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Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
DECINE DI MIGLIAIA DI PERSONE A MANIFESTARE IN VALSUSA
Misure da campo di concentramento, da apartheid, da colpo di Stato. Questo infatti è quello che sta succedendo in Valsusa per fermare la rabbia popolare. E’ il Golpe della “mafia politica” che va da Fassino a Berlusconi passando per Maroni e Castelli e dalla quale non si deve escludere nemmeno Di Pietro. La sinistra poi si oppone per modo di dire, ma non è mai stata veramente contraria alla TAV e al Corridoio 5.
a cura del “Gruppo per l’Ecologia Sociale”
La dirette autogestite 01 | 02 | 03 | 04
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Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
E’ solo l’inizio di una battaglia che si può e si deve vincere; qui si mette in ginocchio l’intero sistema mafioso che governa l’italia e non solo berluskoni
Seguono le dirette di movimento e le rassegne stampa
Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
Il Piccolo del 05/07/11
«I violenti c’erano, ma erano i caschi blu»
di Giovanni Tomasin TRIESTE A loro la solita storia, quella dei manifestanti buoni e di quelli cattivi che attaccano la polizia, proprio non va giù. Luca Tornatore, esponente della Casa delle culture di Trieste che con una cinquantina di attivisti della regione ha partecipato al corteo No Tav in Val di Susa, racconta in presa diretta il punto di vista dei contestatori: «Si parla di “black bloc”, ma è un’etichetta che non significa nulla – dice -. Non ci sono spaccature nel movimento perché nessuno, fra i manifestanti, è andato in Val di Susa con intenti “militari”». La divisione dei cortei in più tronconi, spiega, era pensata a tavolino per ragioni pratiche: «Anni d’esperienza ci hanno insegnato che in questi casi la reazione delle forze dell’ordine è estremamente violenta – spiega -. Allora ci siamo divisi in tre gruppi: in uno abbiamo concentrato i sindaci, gli anziani, i bambini, nella speranza che la polizia non si accanisse». Ma per tutti e tre, quello sulla strada e quelli nei boschi, l’obiettivo era lo stesso: «Riappropriarci del cantiere della Maddalena, sgombrato lunedì scorso, smantellando la recinzione. Nessuna violenza, era un atto simbolico. Purtroppo, puntuale come sempre, è arrivata la reazione delle forze dell’ordine». Tornatore racconta episodi che domenica rimbalzavano su tutti i siti No Tav: «Appena ci siamo avvicinati polizia, carabinieri e guardia di finanza hanno sparato un mare di lacrimogeni ad altezza d’uomo – ricorda -. Ad un certo punto hanno iniziato a tirarci addosso dei sassi dall’alto. Ci contestano perché indossiamo il casco: lo facciamo perché sappiamo cosa fa la polizia, sappiamo che se un candelotto ti arriva in faccia ti ammazza». Tornatore cita la testimonianza di Fabiano Di Berardino, il militante che racconta di essere stato picchiato per ore dalle forze dell’ordine: «Se tu stai cercando solo di buttar giù una rete e loro reagiscono così, tu devi difenderti – dice -. Anche a me piacerebbe fermare i violenti. Il problema è che i violenti sono i caschi blu. Noi non cerchiamo lo scontro, a nessuno piace rischiare la pelle». Le ragioni della protesta, dice, sono ben altre: «I referendum l’hanno dimostrato. Non siamo più disposti a vendere la nostra vita, per di più al ribasso. La Tav è un progetto vecchio di vent’anni, costosissimo, e nessuno tra i suoi sostenitori ha mai risposto alle critiche lucidissime avanzate dalla gente ma anche da tanti tecnici. Alle richieste di dibattito pubblico hanno sempre risposto con il mantra generico del “progresso”. Il vero assedio lo fanno loro».
Messaggero Veneto
05/07/11
No Tav, manifestanti anche dalla città Ugl: ora leggi speciali
Aderenti a Iniziativa libertaria hanno partecipato domenica alle manifestazioni “no Tav” in Val di Susa. «Ci hanno raccontato – afferma una nota del gruppo – di candelotti con gas cs, bandito ovunque e considerato cancerogeno ma utilizzato solo in Italia, di candelotti sparati ad altezza d’uomo, da proiettili di gomma rivestiti d’acciaio, di aria satura ed irrespirabile e ancora di una ragazzo gravemente ferito per essersi preso un lacrimogeno al fianco. Con la violenza lo Stato ha tentato di terrorizzare tutti ma non c’è riuscito. A solo una settimana dall’invasione dei 2 mila soldati, domenica c’è stata un’altra memorabile lotta dei resistenti valligiani che applaudivano dai cavalcavia i giovani che rischiavano rispondendo con il coraggio ai “robocop” senza cuore e smentendo chi ha tentato da subito di dividere in buoni e cattivi. Questo – conclude la nota – è il “vento nuovo”, l’unico, che noi sentiamo e sosteniamo». Di diverso parere l’Ugl della Polizia di Stato che chiede, invece, di procedere per tentato omicidio contro gli autori delle violenze sulle forze dell’ordine. «Ci troviamo di fronte non più ad una situazione di ordine pubblico – afferma il vice segretario nazionale Raffaele Padrone – ma ad un vero e proprio assalto all’uomo in divisa, che non possiamo più affrontare con i mezzi attuali se non a costo di numerosi feriti e con il rischio di avere delle vittime. A fronte degli oltre 150 feriti in pochi giorni, chiediamo di “militarizzare” il territorio e di usare leggi speciali che consentano il proseguimento dell’opera. Bisogna inoltre intervenire fermando all’origine i gruppi sovversivi come per i tifosi violenti degli stadi con apposite leggi visto che, come dimostrato, i violenti sono sempre gli stessi già denunciati in passato e mai domi dal compiere reati».
