenze dei controlli – aggiunge l’avv. Cattarini – ma dobbiamo essere sensibili anche ai problemi che vivono gli immigrati». Comprensione, comunque, viene espressa agli operatori che lavorano all’interno del Cie che vivono anche loro le difficoltà e disagi della struttura.

 

Messaggero Veneto del 10/11/12

Visita al Cie dei penalisti «È peggio di un carcere»

GRADISCA «Abbiamo visto carceri brutte che sono meglio di questo Cie, e sia chiaro che la colpa non è di chi ci lavora dentro». Non usano giri di parole per descrivere la loro prima visita a un centro identificazione ed espulsione (Cie) i rappresentanti della Camera penale, guidati ieri mattina nel loro viaggio all’interno della struttura di via Udine da Riccardo Cattarini, presidente della Camera penale di Gorizia che in collaborazione con l’Unione delle Camere penali italiane ha chiesto e ottenuto dal Ministero dell’Interno di poter ispezionare il centro. Presente nella delegazione in visita al Cie anche Annamaria Alborghetti, presidente della Camera penale di Padova. Al termine della visita, durata un’ora e mezza circa, il presidente dell’Unione delle Camere penali italiane Valerio Spigarelli ha bocciato su tutta la linea il Cie, giudicato «intollerabile in una società democratica». «Non ho mai visto così tante persone recluse e sotto terapie – ha aggiunto Spigarelli – è un segnale di malessere profondo e tensione, del resto se sei rinchiuso lì dentro e non sai quando esci o ti danno qualcosa per tenere duro o rischi di perdere il controllo. Bisogna porsi l’obiettivo di andare a fondo al problema: non possiamo tenere in detenzione persone che non stanno scontando assolutamente nulla». La voce dei sei penalisti descrive una situazione ai limiti dell’invivibilità, con spazi per socializzare praticamente assenti: gli ambienti comuni, infatti, non sono fruibili. La mensa è fuori uso ormai dal 2008, e gli immigrati devono consumare i pasti all’interno delle proprie stanze, anche la biblioteca non è accessibile, stesso discorso per gli spazi sportivi. Il tempo viene trascorso insomma nelle rispettive stanze, con un piccolo cortile comune. “Siamo ben al di sotto del livello di diritti fondamentali – ha affermato Riccardo Cattarini – e gli operatori non c’entrano nulla, svolgono il loro lavoro correttamente. C’è da considerare anche il fatto che una struttura come questa, in una cittadina tranquilla come Gradisca, baricentro di una provincia altrettanto tranquilla, crea un problema non indifferente». «Il problema è strutturale – rimarca Valerio Spigarelli – perché almeno in carcere ci sono dei benefici, qui invece no. Chi sta dentro, che si comporti bene o si comporti male, è esattamente la stessa cosa. Se pensiamo che questa è gente che non sta scontando nessuna pena, si può dire che è una situazione di degrado assoluto, assolutamente incivile». A lasciare sbigottiti i penalisti non è solo la condizione di vita all’interno del Cie, ma anche la questione temporale: «Molti di quelli con cui abbiamo parlato ci hanno detto che sono qui o nei Cie da molti mesi. Il limite massimo è diciotto mesi: una pena che di solito viene inflitta per reati piuttosto gravi». Segnalato il caso limito di un immigrato rinchiuso al Cie dopo che il datore di lavoro, in crisi con l’azienda, si è visto costretto a licenziarlo. Dopo una permanenza ormai stabile in Italia, l’uomo non ha potuto rinnovare il permesso di soggiorno, e ora trascorre i suoi giorni nel Cie gradiscano. Giuseppe Pisano

CIE DI GRADISCA: nuovo tentato suicidio

Dal Piccolo del 16/11/12

13/11/12

Ospite del Cie tenta il suicidio per fuggire

 

