KURDISTAN/ Domenica 1° febbraio a Pordenone festa per la vittoria di Kobane

Appuntamento in Piazzetta Cavour a Pordenone domenica 1° febbraio alle ore 16.00 

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La sconfitta dell’ISIS a Kobane è l’inizio della sua fine

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Un anno fa, come oggi, Kobanê si è dichiarato cantone autonomo.

Oggi, dopo 135 giorni di intrepida resistenza, la gente di Kobanê ha liberato la città dal cosiddetto Stato islamico. Da settembre 2014, le YPG e YPJ hanno condotto una epica e incredibile resistenza – non ci sono altre parole per descriverla – contro l’ultima ondata di attacchi da parte di ISIS. Le donne e gli uomini che hanno condotto la più gloriosa resistenza del nostro tempo, hanno issato le loro bandiere sulle ultime colline che erano state occupate da ISIS e subito hanno iniziato le loro danze in fila, accompagnati da vecchie canzoni rivoluzionarie e slogan curdi. Da allora, la gente in tutto il mondo si è precipitata in strada per festeggiare. Dopo le innumerevoli tragedie, stragi, e traumi che questa regione ha dovuto subire di recente, i dolori che hanno preceduto questo momento rendono la vittoria ancora più dolce. Con un occhio si versano lacrime per i morti, mentre con l’altro si piange per la gioia così meritata.

Ma andiamo indietro di un anno. Fu in questo periodo, nel gennaio 2014, che i grandi attori internazionali si riunirono presso la cosiddetta conferenza di Ginevra-II per discutere di una risoluzione per la guerra in Siria. I curdi, che avevano combattuto sia il regime, sia gli estremisti come il Fronte al-Nusra o ISIS da quando avevano preso il controllo sul Rojava nel 2012, non furono invitati. Inoltre, per tranquillizzare lo Stato turco, la comunità internazionale adottò un atteggiamento esplicitamente ostile verso il Rojava, perché gli attori principali della regione sono affiliati ideologicamente con il Partito dei lavoratori del Kurdistan (PKK), acerrimo nemico dello stato turco, che viene etichettato come ‘terrorista’ da Stati Uniti, Unione europea e Turchia. In realtà, la comunità internazionale ha emarginato il Rojava molto prima di emarginare i jihadisti in Siria. Funzionari statali turchi ripetutamente sottolineavano che non avrebbero “tollerato terroristi dal confine siriano-turco”, riferendosi ai curdi in Rojava, non agli islamisti radicali.

Eppure, senza far conto sull’approvazione di nessuno, e nonostante tutta questa ostilità, la gente del Rojava ha dichiarato tre cantoni autonomi nello stesso momento della conferenza di Ginevra-II: Kobanê, Afrîn, e Cizîre. Il messaggio era: “Noi costruiremo la nostra autonomia e non abbiamo bisogno dell’approvazione di nessuno”.

Per gli ultimi tre anni i curdi, che hanno scelto una “terza via” e si sono rifiutati di prendere le parti sia dell’opposizione sia di Assad, hanno cercato di mettere in guardia il mondo sull’ISIS, ma sono rimasti completamente ignorati. Al co-presidente del PYD in Rojava, Salih Muslim, è stato negato il visto per gli Stati Uniti per quattro volte. Nel 2013, quasi un anno prima che il mondo addirittura sentisse parlare del gruppo jihadista, suo figlio è morto combattendo contro l’ISIS.

L’ultima ondata di attacchi contro Kobanê è solo una tra le tante che l’hanno preceduta. Tutti gli avvertimenti dei curdi sono stati respinti come teorie complottiste, semplicemente perché ascoltarli avrebbe significato riconoscere che la coalizione anti-Assad aveva indirettamente o direttamente supportato e sponsorizzato assassini jihadisti in Siria.