04/07/11
Scritte anti-Tav lungo il ring
Vai a capire le forme della solidarietà: per sostenere la lotta anti-Tav in Val Susa e salvare l’habitat dall’alta velocità, hanno imbrattato i muri a Pordenone. La sigla dell’anarchia, è stata fissata con lo spray sulla facciata di una casa che affaccia sul ring, di fronte al parco Galvani. Ma le paternità, in questi casi, sono difficili da stabilire. «La lotta no-Tav è la nostra lotta: in Piemonte e in Friuli». Dopo i presidi in Val di Susa, quello di Pordenone aveva alzato le bandiere in città, con Iniziativa libertaria e Cobas in piazzetta Cavour. Hanno detto no, in 150 minuti di sit-in, all’alta velocità ferroviaria a forte impatto ambientale. «Solidarietà alla Val di Susa che lotta contro la Tav – era in piazza Stefano Raspa con anarchici e Comitati di base -, a Piomonte e Chiomonte. Se riaprono i cantieri, il disastro potrebbe arrivare anche nella Bassa friulana sull’asse Venezia-Trieste attraversando il Carso e lambendo, forse, alcuni paesi del Sanvitese. L’alta velocità è insostenibile sotto il profilo geologico: il caso Mugello, insegna»
Gazzettino di Pordenone
Martedì 5 Luglio 2011,
«Noi al fronte dei No Tav»
Quattordici persone da Pordenone alla manifestazione in Val di Susa
C’erano anche quattordici pordenonesi domenica in Val di Susa, arrivati a Venaus alcuni già il sabato mattina alle 5, altri nel pomeriggio dello stesso giorno. Raccontano di un serpentone umano unitario e solidale; negano l’immagine passata dai media che vorrebbe due cortei divisi, l’uno buono, l’altro violento animato da black bloc.
Sono in due a parlarne: Emiliano Marra e Gianluca Greco, che assieme agli altri dodici, tutti vicini al movimento di Iniziativa Libertaria, sono partiti per il Piemonte. Dicono di non aver partecipato agli scontri violenti, ma dalla strada principale che va a Chiomonte, stando in mezzo del corteo, hanno visto quanto accadeva nei boschi e poi attorno alla centrale elettrica.
«Nessuna organizzazione squadrista o militarizzata – affermano – È stata una reazione violenta dopo gli sgomberi di lunedì 27. Abbiamo assistito alle riunioni di sabato sera, gli aspetti organizzativi riguardavano solo come strutturare il corteo».
Parlano di una “mitologia dei black bloc”, descrivono una guerriglia continua, a volto scoperto, nei boschi a partire già dalle 11 di domenica per creare un diversivo e distogliere l’attenzione delle forze dell’ordine e poi alla centrale, dalle 15, dopo che il grosso del corteo era già sceso verso il paese.
«Al mattino al bivio per Ramats – spiega Marra – gli organizzatori davano indicazioni su come il corteo si sarebbe sviluppato. Chi avesse voluto, sarebbe potuto salire nei boschi, ma solo chi era attrezzato con scarpe da montagna. Quanto alle maschere antigas, quelle che ho visto erano delle semplici protezioni bianche in plastica, forse una seria con il doppio filtro. Bombe carta, spranghe o sassi, c’erano, ma vanno ricondotti a iniziative individuali; la cosa più falsa é che ci sia stato un assetto paramilitare».
Spiegano come si é sviluppata la manifestazione, di come i valsusani fossero compatti: «Sono persone che hanno già perso tutto e che non hanno protestato contro i manifestanti violenti». Bambini, anziani, cattolici militanti, addirittura gruppi di preti e suore raccolti in alcuni momenti anche di preghiera, sindaci dei Comuni della Valle, gli anarchici piemontesi, tutti nel corteo principale, sul ciglio della strada a mangiare e «a osservare le traiettorie di lacrimogeni, i cui fumi arrivavano a centinaia di metri, ma anche di proiettili di gomma. Con gli organizzatori che ci distribuivano acqua e limoni da spalmarsi addosso per lenire gli effetti del gas lacrimogeno Cs».
Intanto ieri sera qualche decina di persone ha manifestato a Trieste contro il progetto dell’alta velocità in segno di solidarietà con i movimenti «No Tav» del Piemonte. La manifestazione si è svolta pacificamente ai piedi del municipio in Piazza dell’Unità d’Italia. I partecipanti hanno sventolato le bandiere No Tav e scandito slogan contro l’inutilità dell’opera infrastrutturale.