GRADISCA Nuovo tentativo di suicidio al Cie. Con annessa fuga.. Protagonista dell’episodio un, 31enne tunisino. L’uomo nei giorni era stato ricoverato d’urgenza all’ospedale di Gorizia dopo avere ingerito un’enorme quantitativo di farmaci. Successivamente al ricovero, dove è stato sottoposto al trattamento della lavanda gastrica, l’uomo è riuscito a darsi alla macchia. Ma la sua fuga è durata meno di 48 ore. È stato intercettato domenica e tradotto nuovamente al Cie. Come noto quella di ottenere il ricovero ospedaliero è una delle soluzioni più utilizzate per tentare in qualche modo di ritrovare la libertà. Pur essendo sottoposti a regime di detenzione amministrativa, infatti, gli “ospiti” non sono piantonati all’ospedale e così per loro è molto più semplice sfuggire ai controlli. Quella del tunisino comunque pare una vicenda piuttosto particolare. L’uomo è approdato al Cie dopo avere già affrontato il trattenimento nei centri di espulsione di Trapani e Torino. Avrebbe tentato l’insano gesto dopo l’ennesima udienza di proroga al suo trattenimento, durante la quale era stato rigettato un certificato – rilasciato dallo stesso personale sanitario del Cie – che attestava i disturbi mentali dell’uomo e le sue gravi crisi depressive. A denunciare il fatto è il legale del tunisino, coniugato (attualmente separato) con una cittadina italiana residente a Forlì dalla quale ha avuto una figlia, anch’essa cittadina italiana. «Quello che non mi spiego – riflette il legale – è anzitutto cosa ci faccia al Cie una persona alla quale è stata diagnosticata una patologia seria. Secondo, va fatta chiarezza sulle modalità di somministrazione dei farmaci». (l.m.)

CIE DI GRADISCA: autolesionismo senza fine

Rassegna stampa del 18/11/12

Il Piccolo

Gli “ospiti” del Cie ingoiano vetri e pile per tentare la fuga

di Roberto Covaz GRADISCA Telecomandi della tv smontati per estrarre le pile e inghiottirle. Micidiali cocktail di psicofarmaci capaci di stendere anche un elefante. Pezzi di vetro ingeriti come se fossero una crostata. Cosa non si fa al Cie di Gradisca per cercare la fuga verso la libertà? Sono testimonianze che mettono i brividi quelle che filtrano dal Pronto soccorso di Gorizia, dove praticamente ogni giorno si fronteggiano emergenze sanitarie causate da clamorosi gesti di autolesionismo degli ospiti del centro identificazione ed espulsione. «Un carcere, peggio di un carcere», ha definito il Cie, recentemente, Valerio Spingarelli, presidente nazionale delle Camere penali, reduce dalla prima visita in un Cie concessa agli avvocati. A valicare il portone grigio del centro di Gradisca sono stati in pochi negli ultimi anni. Parlamentari, soprattutto. Le informazioni di quanto avviene nell’inferno del Cie sono indirette. Ecco allora che quanto emerge dal Pronto soccorso goriziano aiuta a delineare con maggior dettaglio l’orrore che quotidianamente si dive dentro a quelle quattro mura. Gli ospiti sono disposti a tutto pur di cercare di evadere. Lo strumento più ricorrente è farsi ricoverare d’urgenza al Pronto soccorso. Non si contano i casi di sparizione di extracomunitari finiti all’ospedale. Non per cure banali, ma per interventi disperati, da terapia intensiva. Ingerire la pila di un telecomando, nel caso fuoriesca il liquido corrosivo contenuto all’interno, può provocare una morte atroce. L’organismo può essere letteralmente consumato dall’acido. Si possono creare dei veri e propri fori come se il poveretto fosse stato attraversato da un grosso calibro. E il vetro? Proviamo solo a immaginare come si possa ingoiare un pezzo di vetro. Il viaggio che questo materiale percorre nella faringe, nell’esofago, nell’intestino provoca ferite paurose. Eppure lo fanno, i disperati del Cie. Perché la libertà non ha prezzo. Ora i telecomandi delle tv non sono più in dotazione agli ospiti. Che invece avrebbero – ma le informazioni non sono di prima mano – un accesso agli psicofarmaci meno semplice di quanto si possa supporre. Il taglio delle vene non fa più notizie nella drammatica contabilità del Cie. Nel centro di Gradisca sono tutti vittime. A cominciare dai dipendenti della Connecting People, la società trapanese che dal 2008 gestisce il Cie e il Cara dal 2009. Il tema della gestione è complesso e ha alimentato una lunga vicenda processuale. I dipendenti non percepiscono lo stipendio da tre mesi. La Prefettura di Gorizia si sarebbe impegnata a sbloccare entro fine mese parte della somma dovuta all’ente gestore per i servizi prestati all’interno dell’ex caserma Polonio. Tre mesi senza paga sono tanti. Una situazione del tutto nuova – sinora il differimento al massimo era stato di qualche settimana – che ha gettato nello sconforto i già esasperati dipendenti. Oltre alle difficoltà di un lavoro logorante e a volte estremamente pericoloso, gli operatori si sono spesso trovati a fare i conti con un’enorme incertezza sul proprio futuro. Connecting People aveva motivato la mancata erogazione degli stipendi con la mancanza di liquidità derivante dai ritardi nei trasferimenti del denaro dovuto dallo Stato (via Prefettura di Gorizia) per i servizi previsti dal contratto di appalto. A tentare di riportare il sereno è ora un comunicato aziendale della stessa Connecting People, che in queste ore ha informato i dipendenti dell’esito di un vertice tenutosi fra il Prefetto di Gorizia, Maria Augusta Marrosu, e il presidente del consorzio siciliano, Giuseppe Scozzari. Il periodo dei mancati pagamenti dovuti a Connecting People dall’Ufficio territoriale del governo sarebbe, secondo la nota, compreso fra l’aprile del 2011 e l’ottobre di quest’anno. Ciò avrebbe generato alla società «la sofferenza finanziaria e il conseguente ritardo nel pagamento a fornitori e dipendenti». Le parti avrebbero convenuto sull’indifferibilità della messa a dispisizione di almeno l’80% del credito maturato da Connecting People. (ha collaborato Luigi Murciano)