Oggi, il vice presidente americano Joe Biden e altri affermano esattamente ciò che i curdi hanno detto per anni: stati come l’Arabia Saudita, il Qatar e la Turchia hanno supportato i jihadisti. Letteralmente nel corso di una notte, dopo che migliaia di persone erano già state uccise, ISIS è diventato un “problema”, nello stesso momento in cui entrava in Iraq – lo stato fallito in cui gli Stati Uniti hanno riversato miliardi di dollari dopo averlo invaso e dove molte forze mantengono interessi strategici economici e politici. E poi gli stessi stati, tra cui il Qatar e l’Arabia Saudita, che in passato avevano sostenuto i jihadisti, sono diventati improvvisamente parte della coalizione contro di loro. Dopo che la gente a Kobanê aveva già resistito per più di un mese da sola, la coalizione ha visto la possibilità di dimostrare che la sua strategia contro l’ISIS funzionava. Improvvisamente hanno dato sostegno alle stesse persone che avevano in precedenza emarginato. Ma perfino oggi, nonostante tutti si appropriano della resistenza di Kobanê per i loro piani, le stesse forze che hanno condotto questa resistenza sono etichettate come ‘terroriste’, mentre non vi sono conseguenze per gli stati che hanno contribuito apertamente alla crescita di ISIS.

Se vivessimo in un mondo in cui le forze dominanti che si presentano come i difensori dei diritti umani, della libertà e della democrazia fossero in realtà genuinamente interessate ai principi che sostengono, tutto questo inferno sulla terra si sarebbe potuto evitare. Ma lasciando da parte il fatto che il commercio di armi e la destabilizzazione della regione sono redditizi per molti attori globali, un’altra brutta verità è che coloro che volevano rovesciare Assad hanno beneficiato della presenza jihadista in Siria per un lungo periodo. Il che è andato molto a vantaggio del regime di Assad – che continuava a sostenere che non esistesse nessuna opposizione vera in Siria. E oggi, la realtà orribile è che Assad sembra il male minore, tanto che anche la coalizione sembra ammorbidirsi nei suoi confronti. Che tragedia kafkiana per il popolo della Siria!

Considerando tutto questo, ci dovremmo davvero congratulare con i principali mandanti della guerra e del conflitto in Medio Oriente per aver liberato Kobanê?

Coloro che hanno finanziato o almeno che hanno chiuso un occhio sui jihadisti assassini?

Coloro che hanno iniziato guerre ingiuste e hanno distrutto la regione con le loro politiche? Coloro che hanno tranquillizzato lo Stato turco, il quale ha sostenuto stupratori estremisti e assassini?

Cosa c’è realmente dietro la resilienza di Kobanê? Cosa simboleggia Kobanê in un’epoca di rivoluzioni fallite e di guerre infinite?

Le persone che stanno combattendo a Kobanê hanno un’ideologia, una visione del mondo, una concezione che li ha tenuti in azione. Possiamo dire che gli attacchi aerei della coalizione non hanno aiutato per niente? Naturalmente non possiamo. Ma chiediamoci perché la coalizione è passata da “Kobanê sta per cadere e non è la nostra priorità salvarla”, al concentrare tutti gli sforzi per proteggerla. Se non fosse stato per la resistenza sul terreno delle persone, che insieme si sono mobilitate con i soli kalashnikov per difendere la loro città, l’opportunità per la coalizione di “salvare” Kobanê per i propri interessi non sarebbe nata. Dopo tutto, sei mesi prima che attacchi aerei Usa bombardassero posizioni dell’ISIS intorno a Kobanê, donne anziane di 60 anni avevano costituito propri battaglioni di autodifesa di “madri”, autonomi sul campo. Senza la determinazione di queste persone e la disponibilità al sacrificio, nessun attacco aereo al mondo avrebbe salvato la città.

