Le mani dei boss sui cantieri navali del Nord
Arrestato Corradengo, il re delle coibentazioni
Da semplice operaio era diventato un affermato manager: secondo la Dia avrebbe potuto contare sui capitali di una delle cosche mafiose più potenti di Palermo. In manette anche la moglie. Sigilli a tre società. Il direttore della Dia, De Felice: “Lotta incessante alle infiltrazioni mafiose nell’economia legale del nostro paese”
Nel giro di pochi anni, aveva fatto una carriera senza precedenti: da operaio dei Cantieri navali di Palermo era diventato un facoltoso imprenditore, a capo di alcune aziende leader nel settore delle costruzioni navali. Giuseppe Corradengo, 49 anni, sembrava non avere rivali nel settore della coibentazione, le sue società ottenevano appalti fra i bacini di La Spezia, Marghera, Monfalcone e Ancona. Alcuni anche per conto di Fincantieri. Corradengo è stato arrestato questa mattina dagli investigatori del centro operativo Dia di Palermo, con l’accusa di concorso esterno in associazione mafiosa: le indagini della Procura antimafia del capoluogo siciliano sostengono che l’ex operaio diventato manager abbia potuto contare sui capitali di una delle più antiche cosche mafiose di Palermo, quella dell’Acquasanta. Corradengo sarebbe stato un prestame del clan Galatolo, una dinastia di mafia che dagli anni Ottanta è stata sempre legata al capo di Cosa nostra, Salvatore Riina.
Il provvedimento di arresto, firmato dal gip di Palermo Piergiorgio Morosini su richiesta del pm Pierangelo Padova, riguarda anche altre cinque persone: la moglie di Corradengo, Rosalia Viola, pure lei accusata di aver fatto da prestamome ai mafiosi dell’Acquasanta. In carcere è finito il boss Vito Galatolo, il figlio dello storico capomafia della cosca. Indagata a piede libero è invece la moglie del boss, Maria Concetta Matassa. In carcere sono altri tre prestanome del clan, anche loro impegnati nel settore dei lavori navali: Domenico Passarello, Vincenzo Procida
e Rosario Viola.
E’ stato un pentito, Angelo Fontana, un tempo anche lui esponente di punta del clan Acquasanta a svelare il ruolo di Corradengo. Gli investigatori della Dia, coordinati dal colonnello Giuseppe D’Agata, hanno poi seguito per mesi le attività dell’imprenditore, scoprendo che poteva contare su un ambasciatore davvero particolare, la moglie. Era lei ad incontrare la moglie di Vito Galatolo, intanto finito in carcere. Le due donne avrebbero così costituito un canale riservato di comunicazione fra il mafioso e il suo prestanome, con l’obiettivo di riciclare al meglio nel settore navale i proventi delle attività illecite di Cosa nostra.
Sotto sequestro sono finite le società “Nuova Navalcoibent srl”, con sede a La Spezia, “Eurocoibenti srl” e “Savemar srl”, entrambe con sede in Palermo. Dice il direttore della Dia, Arturo De Felice, oggi a Palermo: “Continuiamo senza sosta, in sinergia con le direzioni distrettuali antimafia, nella complessa opera di disarticolazione di tutte le infiltrazioni mafiose all’interno dell’economia legale, che purtroppo sono presenti non solo sul territorio siciliano, ma anche a livello nazionale”.
Mestre, mafia e riciclaggio nei cantieri navali
Tre imprese nelle mani delle cosche che investivano nel settore. Arrestato a Mestre il figlio di un boss di Palermo
Una carriera fulminante quella del 49enne palermitano Giuseppe Corradengo: da semplice operaio dei Cantieri navali del capoluogo siciliano a imprenditore, alla guida di tre aziende leader nel settore delle costruzioni navali, con appalti anche alla Fincantieri di Marghera e Monfalcone. E’ stato arrestato per concorso esterno in associazione mafioso e con lui sono finiti dietro le sbarre altre sei persone, tra cui il 40enne Vito Galatolo, figlio del boss della cosca di Acquasanta di Palermo. Galatolo è stato arrestato a Mestre, nel suo appartamento di via San Pio X, dove risiedeva da tempo: lavorava in un cantiere navale veneziano.
Stando alle accuse della Procura antimafia palermitana, Corradengo controllava la «Nuova Navalcoibent srl» di La Spezia, la «Eurocoibenti srl» e la «Savemar srl» di Palermo, aziende che sarebbero state fondate con capitali mafiosi e sarebbero state rette da soggetti vicini alle cosche. Corradengo e i suoi sarebbero riusciti a condizionare il settore delle costruzioni navali e le attività dell’indotto in Liguria e nei due maggiori porti dell’Adriatico, Marghera e Monfalcone.
È partita dalle dichiarazioni dei pentiti Angelo Fontana, Gioacchino Basile e Francesco Onorato l’operazione della Dia che ha portato a sei ordinanze di arresto per presunti esponenti del clan mafioso di Resuttana e dell’Acquasanta che si era infiltrato da anni nella cantieristica navale.
Le indagini sono state avvalorate da intercettazioni ambientali che hanno fornito riscontri alle dichiarazioni dei collaboratori così come le indagini sulle variazioni societarie. «Spiccano i nomi di Vito Galatolo e Angelo Fontana», ha spiegato il procuratore aggiunto di Palermo Vittorio Teresi, « per la loro costante ingerenza nella cantieristica navale di Palermo. Le famiglie agivano in regime di monopolio gestendo le commesse per lavori particolarmente remunerativi e qualificati. C’erano due metodi paralleli (corruzione vertici Fincantieri e intimidazioni) per avere controllo totale di questi lavori non facendo partecipare altre ditte agli appalti». «Alla fine degli anni Novanta», ha proseguito, «i cantieri entrano in crisi e decidono di delocalizzare aggredendo sia le zone di Trapani e Messina che la zona adriatica e tirrenica. La prima era affidata ai Galaltolo, con Giuseppe Corradengo a Monfalcone, mentre la gestione area tirrenica è andata ai Fontana che lavorano a La Spezia». Le indagini hanno evidenziato inoltre l’importante ruolo delle mogli di Galatolo e Corradengo che erano parte integrante del sistema di gestione e di spartizione dei lavori. Per il procuratore capo di Palermo Francesco Messineo ad aiutare la mafia è anche la cattiva congiuntura economica, che consente «di distorcere più agevolmente il mercato, piegando le imprese più bisognose di capitale alle sue esigenze, anche quelle delle regioni settentrionali». L’organizzazione mafiosa sta abbandoando la Sicilia per la forte pressione investigativa , diversificando i suoi investimenti e rivolgendosi al Nord.