Pordenone e Trieste: striscioni per ricordare genova e l’assassinio di Carlo Giuliani

pncarlogiulianiA Pordenone il collettivo Pn Rebel e a Trieste il Collettivo Up-attivismo critico hanno voluto ricordare con due iniziative similari l’anniversario dei 15 anni dalla mattanza di Genova e l’assassinio di Carlo Giuliani.

Qui foto e comunicato da Pordenone e di seguito foto e comunicato da Trieste. 

20/07/2001-20/07/2016
NON C’È FUTURO SENZA MEMORIA
NOI NON PERDONIAMO, CARLO VIVE

Oggi ricorre l’anniversario della morte di Carlo Giuliani e come tutti i mesi di Luglio, da quindici lunghi anni ad oggi, questa ricorrenza riporta le nostre menti alla violenza e brutalità poliziesca di quelle caldissime giornate genovesi del 2001.
Organizzazioni come Amnesty International hanno definito i fatto del G8 di Genova come “la più grande sospensione dei diritti democratici in un paese occidentale dalla Seconda guerra mondiale” e la Corte Europea dei diritti umani di Strasburgo ci conferma che le forze di polizia operarono praticando di fatto la tortura e ogni altra procedura che, anche non solo attraverso le lesioni fisiche, si è tradotta comunque in trattamento degradante e umiliante.

Ci sono voluti quattordici anni perché venisse riconosciuto che tortura c’è stata alla scuola Diaz, la famigerata “macelleria messicana”, e ancora siamo in attesa dello stesso verdetto per le vittime di Bolzaneto.
Tortura che ancora oggi, grazie a continui rinvii delle istituzioni, non costituisce ancora reato.
Oltre alle violenze e alle torture le forze dell’ordine sono le stesse che hanno ammazzato Carlo, ucciso perchè rivendicava una globalizzazione diversa, una distribuzione giusta dell’economia e delle ricchezze mondiali, ucciso per la sua coscienza, per aver alzato la voce, ucciso perchè pensava, ucciso da quelle stesse autorità che dovrebbero salvaguardare i diritti e gli interessi dei cittadini e invece sono servi dei padroni e dei loro affari.
Ma Carlo, come tanti altri compagni a cui è stata strappata con violenza la vita dai sicari dello stato, che siano essi uomini in divisa o fascisti, non è affatto morto.
Carlo è vivo.
Nelle nostre lotte e nei nostri cuori

