da Il Piccolo del 26 novembre 2014
Sentenza amianto, attesa infinita
«Tutti possono confidare nella giustizia». «Questa sentenza ha priorità assoluta»
Trotta: «Le motivazioni pronte fra qualche mese»
Intanto è in corso in tribunale di Gorizia anche il processo bis per la morte di 72 cantierini, causata dall’amianto, che vede sul banco degli imputati i vertici dell’ex Italcantieri. Con la deposizione dei due consulenti di lunedì si sono conclusi i testi indicati dalla pubblica accusa sostenuta in questo processo dai pm Vaentina Bossi e Laura Collini. Toccherà ora ai testi della parte civile e della difesa che saranno sentiti a partire dalla prossima udienza fissata per il 29 gennaio dal giudice monocratico Nicola Russo (nella foto). Il prossimo 19 maggio inizierà invece, sempre al Tribunale del capoluogo isontino la prima udienza del terzo processo per la morte da amianto riguardante 40 cantierini con imputati sempre i vertici dell’ex Italcantieri e rappresentanti delle ditte esterne.di Corrado Barbacini «La sentenza sulle vittime dell’amianto è una priorità assoluta, è un impegno che non intendo assolutamente disattendere. Sono consapevole dell’importanza della sentenza. Sarà depositata entro qualche mese ma, anche prima, se mi sarà possibile. Tutte le parti processuali possono confidare nella giustizia». Matteo Trotta, presidente del Tribunale di Trieste, parla come giudice monocratico del processo monstre di Gorizia. Un anno e un mese fa ha pronunciato la sentenza di primo grado per la morte causata dall’esposizione all’amianto di 85 operai del cantiere di Monfalcone. Da allora nessuno, nè degli avvocati difensori, nè delle parti civili, ha avuto riscontro concreto attraverso la motivazione delle decisioni del giudice Trotta. E ora più tempo passa più si avvicina il rischio della prescrizione. Anche se, dopo la sentenza di primo grado, resta sempre – a fronte dell’eventualità della prescrizione – la strada del giudice civile ma solo nell’ipotesi in cui appunto la dichiarazione di prescrizione sia intervenuta prima della pronuncia della sentenza. Il 15 ottobre 2013 il giudice Trotta aveva inflitto tredici condanne per omicidio colposo per una pena complessiva di 55 anni e 8 mesi. A Vittorio Fanfani, 93 anni, e Manlio Lippi, 90 anni, al vertice dell’Italcantieri, quelle più pesanti, 7 anni e mezzo di carcere. Seguono poi Giorgio Tupini, 90 anni, ex presidente dell’Italcantieri, 6 anni e 6 mesi. Enrico Bocchini, 90, già presidente del Cda, 6 anni e mesi. Mario Abbona, 90 anni, responsabile aziendale della sicurezza, 4 anni e mezzo. Corrado Antonini, 79 anni, ex direttore generale, 4 anni e 4 mesi. Antonio Zappi, 77 anni, vice direttore, 4 anni e 6 mesi. Aldo La Gioia, 85 anni, responsabile della produzione, 3 anni e 4 mesi. Roberto Schivi, 74 anni, direttore generale del personale, 2 anni e 8 mesi. Cesare Casini, 85 anni, vice direttore generale 2 anni e 6 mesi. Infine, due anni a Glauco Noulian, 89 anni, dirigente della sede centrale, a Italo Massenti, 84 anni, responsabile del settore acquisti e a Livio Minozzi, 67 anni, dirigente dell’ufficio personale. La posizione di La Goia sarà stralciata perchè nel frattempo è deceduto. «Priorità», ripete Trotta. Aggiunge: «Nessun diritto alla giustizia mancato». Poi sottolinea: «Per rispetto di tutte le parti processuali. Questo rispetto mi sta imponendo ritmi di lavoro serrati: devo contemperare l’impegno con l’incarico di presidente del Tribunale di Trieste. Sto facendo un lavoro immenso e molto complesso se si pensa che solo per l’elenco dei capi di imputazione sono state scritte ben 176 pagine». Rileva: «Il compito è davvero notevole. È reso ancora più difficile dalle complesse tematiche da affrontare che non sono esclusivamente giuridiche». Ma anche dalla mole degli atti processuali: oltre 20mila pagine, centinaia di faldoni. Racconta poi la storia di quella sentenza nata da undici processi paralleli. «Furono avviati – dice il giudice Trotta – dopo separati decreti emessi dal gup per plurimi omicidi colposi e lesioni colpose, reati tutti conseguiti a patologie correlate all’asbesto, aggravati dalle violazione delle norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro in materia di tutela della salute e dell’integrità fisica dei lavoratori esposti alle polveri d’amianto nel cantiere di Monfalcone». Continua: «In quella circostanza era stato ritenuto che la riunione dei processi non avrebbe causato un ritardo nella loro definizione, ma che era funzionale a un’accelerazione dell’iter processuale. Questo in quanto l’istruttoria dibattimentale non aveva avuto ancora inizio in alcuni e in altri doveva essere necessariamente rinnovata. In molti processi era infatti cambiato il giudice e i difensori degli imputati non avevano acconsentito all’utilizzo delle prove assunte dal giudice precedente. Erano inoltre state considerate ragioni non certamente secondarie di economia processuale». E poi spiega: «Le aspettative dei familiari e la legittima attenzione dei mass media, e cioè in definitiva l’aspettativa di giustizia, mi hanno imposto in assenza di soluzioni alternative l’assunzione dell’onere della trattazione degli undici processi». Ripete: «Sono consapevole del rilievo del processo per le vittime e gli imputati».