 

Messaggero Veneto

Immigrato in coma per un “cocktail” di psicofarmaci

Assume un cocktail di psicofarmaci e finisce in coma al pronto soccorso di Gorizia. Protagonista della vicenda un ospite del Cie, che ha ingurgitato in un colpo solo una miscela quasi letale, fra intere confezioni di pastiglie e due flaconi di Xanax. È rimasto in osservazione due giorni, poi, grazie alle cure prontamente prestate dall’équipe medica, è stato dimesso. I ricoveri di ospiti del Cie all’ospedale di Gorizia sono estremamente frequenti. Nell’ultimo periodo, però, si sono diradati, come precisa Giovanni Sammito del Siulp. «Al di là dei ricoveri per un’effettiva emergenza sanitaria – sottolinea Sammito – si sono verificati spesso episodi di autolesionismo, il più delle volte finalizzati a procurarsi un’eventuale via di fuga. Non succede solamente a Gradisca, ma in tutti i Cie d’Italia». Qualche mese fa, per esempio, quando c’erano i lavori in corso, gli ospiti del Cie ingollavano bulloni. Un’altra tecnica consiste invece nel rompere le strutture in plexiglass e strusciarle a lungo contro le sbarre o sul pavimento fino a limarle, in modo che non danneggino gli organi interni quando le ingeriscono. Quindi le ingoiano e poi chiedono di essere portati al pronto soccorso. «Dato che evadere dal Cie è molto difficile – prosegue Sammito – si procurano apposta un malessere per farsi portare in ospedale, dove fuggire invece è più semplice. In passato è capitato che la fuga riuscisse. Addirittura qualche anno fa un immigrato trattenuto al Cie ha tentato di lanciarsi fuori dall’ambulanza in corsa. Stando dentro la struttura a lungo, si ingegnano a trovare nuovi sistemi. Questo ci riporta, però, alla questione dei tempi di trattenimento. Quando nacquero i cpt, centri di permanenza temporanea, istituiti con la legge Turco e Napolitano, il tempo massimo di permanenza per l’identificazione era stato fissato in 15-30 giorni. Poi, con il susseguirsi delle normative, i tempi si sono via a via allungati, fino ad arrivare ora a un massimo di 18 mesi. Più tempo stanno all’interno dei Cie, più tempo hanno di organizzarsi, di conoscersi fra loro e quindi di mettere in atto tentativi di fuga collettivi. Ai tempi dei disordini, quando bruciavano i materassi, si erano create vere e proprie bande interne». (i.p.)

 