© riproduzione riservata
Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
Cosa diranno a questo proposito Berluskoni, Maroni, Bersani, Fassino, nonché Grillo e Napolitano …
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Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
Il piccolo del 08/07/11
Torino-Lione, Bruxelles taglia i fondi
BRUXELLES I fondi comunitari assegnati alla Torino-Lione subiranno un’ulteriore sforbiciata a causa dei ritardi nei lavori. A dirlo è il commissario europeo ai Trasporti, Siim Kallas, che conferma tuttavia l’impegno di Bruxelles per la realizzazione dell’opera. Il giorno dopo la riunione della conferenza intergovernativa tra Italia e Francia in cui sono stati fatti passi avanti nel negoziato ma non è stata conclusa l’intesa sulla ripartizione dei costi dell’opera, la Commissione europea si dice tuttora pronta sostenere i due Paesi per il completamento della linea ad alta velocità. È uno dei principali corridoi di trasporto europeo, considerato fondamentale – spiega Bruxelles – per il collegamento tra la penisola iberica e l’Europa centrale. Ma il mancato rispetto dei tempi nell’esecuzione dei lavori farà salire, probabilmente anche in maniera sostanziosa, l’entità del taglio ai fondi Ue, dopo la sforbiciata di 9 milioni di euro già messa a segno con l’ultima revisione dell’andamento dei progetti transeuropei di trasporto nell’ottobre 2010. La Commissione europea, ha ricordato Kallas rispondendo alle domande dei giornalisti, si era impegnata a concedere 671 milioni di euro di co-finanziamenti per la realizzazione della Torino-Lione, ma l’accordo «prevedeva – ha precisato il commissario – che se i finanziamenti non fossero stati assorbiti entro il 2015 ci sarebbero stati dei tagli». È chiaro che ora «ci sarà qualche difficolta», ha messo in guardia Kallas, aggiungendo di ritenere «realistico che ci saranno dei tagli». Quanto alla cifra, il commissario e anche i suoi collaboratori, hanno più volte affermato di non poter indicare oggi l’entità, rinviando al prossimo autunno quando sarà rivista la decisione sul finanziamento, alla luce dei ritardi accumulati
Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
di seguito un articolo di commento e analisi della situazione valsusina, in uscita sul numero
di umanità nova di questa settimana. www.umanitanova.org
Val Susa. Fumo e aria fresca
Domenica 3 luglio, Val Susa. Un’altra pagina della nostra storia fatta
delle mille storie individuali che si intrecciano e si moltiplicano.
Lo striscione dei bambini che apre il corteo, la banda che suona, gli
striscioni, il popolo delle mille resistenze d’Italia che si mescola in un
grande corteo. Così grande che le menzogne della Questura saranno più
sfacciate del solito. Tanta gente con un unico grande obiettivo: stringere
d’assedio il fortino costruito alla Maddalena dalle truppe di occupazione.
Chi ha spezzato le barricate della Libera Repubblica, chi ha voluto
imporre con la forza militare il proprio dominio deve sapere che non potrà
lavorare in pace, che verrà contrastato giorno dopo giorno dai No Tav,
finché se ne andrà.
Il corteo si snoda per ore da Exilles lungo la statale e di lì in discesa
in mezzo ai piloni dell’autostrada sino alla barriera di acciaio e filo
spinato piazzata all’ingresso della salita verso la Maddalena, poco dopo
la centrale idroelettrica. C’è anche lo spezzone rosso e nero degli
anarchici sociali, che a centinaia hanno risposto da tutt’Italia
all’appello per la manifestazione, dividendosi tra il corteo e l’assedio
dai tanti sentieri. Nei giorni precedenti in moltissime città avevano dato
vita ad iniziative di solidarietà e sostegno alla lotta in Val Susa.
Quando il corteo arriva alla centrale molti No Tav si fermano nei boschi,
mangiano e si preparano all’assedio, altri si dispongono lungo la strada
che sale al paese di Chiomonte, altri ancora raggiungono il campo sportivo
dove si conclude la parte di manifestazione cui hanno aderito anche
sindaci ed amministratori.
Chi se la sentiva è sceso dai sentieri, gli altri hanno scelto la strada:
ma la giornata è di tutti.
L’assedio va avanti per ore ed ore. I No Tav scendono dai sentieri e
premono contro le reti. Scendono dalla Ramats, si affacciano da Giaglione,
attraverso la via delle Gorge. Anche alla Centrale, una volta defluito il
corteo dove tanti hanno scelto di portare i propri bambini, comincia la
pressione contro le recinzioni.
In tanti hanno imparato la lezione impartita a suon di gas e manganellate
durante l’attacco di polizia alla Libera Repubblica: chi si è comperato la
maschera antigas, chi quelle semplici da ospedale, chi si limita ad un
fazzoletto bagnato. Tutti hanno i limoni, le pastiglie di Malox da
sciogliere, il ventolin. Caschi di tutte le fogge difendono il capo dei
manifestanti: chi indossa quelli da cantiere, chi mette quelli da moto o
da bici: gli alpinisti si distinguono per il materiale tecnico usato da
chi arrampica.
Nonostante le protezioni, al termine della giornata i feriti saranno
tantissimi, impossibile contarli tutti, perché solo i più gravi vanno in
ospedale: gli altri vengono curati sul posto da medici e infermieri No
Tav. Qualcuno va su con in faccia i segni dei colpi ricevuti la settimana
precedente.
La baita dei resistenti, a margine del borgo Clarea, viene ripresa dal
corteo partito da Giaglione e si trasforma in ospedale da campo.