È la prescrizione il timore delle parti offese
Non solo le parti offese, ma anche i difensori degli imputati condannati sono in attesa delle motivazioni delle sentenza del maxi-processo. Un atto necessario per presentare ricorso alla Corte di appello. Dal giorno della deposizione, i legali hanno tempo 45 giorni per presentare il ricorso. Un termine perentorio, al contrario del giudice che, se è vero che aveva annunciato il giorno della sentenza la motivazione in 90 giorni (poi prorogata di altri 90), non ha tempi limite per consegnare la sua relazione. E per i legali, siccome è scontato che dovranno esaminare migliaia di pagine, i tempi sono davvero ristretti. Le parti civili temono poi che il protrarsi dei tempi intervenga nel secondo grado di giudizio e poi all’eventuale Cassazione la prescrizioni del reato penale (omicidio colposo) per quelle morti più lontane nel tempo. Il tempo tra l’altro è sempre stato tiranno per questa indagine sulle morti da amianto confluita poi nel primo maxi-processo. Ci sono volute 94 udienze e tre anni e mezzo per giungere alla sentenza, importante perché ha aperto la strada agli altri due procedimenti già incardinati al tribunale di Gorizia. Ma ce ne saranno altri perché gli esposti-denuncia continuano a giungere sul tavolo della Procura e si prevede che i decessi a causa dell’assunzione d’amianto continuino fino oltre il 2020: la malattia ha infatti un’incubazione lunga, che può arrivare fino a 35-40 anni e ai cantieri navali di Panzano l’amianto è stato utilizzato fino a metà degli anni Ottanta. Il maxi-processo, iniziato nell’aprile 2010, è nato dopo un’indagine lunga e laboriosa che si era incagliata nelle stanze della Procura goriziana tanto che l’allora procuratore generale Deidda, dopo le proteste dell’Associazione esposti amianto che aveva interessato pure il presidente della Repubblica Napolitano, aveva avocato a sè l’inchiesta. Un’accelerata all’indagine era stata poi data nel 2009 dal procurato capo Ajello che aveva creato un pool composta da magistrati, polizia giudiziaria e tecnici dell’Inail e dell’Ass per informatizzare la gran mole di documenti pari a migliaia di documenti raccolti in 50 faldoni.
da Il Piccolo del 27 novembre 2014
Maran: «Questa è giustizia negata»
«A Monfalcone prescrizione rischio vero»
«Per Monfalcone la giustizia si è bloccata»
di Laura Borsani Oltre un anno di attesa delle motivazioni alla sentenza del maxi-processo amianto, pronunciata il 15 ottobre 2013, è il segno tangibile che la giustizia si è bloccata. Lo sostiene, non senza sorpresa e manifestando «piena solidarietà a tutti i congiunti delle vittime di Monfalcone e del suo territorio», il coordinatore dell’Associazione famigliari e vittime amianto di Casale Monferrato e Cavagnolo, Bruno Pesce. Dalla comunità ancora scossa dalla sentenza di Cassazione che ha azzerato il processo Eternit in virtù della prescrizione del reato di disastro ambientale doloso, non sono giunte solo manifestazioni di vicinanza al Monfalconese. Le parole sono forti e chiare: «Di fronte al caso di Monfalcone – osserva Pesce -, si prende atto che la giustizia si è bloccata. Questa situazione può creare, se non lo ha già fatto, il rischio che a danno di una parte sempre maggiore delle vittime e delle parti civili sopraggiungano le prescrizioni del reato». Romana Blasotti Pavesi, nata a Gorizia, dalla sua “trincea giudiziaria” piemontese ha osservato: «Sono molto arrabbiata. Nonostante i miei 85 anni, non voglio perdere la speranza che si giunga non solo a condannare i responsabili delle vittime dell’amianto, ma anche tutti coloro che si sono arricchiti sulla pelle dei lavoratori deceduti». Pesce esprime un concetto di fondo: «Prolungare in tempi incredibilmente lunghi la conclusione di un processo che riconosca il diritto di giustizia e il danno subito dalle vittime, significa premiare chi commette il reato. Questi ritardi della giustizia rappresentano un regalo di impunità per i responsabili riconosciuti colpevoli, mentre non c’è una minima garanzia di salvaguardia per le vittime di questo reato. La sentenza di Cassazione per il processo Eternit – aggiunge Pesce – ha privilegiato il garantismo assoluto a chi ha commesso il danno. Così viene presa a calci la giustizia per le vittime. È indegno per un Paese che voglia anche solo assomigliare ad essere civile». Pesce conclude: «Dal giorno della sentenza di Cassazione, abbiamo avuto altre quattro vittime per mesotelioma. Se dunque il disastro ambientale è ancora in corso, e lo sarà anche nei prossimi anni, come si può dichiararlo prescritto?».