BASSA FRIULANA/ Continua la battaglia sui Pozzi Artesiani

Non è affatto automatico che la massiccia e diffusa presenza dei pozzi artesiani dia origine ad un movimento di opinione e in un certo senso anche di lotta, sul problema dell’acqua e del territorio. Infatti, questa particolare situazione idrogeologica riguarda una vasta area della nostra Regione, sia nella sinistra che nella destra tagliamento, al di sotto della linea delle risorgive, ma, solo con baricentro a San Giorgio di Nogaro si è saputo dare contenuti e capacità di mobilitazione popolare a questo tipo di situazione. Potenzialmente sarebbe stato possibile ovunque, da San Vito al Tagliamento a Cervignano del Friuli, ma ciò non è avvenuto o almeno non è avvenuto nello stesso modo.

Avere a disposizione, quello che in un certo senso è un privilegio, fornito direttamente da madre natura, così com’è la possibilità di estrarre semplicemente l’acqua per sgorgamento naturale dal sottosuolo, non ha creato deterministicamente una autodifersa sociopolitia di tale suddetto privilegio. Dietro la definizione di “Popolo delle Fontane”, coniata già nel 1995, oltre venti anni fa, quando ci si mobilitò per la prima volta in difesa dei pozzi artesiani e contro l’acquedottizzazione forzata di un territorio che da sempre si avvale del prelievo diretto dell’acqua dalle falde artesiane, ci sta, non un egoismo corporativo, ma la corretta interpretazione antropologica e bioregionale del senso stesso di essere nati ed abitanti in determinato territorio che ha le già descritte caratteristiche peculiari. Il movimento per la difesa delle fontane nella bassa friulana udinese, ha avuto due anime: quella paternalistica ed istituzionale rappresentata in passato da Renato Jacumin di Aquileia, (deceduto nel 2012) e quella libertaria e bioregionale rappresentata dal movimento anarchico, presente nel territorio dalla metà degli anni settanta e che, via via, ha saputo interfacciarsi con la parte più sensibile della popolazione. Il primo accenno dell’interessamento per le fontane, da parte anarchica, si può ritrovare in brevissimo articolo pubblicato sul giornaletto “Collegamentii” pubblicato a San Giorgio di Nogaro nel 1982. Oggi il know how da noi acquisito sul problema è in grado di mettere con le spalle al muro le istituzioni politiche e scientifiche Regionali. Una sfida di questo genere ha un valore che va molto di là, non solo del nostro specifico territorio, ma anche della tematica specifica dell’acqua, in quanto è un esempio di prefigurazione complessiva di come potrebbero essere le cose se non ci fosse di mezzo lo Stato, il Mercato, e in generale il Potere che governa un determinato territorio, anche attraverso l’amministrazione dei servizi basilari. Stessa cosa si potrebbe dire del problema della gestione dei rifiuti che di per sé ha una caratteristica del tutto generale e “non locale”, ma che che con il know how appropriato può essere in grossa parte gestito con una forte autonomia localizzata sia pure in un sistema di relazioni economiche esterne, ovviamente dominante.  Casualmente in questi giorni la Regione FVG sta approvando la Legge 135 dove si mettono assieme acqua e rifuti proprio per stabilre il controllo politico ed economico su questi due campi che invece potrebbero essere largamente sottratti alla centralizzazione e alle lobby affaristiche e gestiti in maniera locale e federalista. Purtroppo si deve rilevare che la sinistra è completamente sterile su questi temi e che anche il movimento anarchico, fortemente smarrito nei suoi meandri ideologici, non riesce ad avere la lucidità intellettuale per assumene una posizione efficacie e pubblica su questi temi, che vanno al di là dell’individualità e dell’ideologia e che si manifestano come problemi oggettivi e ineludibili, in quanto hanno, in larga parte una natura intrinseca al metabolismo delle società in quanto tali. Ovviamente accanto a questi temi ci sono quelli dell’energia e dell’alimentazione, ma essi hanno un grado di complessità, inferiore in un’ottica di sostenibilità in quanto, almeno in linea di principio, sono più facilmente gestibili.

Il problema, in generale, è di capire quali sono i sistemi che necessariamente devono stare in rete e quanto ci si possa rendere indipendenti dalle reti, garantando il massimo di autonomia ai singoli e alle piccole comunità.

Nella fattispecie del nostro territorio, il fatto assolutamente originale di avere la possibilità di realizzare un pozzo artesiano dove si vuole, e quindi l’autonomia della auto-fornitura dell’acqua, ha una tale intrinseca straordinarietà antropologica ed economica, da rendere questo territorio, in linea di principio, particolarmente adatto ad una sperimentazione di una società sostenibile ed autosufficiente. Infatti qui si può avere immediatamente a disposizione l’acqua per uso potabile,  per la bio-agricoltuta oltrechè per la pompa di calore e il raffrescamento e basterebbe una ulteriore implementazione di una certa potenza elettrica solare, facilmente installabile e infine si potrebbe realizzare una situazione autosufficiente quasi al 100% e senz’altro ad impatto zero per i gas serra.

Ai posteri il tentativo di mettere in pratica un esperimento del genere.

Paolo De Toni 16 marzo 2016

Per l’attività sui pozzi artesiani vedasi la pagina facebook “Giù le mani dalle fontane!”

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