Questo resoconto è stato scritto da persone che si sono recate nel campo profughi di Dobova al confine tra Slovenia e Croazia dal 3 al 5 gennaio per vedere in prima persona la situazione e portare solidarietà attiva, pur con i limiti derivanti dalla militarizzazione del campo. La situazione è in continuo e rapido mutamento, la gestione dei campi da parte delle autorità continua a cambiare, quasi sempre in senso peggiorativo per i migranti. Nonostante le condizioni metereologiche avverse e i tentativi dei governi europei per bloccarlo, il flusso di migranti continua e continua ad essere necessaria la presenza e la solidarietà dei volontari e degli attivisti.
Tre giorni: 3, 4 e 5 gennaio 2016. Tre turni, due pomeriggi, una mattina. Cinque, noi, che abbiamo deciso di raccogliere le nostre forze, energie e un po’ di buona voglia, per partire da Trieste e andare in uno dei luoghi di “sosta” obbligata della rotta balcanica.
Dobova è la nostra meta. Non proprio il confine, un po’ prima per noi che veniamo da Trieste, un po’ dopo per i migranti, che risalgono i Balcani. Accanto alla strada un complesso di tre grandi tendoni bianchi, tende più piccole e box in metallo. E’ il punto di sosta e controllo prima di ripartire per raggiungere Villach attraversando in diagonale la Slovenia. Almeno è ciò che ci è stato detto dai coordinatori e altri volontari. Un accordo tra stati per rendere più veloce il passaggio attraverso l’Austria verso la Germania?
Il primo gruppo è partito da Trieste il 3 gennaio, un bel giorno di ghiaccio e bora per raggiungere Dobova attraverso un’innevata Slovenia, dopo esserci assicurate che la nostra presenza meritava “il rischio” di metterci in viaggio, poiché non sapevamo che tempo e che strade avremmo trovato lungo il precorso con quell’improvvisto cambio di tempo. La difficoltà maggiore è poi stata proprio alla partenza, che è un po’ slittata a causa della mia macchina per metà ricoperta da una lastra di ghiaccio. Ma ce l’abbiamo fatta e siamo state anche puntualissime!! Alle 15.00 eravamo a Dobova dopo esser passate all’ostello di Brežice, paese sulle sponde della Sava, a lasciare i nostri bagagli.
Arrivate alla meta finale del nostro viaggio abbiamo chiesto della tenda della Slovenska filantropija per incontrare il/la coordinat*ore*rice. Oltre che con loro e ovviamente con le persone migranti, abbiamo condiviso gli spazi del campo con i volontari del Servizio civile, la Croce rossa, l’UNHCR, la polizia, alcuni dell’esercito, e tre/quattro traduttori. Tutte persone provenienti da vari paesi dell’Europa oltre che dalla Slovenia.
Dopo aver firmato la nostra presenza e aver ricevuto un cartellino da appendere al collo, con su scritto “Prostovolec – Volunteer”, e un “senza-maniche” giallo fosforescente che ci rendesse facilmente visibili, abbiamo ricevuto istruzioni dalla coordinatrice, su regole di comportamento e precauzioni sanitarie.
Infilati guanti di lattice e mascherina eravamo pronti per un tour del campo e per incominciare a lavorare!
Impatto da prima volta: Capannone n°1, quello dove i migranti fanno sosta in attesa di passare alla tenda dei controlli e dell’identificazione, abbiamo guardato il pavimento con occhi sgranati uno stuolo di immondizie di cibo, latte, scatolette, sacchetti, biscotti, pane, mele o pezzi di mela che rotolavano da tutte le parti sotto i colpi delle scope di chi era già al lavoro. Qua e là qualche vestito bagnato o sporco, qualche scarpa spaiata, rovinata o inzuppata d’acqua, il giubbetto di un bambino, un guanto, la sciarpa, un cappello, uno zaino. A tre quarti di stanza un angolo recintato pieno di coperte al suolo pronte ad essere ripiegate e impilate. Niente doveva uscire dal tendone. Quello che poteva essere riutilizzato andava eventualmente lasciato lì, su un tavolo o appeso alla staccionata. Altrimenti… bidone della spazzatura.
“Ma è sempre così?” La coordinatrice un po’ rassegnata ha risposto che più o meno, dipendeva dai gruppi, dal fatto se fossero cittadini o di provenienza rurale, ma soprattutto da quanti ne arrivassero nello stesso turno.
Ad un certo punto siamo state “intercettate” dalla polizia per pulire là dove avveniva l’identificazione e i controlli persona per persona. Così da prendere visione anche di quello spazio, per nostra fortuna di ben più piccole dimensioni e con gli oggetti da gettare quasi tutti già raggruppati in cassette di cartone. Guanti di lattice, mascherine, lamette da barba, spilli e tutto ciò che veniva considerato pericoloso.
Piccola parentesi per l’iter di passaggio nel “Labirinto del controllo e dell’attesa che il proprio destino si compia”: scendi dalle corriere o dai bus di linea che ti prelevano dalla stazione dei treni – linee speciali per migranti organizzate dagli stati europei-, varchi la soglia della prima tenda dove i volontari hanno precedentemente preparato centinaia di sacchetti con cibo (pane, scatolette di sardine o paté di carne di pollo o tacchino, fette biscottate, biscotti, qualche frutto, miele, marmellatine e simili) e acqua che viene distribuito a ciascuno, su richiesta ricevi del latte per i tuoi bambini, se ne hai. Questo cibo si somma spesso a quello accumulato e non mangiato durante il viaggio attraverso la Croazia, la Grecia, la Macedonia, andando così ad aumentare il peso e occupare spazio nelle borse che ti porti appresso. Non sorprende che poi molti lascino intere scatolette chiuse o mezzo mangiucchiate nei capannoni di sosta… Poi passi avanti seguendo il corridoio formato dalle staccionate che gentilmente ti indicano di entrare nel Capanno n°1, dove all’entrata stanno di guardia due poliziotti. Attendi.