E’ importante capire che la rivoluzione del Rojava è stata una lotta di popolo dall’inizio fino ad oggi. A differenza di altre rivolte in tempi recenti, fortunatamente non è stata cooptata da chicchessìa grazie alle condizioni geopolitiche, ed è andata avanti affidandosi alle sue proprie forze, contro ogni previsione. La coraggiosa presa di posizione di Kobanê contro quegli uomini che vorrebbero tingere di nero i colori del Medio Oriente, è stata in sintonia con le persone che lottano in tutto il mondo. Molti ora tessono l’elogio e alcuni strumentalizzano Kobanê, anche persone di destra e islamofobi, perché tutti vogliono un pezzo della torta della vittoria. Ma gli stessi poteri che ora si appropriano di Kobanê per i propri interessi, etichettano la politica di questi coraggiosi combattenti come terrorista. La resistenza di Kobanê si basa su una tradizione radicata e non nasce dal nulla. I combattenti sottolineano che è la filosofia del PKK che motiva la loro lotta. Quando hanno liberato Kobanê, i combattenti immediatamente hanno cantato “Bijî Serok Apo” – Viva il presidente Apo (Abdullah Öcalan, il rappresentante ideologico del PKK in prigione).

In altre parole, i più forti nemici di ISIS sono etichettati a livello internazionale come terroristi, proprio come gli stupratori, fascisti assassini jihadisti. Allo stesso modo, tutti cercano di strumentalizzare la sofferenza del popolo ezidi dal monte Sinjar (Şengal) per i propri interessi, ma le migliaia di profughi ezidi in Rojava affermano che la comunità internazionale non sta facendo nulla per loro, mentre sono state le YPG/YPJ e il PKK che li hanno salvati ad agosto e che si sono preoccupati per loro da allora, nonostante l’embargo contro il Rojava e la guerra a Kobanê.

Fatti scomodi per coloro che si presentano come i salvatori!

Il Rojava è un’alternativa per la regione, lacerata dall’odio etnico e religioso, da guerre ingiuste, e dallo sfruttamento economico. Non ha l’obiettivo di costruire un nuovo stato, ma di creare un sistema alternativo al paradigma globale capitalista e maschilista dello stato-nazione, invocando l’autonomia regionale, attraverso la liberazione delle donne e in collaborazione con tutti i popoli della regione, il tutto definito come “confederalismo democratico” da Öcalan.

Il rifiuto di accettare i parametri del sistema globale è quello che ha mobilitato la popolazione in una regione così devastata, tra guerra e embargo, e questo è proprio il motivo per cui Kobanê non cadrà mai. Nel bel mezzo della guerra, i cantoni del Rojava sono riusciti a creare un movimento di donne incredibilmente energetico, un sistema di autogoverno che opera attraverso i consigli locali con una dialettica dal basso verso l’alto, e una società in cui tutte le componenti etniche e religiose della regione lavorano mano nella mano per creare un futuro più luminoso. Ciò è in netto contrasto con le politiche di tipo monopolista del genere “una religione, una lingua, una nazione, uno stato, una bandiera”, le dittature, le monarchie, le tirannie settarie, e la violenza patriarcale nella regione. E la previsione di una vita così libera è il motore principale della resistenza di Kobanê. Il sistema dominante ci fa credere che i principi e gli ideali sono morti, ed è per questo che una mobilitazione collettiva e una resistenza votata al sacrificio come quello di Kobanê sembra così incredibile alla maggior parte delle persone. Ma il fatto che la seconda città più grande dell’Iraq, Mosul, sia caduta nelle mani di ISIS in pochi giorni, anche se gli Stati Uniti avevano speso miliardi di dollari per addestrare l’esercito iracheno, mentre la piccola città di Kobanê, dove donne anziane hanno creato i loro battaglioni autonomi, sia diventata un fortino di resistenza per le persone in tutto il mondo, ci mostra che la possibilità di un futuro diverso è ben viva!

Non si può separare la mobilitazione politica del popolo in Rojava dalle sue vittorie contro l’ISIS. Ecco perché il minimo che possiamo fare per onorare i combattenti di Kobanê è quello di rispettare e sostenere i loro obiettivi politici! Il riconoscimento dei cantoni del Rojava avrebbe dovuto essere avvenuto da tempo. Ma anche se il mondo non riconoscesse il Rojava, questo continuerà ad essere, perché ha dimostrato che non ha bisogno dell’approvazione di nessuno per esistere. E’ proprio questa volontà di resistenza e questa lotta autosufficiente, questo rifiuto di piegarsi alla condizione tipo sindrome di Stoccolma in cui il Medio Oriente si trova, al punto di dover essere costretto a essere felice della “democrazia” che si presenta sotto forma di briciole, che ha permesso a Kobanê di non cadere.