I poliziotti diranno di aver avuto 200 feriti: una dottora del CTO,
intervistata dal TG3 dichiarerà che tanti sono scivolati o sono vittima di
malori da caldo e stress. Si fa davvero fatica a provare compassione per
questi servi sciocchi e crudeli, ma chi ci riesce dimostra la diversa
qualità morale che oppone i resistenti ai lanzichenecchi del governo.
L’assedio va avanti per ore ed ore: dalla mattina sino a sera. Chi si
affaccia alle reti viene accolto da un fitto lancio di lacrimogeni CS,
un’arma da guerra, che altrove è stata bandita dalle manifestazioni. I
colpi spesso sono diretti sulle persone con effetti devastanti. I feriti
più gravi sono centrati da lacrimogeni sparati a distanza ravvicinata.
Come se non bastasse poliziotti e carabinieri lanciano sassi: li tirano da
dietro la recinzione, li scagliano dall’autostrada sui manifestanti che
stanno sotto.
Chi può si difende e tira a sua volta sassi. La lotta è impari, ma i
resistenti non mollano. Sui fronti di Ramats, Giaglione e della Centrale i
No Tav continuano per oltre sei ore il loro assedio. In un paio di punti
la recinzione cede alla pressione. La polizia continua a gasare: i
manifestanti arretrano ma poi tornano ad avanzare. La forza delle proprie
ragioni è più tenace della ragioni della forza bruta.
Chi cade in mano alle truppe dello Stato viene offeso e torturato. Un
ragazzo, con un braccio spezzato mentre cercava di difendere il capo dalle
manganellate di una decina di energumeni che lo pestavano a terra,
racconta di una giornata di umiliazioni e paura. Disteso su una barella
continua ad essere colpito da calci e pugni: un colpo di spranga gli
spezza il naso, è innaffiato da un bicchiere di orina. Ben tre ambulanze
vengono mandate indietro: resta senza cure in una barella al sole per
oltre tre ore.
Un carabiniere, anche lui scivolato e caduto in terra, viene abbandonato
dai propri camerati: saranno i No Tav a riportarlo tra i suoi.
Quattro manifestanti vengono arrestati e condotti nel carcere di Torino.
Maroni, i cui uomini hanno ferito, torturato ed offeso pretende che i
resistenti siano accusati di tentato omicidio.
Durante le lunghe ore dell’assedio la gente che per età o per salute non
ce la fa ad essere in mezzo ai boschi non si allontana, e sostiene con
passione chi è in prima fila nell’assedio. Alla Baita i feriti sono
accolti da applausi e urla di sostegno; dai curvoni che salgono a
Chiomonte la gente grida forte quando arriva la notizia che una rete è
saltata. Alcuni tentano anche una sortita dal fiume per dare man forte a
chi resiste più in alto.
Il giorno successivo i giornali racconteranno un’altra storia, ripetendo
un copione già scritto e usurato da anni: la litania della gente pacifica
e dei cattivi Black Bloc, l’opposizione tra i tranquilli valligiani e i
professionisti venuti da fuori.
Politici e politicanti per un momento si illuderanno di poter finalmente
spezzare il movimento, dividendo tra buoni e cattivi, tra pacifici e
violenti. Ma si sbaglieranno. Una comunità resistente, una comunità che si
è reinventata tale sfuggendo alle trappole dei media, imparando a capire
da se come stanno le cose, una comunità che tante volte ha assaggiato
sulla propria pelle la violenza dello Stato, non si fa abbindolare tanto
facilmente.
La gente dei boschi e quella della strada è la stessa gente, le stesse
facce, la stessa storia fatta delle mille storie di ciascuno di noi.
Nella conferenza stampa indetta il giorno dopo a Chiomonte verrà detto
forte e chiaro: nei boschi e sulle strade non c’erano Black Bloc, c’era
una comunità resistente, che si è difesa dagli attacchi riuscendo a
riprendersi la Baita e buttando giù, qua e là, la rete.
Sono passati dieci anni da Genova. Il sole estivo a tanti ricorda
quell’altro luglio, quando il movimento contro la globalizzazione perse la
sua grande occasione. Era il momento giusto per tessere a trama fitta
fitta una rete solidale tra chi lotta per un mondo dove lucro,
sfruttamento, disuguaglianza, comando scompaiano, divengano parole
cancellate dal lessico comune, relegate tra i residui di un passato da
dimenticare.
Un obiettivo importante che non si seppe centrare, perché chi si candidava
al governo dell’opposizione, chi voleva far leva sui movimenti per
costruire le proprie carriere politiche, chi parlava di municipalismo ma
finiva con il candidare i propri uomini nelle liste di centro sinistra,
non poteva permettere troppa autonomia ai movimenti.
Fecero male i propri conti, perché il vento stava cambiando in peggio:
qualcuno raccattò una poltrona, altri restarono a mani vuote.
D’altra parte i militanti più radicali nella pratica non seppero aprire
interlocuzioni sui contenuti, oltre che sulla prassi. E la prassi, scissa
da una forte progettualità autogestionaria, non indica altro che se
stessa. E in se stessa si esaurisce.
La criminalizzazione in questo contesto divenne sin troppo facile.
