CIE DI GRADISCA: non riaprirà? (agg.30/05)

Non si capisce nè i lavori interni a che punto siano veramente e soprattutto in cosa possa essere riconvertita la struttura…

 

Messaggero veneto

 2014-05-30, 26 Gorizia

Tomasinsig: «Ribadiremo ad Alfano il no a Cie e Cara»

GRADISCA «Il ministro Alfano dice che è pronto ad ascoltare le istanze del territorio in merito al Cie? Bene, siamo pronti a ribadirle in tutte le sedi»: il mandato di Linda Tomasinsig, primo sindaco donna nella storia di Gradisca, è cominciato, a tutti gli effetti, con il botto. Le dichiarazioni venute dal titolare del Viminale nel corso di una riunione del comitato Schengen («Il Cie di Gradisca d’Isonzo non riaprirà se dal territorio verrà confermata la contrarietà a tale struttura» aveva detto Alfano rispondendo ad un’interrogazione del parlamentare isontino Giorgio Brandolin) vanno intese come l’assist a lungo sperato dall’amministrazione comunale della Fortezza. Un assist confermato anche dal prefetto di Gorizia, Zappalorto, che ha ulteriormente rafforzato le parole del ministro dell’Interno. E Tomasinsig, che a giorni nominerà il proprio esecutivo, è certa di farsi trovare pronta. «Su Cie e Cara le due amministrazioni, di cui ho fatto parte come consigliere ed assessore, e quella che mi accingo a guidare hanno sempre avuto le idee molto chiare – premette Tomasinsig –. Le parole del ministro Alfano costituiscono un’occasione molto importante, direi decisiva, per ribadire la nostra posizione. Siamo sempre stati contrari al Cie, perchè a nostro avviso non rappresentava una soluzione e per l’impatto sulla cittadina. Oggi siamo non solo contrari ad una sua riapertura, ma anche ad un ampliamento della capienza del Cara, il centro per richiedenti asilo». Qui, però, il discorso si fa più complesso. È chiaro che, se anche il Cie non riaprisse una volta terminati i lavori di ristrutturazione, non è che si dissolverà nel nulla. E quegli spazi, stando a rumors insistenti, potrebbero essere destinati ad un ampliamento del Cara. «Non abbiamo nulla da eccepire su una razionalizzazione degli spazi dell’altro centro – scandisce Tomasinsig, dimostrando di avere le idee molto chiare anche su questa sfumatura – ma solo se basata sulle presenze attuali. Il Cara, specie dopo il recente ampliamento a centro di prima accoglienza, è spesso ai limiti della capienza. Per questo diciamo che gli spazi attualmente inutilizzati del Cie possono anche servire a migliorare le attuali condizioni di accoglienza del Cara. Ma non ad ospitare più richiedenti asilo di quanti gia’ non siano accolti. Gradisca non avrebbe le forze per fare fronte a un impatto del genere. Resta poi da capire come il Cie, con le sue sbarre, possa essere adattato a centro di accoglienza. Anche su questo chiederemo risposte». Linda Tomasinsig spiega come l’obbiettivo a lungo termine («condiviso da Regione, Provincia e Comune») sia un giorno l’accoglienza diffusa dei profughi oggi trattenuti al Cara su tutto il territorio regionale, con piccole unità facilmente gestibili rispetto ai grandi numeri oggi presenti a Gradisca. Tomasinsig è consapevole di come potrebbe finalmente aprirsi un capitolo nuovo, 14 anni dopo l’inizio della tormentata vicenda del centro immigrati. «Ci batteremo in ogni modo – dice – così come hanno fatto le amministrazioni precedenti. Non è corretto affermare che la politica isontina non ha voluto opporsi al Cie. Ci si è battuti in molti modi, e il mio predecessore Franco Tommasini ha pagato anche personalmente la propria contrarietà». (l.m.)

 

Da Il Piccolo del 29 maggio 2014

GRADISCA «Non riapriremo il Cie di Gradisca se dal territorio continueranno a giungere segnali di netta contrarietà a tale apertura». È il senso della risposta che il ministro dell’Interno Angelino Alfano ha dato ieri alla Camera, nella riunione del comitato Schengen, a un’interrogazione dell’onorevole Giorgio Brandolin che fa parte del comitato Schengen. Il prefetto di Gorizia, Vittorio Zappalorto, è sceso nel dettaglio della vicenda: «Il ministro Alfano ha sostanzialmente assicurato di voler seguire le istanze del territorio. I politici locali, dalla presidente della Regione Serracchiani a molti amministratori isontini, hanno assunto un orientamento ben preciso sull’argomento». Sui tempi e le modalità della chiusura del Cie è prematuro parlarne. Ancora il prefetto: «Proprio oggi (ieri ndr) il ministero dell’Interno ha sbloccato la procedura che riguarda il primo stralcio dei lavori di ristrutturazione dell’edificio. Ciò ci consentirà di effettuare tutti quei lavori necessari per il collaudo della struttura e per riportarla alla sua funzionalità originaria. A questo punto è tutto da verificare l’avvio del secondo stralcio». L’intervento in atto, che dovrebbe essere concluso a settembre, prevede un impegno di spesa di 800 mila euro; sicché si può ipotizzare che l’edificio, se non ospiterà il Cie, non resterà certamente inutilizzato. «Certo che no – ribadisce il prefetto – . Posso immaginare uno sviluppo del Cara». Alla domanda se il Cie potrebbe essere trasformato in carcere, Zappalorto afferma che «si tratta di ipotesi che non stanno né in cielo né in terra». Resta da capire ora come far giungere al ministro Alfano la contrarietà del territorio alla riapertura del Cie. Un tavolo tecnico? Un incontro con Serracchiani e i sindaci? Zappalorto: «Dico semplicemente che se il ministro chiederà lumi al prefetto non ci saranno dubbi sulla risposta». Ora aspetta al neosindaco di Gradisca, Linda Tomasinsig tenere alta l’attenzione sul Cie e attivarsi per cementare ulteriormente il fronte anti-Cie. Un problema che insiste in particolare su Gradisca ma investe tutto l’Isontino. Speriamo si possa sanare una delle pagine più brutte della politica isontina risalente all’epoca in cui la filiera amministrativa locale (Comune di Gradisca, Provincia e Regione) non riuscì (volle?) validamente opporsi alla scelta del governo, adducendo difficoltà operative insormontabili in virtù della secretazione degli atti burocratici e tecnici del Cie. Chissà perché quando vuole la burocrazia statale riesce a sveltire gli iter. Cie ha significato la difficoltà degli operatori che vi hanno lavorato (senza contare i contenziosi scaturiti dalle gare d’appalto e l’attuale vertenza stipendi), ha significato drenare forze di polizia al controllo del territorio, ha significato innumerevoli problemi all’ordine pubblico, ha significato un ulteriore appesantimento delle strutture sanitarie locali, ha significato soprattutto una valanga di soldi pubblici necessari alla costruzione e alla riparazione dei continui danni provocati dalle rivolte. In ultimo ma non per ultimo ha significato rinchiudere in un sostanziale carcere centinaia di immigrati.