Arriviamo noi e i volontari di WAHA (Women and Health Alliance International) su richiesta. Loro si occupano delle madri e dei neonati e se necessitano di essere cambiati e nutriti con latte in polvere caldo le accompagnano in un box apposito. Noi ci occupiamo del resto: delle domande generiche tipo “Dove siamo? Quando ripartiamo? Dopo andiamo in Austria?”, a quelle più personali “Dov’è il bagno? Sto male… c’è un dottore? C’è acqua calda per i bambini? Assorbenti per le donne?”, alle richieste di indumenti e scarpe. Alcuni hanno le scarpe scollate o rotte o zuppe d’acqua, le giacche non abbastanza calde o di misura piccola. I coordinatori ci hanno avvertito di rispondere innanzitutto ad esigenze veramente tali e di dire a tutti gli altri che riceveranno tutto ciò di cui avranno bisogno in Austria (sarà proprio così?) che qui non abbiamo a sufficienza cose per accontentare tutti, dato che ci sono molte altre persone in arrivo.
Per accompagnare le persone alla tenda della Croce rossa, dove in quei giorni lavoravano un gruppo di dottoresse provenienti dalla Slovacchia, dovevamo avvertire il poliziotto davanti all’entrata che ci ricordava di riportare le persone nella stessa tenda da dove le avevamo prese. Quindi attendevamo pazienti davanti alla tenda della Croce rossa che terminassero la visita e ricevessero le medicine.
Nel frattempo l’iter per le persone continua… Vengono chiamati a gruppi nel primo capanno, si preparano ad una seconda attesa, questa volta in fila in piedi, prima in un corridoio separato di staccionate all’interno del capanno, poi fuori al freddo, sotto alla pioggerella, all’umidità, o al nevischio, sempre nel corridoio di staccionate che li accompagna gentilmente nella tenda dove vengono controllati uno ad uno, trattenuti gli oggetti pericolosi identificati e ricevuti i documenti necessari, rilasciati nei Capanni n°2 o 3, in attesa della partenza. Il tutto avviene così lentamente che passano delle ore, se non la notte intera. Non hanno sdraio, solo qualche stuoino e le coperte con le quali creare del ”nidi” e nelle quali avvolgersi.
Alla fine dei nostri turni venivamo sostituiti da altri volontari.
Il giorno seguente ci hanno raggiunti altri due compagni che si sono uniti al lavoro.
Prima cosa, ripulire il Capanno n°2… Davanti ai nostri occhi si stendeva un mare infinito di onde grigio topo formate dalle coperte ammassate e ricoprenti la totalità del pavimento del capannone. Per nostra fortuna eravamo più numerosi del giorno prima, sia tra i/le volontar* della Slovenska filantropija che tra quell* della Protezione civile… in prevalenza donne di una efficienza e rapidità nei movimenti che a guardarle lavorare sembravano danzare con le coperte o le pesanti pale in mano piene di immondizie.
Verso sera si percepiva un po’ di tensione tra i coordinatori in relazione ai poliziotti. Noi stavamo distribuendo vestiti e scarpe a richiesta nel 3° capannone, dove i migranti sostavano dopo l’identificazione, poiché questo non ci era più permesso di fare nel 1°.
Dopo che avevamo quasi terminato di esaudire le richieste di indumenti, ma soprattutto di scarpe, ci è stato chiesto della coordinatrice della Croce rossa di portare in blocco gli scarponi dopo-sci e soprattutto gli scarponcini per bambini di varie misure e di lasciarli sui tavoli che se li prendessero da soli. Un po’ di incongruenza rispetto al giorno prima che ci avevano raccomandato di distribuire solo lì dove era strettamente necessario.
Alle nostre facce perplesse e alle domande ci hanno poi spiegato, che il giorno dopo ne sarebbero arrivate degli altri e che nel magazzino non c’era posto a sufficienza per tenere tante cose. In effetti poi sono arrivate anche tanti imballaggi con coperte nuove.
Il terzo giorno avevamo il turno mattutino, dalle 7.00 alle 15.00 e abbiamo dovuto aspettare circa un’ora prima di far qualcosa, perché c’erano ancora persone in tutti i capannoni in attesa dei controlli o della partenza.
Poi abbiamo pulito velocemente il 1° e il 2° capanno. Ci avevano detto che sarebbero arrivate alle 10.30 circa 800 persone. Invece niente, solo un autobus della polizia, con un gruppo numeroso di respinti dall’Austria ritornati a Dobova per una seconda identificazione che sono stati sistemati nel Capanno n°3.
Dopo la nostra pausa pranzo nella tenda comune dei volontari, quindi dopo le 11.30 sono arrivati i primi autobus.
Qualcun* di noi si è dirett* nel Capanno n°1 e nella tenda del cibo, altri siamo rimasti nell’esterno all’uscita della tenda delle identificazioni, ad aspettare che uscissero le famiglie con bambini per distribuire loro delle borse contenenti dei giochi-peluches, matite colorate e quadernetti, una barretta di cioccolato, delle merendine o delle caramelle. Un lavoro decisamente più leggero se non ci fosse stata un’arietta così frescolina…
La fine del turno è arrivata veloce. Abbiamo restituito i giubbetti gialli e i cartellini, salutato, ringraziato e siamo partit* per raggiungere una Trieste inzuppata di pioggia.
E.