I media inventarono favole cattive per tenere buoni ed obbedienti i
bambini e troppi adulti pensarono che fossero vere. I buoni e i cattivi,
chi era dentro e chi era fuori. La barriera di carta e menzogne di quel
luglio divenne ben così alta e robusta che ancora oggi soffoca.
Le botte, i gas, le torture, gli insulti, gli inermi massacrati per le vie
di Genova e nelle caserme degli uomini dello Stato quasi passavano in
secondo piano. I cattivi in nero divennero l’alibi che quasi giustificò la
violenza di polizia e carabinieri, la feroce repressione compiuta dal
governo Berlusconi ma preparata dal governo D’Alema.
Ma Genova, dopo dieci anni non possiamo non riconoscerlo, era soprattutto
un enorme palcoscenico. I potenti della terra riuniti in una città ridotta
ad avamposto di frontiera tra uomini in armi e, intorno la folla
eterogenea, molteplice venuta a rovinarne la festa, a mettere in luce la
trama feroce di chi governa un mondo attraversato da ingiustizie
intollerabili.
Poi venne l’11 settembre, la guerra permanente contro il terrorismo, e
quel movimento piano piano si esaurì. L’opposizione alla guerra non seppe
mai farsi movimento vero, capace di mettere in difficoltà chi bombardava
in nome della democrazia. Quella guerra non è mai finita. Ed è anche
nostra responsabilità non averla saputa fermare.
In questo luglio, tra i piloni dell’autostrada e i sentieri ripidi della
montagna, dove la valle si stringe e dirupi si fanno scoscesi, abbiamo
scritto un’altra storia.
Non per caso.
Vent’anni di lotta, di autogestione, di continuo interrogarsi sul come e
il perché hanno dato i loro frutti. Un movimento che rifugge la violenza,
perché la violenza è quella feroce degli Stati, degli eserciti, delle
guerre, sa che quando si viene attaccati e invasi occorre difendersi.
L’etica della convinzione e quella della responsabilità si coniugano e
raggiungono un felice equilibrio quando si radicano nella prassi
quotidiana di un movimento fatto di tante anime e tante diverse
sensibilità.
Le reti devono andare giù, la terra deve essere difesa. È una questione di
dignità. Niente di tutto questo è legale, ma contro chi fa guerra, chi
sfrutta, chi tortura, chi invade e ferisce, ribellarsi è sempre giusto.
Genova è lontana, lontanissima. Anche allora c’era chi scelse di fuggire
lo spettacolo, mirando a coniugare radicalità e radicamento. Una scelta
che oggi a dieci anni di distanza mostra tutta la propria forza.
Ci hanno intossicati di gas, ci hanno chiamati criminali, hanno riempito
di fumo il chiarore del nostro luglio. Ma non è bastato a cancellare
l’aria fresca di questo movimento.
L’assedio continua. Ogni giorno.
Maria Matteo
Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
Comunicato Stampa
dalla Valle che Resiste e Non Si Arrende, 14 luglio 2011
UNA DELEGAZIONE ISTITUZIONALE FA VISITA AL “FORTINO” DE LA MADDALENA
LA DELEGAZIONE HA CONSTATATO
CHE IL CANTIERE DELLA GALLERIA DI SERVIZIO
DE LA MADDALENA NON E’ STATO APERTO
IL GOVERNO RITIRI LE TRUPPE DI OCCUPAZIONE
E L’UNIONE EUROPEA IL FINANZIAMENTO
AL PROGETTO PRIORITARIO TEN-T N. 6 LYON – TORINO
Questa mattina una delegazione composta da Gianni Vattimo, Parlamentare Europeo delegato in questa occasione da altri cinque Eurodeputati, dal Vice Presidente e da un assessore della Comunità Montana Valle Susa e Sangone, dal Vice Sindaco di Giaglione, da una Consigliera di maggioranza di Chiomonte e da altri amministratori della Valle Susa è entrato nel “fortino” de La Maddalena di Chiomonte e vi è rimasto per circa 1,5 ore.
Non sono stati autorizzati a partecipare alla delegazione cittadini in rappresentanza del Movimento No TAV.
I giornalisti de La Stampa, La Repubblica, Il Fatto Quotidiano, Luna Nuova e Sky News non sono stati ammessi dal Questore di Torino, responsabile delle operazioni presso il “fortino” de La Maddalena di Chiomonte. Il Movimento No TAV stigmatizza questo comportamento lesivo della libertà di stampa e di informazione: la richiesta nominativa dei partecipanti era stata presentata dal deputato Gianni Vattimo secondo le regole del caso.
Ricordando anche il costo di circa 187 milioni di € all’anno – il Movimento No TAV ha richiesto l’immediato ritiro del dispositivo di sicurezza militare che fa la guardia ad un cantiere inesistente, stigmatizzando il prossimo invio di truppe alpine che formalizzerebbero ulteriormente la militarizzazione dei questo territorio.
Il Movimento No TAV rammenta che questo fortino è posto a circa mezzo chilometro dall’area del futuro cantiere della galleria di servizio al tunnel di base di 57 km della nuova linea ferroviaria Torino – Lione (Progetto prioritario TEN-T n. 6).