Pn rebel

carlovivetrieste

A 15 anni da Genova: noi non dimentichiamo

Un giovedì caldo di 15 anni fa, il 19 luglio del 2001, decine di migliaia di persone che credevano che “un altro mondo è possibile” si riversarono nelle strade e nelle piazze di Genova contestando il summit del G8 e la sua imposizione delle politiche di sfruttamento neoliberiste. La protesta durò fino al sabato 22 e lasciò una Genova addolorata, dei manifestanti gravemente feriti e uno ucciso, tutti ammaccati nel corpo e negli animi e violati nei loro diritti fondamentali.
Questa grande manifestazione di dissenso a Genova fu solo una delle tappe delle manifestazioni di portata mondiale che ebbero inizio a Seattle nel 1999, dando origine al movimento globale eterogeneo che abbracciava sia le associazioni che i singoli individui uniti nella lotta contro il controllo dell’economia da parte degli Otto Grandi capi di governo i quali, forti del peso economico, politico e militare dei loro paesi, perseguivano i propri interessi imperialisti e imponevano la loro autorità nelle decisioni di carattere internazionale. In Italia questo movimento, denominato dai media come “No-global”, capace di mobilitare e unire le persone a livello planetario, fu represso brutalmente nel sangue, dando origine a quella che Amnesty International definisce come “la più grave sospensione di diritti democratici in un paese occidentale dopo la seconda guerra mondiale”. Quando lo stato si sente minacciato reprime e uccide senza discriminazione, ovunque e chiunque gli sbarri le strade e le piazze.
La prima uccisione emblematica della repressione accade in piazza Alimonda venerdì 20 luglio. Le forze del (dis)ordine senza un movente lanciano i lacrimogeni, anche ad altezza uomo, ai manifestanti e bloccano loro le vie di fuga, dando il via alle cariche e ai pestaggi nella piazza e nelle strade adiacenti. Un carabiniere spara dal defender al ragazzo ventiduenne, Carlo Giuliani, ferendolo alla testa. Il ragazzo, steso per terra ma ancora vivo, viene investito due volte dal mezzo della polizia. Gli aiuti arrivano mezz’ora più tardi.
Il tragico livello di violenza e orrore fu raggiunto il giorno successivo e superò addirittura quello praticato nelle piazze, aggiungendo un altro crimine nefasto a quelli già compiuti, ovvero quello di tortura. Il luogo del misfatto è la scuola Diaz, concesso dal comune di Genova al Genoa Social Forum, dove dormono i giornalisti e i manifestanti.
Intorno alle 21 di sera, una pattuglia di polizia decide di effettuare una perquisizione dell’edifico. Gli agenti in tenuta anti-sommossa, picchiano ferocemente tutti i presenti, ferendoli gravemente. I manifestanti sono privi di qualsiasi strumento che potrebbe essere considerato “minaccioso”. Infatti, per motivare la propria violenza gratuita, gli agenti introducono le molotov raccolte nelle piazze come prova della presenza di oggetti e persone pericolose nella scuola.
La perquisizione viene effettuata anche all’adiacente scuola Pascoli, sempre concessa dal comune al Genoa Social Forum, adibita all’infermeria, al media center e al servizio legale, dove vengono distrutti la maggior parte dei materiali che documentavano i cortei e gli scontri.
I presenti vengono arrestati per il reato di “detenzioni delle armi in ambiente chiuso” e deportati alla caserma Bolzaneto, il centro di identificazione dei manifestanti fermati nei giorni precedenti, dove vengono negate loro anche le basilari cure mediche cosi come la tutela dei diritti fondamentali dell’uomo. A Bolzaneto la tortura e le violenze raggiungono l’apice sia in ottica dei numeri delle vittime (il numero ufficiale è di 240 persone, ma secondo alcune testimonianze sarebbero 500) che in ottica di atrocità.
Esattamente 15 anni dopo, ai diritti fondamentali dell’uomo in Italia viene inflitto un ulteriore duro colpo: il disegno di legge per il reato di tortura è stato sospeso fino a data da destinarsi. La speranza di vedere puniti i colpevoli della strage di Genova, che la Corte dei diritti umani “ha qualificato come tortura”, si è ridotta ai minimi termini nel 2016 con la caduta in prescrizione delle accuse e in questi giorni è svanita del tutto. La Corte ha anche condannato l’Italia per la mancata legislazione del reato di tortura, tuttavia questo non ha impedito al governo italiano di rimanere imperterrito nel suo rifiuto di introdurla nel codice penale. Lo stato italiano continua a fare orecchie da mercante al grido di giustizia dei suo cittadini.
L’attivismo politico italiano è stato gravemente danneggiato sia negli spiriti rivoluzionari che nei corpi fisici dei suoi componenti. Dal 19 luglio in poi, qualsiasi manifestazione nelle piazze italiane viene considerata alla stregua di quella di Genova, vengono negati spazi di socializzazione e aggregazione, qualsiasi anelito di cambiamento verso un possibile mondo migliore che parte dal basso viene spietatamente troncato sul nascere. 15 anni fa le forze dell’ordine hanno calpestato gli animi attivisti e continuano la loro marcia repressiva sugli stessi animi da ben 15 anni. Ma nemmeno la lotta s’arresta. Certo, è ammaccata, affievolita, ferita, zittita ma forte e piena di rabbia persegue il proprio corso facendosi strada tra repressioni e violenze.
Carlo vive. Carlo vivrà in ogni singolo battito rivoluzionario che percuoterà i cuori oppressi, in ogni desiderio e azione per la giustizia sociale.
Coloro che hanno imbrattato di inchiostro nero la targa in memoria di Carlo, coloro che condividono tale gesto, coloro che si riconoscono nell’ideologia di populismo xenofobo di destra, l’hanno semplicemente trasformata nella lapide della giustizia. In quel luogo sono morti Carlo, Movimento e Speranza.
E coloro che giustificano tali morti perché muniti di passamontagna, caschi, scudi ed estintori, coloro che condividono le parole di Salvini “Il reato di tortura è l’ennesimo regalo ai ladri e l’ennesimo attacco alle guardie; le forze di polizia stanno servendo il paese con efficacia e professionalità e noi lo riconosciamo non con le parole, ma con i fatti”, coloro che diffondono l’ignoranza e la disinformazione non hanno ben compreso che i manganelli impugnati al contrario in modo da colpire con i ganci d’acciaio, le armi da fuoco e le cariche violentissime sono una minaccia alla vita, il bene più prezioso da difendere.
Noi non scordiamo perché è impossibile dimenticare.
Carlo vive, gli oppressi siete voi.

Collettivo UP-attivismo critico