La vittoria e la dignità di Kobanê dovrebbero dare speranza a tutti i popoli del Medio Oriente e non solo. Circondato dalla bandiera nera di ISIS, dal sanguinario regime di Assad, dal feroce stato turco, da un embargo soffocante, dai calcoli a sangue freddo della politica estera delle potenze mondiali egemoniche, da tensioni etniche e guerre settarie, le persone sorridenti di Kobanê hanno mantenuto i loro principi rivoluzionari di libertà e aiutato il sole della Mesopotamia a risorgere su tutta questa oscurità.

La vittoria appartiene a coloro che hanno dedicato la loro vita ad essa. Onoriamo il coraggio di questi esseri umani altruisti e delle vittime della guerra rivelando le politiche e gli interessi degli Stati e delle strutture che hanno consentito a questo inferno di cominciare.

Auguriamoci di poter guardare più avanti a momenti rivoluzionari di gioia come oggi e non dimentichiamo mai coloro che hanno dato la loro vita per questo!

Bijî Kobanê!

di Dilar Dirik
da Kurdish Question – 27.01.2015

 

La Rete italiana di solidarietà con il popolo kurdo in assemblea-Bologna

 
La Rete italiana di solidarietà con il popolo kurdo in assemblea-Bologna

29 gennaio 2015


 

La rete italiana di solidarietà con il popolo kurdo in assemblea: al fianco del popolo kurdo che resiste, in Europa come in Medio Oriente

Si è tenuta nei giorni 24 e 25 gennaio 2015 presso il TPO di Bologna, l’assemblea della rete italiana di solidarietà con il popolo curdo, alla quale hanno partecipato circa 120 persone da quasi tutte le regioni d’Italia.

Associazioni e sindacati, singoli attivisti e centri sociali, collettivi di vario orientamento politico e di donne insieme ai rappresentanti dell’ufficio di informazione del Kurdistan in Italia (UIKI) hanno analizzato, discusso, e proposto inziative per sostenere la legittima lotta di autodifesa e per l’autodeterminazione del popolo curdo, dalla Siria alla Turchia, dall’Iran al Kurdistan regionale Autonomo.

Con l’avanzata dello Stato Islamico in Iraq e soprattutto in Rojava (Kurdistan occidentale, Siria) il popolo curdo ha dovuto di nuovo praticare l’autodifesa, ed è riuscito nell’impresa liberando la città di Kobanê, diventata un simbolo della resistenza con la giornata internazionale del 1° novembre scorso.

Ma è soprattutto il modello sociale proposto dal leader curdo Abdullah Őcalan, ancora detenuto nella prigione di Imralı, che le donne e gli uomini curdi hanno difeso promettendo di resistere fino all’ultimo: e per sostenere questo modello, che superando lo stato-nazione si propone come soluzione di pace per tutti i popoli del Medio Oriente, la rete si impegnerà con rinnovata energia e con forze più ampie, coordinandosi al meglio.

Si rimanda al sito www.retekurdistan.it per tutte le iniziative e i progetti vecchi e nuovi, dalla fondazione della Mezzaluna rossa curda in Italia alle nuove delegazioni per il Newroz e le elezioni di giugno in Turchia, e che quest’anno si preannunciano più numerose, alle campagne per sostenere i profughi di Kobanê e Şengal, ai gemellaggi e ai patti di amicizia con le istituzioni locali, fino alle richieste di riconoscimento del PKK che ha dimostrato di saper difendere e organizzare la popolazione, e che ancora l’Europa e gli USA considera un partito “terrorista” per compiacere la Turchia che nel frattempo sostiene le milizie dello Stato Islamico.

Rete italiana di solidarietà con il popolo curdo – 24/25 gennaio 2015