Gli attivisti No TAV presenti all’esterno del fortino hanno dichiarato che quando uno Stato usa la forza contro i suoi cittadini – che si oppongono da 22 anni contro quest’opera inutile e devastante – significa la sconfitta dello Stato perché ha perso la capacità di dialogare e di disegnare il futuro insieme ai suoi cittadini.
Lo sgombero forzato dei cittadini all’alba del 27 giugno che presidiavano La Maddalena da 45 giorni su un terreno regolarmente concesso dal comune di Chiomonte per il quale era stato pagato il plateatico e la gigantesca manifestazione del 3 luglio tra Exilles e Chiomonte fortemente contrastata dalle forse dell’ordine con il lancio di migliaia di lacrimogeni, hanno imposto una visita istituzionale innanzitutto per verificare se, come affermato dai media, è stato attivato il cantiere della galleria “La Maddalena” che era l’obiettivo governativo per evitare l’annunciata cancellazione del finanziamento europeo.
Il risultato dell’ispezione è stato chiaro: il cantiere non esiste, né è prossima la sua realizzazione.
Il Movimento No TAV invita i media a fare chiarezza su questo punto e ad evitare la locuzione “cantiere”. Gli unici lavori realizzati riguardano una recinzione di carattere, prettamente militare, di aree esterne ai terreni destinati al futuribile cantiere. Una mappa che dettaglia questo verità è disponibile sui siti No TAV.
La visita è stata articolata in quanto ha constatato – planimetrie alla mano – che non solo non è stato realizzato il “cantiere della galleria de La Maddalena” (come affermato dai fans dell’opera e dal Governo) ma ha esaminato le caratteristiche della caserma in termini tecnici e operativi, ha valutato l’impegno quantitativo e qualitativo degli appartenenti alle varie forze impiegate (Carabinieri, Polizia di Stato Guardia di Finanza, Forestale).
Sono state inoltre fatte con l’ing. Maurizio Bufalini di LTF sas accurate valutazioni circa l’uso degli edifici e dei terreni requisiti manu militari, delle strade di acceso e dei gravi inconvenienti alla viabilità dell’autostrada che ha sacrificato per molti chilometri una delle due corsie creando enormi code soprattutto nei rientri domenicali con grave danno al turismo dell’alta Valle Susa.
Una relazione dettagliata con fotografie e video sarà presto pubblicata nei siti No TAV.
E stato inoltre annunciato che questa non è altro che la prima di una serie di visite tecniche che saranno richieste regolarmente per valutare in ogni momento le attività che si svolgono in quel luogo con particolare riguardo al sito archeologico e alle attività agricole di questo territorio.
“né qui né altrove”
Movimento NO TAV
Una garanzia per il futuro
www.notav.info – www.notav.eu – www.notav-valsangone.eu
www.notavtorino.org – www.ambientevalsusa.it – www.lavallecheresiste.blogspot.com
Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
Violenza brutale da parte della polizia contro i No Tav
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Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
VALSUSA
L’autogestione, la resistenza, la dignità, la solidarietà
VENERDI’ 29 LUGLIO ORE 20.30
Presso la Casa del Popolo di Sottolongera
V.Masaccio 24 (bus n.35)
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Marzo 17th, 2017 — General, Val Susa
Cronache dalla Maddalena occupata
Assedio
Venerdì 22 luglio. Al presidio della centrale, dopo il ponte sulla Dora, è
il giorno dell’accerchiamento. Zaini, limoni, bottigliette di acqua e
malox, maschere antigas di tutte le fogge spuntano da ogni parte. Da una
settimana la polizia asserragliata dietro i due sbarramenti che chiudono
l’accesso alla strada dell’Avanà, spara lacrimogeni ai No Tav che cingono
d’assedio il fortino messo su dallo Stato alla Maddalena occupata.
Basta un battitura più intensa, un pezzo di rete tagliata per scatenare la
rappresaglia con idranti e gas nocivi. Ma i No Tav hanno la testa dura. Il
tam tam di movimento diffonde le notizie sulle maschere che costano meno,
su quelle che durano di più, sui posti dove comperarle. Quelle per il
verderame, mi dice una compagna, dovrebbero tenere 8 ore ma con i gas CS
dopo solo 20 minuti il filtro è da cambiare.
I più incoscienti e temerari usano mascherine da ospedale o fazzoletti
bagnati.
Alcuni passano da Giaglione, altri si incamminano sul sentiero No Tav, che
collega la “centrale” con la zona della Baita, girando intorno al piazzale
occupato. Il sentiero con tanto di segnavia “No Tav” è stato aperto,
pulito e segnato nei giorni precedenti.
Un breve scroscio di pioggia apre la serata che torna presto limpida. In
ogni angolo partono ritmiche le battiture: c’è gente sulla strada che
scende alla centrale come su quella che porta al bivio per la Ramats. Sul
sentiero “No Tav” lampeggiano centinaia di luci: un serpentone che
picchietta la montagna di lievi brillii. Alla centrale, lungo la strada e
nel fortino/pollaio in cima ci sono fari potentissimi, che illuminano a
giorno il filo spinato, i container, parte delle vigne.
La potenza debole e arrogante degli occupanti frantuma la notte, nasconde
il cielo, come nel set di un film di guerra. La guerra dichiarata dallo
Stato italiano alle popolazioni ribelli di quest’angolo di nord ovest.