CIE DI GRADISCA: dipendenti alla fame

Dal Piccolo

04/12/12

Gradisca, i lavoratori del Cie danno l?ultimatum all?azienda

GRADISCA Giovedì alle 12. È questa la “deadline” fissata dai dipendenti del Cie e del Cara di Gradisca per avere notizie sui propri stipendi. I lavoratori della Connecting people si sono riuniti in un locale pubblico per urlare la propria esasperazione. Erano in tanti, circa 40, in rappresentanza di tutti i settori: operatori, magazzinieri, lavoratori della mensa, personale sanitario, amministrativi e direzione. Gli altri (in tutto sono una settantina) hanno continuato a garantire il servizio nei due centri. Una riunione spontanea, un confronto sul da farsi “partito dal basso”, come hanno voluto definirlo: senza colori politici e senza coinvolgere i sindacati, perlomeno in questa fase. Qualcuno, anzi, ne denuncia la “totale assenza”. E almeno in due ci raccontano di essersi sentiti caldamente sconsigliare la presenza alla riunione, se non addirittura “di essersi sentiti minacciati” del rischio di perdere il lavoro. I fatti sono noti: la coop è in ritardo di tre mensilità. La mancanza di liquidità deriva dal fatto che, a sua volta, il consorzio di Trapani avanza dei crediti dalla Prefettura per la gestione del centro. Emergono storie di grave disagio: «C’è chi non mangia da tre giorni», come un ragazzo straniero che se ne sta triste in disparte. E c’è chi non può permettersi l’assicurazione dell’auto «e viene a lavorare rischiando quotidianamente il sequestro del mezzo». «Sul mio conto ho 90 centesimi e una famiglia da mantenere». E ancora: «Questo è un lavoro logorante, non possono trattarci come fantasmi». I dipendenti ricevono la visita del direttore della Caritas diocesana, don Paolo Zuttion. «Gli sono vicino – dice – Moltissimi ci contattano quotidianamente per le loro necessità. Soprattutto i tanti dipendenti stranieri che non hanno una rete familiare cui affidarsi». Per ora si chiedono risposte. Poi si vedrà se lo stato di agitazione diventerà qualcos’altro. Un documento è stato inviato al cda della Connecting People per ottenere spiegazioni entro giovedì. Il giorno dopo i lavoratori si riaggiorneranno per capire quali iniziative intraprendere in caso di risposte negative. Lo sciopero sembra strada ostica: si configurerebbe come interruzione di servizio. Compare un documento, che certifica un mandato di pagamento da 1 milione circa, datato 28 novembre. Con quei soldi potrebbe essere garantita ai lavoratori almeno una mensilità. Ma è una consolazione che non basta a nessuno. «È più o meno il 20% di quanto ci spetta, 4 volte meno di quanto ci era stato prospettato dopo un incontro fra azienda e Prefettura». Luigi Murciano

 

03/12/12

Sciopero dei lavoratori del Cie «Vogliamo i nostri stipendi»

Cie di Gradisca nel caos. E oggi scatta una manifestazione per dire basta ai continui ritardi nel pagamento degli stipendi, alle scarse condizioni di sicurezza, alle incertezze sulla gestione. Niente colori politici, niente rappresentanze sindacali. I lavoratori si troveranno spontaneamente per denunciare una situazione divenuta insostenibile. «Senza un centesimo in tasca a fronte di ore e ore di straordinari – si legge in una nota – e dopo aver visto passare in rassegna politici, amministratori e funzionari dello Stato e delle organizzazioni sindacali viviamo ora la prospettiva che i tempi si possano allungare considerato anche che ci sono in corso scontri giudiziari e proroghe sulla gestione di Cie e Cara. Incertezze che ormai toccano i due anni tra lungaggini e pastoie burocratiche che coinvolgono persino le ditte che dovrebbero metterere in sicurezza una struttura che fa acqua da tutte le parti». Alle 14.30 i lavoratori si incontreranno nel parcheggio del centro commerciale “La Fortezza” di via Udine. «Vogliamo i nostri stipendi e li vogliamo tutti – conclude la nota – Questo è il nostro unico fine. Non vogliamo più promesse e peggio imposizioni rasenti i ricatti che subiamo ogni giorno». Il ritardo nel pagamento dei salari agli operatori delle due strutture per migranti di Gradisca ha toccato ormai i 4 mesi. Una situazione del tutto nuova – sinora il differimento al massimo era stato di qualche settimana – che ha gettato nello sconforto i già esasperati dipendenti della Connecting People, la coop trapanese che gestisce il Cie dal 2008 e il Cara dall’anno seguente. Oltre alle difficoltà di un lavoro logorante e a volte estremamente pericoloso, gli operatori si sono spesso trovati a fare i conti con un’enorme incertezza sul proprio futuro. Connecting People aveva motivato la mancata erogazione degli stipendi con la mancanza di liquidità derivante dai ritardi nei trasferimenti del denaro dovuto dallo Stato (via Prefettura) per i servizi previsti dal contratto di appalto. A tentare di riportare il sereno è un comunicato della stessa Connecting People, che due settimane fa ha informato i dipendenti dell’esito di un vertice tenutosi fra il Prefetto Marrosu, e il presidente del consorzio Giuseppe Scozzari. Il periodo dei mancati trasferimenti sarebbe, quello compreso fra l’aprile del 2011 e l’ottobre di quest’anno. Ciò avrebbe generato alla società «la sofferenza finanziaria e il conseguente ritardo nel pagamento a fornitori e dipendenti». Le parti avrebbero convenuto sull’indifferibilità della messa a dispisizione di almeno l’80% del credito maturato da Connecting People. (l.m.)