Dal lato Giaglione viene acceso un falò sotto i piloni dell’autostrada,
mentre il gruppo partito dalla centrale raggiunge la gabbia. Gli uomini in
divisa sparano: una pioggia di lacrimogeni si abbatte sui No Tav, volano
sassi e scoppia qualche bomba carta. La polizia decide per l’ennesima
volta di chiudere la A32 tra Susa e Oulx.
Dalla strada che scende a Chiomonte e dal paese il fragore delle battiture
sale sempre più forte. Tutti gli sguardi sono diretti verso l’altro
versante della montagna da cui si leva un fumo denso bianco, come un
calderone.
Chi è lì ma lontano dalla mischia guarda con partecipazione e affetto. “Ma
quelli chi sono?” Saranno i poliziotti?” “No, No! quelli non escono dal
pollaio!” “Tua figlia è là? L’hai sentita?” “No, meglio di no, chiamo
dopo”.
Sento un compagno: “come stai? Tutto bene?” “Sì, adesso va bene: ci
eravamo persi, ma poi ho ritrovato il sentiero. Per poco non ruzzolavo
giù: fortuna che un altro compagno mi ha pescato al volo. Ci hanno
ammazzati di gas”.
Un fuoco d’artificio spezza la notte.
Da Kabul a Chiomonte: via gli alpini!
Sabato 23 luglio, Baita Clarea. I No Tav della rete “torino&cintura sarà
dura” si sono dati appuntamento per una giornata antimilitarista. Prima di
pranzo facciamo un giro alle gabbie e raccogliamo due borsate di bossoli
di lacrimogeni. Incrociamo forestali e poliziotti che stanno facendo lo
stesso lavoro, per far sparire le tracce della notte precedente. Insistono
per vedere le nostre carte di identità e poi si allontanano.
Intorno alle gabbie hanno sbancato con le ruspe per rendere più difficile
avvicinarsi: all’interno stazionano all’ombra dell’autostrada una
cinquantina di poliziotti e finanzieri. Un cingolato sposta qualche
jersey.
Gli alpini della Taurinense, gli ultimi arrivati nel fortino della
Maddalena, se ne stanno lontani dalle reti.
Il governo, dopo lungo tergiversare, ha deciso di impiegare l’esercito in
Val Susa. Ospitare in albergo poliziotti, carabinieri, finanzieri e
forestali costa troppo: gli alpini dormono in caserma. Dopo la guerra in
Afganistan, nei CIE della penisola o nelle periferie delle nostre città
sono pronti per la Maddalena.
Nel pomeriggio andiamo alle gabbie per un rumoroso saluto ai nuovi
arrivati: collane di fiori, bombe di coriandoli, uno striscione con la
scritta “Da Kabul a Chiomonte: via gli alpini!”.
Attacchiamo alle reti carta e plastica trasparente, dove ciascuno scrive
il proprio messaggio ai nuovi arrivati “Soldà fora d’le bale!”, “Gli
alpini attaccano la gente delle alpi”, “No a tutte le guerre!”.
Poi parte la battitura sul cancello. Una buona mezz’ora e poi si va.
Lungo la recinzione hanno chiuso col filo spinato il camminamento che
consentiva di salire alla strada asfaltata ma il modo di salire lo
troviamo lo stesso: arriviamo sulla strada dell’Avanà, apriamo lo
striscione e partiamo in corteo verso la centrale. A metà strada ci viene
incontro la polizia in assetto antisommossa, che ci spiega a gesti che non
possiamo andare oltre. Gli argomenti sono rozzi ma inequivocabili.
Arriva anche la digos: sono nervosi ed incazzati. È la seconda volta in
due settimane che, in barba a divieti e cancelli, filo spinato e guardie
armate, torniamo sulla strada che porta alla Maddalena.
Alcuni poliziotti ci scortano indietro… sul sentiero sbagliato! Quando i
tutori dell’ordine costituito decidono di salutarci, torniamo sui nostri
passi ed imbocchiamo l’erto cammino dell’andata.
Non hanno abbastanza filo spinato, né guardie armate per serrare la
montagna in una morsa: c’è sempre chi si inventa il modo di passare.
Qui trovi qualche foto della giornata:
I No Tav al corteo storico con la Gemma di Susa
Sabato 23 luglio, Susa. È in programma la sfilata storica per le strade
della città. Questa volta ci sono anche i No Tav con tanto di bandiere e
l’ultima creazione di Piero Gilardi: la sindaca di Susa in gommapiuma con
in braccio tutti i doni malefici del Tav. Assisa su un baldacchino
partecipa anche lei alla sfilata: la sindaca originale alla vista del
proprio doppio si allontana in tutta fretta.
Al termine della sfilata si accodano anche i No Tav. Sfiliamo gridando
“giù le mani dalla Valsusa!” “via le truppe di occupazione”. Molti
applaudono, gli unici fischi vengono da un gruppetto vicino ai Lazzaro e
ai Martina i due imprenditori che per soldi stanno erigendo le
fortificazioni alla Maddalena.
Si chiude in bellezza con foto ricordo davanti al palazzo del Comune.
Qui puoi vedere alcune foto della serata segusina:
Alpini del popolo, gas, un ferito grave
Domenica 24 luglio, presidio No Tav alla Centrale. I No Tav che hanno
fatto l’alpino sono tanti in Valsusa: hanno partecipato alla difesa della
Maddalena e sono presenti all’assedio, veri “alpini del popolo”. Come gli
ex arditi della prima guerra mondiale, che scelsero di opporsi al
fascismo, hanno deciso di schierarsi contro l’occupazione militare della
loro valle.
Discorsi, canti, e poi la marcia per il sentiero No Tav sino alla al
piazzale. Dall’altra parte della gabbia ci sono i reduci dell’Afganistan,
i secondini dei CIE, mercenari che hanno scelto il mestiere delle armi.
Come ogni sera, nell’area del presidio ci sono incontri, chiacchiere,
bambini che giocano. Sul primo dei due cancelli che serrano la strada
dell’Avanà comincia la battitura. Un pezzo di cancello viene giù. La
reazione dei poliziotti è immediata: sparano centinaia di cartucce di gas
CS, incuranti dei bambini, degli anziani, della folla domenicale che
mangia e beve.
La gente reagisce con composta calma. I genitori portano i bimbi lontano
lungo il fiume: ne vedo uno sui sei sette anni, il fazzolettino davanti
alla bocca, che guarda con occhi larghi il fumo denso ed acre, che poco a
poco raggiunge l’area del presidio, si insinua tra le tende, invade la
cucina. Chi l’ha indossa la maschera antigas, prende un fazzoletto
bagnato, afferra un limone. Nessuno scappa.
I ragazzi corrono, afferrano i lacrimogeni e li buttano nella Dora o nelle
bacinelle sempre pronte al presidio.
Qualcuno va sulla statale e blocca il traffico.
Un No Tav si avvicina al cancello per scattare qualche foto: gli sparano
un candelotto in faccia rompendogli il naso e la mandibola, tagliandogli
labbra e palato. Lo soccorre un medico No Tav, poi va all’ospedale di Susa
dove lo ricuciono.
Il giorno dopo La Stampa oserà scrivere che i No Tav hanno usato i bambini
come scudi umani. Dell’uomo con la faccia spaccata non farà parola.
La testimonianza di Alessandro, l’uomo ferito dal candelotto:
Carabinieri e sassi
Lunedì 25 luglio, presidio No Tav alla centrale. Una serata fredda e calma.
La notizia del giorno è l’attacco subito dalla Italcoge la notte
precedente: un camion distrutto, altri danneggiati. Naturalmente i
giornali puntano subito il dito sui No Tav, dimenticando che spesso le
ditte bollite come quella segusina subiscono attentati, che, grazie alle
assicurazioni, garantiscono loro denaro liquido.
Il giorno dopo è previsto un presidio davanti all’Italcoge: se qualcuno
spera che i No Tav rinuncino si sbaglia. Di grosso. L’assemblea del
presidio conferma l’iniziativa.
Nella notte i carabinieri sono schierati come statuine del presepe
sull’alto muraglione accanto agli sbarramenti.
Chi prova a passare sul ponte rischia una sassata: i militari ammazzano il
tempo giocando con le pietre. Niente di speciale, solo sassolini. Chi ha
l’auto al di là del ponte lo attraversa di corsa.
Collaborazionisti
Martedì 26 luglio, viale Couvert, Susa. Dalle sei del mattino circa
duecento No Tav salutano in ingresso e in uscita i mezzi dell’Italcoge,
una delle ditte che dal 27 giugno collabora con le forze del disordine
statale nel costruire il fortino della Maddalena.
Slogan, bandiere, un tappo della benzina che parte e poi torna. Su tutto
una cantilena orecchiabile che diventa subito contagiosa. “Come mai, come
mai, vi chiamate operai? Siete servi degli sbirri e non vi lamentate mai!”
Una sorta di forca caudina dove camion ed auto sono obbligate a passare,
senza tuttavia che vi sia un blocco delle partenze.
Chi collabora con gli occupanti la deve trovare dura.
Una bandiera No Tav viene issata sul pennone che svetta all’ingresso del
piazzale dell’Italcoge.
La mattinata prosegue con un presidio informativo nella limitrofa piazza
del mercato. Su un banchetto piazzato sotto lo striscione “prodotti del
Tav” vengono esposti centinaia di bossoli di gas CS. Volantini e brevi
comizi informano chi passa.
Una goccia nel mare dell’informazione al servizio del Si Tav. Una goccia
corrosiva.
Qui alcune foto scattate all’Italcoge e al mercato:
Le storie raccontate dai giornali del giorno dopo sono molto diverse.
Da mesi provano senza successo a dividere i buoni dai cattivi, i
valligiani dai facinorosi di pianura. Al di là delle diverse posizioni
politiche tutti hanno le idee chiare: i violenti, i devastatori, chi lucra
sulle vite di tutti per il profitto di pochi siede sui banchi del governo
e su quelli dell’opposizione.
Chi ordina di gasare i bambini in Val Susa è lo stesso criminale che ha
appena deciso il rifinanziamento della “missione” militare in Afganistan.
Lì i bambini non hanno scrupoli ad ammazzarli.
Maria Matteo
(questi testi, in versione riveduta, compariranno sul mensile “A”, ma
possono essere fatti circolare liberamente da chi lo desidera)
Per info:
fai_to@inrete.it
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